LA DIRETTIVA "TELEVISIONE SENZA FRONTIERE" CAMBIA NOME E SI ADATTA ALLA CONVERGENZA DEI SERVIZI DI MEDIA AUDIOVISIVI
Archivio > Anno 2006 > Febbraio 2006
di Giandonato CAGGIANO (Facoltà di Giurisprudenza, Università Roma Tre)
Dopo
sedici anni, la direttiva Televisione senza frontiere 89/552 (già
modificata), è pronta ad una profonda revisione. Secondo la recente
proposta della Commissione (v. COM(2005) 646 fin. del 13.12.2005),
dovrebbe ampliare il suo campo di applicazione alla prestazione dei
servizi di media audiovisivi, assumendo anche il nuovo titolo di
Direttiva servizi di media audiovisivi.
A nostro avviso, si tratta di una indilazionabile estensione dalla Direttiva 89/552 a nuovi servizi sulla base del principio del Paese di origine per consentire la circolazione dei servizi audiovisivi in Europa, a seguito della armonizzazione minimale di norme di pubblico interesse. La revisione delle norme sui contenuti prevede, pertanto, un quadro normativo complessivo per tutti i servizi di media audiovisivi con un sistema a due livelli (servizi lineari e non lineari).
La proposta di Direttiva riguarda la disciplina dei servizi di media audiovisivi lineari televisivi o di tipo televisivo (come evoluzione della precedente definizione del servizio televisivo come attività punto-multipunto, vale a dire da un soggetto a più soggetti) e i servizi di media audiovisivi non lineari. Nel primo caso è il fornitore che decide il momento in cui è trasmesso un programma specifico (inviano i contenuti al fruitore del servizio); nel secondo è il fruitore sulla base di una gamma di contenuti selezionati dal fornitore (il fruitore del servizio li richiede ad una rete).
La proposta intende applicare, così, concretamente ai contenuti audiovisivi l’avvenuta convergenza delle tecnologie e dei mercati, nella quale i servizi di radiodiffusione televisiva “tradizionali” svolgono attività parallela con altri servizi lineari (con diversa piattaforma di diffusione ma ugualmente forniti di un palinsesto) e competono con servizi non lineari (a richiesta).
In senso contrario alla soluzione prescelta dalla Commissione, si pone la tesi di coloro che sono favorevoli piuttosto alla prevalenza del contesto giuridico comunitario dei servizi della società dell’informazione, ex Direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico, che autorizza gli Stati membri a derogare dal principio del paese d’origine per motivi specifici di ordine pubblico (art. 3, par. 4).
Tuttavia, se è vero che nei servizi della società dell’informazione, il principio di territorialità va considerato in maniera innovativa, si può comunque consentire al principio di non discriminazione tra servizi spesso identici nei contenuti (e, in prospettiva, convergenti anche nell’impatto sull’opinione pubblica) ed appare accettabile il compromesso proposto sulla metodologia di armonizzazione congiunta per i servizi televisivi e di tipo televisivo e, a scalare, sull’armonizzazione minima per gli altri servizi non lineari (a richiesta).
La materia della proposta in oggetto è stato oggetto di attento scrutinio per quasi quattro anni, tramite un metodo di revisione che ha rappresentato un adeguato esercizio di governance comunitaria, orientata alla massima partecipazione ed elaborazione condivisa. Nel contesto della rivoluzione tecnologica delle comunicazioni elettroniche e del loro enorme valore di mercato, il dossier ha ricevuto un contributo, che forse non poteva essere più ampio e ponderato, da parte dei soggetti istituzionali e degli attori del settore.
Un primo giro di consultazioni pubbliche ha determinato i risultati riportati nella Comunicazione Il futuro della politica europea in materia di regolamentazione audiovisiva (COM (2003) 784 def. del 15 dicembre 2003); un secondo ciclo di riflessione da parte di gruppi ad hoc ha rigurdato gli aspetti più rilevanti coinvolti dalla revisione (settembre 2004-febbraio 2005); infine, i documenti tematici così messi a punto e rielaborati dai servizi della Commissione (issue paper) sono stati sottoposti a consultazione e aperti ai contributi della Conferenza di Liverpool (Tra cultura e commercio, 20-22 settembre 2005). Anche il Parlamento europeo ha adottato una Risoluzione in cui sostiene, tra l’altro, in linea di principio, la strategia generale in oggetto (Doc. A6-0202/2005 del 6 settembre 2005, sulla base del Rapporto Weber).
