LA TUTELA MONITORIA AVVERSO DEBITORI SITI ALL'ESTERO
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di Angela Maria ROMITO
Con
il Decreto Legislativo n. 231/2002 del 09.10.2002 (in GURI n. 249 del
23.10.2002), il Governo italiano, sebbene oltre la scadenza dei termini
assegnati agli Stati membri dell’UE, ha dato finalmente attuazione alla
Direttiva n. 2000/35/CE del 29.06.2000 (in GUCE L 200 dell’ 08. 08.
2000, pp. 35-38) relativa ai ritardi nei pagamenti nelle transazioni
commerciali.
Come già preannunciato nel numero di Sud IN-Europa di Settembre 2002, la Direttiva su menzionata, finalizzata a ridurre i ritardi di pagamenti tra le imprese e ad assicurare il rispetto di termini di pagamento ragionevoli, avrebbe avuto un notevole impatto nel sistema normativo italiano ed in particolare sulle norme processuali civilistiche (artt. 633, 641 e 648 c.p.c.).
Ma facciamo un piccolo passo indietro: l’art 26 della Legge Comunitaria per l’anno 2001(L. 01.03.2002 n 39 in GURI 26.03.2002 n. 72, suppl. ord. n. 54) ha delegato il Governo attraverso uno o più decreti legislativi ad adottare la Direttiva 2000/ 35/ CE.
Oggi, grazie all’intervento del Governo, il lungo iter legislativo per la adozione della normativa europea è terminato, e con esso può ritenersi del tutto vittoriosamente conclusa la battaglia per l’abrogazione dell’ultimo comma dell’art 633 c.p.c.
Come è noto l’ ultimo comma di questo articolo stabiliva che le ingiunzioni di pagamento non potessero essere pronunciate se la loro notificazione fosse dovuta avvenire fuori del territorio della Repubblica italiana, con la conseguenza che un’impresa italiana non poteva esperire lo strumento della tutela monitoria per un credito discendente da una transazione intracomunitaria (o extracomunitaria) verso un debitore residente in un altro paese dell’UE (oppure in uno Stato non membro dell’UE).
In concreto, fino ad oggi, se un’impresa italiana dopo aver consegnato le proprie merci ad un acquirente europeo (o di uno Stato extraeuropeo), fosse stata creditrice per l’intero o per il saldo del prezzo delle stesse, non avrebbe potuto avvalersi dello strumento processualistico del decreto ingiuntivo, procedimento speciale che consente di ottenere in tempi rapidi e con poca spesa un titolo esecutivo contro il debitore inadempiente di una somma di denaro, ma avrebbe dovuto instaurare un giudizio ordinario, con inevitabile allungamento dei tempi ed aggravio di costi.
In origine le ragioni di siffatto divieto, erano giustificate dalla preoccupazione di impedire il rischio che il debitore straniero non venisse mai a conoscenza di un decreto ingiuntivo pronunciato contro di lui, oppure che ne venisse a conoscenza oltre i limiti previsti per l’opposizione (40 giorni), impedendo così l’esercizio del diritto alla difesa.
Tuttavia queste ragioni, giustificabili nel 1940, erano divenute ormai del tutto anacronistiche, considerato che con la Convenzione dell’Aja datata 15.11.1965, la notifica all’estero, per i Paesi firmatari, non poneva più particolari problemi ed i termini di opposizione previsti erano sufficientemente ampi. Inoltre, in relazione agli scambi intracomunitari, la necessità di rimuovere il divieto del procedimento monitorio contro i debitori residenti all’estero, nasceva anche dalla contrarietà della disposizione in esame alla normativa sovranazionale, con conseguenti effetti negativi che si creavano nel mercato italiano.
Il palese contrasto della norma processuale italiana con i principi cardine del diritto europeo della libera circolazione delle merci (art 29 TCE) dei servizi (art. 49 TCE) e dei capitali (art 56 B TCE), discendeva dal fatto che la prima discriminava ingiustamente chi intratteneva rapporti con debitori situati in uno Stato membro, in ragione di transazioni commerciali all’interno della Comunità, rispetto a chi vantava crediti nei confronti di debitori residenti o con sede sul territorio nazionale.
Tale discriminazione è stata considerata capace di scoraggiare l’instaurazione da parte dei residenti in Italia di rapporti economici con controparti comunitarie ed in particolare, la conclusione di operazioni atte a dar vita a un credito nei confronti dello straniero. Ne discendeva che la mancanza di un’eguale tutela processuale era in grado di influenzare gli operatori del mercato italiano, inducendoli a privilegiare le relazioni commerciali con i connazionali anziché con controparti comunitarie, e disincentivando, se non proprio ostacolando l’esportazione di beni e servizi, nonché la circolazione di capitali.
