LA DIRETTIVA 2000/35/CE RELATIVA AI RITARDI NEI PAGAMENTI NELLA TRANSAZIONI COMMERCIALI.
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di Angela Maria Romito
La legge
comunitaria 1 marzo 2002, n.39 ( in GU 26.03.2002, n 72, suppl. ord. n.
54) ha previsto all’art.26 l’attuazione della Direttiva europea
2000/35/CE del 29.06.2000 (in GUCE L 200, del 08.08.2000, pp. 35 - 38),
attraverso uno o più decreti legislativi da adottare entro un anno
dall’entrata in vigore delle legge stessa.
In conseguenza della delega al Governo, il 15 giugno 2002, il Consiglio dei Ministri italiano ha approvato lo schema del decreto legislativo di attuazione della direttiva europea relativa ai ritardi nei pagamenti nella transazioni commerciali, provvedimento che, allo stato, deve essere sottoposto al parere delle Commissioni parlamentari ed al vaglio delle associazioni delle piccole e grandi imprese.
L’iter legislativo per il recepimento della norma comunitaria, secondo quanto stabilito dall’art. 6 della direttiva stessa, dovrebbe concludersi entro l’8 agosto 2002, termine ultimo per gli Stati membri per mettere a punto le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla disciplina europea.
In prossimità, dunque dell’entrata in vigore della nuova disciplina sui pagamenti delle transazioni nazionali e transfrontaliere, ed in attesa del testo definitivo del decreto legislativo di attuazione in Italia, appare opportuna una breve analisi della direttiva europea in modo da essere informati, seppur a grandi linee, circa i cambiamenti da attendersi dal legislatore nazionale.
La direttiva CE 35/2000, consta di appena 6 articoli, ma la portata innovativa è notevole, giacché essa incide non solo sulla normativa sostanziale nazionale in materia, ma anche sulle norme processuali idonee a garantire l’applicazione delle stesse.
La necessità di porre mano alla riorganizzazione della disciplina delle conseguenze del ritardo nell’adempimento, è nata dalla considerazione che le differenze tra le norme in tema di pagamento e le prassi seguite negli Stati membri costituiscono un ostacolo al buon funzionamento del mercato interno, giacché l'applicazione di norme sostanzialmente diverse alle operazioni interne e a quelle transfrontaliere comporta la creazione di distorsioni della concorrenza: tale situazione di non omogeneità normativa, contrasta con l'articolo 14 del Trattato, secondo il quale gli operatori economici dei Quindici Stati membri, dovrebbero essere in grado di svolgere le proprie attività in tutto il mercato interno in condizioni che garantiscano che le operazioni transfrontaliere non comportino rischi maggiori di quelle interne. Di qui la necessità di un intervento del Legislatore comunitario volto a sanzionare pesantemente l’abuso della libertà contrattuale in danno del creditore.
Ad una prima lettura, in linea generale pare chiaro che con la disciplina di armonizzazione in commento si sia voluto apprestare una tutela quasi privilegiata rispetto a quella ordinaria, a favore dei crediti delle piccole e medie imprese.
Secondo quanto disposto dagli artt. 1 e 2, la direttiva si applica alle transazioni commerciali tra imprese pubbliche o private, ovvero tra imprese e autorità pubbliche, che comportino in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo (si pensi per esempio a tutte le transazioni commerciali tra gli appaltatori principali ed i loro fornitori e subappaltatori).Vista l’accezione lata, di impresa vi dovrebbero rientrate anche i contratti conclusi da associazioni e fondazioni che esercitano una attività commerciale e quelli conclusi dalle associazioni non profit; sono invece esclusi i contratti con consumatori, gli interessi relativi ad altri pagamenti, ad esempio pagamenti a norma di legge per assegni o titoli di credito o pagamenti effettuati a titolo risarcimento danni, ivi compresi i pagamenti effettuati da un assicuratore.
Il cuore delle direttiva è l’art. 3: la grande novità introdotta è lo scatto automatico degli interessi di mora a partire dal trentesimo giorno dall’emissione della fattura, senza che il creditore debba mettere in mora il debitore.
