IL RUOLO DELLE AUTONOMIE LOCALI NEL PROCESSO DI INTEGRAZIONE EUROPEA - Sud in Europa

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IL RUOLO DELLE AUTONOMIE LOCALI NEL PROCESSO DI INTEGRAZIONE EUROPEA

Archivio > Anno 2005 > Giugno 2005

di Vincenzo STARACE (Ordinario di Diritto internazionale nell'Università degli Studi di Bari)
Desidero anzitutto rivolgere un vivo ringraziamento agli enti che si sono impegnati nella preparazione di questo convegno, qualificato dalla partecipazione di autorevoli studiosi di diritto internazionale e di diritto dell’Unione europea e da valorosi esperti protagonisti diretti di rapporti tra l’Unione europea e il nostro Stato. Ringrazio in particolare il prof. Ennio Triggiani che si è prodigato, da par suo, una volta di più, nell’organizzazione di un convegno dal quale è fondato attendersi risultati sostanziosi e brillanti. Lo ringrazio anche per avermi cortesemente invitato a presiedere l’odierna prima sessione, che si annuncia interessante e ricca di rilevanti contributi.
Poiché il tema al centro dell’odierna sessione è il ruolo delle autonomie locali nel processo di integrazione europea, può essere utile che, a fini introduttivi della trattazione di tale tema da parte dei relatori che seguiranno, io rammenti brevemente alcune novità riguardanti gli enti locali contenute nel Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa e nella recente legge italiana 4 febbraio 2005 n. 11. Preciso che, parlando di enti locali, mi riferisco a enti diversi dalle Regioni, ossia a “Province, Comuni, Comunità montane e altri enti locali”, giusta l’indicazione fornita dall’art. 1 n. 1 della legge 15 marzo 1997 n. 50. La differenziazione tra Regione ed enti locali trova riscontro, d’altra parte, in disposizioni del vigente Trattato istitutivo della Comunità europea (come l’art. 263, il quale prevede che il Comitato delle regioni è composto da rappresentanti di “collettività regionali e locali”) e del citato Trattato recante una Costituzione per l’Europa. A quest’ultimo proposito ricordo l’art. I-5 par. 1, che, nell’imporre all’Unione europea di rispettare l’identità nazionale degli Stati membri, prevede che tale identità includa il sistema delle “autonomie locali e regionali” e l’art. I-32 par. 2, che riprende, riguardo al Comitato delle regioni, l’espressione “collettività regionali e locali” impiegata dal menzionato art. 263 del Trattato CE.
Orbene, il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, al citato art. I-5 par. 1, riconosce espressamente che il “sistema delle autonomie locali” rappresenta un aspetto essenziale della “identità nazionale” di ciascuno Stato membro, in quanto parte della sua “struttura fondamentale, politica e costituzionale” e, all’art. I-11 par. 3, inserisce il “livello locale” tra i livelli di possibile intervento statale – gli altri essendo il livello “centrale” e quello “regionale” – che vanno presi in considerazione per stabilire, in applicazione del principio di sussidiarietà, se gli obiettivi perseguiti dall’azione comunitaria in questione “possono essere sufficientemente raggiunti dagli Stati membri”. È da aggiungere che nel Protocollo sull’applicazione dei principî di sussidiarietà e proporzionalità, gli enti locali sono annoverati fra gli organi, enti, persone fisiche, ecc. che, dovendo sostenere gli oneri finanziari e amministrativi dei progettati atti normativi europei, nutrono un legittimo affidamento che tali oneri siano “il meno gravosi possibile e commisurati all’obiettivo da conseguire” (art. 5). Inoltre, i rappresentanti degli enti locali che compongono il Comitato delle regioni sono resi partecipi del potere attribuito a tale Comitato di proporre ricorso dinanzi alla Corte di giustizia comunitaria, per violazione del principio di sussidiarietà, avverso “atti legislativi europei per la cui adozione la Costituzione richiede la … consultazione” dello stesso Comitato (art. 8).
Se spostiamo l’attenzione sulla l. n. 11/2005 - legge recante “Norme sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”, la quale ha sostituito la legge 9 marzo 1989 n. 86 e successive modificazioni, c.d. legge “La Pergola”, espressamente abrogata (art. 22 n. 2) -, notiamo anzitutto che il suo art. 6 prevede la partecipazione degli enti locali alla definizione della posizione italiana in ordine alla formazione di atti normativi dell’Unione europea concernenti “questioni di particolare rilevanza negli àmbiti di competenza” di detti enti (art. 6 n. 1). Tale partecipazione ha luogo riguardo a progetti di atti normativi dell’Unione europea, nonché ad atti preordinati alla formulazione degli stessi – compresi i documenti di consultazione, quali