LA RIFORMA DI LISBONA
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di Ugo VILLANI (Ordinario di Diritto internazionale nell’Università LUISS “G. Carli” di Roma)
La
Conferenza intergovernativa, che, sulla base del mandato, alquanto
rigido, del Consiglio europeo di Bruxelles del 21 e 22 giugno 2007, era
incaricata di elaborare un trattato di riforma di quelli esistenti, ha
concluso in tempi rapidi i suoi lavori. Così il testo da essa
predisposto è stato approvato dai Capi di Stato o di governo il 19
ottobre 2007 a Lisbona e in tale città è stato sottoscritto il
successivo 13 dicembre. Esso dovrebbe entrare in vigore il 1° gennaio
2009.
Il nuovo Trattato, com’è noto, provvede a modificare il Trattato sull’Unione europea e il Trattato sulla Comunità europea; quest’ultimo riceve la nuova denominazione di Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e in esso alla Comunità europea si sostituisce l’Unione europea. Si determina, infatti, una identificazione tra la Comunità e l’Unione europea, la quale subentra alle prima e vi succede. A differenza della tecnica usata per il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa (sottoscritto a Roma il 29 ottobre 2004 e il cui “abbandono” è stato ufficialmente decretato nello stesso Consiglio europeo del 21 e 22 giugno 2007), il quale abrogava i precedenti Trattati sostituendosi integralmente ad essi, il Trattato di Lisbona inserisce le proprie modifiche e integrazioni negli attuali Trattati UE e CE.
La prima sensazione che il lettore, in un inevitabile raffronto con il precedente Trattato “costituzionale”, ricava dal Trattato di Lisbona è una decisa volontà di eliminare tutto ciò che, in qualche misura, possa evocare il progetto, o l’idea stessa di una costituzione europea. Così, sono eliminati – oltre, ovviamente, al termine “Costituzione” – organi quale il Ministro degli affari esteri, termini giuridici quale legge e legge quadro, il principio del primato del diritto comunitario su quello degli Stati membri, la maggior parte del Preambolo. Una sorta di furia iconoclastica, poi, si è abbattuta sui simboli dell’Unione europea, espressamente contemplati nell’art. I-8 del Trattato costituzionale, ma già da tempo appartenenti all’esperienza e alla realtà della costruzione europea. Con un tratto di penna sono cancellati i riferimenti alla bandiera con un cerchio di dodici stelle dorate su sfondo blu, che svettava – e, naturalmente, continuerà a svettare – su uffici pubblici e scuole in Europa; via il motto “Unita nella diversità”, che pure esprime in maniera esemplare la ricchezza più profonda dell’Europa, risultante dalle sue differenze culturali, linguistiche, artistiche, filosofiche, naturali e, perché no, gastronomiche, e che certo, malgrado l’eliminazione, non verrà ad appiattirsi in un grigio quadro, omologato su un improbabile modello unitario europeo; anche la giornata della storica Dichiarazione del 9 maggio 1950 di Schuman è cancellata, ma ciò non impedirà di continuare a celebrare con affettuosa simpatia “San Schuman”! Anche l’Inno alla gioia è espunto dai simboli dell’Unione, con il suo messaggio di fratellanza affidato non solo alle note di Beethoven, ma all’esortazione di Schiller: “Alle Menschen werden Brüder”.
Certo, si tratta di simboli, non di norme; talvolta di termini (costituzione, legge), la cui eliminazione non è detto che implichi necessariamente un’alterazione della sostanza giuridica. Ma, anzitutto, nomina sunt consequentia rerum; e invero le scelte operate in tal senso dalla Conferenza intergovernativa mettono in luce l’inclinazione ad assumere, per il futuro europeo, un tono dimesso (se non meschino), privo di qualsiasi tensione morale e ideale. Dal contenuto del Trattato di Lisbona, compresi i suoi Protocolli e le Dichiarazioni allegate, si ha la sensazione di una costante preoccupazione dei governi di rivendicare le proprie competenze, talvolta – come è stato osservato (Ziller) – “con una vera litania di riaffermazioni pleonastiche” che, in definitiva, ribadiscono, a proposito di varie disposizioni del Trattato, che l’Unione ha una competenza di attribuzione. Come ha osservato il Parlamento europeo già nel parere dell’11 luglio 2007, relativamente al mandato affidato alla Conferenza intergovernativa del Consiglio europeo del 21 e 22 giugno 2007, tale mandato dà “un’impressione di sfiducia nei confronti dell’Unione e delle sue istituzioni”.