Senonché il Parlamento italiano, anziché cancellare di propria iniziativa una norma fortemente lesiva ai danni delle imprese italiane impegnate nel commercio internazionale, ha preferito attendere l’input del legislatore comunitario, e poi demandare al Governo l’integrale riforma del settore. Con l’art 9, Decreto Legislativo n 231/ 2002, è consentita la concessione del decreto ingiuntivo avverso i debitori che indifferentemente si trovino in uno Stato membro dell’UE ovvero in un Paese terzo. Viene conseguentemente modificato l’art 641 c.p.c. nella parte relativa ai termini per la notifica: il termine entro cui il creditore dovrà notificare il provvedimento monitorio sarà di 50 giorni (aumentabili a 60 ovvero riducibili a 20) nel primo caso; tra 30 e 120 giorni nella seconda ipotesi.
Ove il debitore sia in uno Stato membro dell’UE, il decreto ingiuntivo sarà notificato per secondo le indicazioni del Reg. del Consiglio CE n. 1348/2000 del 29.05.2000 (in GUCE L 160 del 30.06.2000) e lo stesso sarà riconosciuto come titolo valido per l’esecuzione forzata ai sensi dell’art 32 del Reg. del Consiglio CE n. 44/2001 del 22.1.2.2000 (in GUCE L 120 del 16.01.2001).
Nel caso in cui, invece, il debitore sia in un Paese non appartenente all’Unione, per la notifica bisognerà far riferimento alle convenzioni multilaterali o bilaterali tra l’Italia e lo Stato dove è situato il debitore, e per il riconoscimento del decreto all’interno degli Stati non aderenti all’Unione bisognerà far riferimento all’eventuale esistenza di convenzioni in materia; in mancanza di queste si dovrà ricorrere alle norme di diritto internazionale privato dello Stato dove si vuole ottenere il riconoscimento.
Ma le modifiche al codice di rito non si limitano all’art 633 ultimo comma: un’ulteriore importante novità è costituita dalla modifica apportata all’art 648 c.p.c. nella parte in cui consente la provvisoria esecuzione anche parziale del decreto ingiuntivo opposto limitatamente alle somme non contestate, e quindi la possibilità di un’immediata, seppur non integrale, soddisfazione del credito relativamente alle somme non in discussione.
Senza dubbio le novità introdotte in attuazione della Direttiva n. 2000/35, incideranno profondamente sul fenomeno dei ritardi dei pagamenti, creando una maggiore stabilità del sistema economico ed un auspicabile sviluppo degli scambi internazionali (ed in primis intracomunitari) delle piccole e medie imprese italiane. La prima verifica dell’effettiva abbreviazione dei termini di pagamento nelle transazioni commerciali e l’auspicabile incremento degli scambi è stata già fissata dalla Commissione europea per agosto 2004.
Come già preannunciato nel numero di Sud IN-Europa di Settembre 2002, la Direttiva su menzionata, finalizzata a ridurre i ritardi di pagamenti tra le imprese e ad assicurare il rispetto di termini di pagamento ragionevoli, avrebbe avuto un notevole impatto nel sistema normativo italiano ed in particolare sulle norme processuali civilistiche (artt. 633, 641 e 648 c.p.c.).
Ma facciamo un piccolo passo indietro: l’art 26 della Legge Comunitaria per l’anno 2001(L. 01.03.2002 n 39 in GURI 26.03.2002 n. 72, suppl. ord. n. 54) ha delegato il Governo attraverso uno o più decreti legislativi ad adottare la Direttiva 2000/ 35/ CE.
Oggi, grazie all’intervento del Governo, il lungo iter legislativo per la adozione della normativa europea è terminato, e con esso può ritenersi del tutto vittoriosamente conclusa la battaglia per l’abrogazione dell’ultimo comma dell’art 633 c.p.c.
Come è noto l’ ultimo comma di questo articolo stabiliva che le ingiunzioni di pagamento non potessero essere pronunciate se la loro notificazione fosse dovuta avvenire fuori del territorio della Repubblica italiana, con la conseguenza che un’impresa italiana non poteva esperire lo strumento della tutela monitoria per un credito discendente da una transazione intracomunitaria (o extracomunitaria) verso un debitore residente in un altro paese dell’UE (oppure in uno Stato non membro dell’UE).
In concreto, fino ad oggi, se un’impresa italiana dopo aver consegnato le proprie merci ad un acquirente europeo (o di uno Stato extraeuropeo), fosse stata creditrice per l’intero o per il saldo del prezzo delle stesse, non avrebbe potuto avvalersi dello strumento processualistico del decreto ingiuntivo, procedimento speciale che consente di ottenere in tempi rapidi e con poca spesa un titolo esecutivo contro il debitore inadempiente di una somma di denaro, ma avrebbe dovuto instaurare un giudizio ordinario, con inevitabile allungamento dei tempi ed aggravio di costi.
