"EUROPE DIRECT" --- LA LOTTA DELL'UE CONTRO I CAMBIAMENTI CLIMATICI
Archivio > Anno 2009 > Ottobre 2009
di Irene PAOLINO
Combattere
i cambiamenti climatici è una delle maggiori sfide, dai risvolti
politici ed economici, che la nostra generazione deve affrontare. I
cambiamenti climatici, infatti, stanno provocando una polarizzazione dei
fenomeni meteorologici (inondazioni, ondate di calore e siccità),
l’aumento del livello dei mari e la distruzione su vasta scala degli
ecosistemi. Questi fenomeni meteorologici, già causa di danni materiali
ed economici, causati dalle emissioni di gas ad effetto serra, che
trattengono il calore nell’atmosfera, e da attività umane, come
l’utilizzo di combustibili fossili (carbone, petrolio e gas), oltre che
dalla distruzione e dal degrado delle foreste, stanno diventando sempre
più estremi. Le zone basse del Pianeta potrebbero essere sommerse a
causa dei crescenti livelli del mare, in molte parti del mondo non ci
sarebbe più abbastanza acqua potabile. Se non agiamo subito a livello
globale per stabilizzare le temperature in costante aumento sulla
superficie terrestre, il danno potrebbe essere irreparabile e il
bilancio catastrofico.
L’UE pensa che la strada da seguire sia quella di una politica integrata in materia di energia e di cambiamento climatico. Ed in tale politica l’Unione ha assunto, sin dal marzo 2007, un ruolo di leadership, cercando di rafforzare anche la propria sicurezza nell’approvvigionamento energetico e la propria concorrenzialità. Ma l’obiettivo più ambizioso è quello di passare ad un’economia compatibile con il clima, basata su una combinazione di tecnologie pulite a forte contenuto di innovazione e di risorse energetiche a bassa emissione di anidride carbonica.
La strategia integrata in materia di energia e cambiamenti climatici adottata nel dicembre del 2008 fissa obiettivi ambiziosi per il 2020, che porterebbero l’Europa verso un futuro sostenibile ed un’economia a basse emissioni di CO2 improntata all’efficienza energetica. Le misure previste sono le seguenti:
1. riduzione dei gas ad effetto serra del 20% (o del 30%, previo accordo internazionale);
2. riduzione dei consumi energetici del 20% attraverso un aumento dell’efficienza energetica;
3. utilizzo delle energie rinnovabili per soddisfare il 20% del nostro fabbisogno energetico.
Per raggiungere l’obiettivo del 20%, i leader dell’UE hanno concordato una serie di obiettivi nazionali vincolanti per tutti gli Stati membri al fine di garantire un’equa partecipazione, tenendo conto delle rispettive posizioni di partenza, dei miglioramenti già attuati e dei diversi livelli di prosperità.
Il riscaldamento globale è causato dall’eccessiva produzione e dallo smodato consumo di energia da parte dell’uomo. La crescita esponenziale del nostro fabbisogno energetico fa aumentare anche la nostra dipendenza dai combustibili fossili (petrolio, gas naturale e carbone), che producono ingenti volumi di CO2 e rappresentano attualmente circa l’80% del consumo di energia dell’UE.
Per raggiungere gli ambiziosi obiettivi che l’UE si è posta per combattere i cambiamenti climatici è necessario puntare sulla radicale trasformazione dei modelli di produzione e consumo di energia. Ciascun paese deve promuovere lo sviluppo e il consumo di fonti rinnovabili per la produzione di energia elettrica, il riscaldamento, il condizionamento dell’aria e i trasporti, per i quali è previsto in tutti i paesi un tasso di utilizzo dei biocarburanti pari al 10%. Questi ultimi per quanto utili a ridurre le emissioni, devono essere prodotti in maniera sostenibile, per non pregiudicare la produzione alimentare e non causare fenomeni di deforestazione e di perdita della biodiversità. Inoltre, l’UE in determinati settori che più si prestano al risparmio energetico, si è impegnata a promuovere lo sviluppo di tecnologie, prodotti e servizi a basso consumo di energia.
Al primo posto gli edifici, dal momento che rappresentano il 40% del fabbisogno energetico dell’UE. Poiché negli edifici il consumo di energia potrebbe essere ridotto di un terzo, sono state adottate misure per migliorarne la progettazione e dotarli di sistemi più efficienti per l’illuminazione, il riscaldamento, il condizionamento e l’acqua calda.
Al secondo posto viene il trasporto stradale, che rappresenta il 26% del fabbisogno energetico dell’UE. Entro il 2012 le emissioni prodotte dalle vetture dovranno essere limitate a 120g di CO2/km, mentre verranno incentivate la vendita di automobili meno inquinanti e il ricorso a soluzioni alternative, come ad esempio il trasporto pubblico, il trasporto non motorizzato e il telelavoro.
Il settore industriale è al terzo posto con il 25% del fabbisogno energetico dell’UE. Sulla base degli studi condotti sull’efficienza energetica dei prodotti, verranno applicati standard di progettazione ecocompatibile a determinati articoli, come ad esempio boiler, televisori e prodotti per l’illuminazione, al fine di migliorarne il rendimento. L’etichettatura è un altro sistema per promuovere gli “acquisti ecologici”. Il marchio di qualità ecologica indica al consumatore i prodotti più rispettosi dell’ambiente e più efficienti dal punto di vista del consumo energetico.