La modifica proposta contiene una nuova definizione giuridica che comprende i media di massa in quanto mezzi d’informazione, d’intrattenimento e di istruzione, che comprende la distinzione tra servizi audiovisivi lineari televisivo o di tipo televisivo (oltre alla televisione herziana, satellitare e via cavo, anche la televisione via web o su mobile), e servizi non lineari (servizi video a richiesta). Ciò appare conforme alla disciplina-quadro comunitaria sulle comunicazioni elettroniche, che consente misure a livello comunitario o nazionale per perseguire gli obiettivi di interesse generale, in particolare per quanto riguarda la regolamentazione in materia di contenuti e di politica audiovisiva (Direttiva 2002/21/CE, art. 1, par. 3).
Per i servizi lineari per i quali, come abbiamo detto, il fornitore del servizio decide il momento di trasmissione di un programma specifico e stabilisce il palinsesto dei programmi, la Corte di Giustizia ha affermato più volte che la tecnica di trasmissione delle immagini (in evoluzione continua) non rappresenta un elemento determinante, almeno nell’ottica del fruitore del servizio. La Corte ha stabilito che la teledistribuzione via cavo rientrava nell’ambito di applicazione della Direttiva 89/552 (sentenza 10 settembre 1996, causa C-11/95, Commissione/Belgio, punti 15-25); così anche il servizio near on demand. Infatti, la recente sentenza Mediakabel del 5 giugno 2005 in causa C-89/04 ha ribadito che il servizio consistente nella diffusione di programmi televisivi destinati al pubblico, con un orario di programmazione e non fornito su richiesta individuale (anche se a pagamento per un singolo film secondo il sistema pay per view), rientra nella nozione di trasmissione televisiva (v. anche sentenza 12 dicembre 1996, cause riunite C-320/94, C-328/94, C-329/94 e da C-337/94 a C-339/94, RTI e a., punto 33, e 23 ottobre 2003, causa C-245/01, RTL Television, punto 63).
A bocce ferme, prima cioè della proposta di revisione, la condizione di applicabilità della Direttiva è, pertanto, quella che le trasmissione di programmi televisivi siano destinate al pubblico, ossia a un numero indeterminato di potenziali telespettatori, ai quali sono simultaneamente trasmesse le medesime immagini. Ora, sulla base dell’affermazione del principio della neutralità tecnologica, le regole proposte tendono, da un lato, a semplificare e ravvicinare la disciplina dei servizi lineari e, dall’altro, ad introdurre norme minime per i servizi non lineari (su richiesta).
I contenuti audiovisivi sono spesso simili o persino identici, ma vengono disciplinati da normative comunitarie in qualche caso divergenti (v. ad es. la direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico; direttiva 2003/33/CE sulla pubblicità delle sigarette; direttiva 2001/83/CE sui medicinali; direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali) e normative nazionali variamente articolate, la cui permanenza non è razionale nè giustificabile.
Per quanto attiene specificatamente i fornitori di servizi audiovisivi non lineari (a richiesta) devono poter avvalersi, infatti, dell’applicazione del principio del paese d’origine, mentre attualmente in mancanza di armonizzazione comunitaria, gli Stati membri possono applicare le normative nazionali (di cui quasi tutti già dispongono) per limitare la circolazione dei nuovi servizi per motivi di interesse generale. A tal fine occorre eliminare gli ostacoli alla circolazione e distorsioni sensibili della concorrenza dovute a norme nazionali contrastanti sui nuovi servizi (a richiesta). I servizi non lineari (a richiesta) vengono sottoposti ad alcuni principi minimi in materia di: tutela dei minori, divieto dell’incitamento all’odio, identificazione del fornitore di servizi di media, identificazione della comunicazione commerciale, alcune limitazioni qualitative per le comunicazioni commerciali, quali ad esempio, per gli alcolici o le comunicazioni rivolte ai minori (proposta articoli da 3 quater a 3 nonies), diritto a brevi estratti di attualità.
