DIVIETO DI DISCRIMINAZIONE BASATA SULL'ETA': UN PRINCIPIO COMUNITARIO ANCORA DA DEFINIRE - Sud in Europa

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DIVIETO DI DISCRIMINAZIONE BASATA SULL'ETA': UN PRINCIPIO COMUNITARIO ANCORA DA DEFINIRE

Archivio > Anno 2008 > Dicembre 2008
di Teresa Maria MOSCHETTA    
La Corte di giustizia delle Comunità europee, nella sentenza del 23 settembre 2008, causa C – 427/06, Birgit Bartsch c. Bosch und Siemens Hausgeräte (BSH), non ancora pubblicata in Raccolta, si è pronunciata su un rinvio pregiudiziale avente ad oggetto una questione di compatibilità con il diritto comunitario di un regime pensionistico di impresa che nega la pensione di reversibilità al coniuge superstite in ragione della differenza di età con il congiunto defunto. La causa principale riguardava, infatti, una controversia sorta tra la signora Birgit Bartsch e la BSH Altersfürsorge, che è un fondo pensionistico costituito dalla Bosch und Siemens Hausgeräte, le cui linee di­rettrici prevedono espressamente che la pensione di reversibilità non pos­sa essere erogata nel caso in cui la vedova o il ve­dovo risulti più giovane di quindici an­ni rispetto al lavoratore deceduto. La signora Birgit Bartsch nel 1986 ave­va contratto matrimonio con il si­gnor Bartsch, dipendente della Bosch und Siemens Hausgeräte ed alla morte di lui nel 2004 si era vista negare la pensione di reversibilità in quanto ventuno anni più giovane del marito.
Il tribunale del lavoro ed il tribunale del lavoro regionale tedeschi, nei giudizi di primo e secondo grado, avevano già respinto la richiesta della ri­corrente di riconoscere l’illegittimità della clausola sull’età alla luce del prin­­cipio della parità di trattamento, così come riconosciuto dal diritto interno, sottolineando come tale clausola dovesse considerarsi basata su un motivo ragionevole, individuabile nella necessità di evitare che il fondo pensione si impegnasse a pagare la pensione di reversibilità ad un coniuge che sarebbe presumibilmente vissuto molto più a lungo del lavoratore defunto. Il tribunale del lavoro federale tedesco, chiamato a pronunciarsi in ultima istanza, ha tuttavia ritenuto opportuno chiedere alla Corte se la questione nella causa principale assumesse rilevanza comunitaria con particolare riguardo all’applicazione della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GUCE L 303 del 2 dicembre 2000), che all’epoca dei fatti non era ancora entrata in vigore, in ragione della asserita esistenza in ambito comunitario di un principio generale avente ad oggetto il divieto di discriminazione basata sull’età.
La direttiva 2000/78/CE, cit. mira a rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento, dando seguito all’art. 13 TCE che prevede per il Consiglio un mandato a provvedere, con i mezzi che ritenga opportuni, a combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza e l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età e le tendenze sessuali. Essa specifica che il principio della parità di trattamento comprende il divieto di ogni discriminazione, sia essa diretta o indiretta, intendendosi per “discriminazione diretta” ogni caso in cui una persona venga trattata in maniera sfavorevole rispetto ad un’altra persona che si trovi in una situazione analoga e per “discriminazione indiretta” ogni caso in cui una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possano mettere in una situazione di svantaggio persone accumunate da una determinata caratteristica inerente tra l’altro al sesso, alla razza, alla religione ed appunto all’età. Con riferimento alle disposizioni potenzialmente rilevanti per la causa principale, il 25° “considerando” della direttiva sottolinea come il divieto di ogni discriminazione basata sull’età costituisca un elemento essenziale per il perseguimento degli obiettivi di promozione della diversità nell’occupazione; ciononostante l’articolo 6 della direttiva 2000/78/CE, cit. riconosce agli Stati la possibilità di prevedere eccezioni laddove siano oggettivamente e ragionevolmente giustificate, nell’ambito del diritto nazionale, da legittime finalità comprendenti giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale e laddove i mezzi per il conseguimento di tali finalità risultino appropriati e necessari. In particolare, l’art. 6, par. 2 permette agli Stati di prevedere che la fissazione per i regimi professionali di sicurezza sociale di determinate condizioni relative all’età per poter accedere o aver titolo alle prestazioni pensionistiche e l’utilizzazione nell’ambito di detti regimi di criteri di età nei calcoli attuariali non costituisca una discriminazione fondata sull’età, purchè ciò non dia luogo a discriminazioni fondate sul sesso.