Il revirement rispetto alla “Costituzione europea” è confermato dall’approccio seguito nella elaborazione del nuovo testo: mentre il processo che aveva condotto all’approvazione della prima (anche grazie al ruolo determinante della “Convenzione” presieduta da Giscard d’Estaing) era stato democratico, trasparente, partecipato, al contrario, il Trattato di Lisbona è stato il frutto di un negoziato puramente diplomatico-governativo, al quale l’opinione pubblica è restata sostanzialmente estranea, imbrigliato, com’era sin dalla sua partenza, dal mandato rigido fissato dal Consiglio europeo, cioè dall’organo più verticistico e distante dai cittadini dell’Unione.
Va osservato che anche la scelta “tecnica” di non sostituire i Trattati vigenti con uno nuovo, ma di integrare le modifiche nei due Trattati UE e CE (sebbene quest’ultimo denominato diversamente) conferma il “tono dimesso” del quale dicevamo. Anzitutto, tale tecnica, incanalandosi nel quadro esistente dei due Trattati (a parte quello Euratom), evita di mettere in luce un “salto di qualità” nel processo d’integrazione europea quale poteva emergere dal nuovo testo unitario della “Costituzione” (sia pure con gli eccessi di enfasi e di retorica che questa aveva suscitato). Essa, inoltre, è ben lontana da quelle proposte, che pure da più parti erano state autorevolmente avanzate, di articolare il nuovo Trattato in due testi, l’uno contenente i principi e le norme fondamentali, di contenuto propriamente “costituzionale”, l’altro di tipo “funzionale” (contenente in larga misura le disposizioni della parte III del Trattato costituzionale). I due Trattati che risultano dal Trattato di Lisbona sono essenzialmente i testi, riveduti e corretti, dei Trattati UE e CE; essi hanno il medesimo valore giuridico (art. 1 TUE) e non vi è alcun rapporto di superiorità gerarchica del primo rispetto al secondo.
Il Trattato di Lisbona, tuttavia, richiede una più pacata valutazione nella base di un raffronto tra i suoi contenuti e quelli, da un lato, della Costituzione europea, dall’altro, e principalmente, dell’attuale assetto giuridico dell’Unione e della Comunità europea. Se si approfondiscono i suoi contenuti, al di là della deludente im-pressione iniziale, ci si accorge che, in realtà, la gran parte delle innovazioni presenti nel Trattato costituzionale è stata salvata, distribuendola fra i due Trattati modificati, anche se, spesso, con espressioni meno appariscenti rispetto al testo costituzionale.
Così, in primo luogo, i principi democratici, sia nella loro espressione rappresentativa che in quella partecipativa (con il potere d’iniziativa popolare), sono sostanzialmente riaffermati; ed era questo uno degli elementi di maggiore progresso del Trattato costituzionale. Anche sul versante dei diritti umani, parametro fondamentale per apprezzare uno sviluppo del processo europeo in senso sostanzialmente “costituzionale”, il Trattato di Lisbona conferma sia il valore giuridicamente obbligatorio della Corte di Nizza che l’adesione dell’Unione europea alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La stessa eliminazione del Ministro degli affari esteri è più apparente che reale, dato che il ruolo a lui originariamente assegnato è affidato all’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Pure la scomparsa dei termini di legge e legge quadro è compensata dalla previsione secondo la quale il procedimento di codecisione rappresenta il procedimento legislativo ordinario, garantendo così un significativo avanzamento dei poteri del Parlamento europeo; è inoltre mantenuta la gerarchia tra atti legislativi e atti delegati e di esecuzione. Un altro aspetto che era particolarmente qualificante nella Costituzione europea, l’eliminazione dei pilastri e l’unificazione tra Comunità ed Unione europea, è anch’esso ribadito, con una “comunitarizzazione” della cooperazione di polizia e giudiziaria penale, mentre la PESC mantiene la sua specificità intergovernativa (come, del resto, nella stessa Costituzione europea). Per quanto riguarda il ruolo dei parlamenti nazionali, è confermato il loro potere di controllo sia sulle proposte legislative della Commissione, sia, e in maniera più stringente, sul rispetto del principio di sussidiarietà. Anche per la revisione dei Trattati è ribadito l’impiego della “Convenzione”, e quindi di un metodo più trasparente e democratico rispetto alla conferenza intergovernativa; sono confermate pure le procedure di modifica semplificate.