Per quanto riguarda il merito delle proposte, in sintesi le principali modifiche apportate riguardano: la nuova definizione delle comunicazioni commerciali audiovisive; l’introduzione di norme flessibili relative alle interruzioni pubblicitarie (proposta di art. 11 l’inserimento di prodotti, la soppressione dei limiti quotidiani applicabili alla pubblicità televisiva (ex art. 18) e l’abbandono delle limitazioni quantitative relative alle televendite (ex art. 18 bis). Il limite quotidiano di tre ore di pubblicità al giorno viene eliminato, mentre resta quello orario. Le nuove norme sulle interruzioni pubblicitarie sono state semplificate e rese più flessibili (le emittenti potranno scegliere il momento più appropriato per inserire la pubblicità durante i programmi), anche se i film realizzati per la televisione, le opere cinematografiche, i programmi per bambini e i notiziari possono essere interrotti dalla pubblicità solo una volta (ogni 35 minuti).
Nei considerando della proposta di direttiva viene richiamato opportunamente il quadro giuridico, entro il quale si può svolgere l’attività di un’impresa del settore dal territorio di un altro Stato, diverso da quello di sede, secondo l’acquis della Corte sul diritto di stabilimento. Tale giurisprudenza afferma la legittimità del comportamento di una impresa che non offra servizi nello Stato membro nel quale è stabilita (Causa C-56/96 VT4, punto 22), ma, contemporaneamente, riafferma il divieto di comportamenti elusivi di norme nazionali più severe del paese di destinazione (Causa C-23/93 TV 10 SA v. Commissariaat voor de Media, punto 21).
In presenza di contesti normativi e sensibilità nazionali differenziate, non si è, invece, trovato un consenso su una possibile (auspicata o paventata) regolamentazione, a livello europeo, del principio del pluralismo dei media, ad integrazione della disciplina comunitaria generale della concorrenza già applicabile. Non esiste in questo settore, come in altri relativi ad un modello di società europea, un accordo tra gli Stati membri, che restano gelosi della loro sovranità. Si continuerà a discuterne con un ruolo crescente del Parlamento europeo.
A nostro avviso, si tratta di una indilazionabile estensione dalla Direttiva 89/552 a nuovi servizi sulla base del principio del Paese di origine per consentire la circolazione dei servizi audiovisivi in Europa, a seguito della armonizzazione minimale di norme di pubblico interesse. La revisione delle norme sui contenuti prevede, pertanto, un quadro normativo complessivo per tutti i servizi di media audiovisivi con un sistema a due livelli (servizi lineari e non lineari).
La proposta di Direttiva riguarda la disciplina dei servizi di media audiovisivi lineari televisivi o di tipo televisivo (come evoluzione della precedente definizione del servizio televisivo come attività punto-multipunto, vale a dire da un soggetto a più soggetti) e i servizi di media audiovisivi non lineari. Nel primo caso è il fornitore che decide il momento in cui è trasmesso un programma specifico (inviano i contenuti al fruitore del servizio); nel secondo è il fruitore sulla base di una gamma di contenuti selezionati dal fornitore (il fruitore del servizio li richiede ad una rete).
La proposta intende applicare, così, concretamente ai contenuti audiovisivi l’avvenuta convergenza delle tecnologie e dei mercati, nella quale i servizi di radiodiffusione televisiva “tradizionali” svolgono attività parallela con altri servizi lineari (con diversa piattaforma di diffusione ma ugualmente forniti di un palinsesto) e competono con servizi non lineari (a richiesta).
In senso contrario alla soluzione prescelta dalla Commissione, si pone la tesi di coloro che sono favorevoli piuttosto alla prevalenza del contesto giuridico comunitario dei servizi della società dell’informazione, ex Direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico, che autorizza gli Stati membri a derogare dal principio del paese d’origine per motivi specifici di ordine pubblico (art. 3, par. 4).