L’azione dell’UE impatterà, quindi, su una serie di settori chiave quali il mercato dell’energia elettrica e del gas, le fonti energetiche, il comportamento dei consumatori e la cooperazione internazionale, oltre che la crescita economica e l’occupazione.
Lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili può contribuire, infatti, non solo a creare nuove opportunità di lavoro sul fronte delle imprese, della ricerca e dell’innovazione, ma anche a ridurre la dipendenza dell’UE dalle importazioni di petrolio e gas, rendendola meno esposta e vulnerabile alle fluttuazioni dei prezzi petroliferi e alle incertezze sulle fonti di approvvigionamento. Privilegiando le fonti rinnovabili potremmo diminuire ogni anno il consumo di combustibili fossili di 200-300 milioni di tonnellate e le emissioni di CO2 di ben 600-900 milioni di tonnellate. Anche i settori high-tech potranno cogliere nuove opportunità economiche attraverso lo sviluppo di tecnologie a basse o a zero emissioni, basate su fonti energetiche rinnovabili come l’energia eolica, solare o idroelettrica e la biomassa.
Con il pacchetto per il clima e l’energia, approvato nel dicembre 2008, l’UE mira a realizzare i suoi obiettivi attraverso le seguenti misure:
– rilascio di meno autorizzazioni di emissione nel quadro del sistema di scambio di quote di emissioni (che copre il 40% circa del totale delle emissioni dell’UE) per le centrali elettriche e le industrie ad alta intensità di energia per ridurre le emissioni del 21% rispetto ai livelli del 2005 entro il 2020;
– obiettivi nazionali vincolanti nei settori che non rientrano nel sistema di scambio (trasporti, agricoltura, rifiuti e famiglie) per la riduzione delle emissioni del 10% rispetto ai livelli del 2005 entro il 2020 (con riduzioni più consistenti per i paesi più ricchi e incrementi limitati per quelli meno prosperi). Almeno il 10% del carburante utilizzato per i trasporti dovrà provenire da fonti rinnovabili (biocarburanti, idrogeno, elettricità “verde” ecc.). In particolare i biocarburanti dovranno rispettare determinati criteri di sostenibilità;
– obiettivi nazionali vincolanti nell’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili per raggiungere entro il 2020 il 20% dell’energia nell’UE27 (dal 10% per Malta al 49% per la Svezia);
– promozione dell’uso sicuro delle tecnologie di cattura e stoccaggio geologico del carbonio, che potrebbero a lungo andare eliminare la maggior parte delle emissioni di CO2 provenienti dai combustibili fossili utilizzati per la produzione di elettricità e nell’industria.
Il pacchetto, che risponde all’invito del Consiglio europeo, comprende una serie di importanti proposte politiche strettamente collegate tra loro, e in particolare:
(1) una proposta di modifica della direttiva sul sistema comunitario di scambio delle quote di emissione;
(2) una proposta relativa alla ripartizione degli sforzi da intraprendere per adempiere all’impegno comunitario a ridurre unilateralmente le emissioni di gas serra in settori non rientranti nel sistema comunitario di scambio delle quote di emissione (come i trasporti, l’edilizia, i servizi, i piccoli impianti industriali, l’agricoltura e i rifiuti);
(3) una proposta di direttiva sulla promozione delle energie rinnovabili, per contribuire a conseguire entrambi gli obiettivi di riduzione delle emissioni sopra indicati.
Del pacchetto fanno inoltre parte una proposta relativa alla disciplina giuridica della cattura e dello stoccaggio del carbonio, una comunicazione sulle attività di dimostrazione in materia di cattura e stoccaggio del carbonio e la nuova disciplina comunitaria degli aiuti di Stato per la tutela ambientale.
L’UE, per incidere sui cambiamenti climatici, punta a ridurre collettivamente i gas ad effetto serra fino al 30% entro il 2020 attraverso alcune misure che contribuiranno in maniera significativa a limitare a 2°C l’aumento della temperatura rispetto ai livelli preindustriali.
Il principale strumento di cui dispone l’UE per combattere i cambiamenti climatici è il sistema di scambio delle quote di emissione. Approvato nel 2005, consente ai paesi aderenti di scambiare le rispettive quote nell’ambito di un contingente globale fissato a livello europeo. Si tratta di un sistema innovativo e poco costoso per ridurre le emissioni di CO2. Il potenziale impatto di questa iniziativa è pertanto enorme. Sebbene lo scambio delle quote di emissione si applichi soltanto ad alcuni settori, la strategia dell’UE riguarda anche altre importanti fonti di emissioni, tra cui l’agricoltura, l’edilizia, lo smaltimento dei rifiuti e i trasporti. Al fine di ripartire gli oneri, per ciascuno dei paesi partecipanti verrà fissato un obiettivo a livello nazionale. Il sistema si applica a tutti i paesi dell’UE, oltre che alla Norvegia, all’Islanda e al Liechtenstein, e riguarda 10.500 impianti nei settori dell’industria e dell’energia, che rappresentano collettivamente il 40% delle emissioni globali di gas ad effetto serra dell’UE. L’UE, inoltre, ha esteso il sistema delle quote anche ad altri gas ad effetto serra, tra cui l’ossido di azoto (fertilizzanti) e i perfluorocarburi (produzione di alluminio), nonché a tutte le grandi fonti industriali di emissioni, come ad esempio le centrali elettriche. Ma vediamo in dettaglio quali sono i principali gas e quali effetti producono.
