LA PESC NELLA PROSPETTIVA DEL TRATTATO DI RIFORMA
Archivio > Anno 2008 > Febbraio 2008
di Paola PUOTI (Associato di Diritto internazionale nell’Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara)
1.
L’ultimo decennio dello scorso secolo, assieme agli importanti
mutamenti nella compagine sociale della comunità internazionale, ha
visto ritornare lo spettro della guerra in Europa, con il tragico
conflitto bosniaco, l’intervento militare e la catastrofe umanitaria in
Kosovo, l’instabilità dell’ex repubblica iugoslava di Macedonia. Gli
Stati dell’Europa occidentale appartenenti al sistema comunitario, come
tutti sanno, hanno proceduto in ordine sparso, sia prima
dell’istituzione dell’Unione europea ad opera del Trattato di Maastricht
del 1992, sia successivamente all’entrata in vigore di quest’ultimo.
Prima della creazione dell’UE, il prematuro e secondo molti incauto
riconoscimento da parte di alcuni dei Paesi della CE e poi di
quest’ultima, dell’indipendenza delle ex Repubbliche iugoslave di
Croazia e Slovenia ha fatto degenerare il processo pacifico di
secessione in vero e proprio smembramento dell’ex Repubblica socialista
che, a sua volta, ha prodotto i conflitti in Bosnia e Kosovo. Ancora, i
più recenti episodi di terrorismo dal 2001 in poi e soprattutto
l’intervento militare in Iraq del 2003 hanno mostrato al mondo un’Europa
divisa. Tutti ricorderanno che in quest’ultimo caso i due Stati europei
superpotenze nucleari e membri permanenti del Consiglio di sicurezza
dell’ONU, il Regno Unito e la Francia, avevano adottato posizioni
opposte sull’opportunità o meno di ricorso alla violenza bellica.
Come valutare allora la Politica estera e di sicurezza comune (PESC) alla luce di queste circostanze storiche? Come considerare positivamente quella che avrebbe dovuto essere una importante realizzazione nel cammino d’integrazione politica dell’Europa e che si era rivelata nei fatti impossibile da realizzare, prima ancora che da gestire? A mio avviso l’introduzione stessa di una opportunità di discussione comune dei temi della politica estera e della sicurezza tra gli Stati appartenenti all’UE costituisce di per sé una grande conquista di civiltà da parte del processo d’integrazione europea. Il fatto di aver introdotto la cooperazione in materia di affari esteri in questo processo, sia pure tra quelle oggetto di cooperazione intergovernativa e non ancora di vera integrazione giuridica va, nonostante tutto, considerato positivamente nell’ottica di un processo che, partendo dal basso, avanza seguendo l’unica politica possibile capace di mettere assieme pezzi del complesso mosaico culturale, linguistico e politico costituito dagli Stati europei: la politica dei piccoli passi.
2. La PESC, nata a Maastricht nel 1992, viene affiancata prima timidamente poi in modo sempre più aperto e deciso da una PESD che vede la luce con il Trattato di Amsterdam – che inserisce le cd. missioni Petersberg – e poi dal Trattato di Nizza che era riuscito ad introdurre nella PESC il concetto di cooperazione rafforzata, escludendone però il settore della difesa e delle azioni con implicazioni militari. Il grande progresso della PESC, ma soprattutto di una vera e propria politica di sicurezza e difesa comune (PSDC), come viene ribattezzata ora la PESD, è opera soprattutto del Trattato del 2004, che finalmente afferma la personalità giuridica dell’UE dandole così un unico volto verso l’esterno. In uno spirito veramente costituzionale di avvio verso una forma di federalismo europeo finalmente l’UE si sarebbe presentata come unico attore sulla scena internazionale, dove spesso si raccolgono voci critiche sull’impossibilità di individuare il giusto interlocutore nel complesso gioco della ripartizione delle competenze tra Stati membri CE ed UE, anche sul piano delle relazioni esterne e della politica estera, che caratterizza oggi il sistema UE/CE.