libri verdi, libri bianchi e comunicazioni predisposti dalla Commissione europea – e loro modificazioni. La partecipazione di tali enti avviene per il tramite delle loro associazioni rappresentative, alle quali la Conferenza Stato-città e autonomie locali invia i progetti e gli atti in questione ad essa trasmessi dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri - e consiste nell’invio al Presidente di tale Consiglio o al Ministro per le politiche comunitarie, “entro la data indicata all’atto di trasmissione dei progetti o degli atti o, in mancanza, entro il giorno precedente quello della discussione in sede comunitaria”, di osservazioni su detti progetti e atti e nella possibilità di richiedere che i medesimi siano sottoposti all’esame della menzionata Conferenza (art. 6 n. 1 e 3). È previsto inoltre che nelle materie che investono le competenze degli enti locali la Presidenza del Consiglio dei Ministri convochi ai singoli tavoli di coordinamento nazionale, ai quali partecipano, quando si tratti di materie di competenza delle Regioni e delle province autonome, rappresentanti di questi enti, “esperti designati dagli enti locali” (art. 6 n. 2). Mediante lo strumento delle osservazioni e quello della partecipazione ai tavoli di coordinamento nazionale, la l. n. 11/2005 mette gli enti locali in condizione di esercitare la propria influenza sulla definizione della posizione italiana in ordine a progetti di atti normativi comunitari, quando questi investono materie di competenza di detti enti. Si tratta, certo, di un’influenza non equiparabile a quella che possono esercitare Regioni e Province autonome, le quali possono ottenere, con richiesta formulata dalla Conferenza Stato-Regioni, che il governo apponga in sede di Consiglio dell’Unione europea una riserva di esame (art. 5 n. 5), analoga a quella che esso può apporre quando è in corso l’esame del progetto o atto in questione da parte delle Camere parlamentari (art. 4 n. 1): non è prevista, infatti, alcuna riserva del genere nell’ipotesi che il progetto o l’atto in questione sia all’esame degli enti locali. Ciò tuttavia non deve indurre a sottovalutare l’importanza della novità in parola che, pur senza garanzia di riserva, consente agli enti locali che agiscano tempestivamente di inserirsi nel processo diretto a definire la posizione italiana in ordine alla formazione di atti normativi dell’Unione europea che investono materie rientranti nelle competenze degli enti stessi. Siffatto inserimento, oggi ammesso in misura limitata costituisce, peraltro, la premessa per ulteriori sviluppi, che dipenderanno anche dal modo in cui gli enti locali sapranno avvalersi delle opportunità ad essi offerte dalle disposizioni in discorso.
L’art. 18 della medesima l. n. 11/2005 legittima, poi, la Conferenza Stato-città e autonomie locali, che il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per le politiche comunitarie deve convocare almeno una volta l’anno o quando ne è richiesto dalle associazioni rappresentative degli enti locali, ovvero dagli enti locali interessati, per trattare “gli aspetti delle politiche comunitarie di interesse degli enti locali”, a esprimere pareri “sui criteri e le modalità per conformare l’esercizio delle funzioni di interesse degli enti locali all’osservanza e all’adempimento degli obblighi” derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea. È questo un ulteriore ruolo attribuito agli enti locali nell’àmbito dei rapporti tra l’Unione europea e il nostro Stato; un ruolo che mostra l’acquisita convinzione a livello legislativo italiano della necessità che gli enti locali siano posti nella condizione di fare conoscere il proprio punto di vista e le proprie valutazioni sull’attuazione degli obblighi derivanti da atti dell’Unione europea in materie di competenza degli enti stessi.
A me pare che le novità contenute nel testo della Costituzione per l’Europa e nella l. n. 11/2005 convergano nel mostrare come sia ormai diffusa la consapevolezza del ruolo che spetta alle autonomie locali nel processo di integrazione europea, giunto ormai a un punto tale che, per compiere incisivi e concreti passi avanti, negli àmbiti – s’intende – propri nell’integrazione, non può più prescindere dal coinvolgimento reale e ufficiale dei diversi livelli istituzionali sub-statali. A questi, d’altronde, non può non riconoscersi un grado di rappresentatività delle collettività che compongono lo Stato più alto di quello proprio di quest’ultimo, sicché il loro inserimento nel predetto processo si configura altresì come un’apprezzabile forma di democrazia partecipativa.
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