II vapore acqueo è il principale gas a effetto serra (H2O), responsabile per circa due terzi dell’effetto serra naturale. Nell’atmosfera, le molecole di acqua catturano il calore irradiato dalla terra diramandolo in tutte le direzioni, riscaldando così la superficie della terra prima di essere irradiato nuovamente nello spazio. Il vapore acqueo atmosferico è parte del ciclo idrologico, un sistema chiuso di circolazione dell’acqua – una risorsa non infinita – dagli oceani e dai continenti verso l’atmosfera in un ciclo continuo di evaporazione, traspirazione, condensazione e precipitazione. Le attività umane non immettono vapore acqueo nell’atmosfera. Tuttavia l’aria calda può assorbire molta più umidità e di conseguenza le temperature in aumento intensificano ulteriormente il cambiamento climatico.
L’anidride carbonica è la causa principale dell’effetto serra accelerato dovuto alle attività umane (CO2), responsabile per oltre il 60% di questo effetto accelerato. Nei paesi industrializzati, il CO2 costituisce oltre l’80% delle emissioni di gas ad effetto serra. La quantità di carbonio sulla terra non è illimitata e, come l’acqua, il carbonio ha un suo ciclo. Si tratta di un sistema complesso nel quale il carbonio passa attraverso l’atmosfera, la biosfera terrestre e gli oceani. Le piante assorbono CO2 dall’atmosfera durante la fotosintesi, lo utilizzano per sviluppare i loro tessuti, e lo restituiscono all’atmosfera quando muoiono e si decompongono. Anche il corpo degli animali e degli uomini contiene carbonio proveniente dai vegetali – e dagli animali – di cui si nutrono. Questo carbonio viene rilasciato sotto forma di CO2 durante la respirazione e, dopo la morte, durante la decomposizione.
I carburanti fossili si formano in presenza di determinate condizioni dai resti di piante e animali fossilizzati nel corso di milioni di anni e appunto per questo sono così ricchi di carbonio. In generale, il carbone è quanto resta delle foreste seppellite, mentre il petrolio deriva dalla conversione della vita sottomarina. Gli oceani assorbono CO2 che, in forma disciolta, è utilizzato nella fotosintesi delle forme di vita acquatiche.
Ogni anno vengono scambiati naturalmente molti miliardi di tonnellate di carbonio fra l’atmosfera, gli oceani e la vegetazione terrestre. I livelli di anidride carbonica sembrano avere subito variazioni massime del 10% durante i 10.000 anni precedenti la rivoluzione industriale. Tuttavia, dal XIX secolo le concentrazioni sono aumentate del 30% circa in conseguenza della combustione di enormi quantità di combustibili fossili per la produzione di energia – principalmente nei paesi industrializzati. Attualmente stiamo immettendo ogni anno nell’atmosfera oltre 25 miliardi di tonnellate di CO2. I ricercatori europei hanno scoperto di recente che le attuali concentrazioni di CO2 nell’atmosfera sono le più elevate degli ultimi 650.000 anni. Dalla calotta antartica sono stati prelevati a 3km di profondità campioni di ghiaccio formatosi centinaia di migliaia di anni fa. Nel ghiaccio sono imprigionate bolle d’arie che raccontano la storia della composizione dell’atmosfera in diverse età del pianeta. II CO2 può rimanere nell’atmosfera per 50-200 anni secondo il processo attraverso il quale ritorna alla terra o agli oceani.
Il metano è la seconda causa dell’effetto serra accelerato in ordine di importanza (CH4). Dall’inizio della rivoluzione industriale, le concentrazioni di metano nell’atmosfera sono raddoppiate, contribuendo per il 20% all’accelerazione dell’effetto sera. Nei paesi industrializzati il metano è responsabile in media del 15% delle emissioni. Esso è originato principalmente dai batteri che si nutrono di materie organiche in condizioni di mancanza di ossigeno e viene rilasciato da varie fonti di origine sia naturale sia – prevalentemente – umana. Fra le fonti naturali si annoverano le zone umide e paludose, le termiti e gli oceani. Le fonti di origine umana sono costituite dall’attività mineraria e dallo sfruttamenti dei combustibili fossili, dall’allevamento di bestiame (gli animali si nutrono di piante che fermentando nel loro stomaco esalano metano, contenuto anche nel letame), dalla coltivazione del riso (le risaie producono metano in quanto le materie organiche al suolo si decompongono in mancanza di ossigeno sufficiente) e dalle discariche (anche in questo caso, le materie organiche si decompongono in mancanza di ossigeno sufficiente). Rilasciato nell’atmosfera, il metano intrappola il calore con un’efficienza 23 volte superiore a quella del CO2, anche se il suo ciclo è più breve, fra i 10 e i 15 anni.
L’ossido nitroso (N2O) è emesso naturalmente dagli oceani, dalle foreste pluviali e dai batteri presenti nel suolo. Le fonti ascrivibili alle attività umane comprendono i fertilizzanti a base di nitrati, la combustione di combustibili fossili e la produzione di prodotti chimico-industriali a base di azoto, per esempio nel trattamento dei liquami. Nei paesi industrializzati, l’N2O è responsabile del 6% circa delle emissioni ad effetto serra. Come il CO2 e il metano, l’ossido nitroso è un gas le cui molecole assorbono il calore che cerca di sfuggire nello spazio ed ha una capacità di assorbimento del calore 310 volte più elevata del CO2. Dall’inizio della rivoluzione industriale, le concentrazioni di ossido nitroso nell’atmosfera sono aumentate del 16% circa, contribuendo per un 4 - 6% all’accelerazione dell’effetto serra.