La mancata ratifica del Trattato costituzionale, non deve tuttavia ingannare, poiché il Trattato di riforma mantiene molte, se non tutte, le novità che il Trattato di Roma del 2004 conteneva in materia di PESC, risultando spogliato solo degli aspetti più squisitamente formali della natura “costituzionale” del suo predecessore. Infatti scompare dal testo del 2007 ogni riferimento ai simboli dell’Unione, quali l’inno, la bandiera, il motto, la denominazione formale degli atti giuridici (legge europea), e, per l’appunto, la previsione di un Ministro degli affari esteri. Nella sostanza tuttavia, importanti novità che già avevano caratterizzato il Trattato costituzionale, come appunto il riconoscimento della personalità giuridica dell’Unione, cui si accompagna l’istituzione dell’UE e la scomparsa per incorporazione della CE, restano nel nuovo testo. L’attuale Trattato di riforma innova quindi in modo importante il settore della politica estera e di difesa europea. Le innovazioni sono in parte consolidamento di prassi già avviate dopo l’entrata in vigore delle modifiche di Nizza, in parte riprendono nella sostanza, anche se non nella forma, le innovazioni introdotte dal Trattato del 2004. Vale la pena di soffermarsi su alcune di esse per meglio comprenderne la portata. Prima di esaminarle però occorre precisare che, a dispetto delle modifiche formali che eliminano la CE e lasciano l’UE quale unico soggetto dotato di personalità, la struttura a pilastri continua ad esistere, tanto da far dubitare che la riforma porterà ad una unità di struttura effettiva. Leggendo attentamente il testo dei due Trattati, l’attuale TUE e il TCE ridenominato Trattato sul funzionamento dell’UE (d’ora in poi TFUE) che per espressa disposizione hanno lo stesso valore giuridico, mi sembra che di una vera e propria “unità di struttura” non si possa ancora parlare, per il diverso posto che la politica estera e di difesa occupa nell’economia dei Trattati rispetto agli altri settori di competenza dell’UE: quello “comunitario” secondo l’accezione corrente e quello costituito dall’attuale terzo pilastro. Questi ultimi due, infatti, figurano ora, nel Trattato di revisione, quali settori oggetto delle disposizioni dedicate alle competenze legislative rispettive di Unione e Stati membri, mentre del tutto assente risulta la PESC quale settore oggetto di competenze legislative. Il settore della politica estera e di difesa resta invece confinato, quanto alla sua disciplina, nel TUE, e non può quindi essere oggetto d’integrazione giuridica perché non può essere disciplinato con atti legislativi, come risulta da diverse disposizioni di quest’ultimo accordo. La riprova di quanto si afferma può trovarsi nel fatto che nel Trattato di revisione è mantenuta nel TUE la clausola generale di coerenza attualmente oggetto dell’art. 3 TUE. Di una clausola del genere non ci sarebbe bisogno se ci si trovasse di fronte ad una struttura unitaria.
3. Lo scetticismo di molti circa le reali possibilità di realizzazione di una vera e propria politica estera comune europea deriva dalla prospettiva di integrazione giuridica secondo il metodo “comunitario” dalla quale essi si pongono. Per valutare correttamente i grandi progressi che la PESC ha fatto registrare fino all’attuale trattato di revisione, occorre però porsi da tutt’altro punto di vista, più realistico: la prospettiva propria di ogni forma di cooperazione internazionale organizzata che si basa sul principio fondamentale delle competenze attribuite, limitando così la cessione di sovranità che ogni Stato membro di una organizzazione internazionale è costretto a concedere al solo ed esclusivo perseguimento di scopi ed interessi comuni. In altre parole, la valutazione dei progressi in campo PESC si deve effettuare tenendo presente il fatto ineluttabile che una vera e propria integrazione in questa materia, ovvero una importante rinuncia alla sovranità da parte degli Stati membri non sarà possibile né nel breve ma neppure, a mio avviso, nel lungo termine, considerando del tutto im-probabile l’eventualità che Stati come il Regno Unito o la Gran Bretagna si convincano a rinunciare alle loro prerogative di membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’ONU in favore dell’attribuzione, come da qualcuno è stato prospettato, di un unico seggio all’UE in quel consesso quale risultato di una riforma sostanziale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Quello che è stato e sarà possibile fare in materia di cooperazione negli affari esteri e di difesa è di raccogliere di volta in volta, e di fronte alle singole sfide che vengono dal mondo esterno, il consenso necessario per il perseguimento di interessi comuni a tutti gli Stati UE, come ampiamente ha dimostrato l’importante svolta che la politica di sicurezza dell’Unione ha registrato a partire dai tragici avvenimenti dell’11 settembre e delle successive ondate di azioni terroristiche che hanno colpito anche Londra e Madrid. Mai come in questo settore degli affari esteri vale come strumento di progressiva integrazione la politica dei piccoli passi.