Tuttavia, se è vero che nei servizi della società dell’informazione, il principio di territorialità va considerato in maniera innovativa, si può comunque consentire al principio di non discriminazione tra servizi spesso identici nei contenuti (e, in prospettiva, convergenti anche nell’impatto sull’opinione pubblica) ed appare accettabile il compromesso proposto sulla metodologia di armonizzazione congiunta per i servizi televisivi e di tipo televisivo e, a scalare, sull’armonizzazione minima per gli altri servizi non lineari (a richiesta).
La materia della proposta in oggetto è stato oggetto di attento scrutinio per quasi quattro anni, tramite un metodo di revisione che ha rappresentato un adeguato esercizio di governance comunitaria, orientata alla massima partecipazione ed elaborazione condivisa. Nel contesto della rivoluzione tecnologica delle comunicazioni elettroniche e del loro enorme valore di mercato, il dossier ha ricevuto un contributo, che forse non poteva essere più ampio e ponderato, da parte dei soggetti istituzionali e degli attori del settore.
Un primo giro di consultazioni pubbliche ha determinato i risultati riportati nella Comunicazione Il futuro della politica europea in materia di regolamentazione audiovisiva (COM (2003) 784 def. del 15 dicembre 2003); un secondo ciclo di riflessione da parte di gruppi ad hoc ha rigurdato gli aspetti più rilevanti coinvolti dalla revisione (settembre 2004-febbraio 2005); infine, i documenti tematici così messi a punto e rielaborati dai servizi della Commissione (issue paper) sono stati sottoposti a consultazione e aperti ai contributi della Conferenza di Liverpool (Tra cultura e commercio, 20-22 settembre 2005). Anche il Parlamento europeo ha adottato una Risoluzione in cui sostiene, tra l’altro, in linea di principio, la strategia generale in oggetto (Doc. A6-0202/2005 del 6 settembre 2005, sulla base del Rapporto Weber).
La modifica proposta contiene una nuova definizione giuridica che comprende i media di massa in quanto mezzi d’informazione, d’intrattenimento e di istruzione, che comprende la distinzione tra servizi audiovisivi lineari televisivo o di tipo televisivo (oltre alla televisione herziana, satellitare e via cavo, anche la televisione via web o su mobile), e servizi non lineari (servizi video a richiesta). Ciò appare conforme alla disciplina-quadro comunitaria sulle comunicazioni elettroniche, che consente misure a livello comunitario o nazionale per perseguire gli obiettivi di interesse generale, in particolare per quanto riguarda la regolamentazione in materia di contenuti e di politica audiovisiva (Direttiva 2002/21/CE, art. 1, par. 3).
Per i servizi lineari per i quali, come abbiamo detto, il fornitore del servizio decide il momento di trasmissione di un programma specifico e stabilisce il palinsesto dei programmi, la Corte di Giustizia ha affermato più volte che la tecnica di trasmissione delle immagini (in evoluzione continua) non rappresenta un elemento determinante, almeno nell’ottica del fruitore del servizio. La Corte ha stabilito che la teledistribuzione via cavo rientrava nell’ambito di applicazione della Direttiva 89/552 (sentenza 10 settembre 1996, causa C-11/95, Commissione/Belgio, punti 15-25); così anche il servizio near on demand. Infatti, la recente sentenza Mediakabel del 5 giugno 2005 in causa C-89/04 ha ribadito che il servizio consistente nella diffusione di programmi televisivi destinati al pubblico, con un orario di programmazione e non fornito su richiesta individuale (anche se a pagamento per un singolo film secondo il sistema pay per view), rientra nella nozione di trasmissione televisiva (v. anche sentenza 12 dicembre 1996, cause riunite C-320/94, C-328/94, C-329/94 e da C-337/94 a C-339/94, RTI e a., punto 33, e 23 ottobre 2003, causa C-245/01, RTL Television, punto 63).