In altri termini, se si guarda la sostanza delle disposizioni del Trattato di Lisbona, esso risulta molto meno lontano dal testo della Costituzione europea di quanto non appaia a prima vista. Non può escludersi che – a parte alcune posizioni di Stati apertamente ostili ad ogni innovazione evocatrice di sviluppi costituzionali (o federali) dell’integrazione europea – il tono dimesso e l’eliminazione di denominazioni e di simboli risultanti dal Trattato di Lisbona siano dovuti anche a ragioni politiche e giuridiche serie: invero, nei Paesi (Francia e Olanda) nei quali la Costituzione europea era stata bocciata mediante referendum, come in quelli nei quali era emerso comunque un atteggiamento dubbioso o contrario alla sua ratifica, occorreva presentare un testo che apparisse (anche più di quanto non lo fosse realmente) profondamente diverso da quello bocciato. Inoltre, la modestia dei termini, delle denominazioni, delle aspirazioni, che connota il Trattato di Lisbona, ne può agevolare il percorso di approvazione in vari Stati, sottraendolo alla necessità (o all’opportunità) di sottoposizione a referendum o a procedimenti costituzionali più complessi. In qualche misura, quindi, l’ex Trattato costituzionale, dismessi gli abiti fastosi, che avevano contribuito al suo insuccesso, ha assunto vesti più modeste che potranno probabilmente agevolare la sua accettazione.
Certo, il (parziale) recupero dei contenuti del Trattato costituzionale in quello di Lisbona ha avuto il suo prezzo. Ci riferiamo alle numerose clausole di opting in e opting out; al differimento della entrata in vigore del nuovo procedimento di votazione del Consiglio; al meccanismo di rinvio dal Trattato UE alla Carta di Nizza, con connesso Protocollo che ne limita la “giustiziabilità” per il Regno Unito e la Polonia; al diritto di recesso (già previsto dalla Costituzione europea); alle ampie possibilità di coo-perazioni rafforzate (che, peraltro, presentano il vantaggio di non bloccare i Paesi più attivi e disponibili a sviluppare l’integrazione europea); al singolare meccanismo di adesione dell’Unione alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che è subordinata alla previa approvazione degli Stati membri, conformemente alle rispettive norme costituzionali; alla possibilità che, attraverso una revisione dei Trattati, possano essere ridotte le competenze attribuite all’Unione. Quest’ultima disposizione (art. 33 TUE) segna una brusca inversione di tendenza rispetto al principio, che sembrava fuori discussione, di una intangibilità dell’acquis comunitario, risultante anche dal testo vigente dell’art. 2 TUE, il quale pone tra gli obiettivi dell’Unione quello di “mantenere integralmente l’acquis comunitario e svilupparlo”.
In via conclusiva, credo che, di fronte alla crisi apertasi con le bocciature referendarie della Costituzione europea, c’è da compiacersi, comunque, che la situazione di stallo sia stata superata e che sia ripreso il cammino europeo. Il Trattato, in ogni caso, apre al cittadino europeo degli spazi di partecipazione e di democrazia più ampi di quelli disponibili allo stato attuale. È auspicabile che tali spazi siano utilizzati appieno e che i cittadini possano riappropriarsi della costruzione europea (che anche in questa tappa è risultata, in definitiva, frutto di decisioni assunte dall’alto), dando ad essa fondamenta più autentiche e condivise e, per ciò stesso, più solide e sicure.