4. Una delle più importanti acquisizioni del Trattato di riforma è costituita, a nostro avviso, e nonostante le voci critiche di parte della dottrina, dalle innovazioni che riguardano la figura dell’Alto Rappresentante PESC, che permettono di affermare adesso l’Alto Rappresentante come un vero e proprio protagonista della PESC, diventandone la guida, l’esecutore e la voce dell’Unione all’esterno. La prima novità, del massimo rilievo, riguarda la sua nomina e la sua provenienza. Attualmente l’Alto rappresentante PESC ricopre anche la funzione di Segretario generale del Consiglio mentre le relazioni esterne sono gestite da un membro della Commissione, che oggi è l’austriaca Benita Ferrero Waldner. Attualmente egli assiste la Presidenza che è oggi la guida della PESC in base all’art. 18, par. 3 TUE. Secondo le modifiche del Trattato di riforma che riprendono quelle del 2004, in base all’art. 9 E del TUE/2007, l’Alto Rappresentante PESC sarà un membro della Commissione, ne costituirà uno dei Vice Presidenti ma, a differenza di questi ultimi (nominati dal Presidente della Commissione), sarà nominato dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata con l’accordo del Presidente della Commissione, ed al tempo stesso sarà soggetto al voto di approvazione del Parlamento europeo in quanto membro della Commissione. L’Alto Rappresentante quindi diventa non solo un membro della Commissione, conquista già notevole nella prospettiva dell’integrazione politica, ma racchiude in sé tutti gli aspetti dell’azione esterna dell’UE, fondendo nell’unicità della sua figura gli attuali incarichi di Alto Rappresentante e di Commissario responsabile delle relazioni esterne dell’UE.
A differenza dell’attuale situazione, che vede la PESC guidata essenzialmente dalla Presidenza del Consiglio europeo in base all’art. 18 TUE, peraltro semestrale e quindi estremamente variabile per gli interlocutori esterni, in futuro, accanto ad una Presidenza più stabile (riprendendo una modifica approvata nel Trattato di Roma del 2004, la Presidenza del Consiglio europeo sarà affidata ad un individuo che potrà durare in carica due anni e mezzo rinnovabili una sola volta), il maggior ruolo in materia di PESC sarà proprio dell’Alto Rappresentante. Egli dovrà provvedere non solo a condurre la PESC (art. 9 E), ma a partecipare attivamente alla sua elaborazione, essendogli riconosciuti poteri di proposta in quanto Presidente del Consiglio in composizione Affari Esteri (art. 13 bis), in materia di elaborazione della PESC, di misure sanzionatorie nei confronti di Stati terzi, in materia di conclusione di accordi internazionali relativi alla PESC; e infine assieme alla Commissione, per l’attuazione della clausola di solidarietà civile che obbliga gli Stati membri ad assistere su espressa richiesta chi di essi sia stato colpito da un attacco terroristico o da una catastrofe. L’Alto Rappresentante è inoltre tenuto a provvedere alla sua esecuzione, quale mandatario del Consiglio. Inoltre egli rappresenterà l’UE all’esterno nelle materie PESC e condurrà il dialogo politico con i terzi esprimendo le posizioni dell’Unione in seno alle organizzazioni e alle conferenze internazionali. Sarà anche suo compito vegliare sulla coerenza dell’azione esterna degli Stati membri secondo il principio di leale cooperazione con l’Unione, vegliando affinché questi ultimi rispettino l’obbligo di appoggiare la PESC e di astenersi da azioni contrarie agli interessi dell’UE.