E’ fatta salva,tuttavia, la possibilità per le legislazioni nazionali di individuare delle categorie di contratti in cui potrà stabilirsi un termine più lungo (60 giorni) alla cui scadenza saranno dovuti gli interessi.
E’ espressamente previsto che il debitore inadempiente dovrà corrispondere un risarcimento per tutti i costi di recupero sostenuto a causa del ritardato pagamento.Resta mutato il principio dell’autonomia contrattuale, in quanto le parti, sono formalmente libere di determinare il contenuto negoziale sulle conseguenze del ritardo, concordando un tasso di interesse moratorio maggiore o minore di quello previsto dalla direttiva stessa; tuttavia tale accordo non sarà vincolante e non darà diritto al risarcimento del danno se, considerate le circostanza del caso, risultasse gravemente iniquo nei confronti del creditore.
L’iniquità del patto e la sua sostituzione automatica con la disciplina legale contenuta nell’art.3 lett b) c) d), avverrà ad opera del giudice nazionale, il quale, come accade nei Paesi di common law, potrà sostanzialmente interferire negli accordi tra le parti, svuotando di significato il dogma dell’intangibilità del contratto, fino ad oggi baluardo della cultura giuridica dei Paesi di civil law.
Accanto ai rimedi individuali, è imposto agli Stati membri di assicurare strumenti di tutela collettiva che consentano alle organizzazioni rappresentative delle piccole e medie imprese di agire dinanzi i tribunali o agli organi amministrativi per far valere le proprie ragioni.
La direttiva in commento, come già accennato, non pone solo nuove norme di diritto materiale, ma contiene altresì disposizioni di ordine processuale, volte al recupero di crediti non contestati.
Si è considerato, infatti, che i ritardi di pagamento sono una violazione contrattuale resa finanziariamente attraente per i debitori nella maggior parte degli Stati membri, in virtù dei bassi livelli dei tassi degli interessi di mora e/o dalla lentezza delle procedure di recupero. Per modificare decisamente questa situazione, i Quindici, dovranno attivarsi per la creazione di un titolo esecutivo europeo(TEE),ossia un titolo emesso dai giudici nazionali al termine della procedura monitoria, automaticamente efficace nel territorio dell’UE (abolendo così la procedura dall’exequatur).
Siffatto impegno è sancito dall’art.5 “Gli Stati membri assicurano che un titolo esecutivo possa essere ottenuto, indipendentemente dall'importo del debito, di norma entro 90 giorni di calendario dalla data in cui il creditore ha presentato un ricorso o ha proposto una domanda dinanzi al giudice o altra autorità competente, ove non siano contestati il debito o gli aspetti procedurali.”
Va notato che la direttiva si limita a definire l'espressione "titolo esecutivo", ma non disciplina le varie procedure per l'esecuzione forzata di un siffatto titolo, né le condizioni in presenza delle quali può essere disposta la sospensione dell'esecuzione ovvero può essere dichiarata l'estinzione del relativo procedimento.
Ne consegue che la attuazione del Regolamento CE 35/2000, avrà un notevole impatto anche sulle norme processual-civilistiche nazionali, giacché dovrà essere abrogato l’ultimo comma dell’art.633 c.p.c, (che impedisce la pronuncia di un decreto ingiuntivo, quando la notificazione all’intimato deve avvenire fuori della Repubblica italiana); si dovrà modificare l’art.641 c.p.c. e fissare il termine di trenta giorni dalla data di presentazione del ricorso per l’assunzione del provvedimento di ingiunzione di cui all’art.633 c.p.c; si dovranno altresì modificare i termini per la notifica in uno degli Stati europei, ed in ultimo si dovrà ampliare l’art.648 c.p.c. prevedendo a possibilità di concedere la provvisoria esecuzione parziale del decreto ingiuntivo per le somma non contestate.