Nelle pagine che seguono sono pubblicate le relazioni svolte da autorevoli specialisti nel Convegno, organizzato dall’Università di Roma Tre e tenutosi presso tale Università il 19 novembre 2007, dedicato ad una prima riflessione sul Trattato di Lisbona.
Il nuovo Trattato, com’è noto, provvede a modificare il Trattato sull’Unione europea e il Trattato sulla Comunità europea; quest’ultimo riceve la nuova denominazione di Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e in esso alla Comunità europea si sostituisce l’Unione europea. Si determina, infatti, una identificazione tra la Comunità e l’Unione europea, la quale subentra alle prima e vi succede. A differenza della tecnica usata per il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa (sottoscritto a Roma il 29 ottobre 2004 e il cui “abbandono” è stato ufficialmente decretato nello stesso Consiglio europeo del 21 e 22 giugno 2007), il quale abrogava i precedenti Trattati sostituendosi integralmente ad essi, il Trattato di Lisbona inserisce le proprie modifiche e integrazioni negli attuali Trattati UE e CE.
La prima sensazione che il lettore, in un inevitabile raffronto con il precedente Trattato “costituzionale”, ricava dal Trattato di Lisbona è una decisa volontà di eliminare tutto ciò che, in qualche misura, possa evocare il progetto, o l’idea stessa di una costituzione europea. Così, sono eliminati – oltre, ovviamente, al termine “Costituzione” – organi quale il Ministro degli affari esteri, termini giuridici quale legge e legge quadro, il principio del primato del diritto comunitario su quello degli Stati membri, la maggior parte del Preambolo. Una sorta di furia iconoclastica, poi, si è abbattuta sui simboli dell’Unione europea, espressamente contemplati nell’art. I-8 del Trattato costituzionale, ma già da tempo appartenenti all’esperienza e alla realtà della costruzione europea. Con un tratto di penna sono cancellati i riferimenti alla bandiera con un cerchio di dodici stelle dorate su sfondo blu, che svettava – e, naturalmente, continuerà a svettare – su uffici pubblici e scuole in Europa; via il motto “Unita nella diversità”, che pure esprime in maniera esemplare la ricchezza più profonda dell’Europa, risultante dalle sue differenze culturali, linguistiche, artistiche, filosofiche, naturali e, perché no, gastronomiche, e che certo, malgrado l’eliminazione, non verrà ad appiattirsi in un grigio quadro, omologato su un improbabile modello unitario europeo; anche la giornata della storica Dichiarazione del 9 maggio 1950 di Schuman è cancellata, ma ciò non impedirà di continuare a celebrare con affettuosa simpatia “San Schuman”! Anche l’Inno alla gioia è espunto dai simboli dell’Unione, con il suo messaggio di fratellanza affidato non solo alle note di Beethoven, ma all’esortazione di Schiller: “Alle Menschen werden Brüder”.
Certo, si tratta di simboli, non di norme; talvolta di termini (costituzione, legge), la cui eliminazione non è detto che implichi necessariamente un’alterazione della sostanza giuridica. Ma, anzitutto, nomina sunt consequentia rerum; e invero le scelte operate in tal senso dalla Conferenza intergovernativa mettono in luce l’inclinazione ad assumere, per il futuro europeo, un tono dimesso (se non meschino), privo di qualsiasi tensione morale e ideale. Dal contenuto del Trattato di Lisbona, compresi i suoi Protocolli e le Dichiarazioni allegate, si ha la sensazione di una costante preoccupazione dei governi di rivendicare le proprie competenze, talvolta – come è stato osservato (Ziller) – “con una vera litania di riaffermazioni pleonastiche” che, in definitiva, ribadiscono, a proposito di varie disposizioni del Trattato, che l’Unione ha una competenza di attribuzione. Come ha osservato il Parlamento europeo già nel parere dell’11 luglio 2007, relativamente al mandato affidato alla Conferenza intergovernativa del Consiglio europeo del 21 e 22 giugno 2007, tale mandato dà “un’impressione di sfiducia nei confronti dell’Unione e delle sue istituzioni”.