5. Inizialmente la PESD entra timidamente nel TUE con le modifiche del Trattato di Amsterdam che introduce sia una procedura di revisione semplificata all’art. 17 per permettere di arrivare progressivamente da una politica di difesa comune ad una difesa comune vera e propria e che inserisce la possibilità di effettuare operazioni di peacekeeping di natura non offensiva: le “missioni di Petersberg” nel TUE. Tuttavia non si riesce, in quella sede, né ad approvare una clausola di legittima difesa collettiva sul modello di quelle contenute nei trattati UEO e NATO, né a chiarire i rapporti UE-NATO e, di conseguenza UE-UEO. L’e-sigenza di una politica europea di difesa dell’Unione è stata rilanciata dalla Dichiarazione adottata al termine del vertice franco-britannico di Saint Malo nel 1998 e dai Consigli europei di Colonia del giugno1999, di Helsinki del dicembre 1999 e di Feira del giugno 2000, ai quali si deve la sua effettiva creazione e messa in atto, successivamente formalizzata dall’entrata in vigore del Trattato di Nizza. Essa ha subìto una notevole accelerazione nella sua concreta realizzazione dopo i tragici attacchi terroristici dell’11 settembre, a partire dal 2003, anno di adozione di una Strategia europea in materia di sicurezza. Sono stati creati organi e strutture in grado di dar forma ad una vera e propria politica comune nel settore della sicurezza e della difesa. Ricordiamo che in virtù delle Conclusioni del Consiglio europeo di Colonia, ma soprattutto di Helsinki del 1999, sono stati ideati un Comitato politico e di sicurezza (COPS), un Comitato militare, uno Stato maggiore della difesa europeo e un Comitato dei Contributori (CC). Più di recente sono state create un’Agenzia europea per la difesa e una Cellula di pianificazione civile-militare allo scopo di realizzare un’azione esterna più efficace e coerente. Sono stati trasferiti all’UE importanti strutture dell’UEO quali l’Istituto di studi sulla sicurezza e il Centro satellitare di Torrejòn. Inoltre, sempre sulla base di Conclusioni del Consiglio europeo adottate a Feira nel 2000, sono stati conclusi dall’Alto Rappresentante PESC dell’UE con la NATO i cosiddetti “Berlin plus agreements” che danno vita ad un partenariato ed una cooperazione strategica tra UE e NATO. Il Trattato costituzionale riesce nell’intento di inserire una clausola di solidarietà, ovvero di legittima difesa collettiva, nel TUE, rendendo così ormai quasi del tutto superfluo il permanere in vita del Trattato UEO.
Il Trattato di riforma non rimette in discussione quanto già approvato a Roma nel 2004, limitandosi a confermare e migliorare le disposizioni relative alla PSDC, ispirandosi alla Strategia europea per la sicurezza, dottrina elaborata nel 2003, ed estendendo di conseguenza il ventaglio di missioni che l’UE può porre in essere nel settore della sicurezza e della difesa, dalle classiche missioni di Petersberg alla possibilità di veri e propri interventi di disarmo, di assistenza militare e di lotta al terrorismo. Il Trattato di riforma provvede inoltre a disciplinare in modo dettagliato la possibilità per l’UE di autorizzare un gruppo di Stati a condurre azioni militari (art. 29 del TUE/2007) e quella, ben più importante ed interessante, di dar vita ad una forma di cooperazione strutturata permanente (artt. 27, par. 6, e 31 del TUE/2007, nonché Protocollo n. 4 sulla “Cooperazione strutturata permanente istituita dall’articolo 27 del TUE”), che altro non è se non un embrione di un vero e proprio sistema di sicurezza collettiva. Si offre cioè la possibilità a quegli Stati membri che abbiano i requisiti previsti dal Protocollo (capacità tecniche, logistiche e operative più forti e disponibilità a condividerle con altri Stati) di realizzare un vero e proprio esercito europeo capace di far fronte a situazioni di crisi internazionali anche con l’uso della forza, ovviamente se autorizzato dal Consiglio di sicurezza dell’ONU. Si può quindi parlare già adesso, prima ancora che entri in vigore la versione modificata dei Trattati, della creazione di una vera e propria Politica di sicurezza e di difesa comune, avvenuta soprattutto, come si è visto, mediante Conclusioni del Consiglio europeo. Il Trattato di riforma non farà altro che dar veste ufficiale a ciò che già esiste.