In attesa di conoscere il testo definitivo del decreto legislativo di attuazione, non si può sottacere una qualche perplessità, circa la delega al Governo operata dal Parlamento italiano, in quanto, in questo caso, il potere normativo all’esecutivo non si limita al mero adattamento del diritto interno alle regole sopranazionali, ma in modo più ambizioso include la radicale riorganizzazione della disciplina delle conseguenze del ritardo nell’adempimento.
In conseguenza della delega al Governo, il 15 giugno 2002, il Consiglio dei Ministri italiano ha approvato lo schema del decreto legislativo di attuazione della direttiva europea relativa ai ritardi nei pagamenti nella transazioni commerciali, provvedimento che, allo stato, deve essere sottoposto al parere delle Commissioni parlamentari ed al vaglio delle associazioni delle piccole e grandi imprese.
L’iter legislativo per il recepimento della norma comunitaria, secondo quanto stabilito dall’art. 6 della direttiva stessa, dovrebbe concludersi entro l’8 agosto 2002, termine ultimo per gli Stati membri per mettere a punto le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla disciplina europea.
In prossimità, dunque dell’entrata in vigore della nuova disciplina sui pagamenti delle transazioni nazionali e transfrontaliere, ed in attesa del testo definitivo del decreto legislativo di attuazione in Italia, appare opportuna una breve analisi della direttiva europea in modo da essere informati, seppur a grandi linee, circa i cambiamenti da attendersi dal legislatore nazionale.
La direttiva CE 35/2000, consta di appena 6 articoli, ma la portata innovativa è notevole, giacché essa incide non solo sulla normativa sostanziale nazionale in materia, ma anche sulle norme processuali idonee a garantire l’applicazione delle stesse.
La necessità di porre mano alla riorganizzazione della disciplina delle conseguenze del ritardo nell’adempimento, è nata dalla considerazione che le differenze tra le norme in tema di pagamento e le prassi seguite negli Stati membri costituiscono un ostacolo al buon funzionamento del mercato interno, giacché l'applicazione di norme sostanzialmente diverse alle operazioni interne e a quelle transfrontaliere comporta la creazione di distorsioni della concorrenza: tale situazione di non omogeneità normativa, contrasta con l'articolo 14 del Trattato, secondo il quale gli operatori economici dei Quindici Stati membri, dovrebbero essere in grado di svolgere le proprie attività in tutto il mercato interno in condizioni che garantiscano che le operazioni transfrontaliere non comportino rischi maggiori di quelle interne. Di qui la necessità di un intervento del Legislatore comunitario volto a sanzionare pesantemente l’abuso della libertà contrattuale in danno del creditore.
Ad una prima lettura, in linea generale pare chiaro che con la disciplina di armonizzazione in commento si sia voluto apprestare una tutela quasi privilegiata rispetto a quella ordinaria, a favore dei crediti delle piccole e medie imprese.
Secondo quanto disposto dagli artt. 1 e 2, la direttiva si applica alle transazioni commerciali tra imprese pubbliche o private, ovvero tra imprese e autorità pubbliche, che comportino in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo (si pensi per esempio a tutte le transazioni commerciali tra gli appaltatori principali ed i loro fornitori e subappaltatori).Vista l’accezione lata, di impresa vi dovrebbero rientrate anche i contratti conclusi da associazioni e fondazioni che esercitano una attività commerciale e quelli conclusi dalle associazioni non profit; sono invece esclusi i contratti con consumatori, gli interessi relativi ad altri pagamenti, ad esempio pagamenti a norma di legge per assegni o titoli di credito o pagamenti effettuati a titolo risarcimento danni, ivi compresi i pagamenti effettuati da un assicuratore.
Il cuore delle direttiva è l’art. 3: la grande novità introdotta è lo scatto automatico degli interessi di mora a partire dal trentesimo giorno dall’emissione della fattura, senza che il creditore debba mettere in mora il debitore.
E’ fatta salva,tuttavia, la possibilità per le legislazioni nazionali di individuare delle categorie di contratti in cui potrà stabilirsi un termine più lungo (60 giorni) alla cui scadenza saranno dovuti gli interessi.