In origine le ragioni di siffatto divieto, erano giustificate dalla preoccupazione di impedire il rischio che il debitore straniero non venisse mai a conoscenza di un decreto ingiuntivo pronunciato contro di lui, oppure che ne venisse a conoscenza oltre i limiti previsti per l’opposizione (40 giorni), impedendo così l’esercizio del diritto alla difesa.
Tuttavia queste ragioni, giustificabili nel 1940, erano divenute ormai del tutto anacronistiche, considerato che con la Convenzione dell’Aja datata 15.11.1965, la notifica all’estero, per i Paesi firmatari, non poneva più particolari problemi ed i termini di opposizione previsti erano sufficientemente ampi. Inoltre, in relazione agli scambi intracomunitari, la necessità di rimuovere il divieto del procedimento monitorio contro i debitori residenti all’estero, nasceva anche dalla contrarietà della disposizione in esame alla normativa sovranazionale, con conseguenti effetti negativi che si creavano nel mercato italiano.
Il palese contrasto della norma processuale italiana con i principi cardine del diritto europeo della libera circolazione delle merci (art 29 TCE) dei servizi (art. 49 TCE) e dei capitali (art 56 B TCE), discendeva dal fatto che la prima discriminava ingiustamente chi intratteneva rapporti con debitori situati in uno Stato membro, in ragione di transazioni commerciali all’interno della Comunità, rispetto a chi vantava crediti nei confronti di debitori residenti o con sede sul territorio nazionale.
Tale discriminazione è stata considerata capace di scoraggiare l’instaurazione da parte dei residenti in Italia di rapporti economici con controparti comunitarie ed in particolare, la conclusione di operazioni atte a dar vita a un credito nei confronti dello straniero. Ne discendeva che la mancanza di un’eguale tutela processuale era in grado di influenzare gli operatori del mercato italiano, inducendoli a privilegiare le relazioni commerciali con i connazionali anziché con controparti comunitarie, e disincentivando, se non proprio ostacolando l’esportazione di beni e servizi, nonché la circolazione di capitali.
Senonché il Parlamento italiano, anziché cancellare di propria iniziativa una norma fortemente lesiva ai danni delle imprese italiane impegnate nel commercio internazionale, ha preferito attendere l’input del legislatore comunitario, e poi demandare al Governo l’integrale riforma del settore. Con l’art 9, Decreto Legislativo n 231/ 2002, è consentita la concessione del decreto ingiuntivo avverso i debitori che indifferentemente si trovino in uno Stato membro dell’UE ovvero in un Paese terzo. Viene conseguentemente modificato l’art 641 c.p.c. nella parte relativa ai termini per la notifica: il termine entro cui il creditore dovrà notificare il provvedimento monitorio sarà di 50 giorni (aumentabili a 60 ovvero riducibili a 20) nel primo caso; tra 30 e 120 giorni nella seconda ipotesi.
Ove il debitore sia in uno Stato membro dell’UE, il decreto ingiuntivo sarà notificato per secondo le indicazioni del Reg. del Consiglio CE n. 1348/2000 del 29.05.2000 (in GUCE L 160 del 30.06.2000) e lo stesso sarà riconosciuto come titolo valido per l’esecuzione forzata ai sensi dell’art 32 del Reg. del Consiglio CE n. 44/2001 del 22.1.2.2000 (in GUCE L 120 del 16.01.2001).
Nel caso in cui, invece, il debitore sia in un Paese non appartenente all’Unione, per la notifica bisognerà far riferimento alle convenzioni multilaterali o bilaterali tra l’Italia e lo Stato dove è situato il debitore, e per il riconoscimento del decreto all’interno degli Stati non aderenti all’Unione bisognerà far riferimento all’eventuale esistenza di convenzioni in materia; in mancanza di queste si dovrà ricorrere alle norme di diritto internazionale privato dello Stato dove si vuole ottenere il riconoscimento.
Ma le modifiche al codice di rito non si limitano all’art 633 ultimo comma: un’ulteriore importante novità è costituita dalla modifica apportata all’art 648 c.p.c. nella parte in cui consente la provvisoria esecuzione anche parziale del decreto ingiuntivo opposto limitatamente alle somme non contestate, e quindi la possibilità di un’immediata, seppur non integrale, soddisfazione del credito relativamente alle somme non in discussione.
Senza dubbio le novità introdotte in attuazione della Direttiva n. 2000/35, incideranno profondamente sul fenomeno dei ritardi dei pagamenti, creando una maggiore stabilità del sistema economico ed un auspicabile sviluppo degli scambi internazionali (ed in primis intracomunitari) delle piccole e medie imprese italiane. La prima verifica dell’effettiva abbreviazione dei termini di pagamento nelle transazioni commerciali e l’auspicabile incremento degli scambi è stata già fissata dalla Commissione europea per agosto 2004.