Come valutare allora la Politica estera e di sicurezza comune (PESC) alla luce di queste circostanze storiche? Come considerare positivamente quella che avrebbe dovuto essere una importante realizzazione nel cammino d’integrazione politica dell’Europa e che si era rivelata nei fatti impossibile da realizzare, prima ancora che da gestire? A mio avviso l’introduzione stessa di una opportunità di discussione comune dei temi della politica estera e della sicurezza tra gli Stati appartenenti all’UE costituisce di per sé una grande conquista di civiltà da parte del processo d’integrazione europea. Il fatto di aver introdotto la cooperazione in materia di affari esteri in questo processo, sia pure tra quelle oggetto di cooperazione intergovernativa e non ancora di vera integrazione giuridica va, nonostante tutto, considerato positivamente nell’ottica di un processo che, partendo dal basso, avanza seguendo l’unica politica possibile capace di mettere assieme pezzi del complesso mosaico culturale, linguistico e politico costituito dagli Stati europei: la politica dei piccoli passi.
2. La PESC, nata a Maastricht nel 1992, viene affiancata prima timidamente poi in modo sempre più aperto e deciso da una PESD che vede la luce con il Trattato di Amsterdam – che inserisce le cd. missioni Petersberg – e poi dal Trattato di Nizza che era riuscito ad introdurre nella PESC il concetto di cooperazione rafforzata, escludendone però il settore della difesa e delle azioni con implicazioni militari. Il grande progresso della PESC, ma soprattutto di una vera e propria politica di sicurezza e difesa comune (PSDC), come viene ribattezzata ora la PESD, è opera soprattutto del Trattato del 2004, che finalmente afferma la personalità giuridica dell’UE dandole così un unico volto verso l’esterno. In uno spirito veramente costituzionale di avvio verso una forma di federalismo europeo finalmente l’UE si sarebbe presentata come unico attore sulla scena internazionale, dove spesso si raccolgono voci critiche sull’impossibilità di individuare il giusto interlocutore nel complesso gioco della ripartizione delle competenze tra Stati membri CE ed UE, anche sul piano delle relazioni esterne e della politica estera, che caratterizza oggi il sistema UE/CE.