I gas fluorurati ad effetto serra sono gli unici gas ad effetto serra che non esistono in natura, ma sono stati sviluppati dall’uomo a fini industriali. Contribuiscono all’1,5% delle emissioni dei paesi industrializzati, ma sono estremamente potenti: sono in grado intrappolare fino a 22.000 volte più calore del CO2 – e rimangono nell’atmosfera per migliaia di anni. I gas fluorurati ad effetto serra includono gli idrofluorocarburi (HFC) utilizzati a fini di raffreddamento e refrigerazione, inclusa l’aria condizionata; l’esafluoro di zolfo (SF6), utilizzato tra l’altro nell’industria elettronica; e i perfluorocarburi (PFC), emessi durante la manifattura dell’alluminio e utilizzati anch’essi nell’industria elettronica. Probabilmente i più famosi di questi gas sono i clorofluorocarburi (CFC), che sono inoltre responsabili dell’impoverimento dello strato di ozono. Nel quadro del Protocollo di Montreal del 1987 sulle sostanze che impoveriscono lo strato di ozono questi gas sono in fase di progressivo smaltimento ed eliminazione.
Tuttavia, per ridurre i gas ad effetto serra del 50% entro il 2050 saranno necessari ulteriori interventi, come ad esempio la cattura e lo stoccaggio sotterraneo di CO2. L’UE promuove alcune tecnologie per catturare il biossido di carbonio contenuto nei gas prodotti dall’industria e dai trasporti e iniettarlo nel sottosuolo. Ciò permetterebbe di mitigare gli effetti derivanti dalla produzione di carbone e gas e da altre industrie altamente inquinanti, tra cui l’industria del cemento, l’in-dustria siderurgica e il settore petrolchimico.
Dall’attuazione delle suddette misure deriverebbero una serie di benefici che costituirebbero, entro il 2020, un importante contributo alla lotta contro i cambiamenti climatici: un approvvigionamento energetico più sicuro; un risparmio di 50M euro l’anno sulla fattura per le importazioni di petrolio e di gas; 1 milione di posti di lavoro nell’industria europea delle fonti di energia rinnovabili; un vantaggio competitivo grazie all’innovazione nel settore europeo dell’energia; aumento dei posti di lavoro nei settori impegnati ad assicurare una migliore compatibilità con l’ambiente; una riduzione dell’inquinamento atmosferico, con benefici per la salute e meno spese per i controlli.
Le azioni condotte a livello comune massimizzerebbero l’efficacia delle misure e darebbero origine ad economie di scala. Anche se i singoli Stati membri dell’UE vengono, infatti, esortati ad adottare una serie di misure e coordinarsi con l’UE per garantire un’equa ripartizione degli oneri, che pur essendo vincolanti, terranno conto delle rispettive capacità a livello nazionale, il riscaldamento globale richiede un’azione a livello globale. Solo insieme i 27 Paesi dell’UE possono influenzare l’azione mondiale per contrastare i cambiamenti climatici in misura maggiore di quanto possano fare singolarmente.
A tal riguardo l’UE ha già svolto un ruolo chiave nell’elaborazione di due importanti trattati: la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 1992 e il relativo Protocollo di Kyoto del 1997. In occasione della prossima conferenza ONU sui cambiamenti climatici, che si terrà a Copenaghen dal 7 al 18 dicembre prossimo, l’UE spera di raggiungere un nuovo accordo globale.
Nel frattempo, per dimezzare le emissioni globali entro il 2050, la Commissione europea ha presentato un piano teso ad aumentare i finanziamenti internazionali per aiutare i Paesi in Via di Sviluppo a mettere in campo le azioni necessarie per limitare l’aumento delle emissioni e adattarsi ai cambiamenti climatici. L’iniziativa è finalizzata ad ottimizzare i tempi in occasione della prossima conferenza delle Nazioni Unite a Copenaghen e le possibilità di concludere un accordo ambizioso sul clima a livello mondiale, che sostituirà il protocollo di Kyoto.
Entro il 2020 i PVS dovranno probabilmente affrontare costi annui dell’ordine di circa 100 miliardi di euro per ridurre le loro emissioni di gas a effetto serra e adattarsi alle conseguenze dei cambiamenti climatici. La quota maggiore dei fondi necessari proverrà da fonti nazionali e dal mercato internazionale allargato del carbonio, ma è probabile che si dovrà ricorrere anche a finanziamenti pubblici internazionali per circa 22-50 miliardi di euro all’anno.
Sulla base delle migliori stime della Commissione e nell’ipotesi che a Copenhagen sia raggiunto un accordo internazionale, i PVS avranno bisogno di un finanziamento di circa 100 miliardi di euro all’anno entro il 2020 per ridurre le loro emissioni e adattarsi ai cambiamenti climatici. Tre sono le principali fonti di finanziamento che dovrebbero permettere di soddisfare tale fabbisogno.
Le risorse nazionali pubbliche e private nei PVS potrebbero coprire tra il 20 e il 40% del fabbisogno per sostenere gran parte degli investimenti necessari per ridurre le emissioni.
Il mercato internazionale del carbonio coprirebbe circa il 40% del fabbisogno: la Commissione stima che un mercato internazionale del carbonio ben strutturato e allargato potrebbe generare flussi finanziari verso i PVS il cui ammontare potrebbe arrivare fino a 38 miliardi di euro l’anno entro il 2020. Tuttavia, ciò presuppone che i Paesi industrializzati si impegnino a ridurre collettivamente del 30% le loro emissioni e che nei PVS più progrediti venga adottato un meccanismo di credito settoriale.