E’ espressamente previsto che il debitore inadempiente dovrà corrispondere un risarcimento per tutti i costi di recupero sostenuto a causa del ritardato pagamento.Resta mutato il principio dell’autonomia contrattuale, in quanto le parti, sono formalmente libere di determinare il contenuto negoziale sulle conseguenze del ritardo, concordando un tasso di interesse moratorio maggiore o minore di quello previsto dalla direttiva stessa; tuttavia tale accordo non sarà vincolante e non darà diritto al risarcimento del danno se, considerate le circostanza del caso, risultasse gravemente iniquo nei confronti del creditore.
L’iniquità del patto e la sua sostituzione automatica con la disciplina legale contenuta nell’art.3 lett b) c) d), avverrà ad opera del giudice nazionale, il quale, come accade nei Paesi di common law, potrà sostanzialmente interferire negli accordi tra le parti, svuotando di significato il dogma dell’intangibilità del contratto, fino ad oggi baluardo della cultura giuridica dei Paesi di civil law.
Accanto ai rimedi individuali, è imposto agli Stati membri di assicurare strumenti di tutela collettiva che consentano alle organizzazioni rappresentative delle piccole e medie imprese di agire dinanzi i tribunali o agli organi amministrativi per far valere le proprie ragioni.
La direttiva in commento, come già accennato, non pone solo nuove norme di diritto materiale, ma contiene altresì disposizioni di ordine processuale, volte al recupero di crediti non contestati.
Si è considerato, infatti, che i ritardi di pagamento sono una violazione contrattuale resa finanziariamente attraente per i debitori nella maggior parte degli Stati membri, in virtù dei bassi livelli dei tassi degli interessi di mora e/o dalla lentezza delle procedure di recupero. Per modificare decisamente questa situazione, i Quindici, dovranno attivarsi per la creazione di un titolo esecutivo europeo(TEE),ossia un titolo emesso dai giudici nazionali al termine della procedura monitoria, automaticamente efficace nel territorio dell’UE (abolendo così la procedura dall’exequatur).
Siffatto impegno è sancito dall’art.5 “Gli Stati membri assicurano che un titolo esecutivo possa essere ottenuto, indipendentemente dall'importo del debito, di norma entro 90 giorni di calendario dalla data in cui il creditore ha presentato un ricorso o ha proposto una domanda dinanzi al giudice o altra autorità competente, ove non siano contestati il debito o gli aspetti procedurali.”
Va notato che la direttiva si limita a definire l'espressione "titolo esecutivo", ma non disciplina le varie procedure per l'esecuzione forzata di un siffatto titolo, né le condizioni in presenza delle quali può essere disposta la sospensione dell'esecuzione ovvero può essere dichiarata l'estinzione del relativo procedimento.
Ne consegue che la attuazione del Regolamento CE 35/2000, avrà un notevole impatto anche sulle norme processual-civilistiche nazionali, giacché dovrà essere abrogato l’ultimo comma dell’art.633 c.p.c, (che impedisce la pronuncia di un decreto ingiuntivo, quando la notificazione all’intimato deve avvenire fuori della Repubblica italiana); si dovrà modificare l’art.641 c.p.c. e fissare il termine di trenta giorni dalla data di presentazione del ricorso per l’assunzione del provvedimento di ingiunzione di cui all’art.633 c.p.c; si dovranno altresì modificare i termini per la notifica in uno degli Stati europei, ed in ultimo si dovrà ampliare l’art.648 c.p.c. prevedendo a possibilità di concedere la provvisoria esecuzione parziale del decreto ingiuntivo per le somma non contestate.
In attesa di conoscere il testo definitivo del decreto legislativo di attuazione, non si può sottacere una qualche perplessità, circa la delega al Governo operata dal Parlamento italiano, in quanto, in questo caso, il potere normativo all’esecutivo non si limita al mero adattamento del diritto interno alle regole sopranazionali, ma in modo più ambizioso include la radicale riorganizzazione della disciplina delle conseguenze del ritardo nell’adempimento.