La mancata ratifica del Trattato costituzionale, non deve tuttavia ingannare, poiché il Trattato di riforma mantiene molte, se non tutte, le novità che il Trattato di Roma del 2004 conteneva in materia di PESC, risultando spogliato solo degli aspetti più squisitamente formali della natura “costituzionale” del suo predecessore. Infatti scompare dal testo del 2007 ogni riferimento ai simboli dell’Unione, quali l’inno, la bandiera, il motto, la denominazione formale degli atti giuridici (legge europea), e, per l’appunto, la previsione di un Ministro degli affari esteri. Nella sostanza tuttavia, importanti novità che già avevano caratterizzato il Trattato costituzionale, come appunto il riconoscimento della personalità giuridica dell’Unione, cui si accompagna l’istituzione dell’UE e la scomparsa per incorporazione della CE, restano nel nuovo testo. L’attuale Trattato di riforma innova quindi in modo importante il settore della politica estera e di difesa europea. Le innovazioni sono in parte consolidamento di prassi già avviate dopo l’entrata in vigore delle modifiche di Nizza, in parte riprendono nella sostanza, anche se non nella forma, le innovazioni introdotte dal Trattato del 2004. Vale la pena di soffermarsi su alcune di esse per meglio comprenderne la portata. Prima di esaminarle però occorre precisare che, a dispetto delle modifiche formali che eliminano la CE e lasciano l’UE quale unico soggetto dotato di personalità, la struttura a pilastri continua ad esistere, tanto da far dubitare che la riforma porterà ad una unità di struttura effettiva. Leggendo attentamente il testo dei due Trattati, l’attuale TUE e il TCE ridenominato Trattato sul funzionamento dell’UE (d’ora in poi TFUE) che per espressa disposizione hanno lo stesso valore giuridico, mi sembra che di una vera e propria “unità di struttura” non si possa ancora parlare, per il diverso posto che la politica estera e di difesa occupa nell’economia dei Trattati rispetto agli altri settori di competenza dell’UE: quello “comunitario” secondo l’accezione corrente e quello costituito dall’attuale terzo pilastro. Questi ultimi due, infatti, figurano ora, nel Trattato di revisione, quali settori oggetto delle disposizioni dedicate alle competenze legislative rispettive di Unione e Stati membri, mentre del tutto assente risulta la PESC quale settore oggetto di competenze legislative. Il settore della politica estera e di difesa resta invece confinato, quanto alla sua disciplina, nel TUE, e non può quindi essere oggetto d’integrazione giuridica perché non può essere disciplinato con atti legislativi, come risulta da diverse disposizioni di quest’ultimo accordo. La riprova di quanto si afferma può trovarsi nel fatto che nel Trattato di revisione è mantenuta nel TUE la clausola generale di coerenza attualmente oggetto dell’art. 3 TUE. Di una clausola del genere non ci sarebbe bisogno se ci si trovasse di fronte ad una struttura unitaria.
3. Lo scetticismo di molti circa le reali possibilità di realizzazione di una vera e propria politica estera comune europea deriva dalla prospettiva di integrazione giuridica secondo il metodo “comunitario” dalla quale essi si pongono. Per valutare correttamente i grandi progressi che la PESC ha fatto registrare fino all’attuale trattato di revisione, occorre però porsi da tutt’altro punto di vista, più realistico: la prospettiva propria di ogni forma di cooperazione internazionale organizzata che si basa sul principio fondamentale delle competenze attribuite, limitando così la cessione di sovranità che ogni Stato membro di una organizzazione internazionale è costretto a concedere al solo ed esclusivo perseguimento di scopi ed interessi comuni. In altre parole, la valutazione dei progressi in campo PESC si deve effettuare tenendo presente il fatto ineluttabile che una vera e propria integrazione in questa materia, ovvero una importante rinuncia alla sovranità da parte degli Stati membri non sarà possibile né nel breve ma neppure, a mio avviso, nel lungo termine, considerando del tutto im-probabile l’eventualità che Stati come il Regno Unito o la Gran Bretagna si convincano a rinunciare alle loro prerogative di membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’ONU in favore dell’attribuzione, come da qualcuno è stato prospettato, di un unico seggio all’UE in quel consesso quale risultato di una riforma sostanziale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Quello che è stato e sarà possibile fare in materia di cooperazione negli affari esteri e di difesa è di raccogliere di volta in volta, e di fronte alle singole sfide che vengono dal mondo esterno, il consenso necessario per il perseguimento di interessi comuni a tutti gli Stati UE, come ampiamente ha dimostrato l’importante svolta che la politica di sicurezza dell’Unione ha registrato a partire dai tragici avvenimenti dell’11 settembre e delle successive ondate di azioni terroristiche che hanno colpito anche Londra e Madrid. Mai come in questo settore degli affari esteri vale come strumento di progressiva integrazione la politica dei piccoli passi.