La parte rimanente dovrebbe essere sostenuta da finanziamenti pubblici internazionali, però quanto meglio funzionerà il mercato del carbonio, tanto meno vi sarà bisogno di finanziamenti pubblici internazionali. Questi ultimi dovrebbero essere forniti non solo dai Paesi industrializzati, ma anche dai PVS economicamente più avanzati. In ogni caso il contributo di ciascun Paese dovrebbe tener conto delle emissioni di ciascun di essi e della sua capacità di pagare.
(Per saperne di più si possono consultare i seguenti indirizzi web: http://ec.europa.eu/climateaction/index_it.htm; http://ec. europa.eu/italia/hp/energia_it.htm)
L’UE pensa che la strada da seguire sia quella di una politica integrata in materia di energia e di cambiamento climatico. Ed in tale politica l’Unione ha assunto, sin dal marzo 2007, un ruolo di leadership, cercando di rafforzare anche la propria sicurezza nell’approvvigionamento energetico e la propria concorrenzialità. Ma l’obiettivo più ambizioso è quello di passare ad un’economia compatibile con il clima, basata su una combinazione di tecnologie pulite a forte contenuto di innovazione e di risorse energetiche a bassa emissione di anidride carbonica.
La strategia integrata in materia di energia e cambiamenti climatici adottata nel dicembre del 2008 fissa obiettivi ambiziosi per il 2020, che porterebbero l’Europa verso un futuro sostenibile ed un’economia a basse emissioni di CO2 improntata all’efficienza energetica. Le misure previste sono le seguenti:
1. riduzione dei gas ad effetto serra del 20% (o del 30%, previo accordo internazionale);
2. riduzione dei consumi energetici del 20% attraverso un aumento dell’efficienza energetica;
3. utilizzo delle energie rinnovabili per soddisfare il 20% del nostro fabbisogno energetico.
Per raggiungere l’obiettivo del 20%, i leader dell’UE hanno concordato una serie di obiettivi nazionali vincolanti per tutti gli Stati membri al fine di garantire un’equa partecipazione, tenendo conto delle rispettive posizioni di partenza, dei miglioramenti già attuati e dei diversi livelli di prosperità.
Il riscaldamento globale è causato dall’eccessiva produzione e dallo smodato consumo di energia da parte dell’uomo. La crescita esponenziale del nostro fabbisogno energetico fa aumentare anche la nostra dipendenza dai combustibili fossili (petrolio, gas naturale e carbone), che producono ingenti volumi di CO2 e rappresentano attualmente circa l’80% del consumo di energia dell’UE.
Per raggiungere gli ambiziosi obiettivi che l’UE si è posta per combattere i cambiamenti climatici è necessario puntare sulla radicale trasformazione dei modelli di produzione e consumo di energia. Ciascun paese deve promuovere lo sviluppo e il consumo di fonti rinnovabili per la produzione di energia elettrica, il riscaldamento, il condizionamento dell’aria e i trasporti, per i quali è previsto in tutti i paesi un tasso di utilizzo dei biocarburanti pari al 10%. Questi ultimi per quanto utili a ridurre le emissioni, devono essere prodotti in maniera sostenibile, per non pregiudicare la produzione alimentare e non causare fenomeni di deforestazione e di perdita della biodiversità. Inoltre, l’UE in determinati settori che più si prestano al risparmio energetico, si è impegnata a promuovere lo sviluppo di tecnologie, prodotti e servizi a basso consumo di energia.
Al primo posto gli edifici, dal momento che rappresentano il 40% del fabbisogno energetico dell’UE. Poiché negli edifici il consumo di energia potrebbe essere ridotto di un terzo, sono state adottate misure per migliorarne la progettazione e dotarli di sistemi più efficienti per l’illuminazione, il riscaldamento, il condizionamento e l’acqua calda.
Al secondo posto viene il trasporto stradale, che rappresenta il 26% del fabbisogno energetico dell’UE. Entro il 2012 le emissioni prodotte dalle vetture dovranno essere limitate a 120g di CO2/km, mentre verranno incentivate la vendita di automobili meno inquinanti e il ricorso a soluzioni alternative, come ad esempio il trasporto pubblico, il trasporto non motorizzato e il telelavoro.
Il settore industriale è al terzo posto con il 25% del fabbisogno energetico dell’UE. Sulla base degli studi condotti sull’efficienza energetica dei prodotti, verranno applicati standard di progettazione ecocompatibile a determinati articoli, come ad esempio boiler, televisori e prodotti per l’illuminazione, al fine di migliorarne il rendimento. L’etichettatura è un altro sistema per promuovere gli “acquisti ecologici”. Il marchio di qualità ecologica indica al consumatore i prodotti più rispettosi dell’ambiente e più efficienti dal punto di vista del consumo energetico.
L’azione dell’UE impatterà, quindi, su una serie di settori chiave quali il mercato dell’energia elettrica e del gas, le fonti energetiche, il comportamento dei consumatori e la cooperazione internazionale, oltre che la crescita economica e l’occupazione.
Lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili può contribuire, infatti, non solo a creare nuove opportunità di lavoro sul fronte delle imprese, della ricerca e dell’innovazione, ma anche a ridurre la dipendenza dell’UE dalle importazioni di petrolio e gas, rendendola meno esposta e vulnerabile alle fluttuazioni dei prezzi petroliferi e alle incertezze sulle fonti di approvvigionamento. Privilegiando le fonti rinnovabili potremmo diminuire ogni anno il consumo di combustibili fossili di 200-300 milioni di tonnellate e le emissioni di CO2 di ben 600-900 milioni di tonnellate. Anche i settori high-tech potranno cogliere nuove opportunità economiche attraverso lo sviluppo di tecnologie a basse o a zero emissioni, basate su fonti energetiche rinnovabili come l’energia eolica, solare o idroelettrica e la biomassa.