Il revirement rispetto alla “Costituzione europea” è confermato dall’approccio seguito nella elaborazione del nuovo testo: mentre il processo che aveva condotto all’approvazione della prima (anche grazie al ruolo determinante della “Convenzione” presieduta da Giscard d’Estaing) era stato democratico, trasparente, partecipato, al contrario, il Trattato di Lisbona è stato il frutto di un negoziato puramente diplomatico-governativo, al quale l’opinione pubblica è restata sostanzialmente estranea, imbrigliato, com’era sin dalla sua partenza, dal mandato rigido fissato dal Consiglio europeo, cioè dall’organo più verticistico e distante dai cittadini dell’Unione.
Va osservato che anche la scelta “tecnica” di non sostituire i Trattati vigenti con uno nuovo, ma di integrare le modifiche nei due Trattati UE e CE (sebbene quest’ultimo denominato diversamente) conferma il “tono dimesso” del quale dicevamo. Anzitutto, tale tecnica, incanalandosi nel quadro esistente dei due Trattati (a parte quello Euratom), evita di mettere in luce un “salto di qualità” nel processo d’integrazione europea quale poteva emergere dal nuovo testo unitario della “Costituzione” (sia pure con gli eccessi di enfasi e di retorica che questa aveva suscitato). Essa, inoltre, è ben lontana da quelle proposte, che pure da più parti erano state autorevolmente avanzate, di articolare il nuovo Trattato in due testi, l’uno contenente i principi e le norme fondamentali, di contenuto propriamente “costituzionale”, l’altro di tipo “funzionale” (contenente in larga misura le disposizioni della parte III del Trattato costituzionale). I due Trattati che risultano dal Trattato di Lisbona sono essenzialmente i testi, riveduti e corretti, dei Trattati UE e CE; essi hanno il medesimo valore giuridico (art. 1 TUE) e non vi è alcun rapporto di superiorità gerarchica del primo rispetto al secondo.
Il Trattato di Lisbona, tuttavia, richiede una più pacata valutazione nella base di un raffronto tra i suoi contenuti e quelli, da un lato, della Costituzione europea, dall’altro, e principalmente, dell’attuale assetto giuridico dell’Unione e della Comunità europea. Se si approfondiscono i suoi contenuti, al di là della deludente im-pressione iniziale, ci si accorge che, in realtà, la gran parte delle innovazioni presenti nel Trattato costituzionale è stata salvata, distribuendola fra i due Trattati modificati, anche se, spesso, con espressioni meno appariscenti rispetto al testo costituzionale.
Così, in primo luogo, i principi democratici, sia nella loro espressione rappresentativa che in quella partecipativa (con il potere d’iniziativa popolare), sono sostanzialmente riaffermati; ed era questo uno degli elementi di maggiore progresso del Trattato costituzionale. Anche sul versante dei diritti umani, parametro fondamentale per apprezzare uno sviluppo del processo europeo in senso sostanzialmente “costituzionale”, il Trattato di Lisbona conferma sia il valore giuridicamente obbligatorio della Corte di Nizza che l’adesione dell’Unione europea alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La stessa eliminazione del Ministro degli affari esteri è più apparente che reale, dato che il ruolo a lui originariamente assegnato è affidato all’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Pure la scomparsa dei termini di legge e legge quadro è compensata dalla previsione secondo la quale il procedimento di codecisione rappresenta il procedimento legislativo ordinario, garantendo così un significativo avanzamento dei poteri del Parlamento europeo; è inoltre mantenuta la gerarchia tra atti legislativi e atti delegati e di esecuzione. Un altro aspetto che era particolarmente qualificante nella Costituzione europea, l’eliminazione dei pilastri e l’unificazione tra Comunità ed Unione europea, è anch’esso ribadito, con una “comunitarizzazione” della cooperazione di polizia e giudiziaria penale, mentre la PESC mantiene la sua specificità intergovernativa (come, del resto, nella stessa Costituzione europea). Per quanto riguarda il ruolo dei parlamenti nazionali, è confermato il loro potere di controllo sia sulle proposte legislative della Commissione, sia, e in maniera più stringente, sul rispetto del principio di sussidiarietà. Anche per la revisione dei Trattati è ribadito l’impiego della “Convenzione”, e quindi di un metodo più trasparente e democratico rispetto alla conferenza intergovernativa; sono confermate pure le procedure di modifica semplificate.