4. Una delle più importanti acquisizioni del Trattato di riforma è costituita, a nostro avviso, e nonostante le voci critiche di parte della dottrina, dalle innovazioni che riguardano la figura dell’Alto Rappresentante PESC, che permettono di affermare adesso l’Alto Rappresentante come un vero e proprio protagonista della PESC, diventandone la guida, l’esecutore e la voce dell’Unione all’esterno. La prima novità, del massimo rilievo, riguarda la sua nomina e la sua provenienza. Attualmente l’Alto rappresentante PESC ricopre anche la funzione di Segretario generale del Consiglio mentre le relazioni esterne sono gestite da un membro della Commissione, che oggi è l’austriaca Benita Ferrero Waldner. Attualmente egli assiste la Presidenza che è oggi la guida della PESC in base all’art. 18, par. 3 TUE. Secondo le modifiche del Trattato di riforma che riprendono quelle del 2004, in base all’art. 9 E del TUE/2007, l’Alto Rappresentante PESC sarà un membro della Commissione, ne costituirà uno dei Vice Presidenti ma, a differenza di questi ultimi (nominati dal Presidente della Commissione), sarà nominato dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata con l’accordo del Presidente della Commissione, ed al tempo stesso sarà soggetto al voto di approvazione del Parlamento europeo in quanto membro della Commissione. L’Alto Rappresentante quindi diventa non solo un membro della Commissione, conquista già notevole nella prospettiva dell’integrazione politica, ma racchiude in sé tutti gli aspetti dell’azione esterna dell’UE, fondendo nell’unicità della sua figura gli attuali incarichi di Alto Rappresentante e di Commissario responsabile delle relazioni esterne dell’UE.
A differenza dell’attuale situazione, che vede la PESC guidata essenzialmente dalla Presidenza del Consiglio europeo in base all’art. 18 TUE, peraltro semestrale e quindi estremamente variabile per gli interlocutori esterni, in futuro, accanto ad una Presidenza più stabile (riprendendo una modifica approvata nel Trattato di Roma del 2004, la Presidenza del Consiglio europeo sarà affidata ad un individuo che potrà durare in carica due anni e mezzo rinnovabili una sola volta), il maggior ruolo in materia di PESC sarà proprio dell’Alto Rappresentante. Egli dovrà provvedere non solo a condurre la PESC (art. 9 E), ma a partecipare attivamente alla sua elaborazione, essendogli riconosciuti poteri di proposta in quanto Presidente del Consiglio in composizione Affari Esteri (art. 13 bis), in materia di elaborazione della PESC, di misure sanzionatorie nei confronti di Stati terzi, in materia di conclusione di accordi internazionali relativi alla PESC; e infine assieme alla Commissione, per l’attuazione della clausola di solidarietà civile che obbliga gli Stati membri ad assistere su espressa richiesta chi di essi sia stato colpito da un attacco terroristico o da una catastrofe. L’Alto Rappresentante è inoltre tenuto a provvedere alla sua esecuzione, quale mandatario del Consiglio. Inoltre egli rappresenterà l’UE all’esterno nelle materie PESC e condurrà il dialogo politico con i terzi esprimendo le posizioni dell’Unione in seno alle organizzazioni e alle conferenze internazionali. Sarà anche suo compito vegliare sulla coerenza dell’azione esterna degli Stati membri secondo il principio di leale cooperazione con l’Unione, vegliando affinché questi ultimi rispettino l’obbligo di appoggiare la PESC e di astenersi da azioni contrarie agli interessi dell’UE.