Come ricordato dall’avvocato generale Eleonor Sharpston nelle conclusioni del 22 maggio 2008 inerenti alla causa in og­get­to, la nozione di non discriminazione deve essere intesa in sen­so estensivo accordando alle eccezioni un carattere ristretto e ben circostanziato. Il mancato riconoscimento alla signora Bir­git Bartsch della pensione di reversibilità potrebbe, pertanto, costituire una discriminazione basata sull’età, rientrando in tale nozione il trattamento discriminatorio tanto nei confronti del lavoratore defunto quanto del coniuge superstite. La portata restrittiva da accordare alle eccezioni non potrebbe, d’altro canto, giustificare tale disparità di trattamento che non appare connotata dai requisiti di proporzionalità e necessità rispetto al conseguimento del legittimo obiettivo perseguito. Secondo l’av­­vocato generale, pertanto, le linee direttrici del fondo pensione della Bosch und Siemens Hausgeräte sarebbero risultate in contrasto con le disposizioni riportate se il termine per il recepimento della direttiva da parte degli Stati membri fosse già scaduto. Il rinvio pregiudiziale aveva, tuttavia, ad oggetto una questione più complessa riguardante nello specifico la possibilità che il divieto di discriminazione basata sull’età potesse trovare applicazione per disciplinare rapporti giuridici sorti tra privati in virtù dell’esistenza in ambito comunitario di un principio generale di diritto.
Il giudice di rinvio, fa sostanzialmente richiamo alla sentenza della Corte di giustizia del 22 novembre 2005, causa C – 144/04, Mangold, in Raccolta, p. I – 9981 punti 75 – 78 nella quale si legge che “il rispetto del principio generale della parità di trattamento, in particolare in ragione dell’età, non dipende, come tale, dalla scadenza del termine concesso agli Stati membri per trasporre una direttiva intesa a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sull’età”, dovendosi considerare il principio di non discriminazione sulla base dell’età come un principio generale di diritto comunitario. Con­seguentemente, secondo la Corte, “il giudice nazionale dovrebbe assicurare la piena efficacia del principio generale di non discriminazione in ragione dell’età disapplicando ogni contraria disposizione di legge nazionale anche qualora il termine di recepimento della direttiva non sia ancora scaduto”.
Come noto, la sentenza Mangold è stata oggetto di un ampio dibattito dottrinale che ha posto in luce il rischio di un eccessivo ampliamento della portata giuridica delle direttive sulla base della presunta esistenza in ambito comunitario di un principio generale di diritto non pienamente definito. La stessa Corte di giustizia nelle successive cause in cui le è stato chiesto di precisare la portata del principio di non discriminazione sulla base dell’età ha sempre evitato di affrontare la questione, dichiarandola non rilevante per la risoluzione della causa principale (sentenza della Corte di giustizia dell’11 luglio 2006, causa C – 13/05, Chacón Navas, in Raccolta, p. I – 6467; sentenza della Corte di giustizia dell’11 settembre 2007, causa C – 227/04 P, Lindofer, in Raccolta, p. I – 6767; sentenza della Corte di giustizia del 16 ottobre 2007, causa C – 411/05, Palacios de la Villa, in Raccolta, p. I – 8531). Gli avvocati generali, chiamati ad esprimere un orientamento sul tema nell’ambito delle sentenze citate, si sono mostrati, dal canto loro, concordi nel manifestare una certa prudenza nella definizione di un principio generale che vieti i trattamenti discriminatori basati sull’età, propendendo per una interpretazione restrittiva che contempla il divieto di discriminazione sulla base dell’età come una specificazione del generale principio di uguaglianza.