Con il pacchetto per il clima e l’energia, approvato nel dicembre 2008, l’UE mira a realizzare i suoi obiettivi attraverso le seguenti misure:
– rilascio di meno autorizzazioni di emissione nel quadro del sistema di scambio di quote di emissioni (che copre il 40% circa del totale delle emissioni dell’UE) per le centrali elettriche e le industrie ad alta intensità di energia per ridurre le emissioni del 21% rispetto ai livelli del 2005 entro il 2020;
– obiettivi nazionali vincolanti nei settori che non rientrano nel sistema di scambio (trasporti, agricoltura, rifiuti e famiglie) per la riduzione delle emissioni del 10% rispetto ai livelli del 2005 entro il 2020 (con riduzioni più consistenti per i paesi più ricchi e incrementi limitati per quelli meno prosperi). Almeno il 10% del carburante utilizzato per i trasporti dovrà provenire da fonti rinnovabili (biocarburanti, idrogeno, elettricità “verde” ecc.). In particolare i biocarburanti dovranno rispettare determinati criteri di sostenibilità;
– obiettivi nazionali vincolanti nell’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili per raggiungere entro il 2020 il 20% dell’energia nell’UE27 (dal 10% per Malta al 49% per la Svezia);
– promozione dell’uso sicuro delle tecnologie di cattura e stoccaggio geologico del carbonio, che potrebbero a lungo andare eliminare la maggior parte delle emissioni di CO2 provenienti dai combustibili fossili utilizzati per la produzione di elettricità e nell’industria.
Il pacchetto, che risponde all’invito del Consiglio europeo, comprende una serie di importanti proposte politiche strettamente collegate tra loro, e in particolare:
(1) una proposta di modifica della direttiva sul sistema comunitario di scambio delle quote di emissione;
(2) una proposta relativa alla ripartizione degli sforzi da intraprendere per adempiere all’impegno comunitario a ridurre unilateralmente le emissioni di gas serra in settori non rientranti nel sistema comunitario di scambio delle quote di emissione (come i trasporti, l’edilizia, i servizi, i piccoli impianti industriali, l’agricoltura e i rifiuti);
(3) una proposta di direttiva sulla promozione delle energie rinnovabili, per contribuire a conseguire entrambi gli obiettivi di riduzione delle emissioni sopra indicati.
Del pacchetto fanno inoltre parte una proposta relativa alla disciplina giuridica della cattura e dello stoccaggio del carbonio, una comunicazione sulle attività di dimostrazione in materia di cattura e stoccaggio del carbonio e la nuova disciplina comunitaria degli aiuti di Stato per la tutela ambientale.
L’UE, per incidere sui cambiamenti climatici, punta a ridurre collettivamente i gas ad effetto serra fino al 30% entro il 2020 attraverso alcune misure che contribuiranno in maniera significativa a limitare a 2°C l’aumento della temperatura rispetto ai livelli preindustriali.
Il principale strumento di cui dispone l’UE per combattere i cambiamenti climatici è il sistema di scambio delle quote di emissione. Approvato nel 2005, consente ai paesi aderenti di scambiare le rispettive quote nell’ambito di un contingente globale fissato a livello europeo. Si tratta di un sistema innovativo e poco costoso per ridurre le emissioni di CO2. Il potenziale impatto di questa iniziativa è pertanto enorme. Sebbene lo scambio delle quote di emissione si applichi soltanto ad alcuni settori, la strategia dell’UE riguarda anche altre importanti fonti di emissioni, tra cui l’agricoltura, l’edilizia, lo smaltimento dei rifiuti e i trasporti. Al fine di ripartire gli oneri, per ciascuno dei paesi partecipanti verrà fissato un obiettivo a livello nazionale. Il sistema si applica a tutti i paesi dell’UE, oltre che alla Norvegia, all’Islanda e al Liechtenstein, e riguarda 10.500 impianti nei settori dell’industria e dell’energia, che rappresentano collettivamente il 40% delle emissioni globali di gas ad effetto serra dell’UE. L’UE, inoltre, ha esteso il sistema delle quote anche ad altri gas ad effetto serra, tra cui l’ossido di azoto (fertilizzanti) e i perfluorocarburi (produzione di alluminio), nonché a tutte le grandi fonti industriali di emissioni, come ad esempio le centrali elettriche. Ma vediamo in dettaglio quali sono i principali gas e quali effetti producono.
II vapore acqueo è il principale gas a effetto serra (H2O), responsabile per circa due terzi dell’effetto serra naturale. Nell’atmosfera, le molecole di acqua catturano il calore irradiato dalla terra diramandolo in tutte le direzioni, riscaldando così la superficie della terra prima di essere irradiato nuovamente nello spazio. Il vapore acqueo atmosferico è parte del ciclo idrologico, un sistema chiuso di circolazione dell’acqua – una risorsa non infinita – dagli oceani e dai continenti verso l’atmosfera in un ciclo continuo di evaporazione, traspirazione, condensazione e precipitazione. Le attività umane non immettono vapore acqueo nell’atmosfera. Tuttavia l’aria calda può assorbire molta più umidità e di conseguenza le temperature in aumento intensificano ulteriormente il cambiamento climatico.