A bocce ferme, prima cioè della proposta di revisione, la condizione di applicabilità della Direttiva è, pertanto, quella che le trasmissione di programmi televisivi siano destinate al pubblico, ossia a un numero indeterminato di potenziali telespettatori, ai quali sono simultaneamente trasmesse le medesime immagini. Ora, sulla base dell’affermazione del principio della neutralità tecnologica, le regole proposte tendono, da un lato, a semplificare e ravvicinare la disciplina dei servizi lineari e, dall’altro, ad introdurre norme minime per i servizi non lineari (su richiesta).
I contenuti audiovisivi sono spesso simili o persino identici, ma vengono disciplinati da normative comunitarie in qualche caso divergenti (v. ad es. la direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico; direttiva 2003/33/CE sulla pubblicità delle sigarette; direttiva 2001/83/CE sui medicinali; direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali) e normative nazionali variamente articolate, la cui permanenza non è razionale nè giustificabile.
Per quanto attiene specificatamente i fornitori di servizi audiovisivi non lineari (a richiesta) devono poter avvalersi, infatti, dell’applicazione del principio del paese d’origine, mentre attualmente in mancanza di armonizzazione comunitaria, gli Stati membri possono applicare le normative nazionali (di cui quasi tutti già dispongono) per limitare la circolazione dei nuovi servizi per motivi di interesse generale. A tal fine occorre eliminare gli ostacoli alla circolazione e distorsioni sensibili della concorrenza dovute a norme nazionali contrastanti sui nuovi servizi (a richiesta). I servizi non lineari (a richiesta) vengono sottoposti ad alcuni principi minimi in materia di: tutela dei minori, divieto dell’incitamento all’odio, identificazione del fornitore di servizi di media, identificazione della comunicazione commerciale, alcune limitazioni qualitative per le comunicazioni commerciali, quali ad esempio, per gli alcolici o le comunicazioni rivolte ai minori (proposta articoli da 3 quater a 3 nonies), diritto a brevi estratti di attualità.
Per quanto riguarda il merito delle proposte, in sintesi le principali modifiche apportate riguardano: la nuova definizione delle comunicazioni commerciali audiovisive; l’introduzione di norme flessibili relative alle interruzioni pubblicitarie (proposta di art. 11 l’inserimento di prodotti, la soppressione dei limiti quotidiani applicabili alla pubblicità televisiva (ex art. 18) e l’abbandono delle limitazioni quantitative relative alle televendite (ex art. 18 bis). Il limite quotidiano di tre ore di pubblicità al giorno viene eliminato, mentre resta quello orario. Le nuove norme sulle interruzioni pubblicitarie sono state semplificate e rese più flessibili (le emittenti potranno scegliere il momento più appropriato per inserire la pubblicità durante i programmi), anche se i film realizzati per la televisione, le opere cinematografiche, i programmi per bambini e i notiziari possono essere interrotti dalla pubblicità solo una volta (ogni 35 minuti).
Nei considerando della proposta di direttiva viene richiamato opportunamente il quadro giuridico, entro il quale si può svolgere l’attività di un’impresa del settore dal territorio di un altro Stato, diverso da quello di sede, secondo l’acquis della Corte sul diritto di stabilimento. Tale giurisprudenza afferma la legittimità del comportamento di una impresa che non offra servizi nello Stato membro nel quale è stabilita (Causa C-56/96 VT4, punto 22), ma, contemporaneamente, riafferma il divieto di comportamenti elusivi di norme nazionali più severe del paese di destinazione (Causa C-23/93 TV 10 SA v. Commissariaat voor de Media, punto 21).
In presenza di contesti normativi e sensibilità nazionali differenziate, non si è, invece, trovato un consenso su una possibile (auspicata o paventata) regolamentazione, a livello europeo, del principio del pluralismo dei media, ad integrazione della disciplina comunitaria generale della concorrenza già applicabile. Non esiste in questo settore, come in altri relativi ad un modello di società europea, un accordo tra gli Stati membri, che restano gelosi della loro sovranità. Si continuerà a discuterne con un ruolo crescente del Parlamento europeo.