In altri termini, se si guarda la sostanza delle disposizioni del Trattato di Lisbona, esso risulta molto meno lontano dal testo della Costituzione europea di quanto non appaia a prima vista. Non può escludersi che – a parte alcune posizioni di Stati apertamente ostili ad ogni innovazione evocatrice di sviluppi costituzionali (o federali) dell’integrazione europea – il tono dimesso e l’eliminazione di denominazioni e di simboli risultanti dal Trattato di Lisbona siano dovuti anche a ragioni politiche e giuridiche serie: invero, nei Paesi (Francia e Olanda) nei quali la Costituzione europea era stata bocciata mediante referendum, come in quelli nei quali era emerso comunque un atteggiamento dubbioso o contrario alla sua ratifica, occorreva presentare un testo che apparisse (anche più di quanto non lo fosse realmente) profondamente diverso da quello bocciato. Inoltre, la modestia dei termini, delle denominazioni, delle aspirazioni, che connota il Trattato di Lisbona, ne può agevolare il percorso di approvazione in vari Stati, sottraendolo alla necessità (o all’opportunità) di sottoposizione a referendum o a procedimenti costituzionali più complessi. In qualche misura, quindi, l’ex Trattato costituzionale, dismessi gli abiti fastosi, che avevano contribuito al suo insuccesso, ha assunto vesti più modeste che potranno probabilmente agevolare la sua accettazione.
Certo, il (parziale) recupero dei contenuti del Trattato costituzionale in quello di Lisbona ha avuto il suo prezzo. Ci riferiamo alle numerose clausole di opting in e opting out; al differimento della entrata in vigore del nuovo procedimento di votazione del Consiglio; al meccanismo di rinvio dal Trattato UE alla Carta di Nizza, con connesso Protocollo che ne limita la “giustiziabilità” per il Regno Unito e la Polonia; al diritto di recesso (già previsto dalla Costituzione europea); alle ampie possibilità di coo-perazioni rafforzate (che, peraltro, presentano il vantaggio di non bloccare i Paesi più attivi e disponibili a sviluppare l’integrazione europea); al singolare meccanismo di adesione dell’Unione alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che è subordinata alla previa approvazione degli Stati membri, conformemente alle rispettive norme costituzionali; alla possibilità che, attraverso una revisione dei Trattati, possano essere ridotte le competenze attribuite all’Unione. Quest’ultima disposizione (art. 33 TUE) segna una brusca inversione di tendenza rispetto al principio, che sembrava fuori discussione, di una intangibilità dell’acquis comunitario, risultante anche dal testo vigente dell’art. 2 TUE, il quale pone tra gli obiettivi dell’Unione quello di “mantenere integralmente l’acquis comunitario e svilupparlo”.
In via conclusiva, credo che, di fronte alla crisi apertasi con le bocciature referendarie della Costituzione europea, c’è da compiacersi, comunque, che la situazione di stallo sia stata superata e che sia ripreso il cammino europeo. Il Trattato, in ogni caso, apre al cittadino europeo degli spazi di partecipazione e di democrazia più ampi di quelli disponibili allo stato attuale. È auspicabile che tali spazi siano utilizzati appieno e che i cittadini possano riappropriarsi della costruzione europea (che anche in questa tappa è risultata, in definitiva, frutto di decisioni assunte dall’alto), dando ad essa fondamenta più autentiche e condivise e, per ciò stesso, più solide e sicure.
Nelle pagine che seguono sono pubblicate le relazioni svolte da autorevoli specialisti nel Convegno, organizzato dall’Università di Roma Tre e tenutosi presso tale Università il 19 novembre 2007, dedicato ad una prima riflessione sul Trattato di Lisbona.