L’anidride carbonica è la causa principale dell’effetto serra accelerato dovuto alle attività umane (CO2), responsabile per oltre il 60% di questo effetto accelerato. Nei paesi industrializzati, il CO2 costituisce oltre l’80% delle emissioni di gas ad effetto serra. La quantità di carbonio sulla terra non è illimitata e, come l’acqua, il carbonio ha un suo ciclo. Si tratta di un sistema complesso nel quale il carbonio passa attraverso l’atmosfera, la biosfera terrestre e gli oceani. Le piante assorbono CO2 dall’atmosfera durante la fotosintesi, lo utilizzano per sviluppare i loro tessuti, e lo restituiscono all’atmosfera quando muoiono e si decompongono. Anche il corpo degli animali e degli uomini contiene carbonio proveniente dai vegetali – e dagli animali – di cui si nutrono. Questo carbonio viene rilasciato sotto forma di CO2 durante la respirazione e, dopo la morte, durante la decomposizione.
I carburanti fossili si formano in presenza di determinate condizioni dai resti di piante e animali fossilizzati nel corso di milioni di anni e appunto per questo sono così ricchi di carbonio. In generale, il carbone è quanto resta delle foreste seppellite, mentre il petrolio deriva dalla conversione della vita sottomarina. Gli oceani assorbono CO2 che, in forma disciolta, è utilizzato nella fotosintesi delle forme di vita acquatiche.
Ogni anno vengono scambiati naturalmente molti miliardi di tonnellate di carbonio fra l’atmosfera, gli oceani e la vegetazione terrestre. I livelli di anidride carbonica sembrano avere subito variazioni massime del 10% durante i 10.000 anni precedenti la rivoluzione industriale. Tuttavia, dal XIX secolo le concentrazioni sono aumentate del 30% circa in conseguenza della combustione di enormi quantità di combustibili fossili per la produzione di energia – principalmente nei paesi industrializzati. Attualmente stiamo immettendo ogni anno nell’atmosfera oltre 25 miliardi di tonnellate di CO2. I ricercatori europei hanno scoperto di recente che le attuali concentrazioni di CO2 nell’atmosfera sono le più elevate degli ultimi 650.000 anni. Dalla calotta antartica sono stati prelevati a 3km di profondità campioni di ghiaccio formatosi centinaia di migliaia di anni fa. Nel ghiaccio sono imprigionate bolle d’arie che raccontano la storia della composizione dell’atmosfera in diverse età del pianeta. II CO2 può rimanere nell’atmosfera per 50-200 anni secondo il processo attraverso il quale ritorna alla terra o agli oceani.
Il metano è la seconda causa dell’effetto serra accelerato in ordine di importanza (CH4). Dall’inizio della rivoluzione industriale, le concentrazioni di metano nell’atmosfera sono raddoppiate, contribuendo per il 20% all’accelerazione dell’effetto sera. Nei paesi industrializzati il metano è responsabile in media del 15% delle emissioni. Esso è originato principalmente dai batteri che si nutrono di materie organiche in condizioni di mancanza di ossigeno e viene rilasciato da varie fonti di origine sia naturale sia – prevalentemente – umana. Fra le fonti naturali si annoverano le zone umide e paludose, le termiti e gli oceani. Le fonti di origine umana sono costituite dall’attività mineraria e dallo sfruttamenti dei combustibili fossili, dall’allevamento di bestiame (gli animali si nutrono di piante che fermentando nel loro stomaco esalano metano, contenuto anche nel letame), dalla coltivazione del riso (le risaie producono metano in quanto le materie organiche al suolo si decompongono in mancanza di ossigeno sufficiente) e dalle discariche (anche in questo caso, le materie organiche si decompongono in mancanza di ossigeno sufficiente). Rilasciato nell’atmosfera, il metano intrappola il calore con un’efficienza 23 volte superiore a quella del CO2, anche se il suo ciclo è più breve, fra i 10 e i 15 anni.
L’ossido nitroso (N2O) è emesso naturalmente dagli oceani, dalle foreste pluviali e dai batteri presenti nel suolo. Le fonti ascrivibili alle attività umane comprendono i fertilizzanti a base di nitrati, la combustione di combustibili fossili e la produzione di prodotti chimico-industriali a base di azoto, per esempio nel trattamento dei liquami. Nei paesi industrializzati, l’N2O è responsabile del 6% circa delle emissioni ad effetto serra. Come il CO2 e il metano, l’ossido nitroso è un gas le cui molecole assorbono il calore che cerca di sfuggire nello spazio ed ha una capacità di assorbimento del calore 310 volte più elevata del CO2. Dall’inizio della rivoluzione industriale, le concentrazioni di ossido nitroso nell’atmosfera sono aumentate del 16% circa, contribuendo per un 4 - 6% all’accelerazione dell’effetto serra.
I gas fluorurati ad effetto serra sono gli unici gas ad effetto serra che non esistono in natura, ma sono stati sviluppati dall’uomo a fini industriali. Contribuiscono all’1,5% delle emissioni dei paesi industrializzati, ma sono estremamente potenti: sono in grado intrappolare fino a 22.000 volte più calore del CO2 – e rimangono nell’atmosfera per migliaia di anni. I gas fluorurati ad effetto serra includono gli idrofluorocarburi (HFC) utilizzati a fini di raffreddamento e refrigerazione, inclusa l’aria condizionata; l’esafluoro di zolfo (SF6), utilizzato tra l’altro nell’industria elettronica; e i perfluorocarburi (PFC), emessi durante la manifattura dell’alluminio e utilizzati anch’essi nell’industria elettronica. Probabilmente i più famosi di questi gas sono i clorofluorocarburi (CFC), che sono inoltre responsabili dell’impoverimento dello strato di ozono. Nel quadro del Protocollo di Montreal del 1987 sulle sostanze che impoveriscono lo strato di ozono questi gas sono in fase di progressivo smaltimento ed eliminazione.