5. Inizialmente la PESD entra timidamente nel TUE con le modifiche del Trattato di Amsterdam che introduce sia una procedura di revisione semplificata all’art. 17 per permettere di arrivare progressivamente da una politica di difesa comune ad una difesa comune vera e propria e che inserisce la possibilità di effettuare operazioni di peacekeeping di natura non offensiva: le “missioni di Petersberg” nel TUE. Tuttavia non si riesce, in quella sede, né ad approvare una clausola di legittima difesa collettiva sul modello di quelle contenute nei trattati UEO e NATO, né a chiarire i rapporti UE-NATO e, di conseguenza UE-UEO. L’e-sigenza di una politica europea di difesa dell’Unione è stata rilanciata dalla Dichiarazione adottata al termine del vertice franco-britannico di Saint Malo nel 1998 e dai Consigli europei di Colonia del giugno1999, di Helsinki del dicembre 1999 e di Feira del giugno 2000, ai quali si deve la sua effettiva creazione e messa in atto, successivamente formalizzata dall’entrata in vigore del Trattato di Nizza. Essa ha subìto una notevole accelerazione nella sua concreta realizzazione dopo i tragici attacchi terroristici dell’11 settembre, a partire dal 2003, anno di adozione di una Strategia europea in materia di sicurezza. Sono stati creati organi e strutture in grado di dar forma ad una vera e propria politica comune nel settore della sicurezza e della difesa. Ricordiamo che in virtù delle Conclusioni del Consiglio europeo di Colonia, ma soprattutto di Helsinki del 1999, sono stati ideati un Comitato politico e di sicurezza (COPS), un Comitato militare, uno Stato maggiore della difesa europeo e un Comitato dei Contributori (CC). Più di recente sono state create un’Agenzia europea per la difesa e una Cellula di pianificazione civile-militare allo scopo di realizzare un’azione esterna più efficace e coerente. Sono stati trasferiti all’UE importanti strutture dell’UEO quali l’Istituto di studi sulla sicurezza e il Centro satellitare di Torrejòn. Inoltre, sempre sulla base di Conclusioni del Consiglio europeo adottate a Feira nel 2000, sono stati conclusi dall’Alto Rappresentante PESC dell’UE con la NATO i cosiddetti “Berlin plus agreements” che danno vita ad un partenariato ed una cooperazione strategica tra UE e NATO. Il Trattato costituzionale riesce nell’intento di inserire una clausola di solidarietà, ovvero di legittima difesa collettiva, nel TUE, rendendo così ormai quasi del tutto superfluo il permanere in vita del Trattato UEO.
Il Trattato di riforma non rimette in discussione quanto già approvato a Roma nel 2004, limitandosi a confermare e migliorare le disposizioni relative alla PSDC, ispirandosi alla Strategia europea per la sicurezza, dottrina elaborata nel 2003, ed estendendo di conseguenza il ventaglio di missioni che l’UE può porre in essere nel settore della sicurezza e della difesa, dalle classiche missioni di Petersberg alla possibilità di veri e propri interventi di disarmo, di assistenza militare e di lotta al terrorismo. Il Trattato di riforma provvede inoltre a disciplinare in modo dettagliato la possibilità per l’UE di autorizzare un gruppo di Stati a condurre azioni militari (art. 29 del TUE/2007) e quella, ben più importante ed interessante, di dar vita ad una forma di cooperazione strutturata permanente (artt. 27, par. 6, e 31 del TUE/2007, nonché Protocollo n. 4 sulla “Cooperazione strutturata permanente istituita dall’articolo 27 del TUE”), che altro non è se non un embrione di un vero e proprio sistema di sicurezza collettiva. Si offre cioè la possibilità a quegli Stati membri che abbiano i requisiti previsti dal Protocollo (capacità tecniche, logistiche e operative più forti e disponibilità a condividerle con altri Stati) di realizzare un vero e proprio esercito europeo capace di far fronte a situazioni di crisi internazionali anche con l’uso della forza, ovviamente se autorizzato dal Consiglio di sicurezza dell’ONU. Si può quindi parlare già adesso, prima ancora che entri in vigore la versione modificata dei Trattati, della creazione di una vera e propria Politica di sicurezza e di difesa comune, avvenuta soprattutto, come si è visto, mediante Conclusioni del Consiglio europeo. Il Trattato di riforma non farà altro che dar veste ufficiale a ciò che già esiste.