In particolare, l’avvocato generale Eleonor Sharpston, nelle conclusioni inerenti alla causa Birgit Bartsch c. Bosch und Siemens Hausgeräte (BSH), oggetto di analisi, ha sottolineato come la formulazione classica del principio di uguaglianza, se­condo cui i casi simili vanno trattati in modo analogo, lasci irrisolto il problema cruciale di stabilire quali aspetti siano da considerare rilevanti per la parità di trattamento e quali no. Al ri­guardo, l’avvocato generale pone in rilievo come tali aspetti possano variare a seconda della visione etica di base di un determinato soggetto o società. In questa ottica, il requisito dell’età, quale elemento di verifica di un trattamento discriminatorio, può costituire una specificazione del principio di uguaglianza, che si evolve con le trasformazioni della società a cui si riferisce. Secondo l’avvocato generale, tale impostazione teorica troverebbe conferma nella portata letterale dell’art. 13 TCE che conferisce al Consiglio il potere di specificare il principio di uguaglianza, determinando i comportamenti potenzialmente discriminatori in relazione alle particolari caratteristiche dei soggetti coinvolti. L’avvocato generale ha pertanto concluso sostenendo che “il principio generale di uguaglianza opera in talune circostanze nel senso di vietare la discriminazione fondata sull’età ma che non esiste, dall’inizio, un principio distinto e specifico di diritto comunitario che ha sempre vietato la discriminazione in ragione dell’età”. A fronte del parere espresso dall’avvocato generale, la questione della esistenza e della portata di un principio generale che in ambito comunitario sancisca il divieto di discriminazioni in base all’età non ha trovato soluzione nella pronuncia della Corte.
Ancora una volta, la Corte non è intervenuta sul punto, limitandosi nella sentenza Birgit Bartsch c. Bosch und Siemens Hausgeräte BSH a sottolineare come la causa principale non presentasse alcun nesso con il diritto comunitario. Come noto, infatti, tale nesso si realizza nel caso in cui la norma nazionale contestata sia stata adottata per dare attuazione al diritto comunitario, nel caso in cui contenga un esplicito richiamo a deroghe ammesse dal diritto comunitario oppure quando una specifica norma sostanziale del diritto comunitario trovi applicazione in quella particolare fattispecie. La Corte di giustizia mostra come nessuno di tali criteri di collegamento trovi riscontro nella causa principale in quanto le linee direttrici della BSH Altersfürsorge non sono state adottate per dare attuazione al diritto comunitario né si rifanno esplicitamente a deroghe ammesse dal diritto co­munitario. Per quel che concerne poi la possibilità di applicare alla fattispecie considerata altre norme sostanziali di diritto comunitario, la Corte sottolinea come né la direttiva 2000/78/ CE, cit. né l’art. 13 TCE possano disciplinare rapporti giuridici sorti tra privati. In particolare, il termine di recepimento della di­rettiva al sorgere della controversia non era ancora scaduto per cui l’atto comunitario non avrebbe potuto produrre effetti di­retti né orizzontalmente né verticalmente; l’art. 13 TCE in­vece per la sua stessa portata letterale non può disciplinare di­ret­tamente rapporti tra privati in quanto si limita ad accordare al Consiglio la competenza ad adottare atti normativi che diano effettiva applicazione al divieto di discriminazione mediante l’individuazione degli elementi rilevanti per la configurazione di un trattamento discriminatorio.
Il ragionamento della Corte di giustizia appare formalmente ineccepibile laddove rileva il mancato collegamento della causa principale con il diritto comunitario ai fini della applicazione del principio generale di non discriminazione basato sull’età. Da un punto di vista sostanziale rimane, tuttavia, la consta­ta­zio­ne che la signora Birgit Bartsch si è vista negare un diritto che le sarebbe stato riconosciuto se il termine di recepimento della direttiva 2000/78/CE cit. fosse già scaduto e che co­mun­que ri­sulta sancito nei diversi strumenti internazionali che ri­co­no­sco­no il diritto universale delle persone all’ugua­glian­za di­nan­zi alla legge e alla tutela contro le discriminazioni, compreso l’art. 6 TUE; si tratta del diritto a non essere trattata diversamente rispetto ad altri soggetti che si trovino in situazioni similari, in ragione della differenza di età con il marito defunto e pro­ba­bil­mente anche in ragione del sesso, dato che la clausola contestata colpendo il coniuge più giovane di quindici anni ve­ro­si­mi­l­men­te va a penalizzare, nella maggior parte dei casi, il co­niuge don­na. Questa constatazione induce ad una riflessione più generale sulla opportunità di specificare a priori i principi generali vi­genti nel diritto comunitario in relazione a particolari situazioni. Il riconoscimento dei principi generali nei diversi sistemi normativi svolge la fondamentale funzione di assicurare il progressivo adeguamento del dato normativo alle fattispecie oggetto di osservazione. L’applicazione del principio di non discriminazione in via generale – e non con riferimento specifico all’età – avrebbe probabilmente permesso al giudice comunitario di valutare le diverse implicazioni di un trattamento che pone oggettivamente in una posizione di svantaggio taluni soggetti rispetto ad altri in situazioni analoghe.
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