Tuttavia, per ridurre i gas ad effetto serra del 50% entro il 2050 saranno necessari ulteriori interventi, come ad esempio la cattura e lo stoccaggio sotterraneo di CO2. L’UE promuove alcune tecnologie per catturare il biossido di carbonio contenuto nei gas prodotti dall’industria e dai trasporti e iniettarlo nel sottosuolo. Ciò permetterebbe di mitigare gli effetti derivanti dalla produzione di carbone e gas e da altre industrie altamente inquinanti, tra cui l’industria del cemento, l’in-dustria siderurgica e il settore petrolchimico.
Dall’attuazione delle suddette misure deriverebbero una serie di benefici che costituirebbero, entro il 2020, un importante contributo alla lotta contro i cambiamenti climatici: un approvvigionamento energetico più sicuro; un risparmio di 50M euro l’anno sulla fattura per le importazioni di petrolio e di gas; 1 milione di posti di lavoro nell’industria europea delle fonti di energia rinnovabili; un vantaggio competitivo grazie all’innovazione nel settore europeo dell’energia; aumento dei posti di lavoro nei settori impegnati ad assicurare una migliore compatibilità con l’ambiente; una riduzione dell’inquinamento atmosferico, con benefici per la salute e meno spese per i controlli.
Le azioni condotte a livello comune massimizzerebbero l’efficacia delle misure e darebbero origine ad economie di scala. Anche se i singoli Stati membri dell’UE vengono, infatti, esortati ad adottare una serie di misure e coordinarsi con l’UE per garantire un’equa ripartizione degli oneri, che pur essendo vincolanti, terranno conto delle rispettive capacità a livello nazionale, il riscaldamento globale richiede un’azione a livello globale. Solo insieme i 27 Paesi dell’UE possono influenzare l’azione mondiale per contrastare i cambiamenti climatici in misura maggiore di quanto possano fare singolarmente.
A tal riguardo l’UE ha già svolto un ruolo chiave nell’elaborazione di due importanti trattati: la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 1992 e il relativo Protocollo di Kyoto del 1997. In occasione della prossima conferenza ONU sui cambiamenti climatici, che si terrà a Copenaghen dal 7 al 18 dicembre prossimo, l’UE spera di raggiungere un nuovo accordo globale.
Nel frattempo, per dimezzare le emissioni globali entro il 2050, la Commissione europea ha presentato un piano teso ad aumentare i finanziamenti internazionali per aiutare i Paesi in Via di Sviluppo a mettere in campo le azioni necessarie per limitare l’aumento delle emissioni e adattarsi ai cambiamenti climatici. L’iniziativa è finalizzata ad ottimizzare i tempi in occasione della prossima conferenza delle Nazioni Unite a Copenaghen e le possibilità di concludere un accordo ambizioso sul clima a livello mondiale, che sostituirà il protocollo di Kyoto.
Entro il 2020 i PVS dovranno probabilmente affrontare costi annui dell’ordine di circa 100 miliardi di euro per ridurre le loro emissioni di gas a effetto serra e adattarsi alle conseguenze dei cambiamenti climatici. La quota maggiore dei fondi necessari proverrà da fonti nazionali e dal mercato internazionale allargato del carbonio, ma è probabile che si dovrà ricorrere anche a finanziamenti pubblici internazionali per circa 22-50 miliardi di euro all’anno.
Sulla base delle migliori stime della Commissione e nell’ipotesi che a Copenhagen sia raggiunto un accordo internazionale, i PVS avranno bisogno di un finanziamento di circa 100 miliardi di euro all’anno entro il 2020 per ridurre le loro emissioni e adattarsi ai cambiamenti climatici. Tre sono le principali fonti di finanziamento che dovrebbero permettere di soddisfare tale fabbisogno.
Le risorse nazionali pubbliche e private nei PVS potrebbero coprire tra il 20 e il 40% del fabbisogno per sostenere gran parte degli investimenti necessari per ridurre le emissioni.
Il mercato internazionale del carbonio coprirebbe circa il 40% del fabbisogno: la Commissione stima che un mercato internazionale del carbonio ben strutturato e allargato potrebbe generare flussi finanziari verso i PVS il cui ammontare potrebbe arrivare fino a 38 miliardi di euro l’anno entro il 2020. Tuttavia, ciò presuppone che i Paesi industrializzati si impegnino a ridurre collettivamente del 30% le loro emissioni e che nei PVS più progrediti venga adottato un meccanismo di credito settoriale.
La parte rimanente dovrebbe essere sostenuta da finanziamenti pubblici internazionali, però quanto meglio funzionerà il mercato del carbonio, tanto meno vi sarà bisogno di finanziamenti pubblici internazionali. Questi ultimi dovrebbero essere forniti non solo dai Paesi industrializzati, ma anche dai PVS economicamente più avanzati. In ogni caso il contributo di ciascun Paese dovrebbe tener conto delle emissioni di ciascun di essi e della sua capacità di pagare.
(Per saperne di più si possono consultare i seguenti indirizzi web: http://ec.europa.eu/climateaction/index_it.htm; http://ec. europa.eu/italia/hp/energia_it.htm)