LA CONFERENZA MINISTERIALE DI CANCÙN E IL PROBLEMA IRRISOLTO DELLE SOVVENZIONI ALL’AGRICOLTURA
Archivio > Anno 2003 > Ottobre 2003
di Valeria DI COMITE
Dal
10 a 15 settembre si è svolta a Cancùn (Messico) la quinta Conferenza
Ministeriale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. In tale sede, i
rappresentanti dei 146 Stati membri dell’OMC avrebbero dovuto rendere
finalmente concreti gli obiettivi indicati nella Dichiarazione
Ministeriale di Doha, del 14 novembre del 2001. La Conferenza di Doha,
conosciuta come Round per lo sviluppo, ha avviato ulteriori negoziati
per una maggiore liberalizzazione degli scambi internazionali e
contestualmente per rafforzare la tutela degli interessi dei paesi in
via di sviluppo. Alcune delle principali questioni oggetto delle
negoziati si sono incentrate sul tema del commercio dei prodotti
agricoli, con l’obiettivo di instaurare un sistema di scambi agricoli
equo ed orientato verso il mercato. In particolare bisognava risolvere
le questioni concernenti l’accesso ai mercati; le sovvenzioni interne e
quelle all’esportazione; nonché il trattamento speciale e differenziato
dei PVS. Uno dei temi più scottanti delle negoziazioni riguardava,
quindi, la riforma dell’accordo sull’agricoltura concluso al termine
dell’Uruguay Round. Riforma prevista dallo stesso accordo che, a causa
della mancata soluzione di tale problematiche, stabiliva all’art. 20
l’avvio di ulteriori negoziati per rendere effettiva una progressiva
riduzione del sostegno e della protezione del mercato agricolo. Si
prevedeva, inoltre, che fosse necessario trattare alcune tematiche non
commerciali come la tutela dell’ambiente; la sicurezza alimentare e lo
sviluppo rurale.
Ancor prima dell’inizio della Conferenza Ministeriale di Cancùn, erano forti i timori che sarebbe stato difficile raggiungere un compromesso tra le varie delegazioni. Già durante tutta la fase dei negoziati iniziata a seguito della Dichiarazione di Doha si potevano intravedere quelle che sarebbero state le posizioni definitive di diversi Stati membri. Chiaramente la posizione degli Stati Uniti e dell’Unione europea, da una parte, e dal Gruppo di Cairns (gruppo formato dai 17 piú importanti esportatori di prodotti agricoli) dall’altra, aveva giocato un ruolo fondamentale per i negoziati sulla liberalizzazione del settore agricolo. Questi ultimi infatti ritengono che i sistemi di sostegno all’agricoltura europeo e americano, costituiscano un’inaccettabile forma di protezione che non solo impedisce l’accesso a tali mercati, ma per di più attraverso le sovvenzioni all’esportazione altera slealmente il prezzo dei prodotti agricoli nel mercato internazionale. Per tali motivi il gruppo dei paesi esportatori richiedeva una riforma radicale che comportasse non solo l’eliminazione delle sovvenzioni all’esportazione, ma anche di quelle interne.
È opportuno sottolineare che in relazione al sostegno all’agricoltura la posizione delle grandi potenze non è univoca, ma costituisce la base di reciproche accuse. Da una parte l’UE ritiene che la riforma della PAC(politica agricola comune) del 2002 abbia già da-to prova di un proprio tentativo per andare incontro alle esigenze di maggiore trasparenza e liberalizzazione del mercato agricolo. Al contrario, il Farm Bill firmato da Bush il 13 maggio 2002, anziché far diminuire il sostegno accordato alle proprie imprese agricole, ha aumentato di un 70% le sovvenzioni all’agricoltura. Inoltre, lo stesso sistema federale statunitense impedisce una trasparenza in relazione alle sovvenzioni nordamericane all’agricoltura poiché, diversamente da quanto accade nell’UE, ogni singolo Stato federato è libero di realizzare una propria politica agricola.
Nonostante tali differenze, l’interesse comune degli Stati Uniti e dell’Unione europea, in relazione ad una maggiore liberalizzazione dei mercati per i prodotti industriali e alla necessità di fare fronte comune rispetto al posizione dei maggiori esportatori dei prodotti agricoli, li ha indotti a presentare un progetto comune. Tale progetto è stato considerato troppo vago da parte di alcuni Stati, come il Brasile e l’India, poiché non venivano precisate le modalità per garantire l’accesso ai mercati agricoli per i paesi in via di sviluppo. La formazione di un nuovo gruppo di paesi esportatori il cd. Gruppo dei 23, che riuniva in prima linea dei paesi con un forte potere negoziale come il Brasile, la Cina, l’India, l’Argentina e il Sud Africa, ha consentito loro di fare pressione in relazione al mercato agricolo - in particolare nei settori del cotone e del mais - sulla posizione congiunta di Stati Uniti e Unione europea.
Il tentativo degli Stati Uniti, dell’UE e del Giappone di includere nel testo della Dichiarazione finale anche tematiche relative alla protezione degli investimenti e alle regole sulla concorrenza, tuttavia, è stato contrastato dai PVS. Il mancato accordo su una dichiarazione finale ha provocato il fallimento della Conferenza di Cancùn, fallimento che costituisce un grave colpo per la OMC, e per i paesi più poveri in considerazione dei miglioramenti che erano stati previsti in relazione alla liberalizzazione dell’agricoltura. Numerose sono state le voci soddisfatte di questo insuccesso, specialmente dei movimenti antiglobal, che considerano l’OMC un foro per i ricchi. Ritengo, invece, che sia alto il rischio che questo fallimento comporti il prevalere dell’unilateralismo sul multilateralismo anche nell’ambito commerciale. Gli Stati Uniti hanno già iniziato a concludere una serie di accordi bilaterali in materia commerciale, considerando che se il sistema multilaterale non funziona è necessario dare spazio alle relazioni commercial bilaterali. La mancanza di trasparenza di tali accordi non è certo favorevole ai paesi più poveri.
Ancor prima dell’inizio della Conferenza Ministeriale di Cancùn, erano forti i timori che sarebbe stato difficile raggiungere un compromesso tra le varie delegazioni. Già durante tutta la fase dei negoziati iniziata a seguito della Dichiarazione di Doha si potevano intravedere quelle che sarebbero state le posizioni definitive di diversi Stati membri. Chiaramente la posizione degli Stati Uniti e dell’Unione europea, da una parte, e dal Gruppo di Cairns (gruppo formato dai 17 piú importanti esportatori di prodotti agricoli) dall’altra, aveva giocato un ruolo fondamentale per i negoziati sulla liberalizzazione del settore agricolo. Questi ultimi infatti ritengono che i sistemi di sostegno all’agricoltura europeo e americano, costituiscano un’inaccettabile forma di protezione che non solo impedisce l’accesso a tali mercati, ma per di più attraverso le sovvenzioni all’esportazione altera slealmente il prezzo dei prodotti agricoli nel mercato internazionale. Per tali motivi il gruppo dei paesi esportatori richiedeva una riforma radicale che comportasse non solo l’eliminazione delle sovvenzioni all’esportazione, ma anche di quelle interne.
È opportuno sottolineare che in relazione al sostegno all’agricoltura la posizione delle grandi potenze non è univoca, ma costituisce la base di reciproche accuse. Da una parte l’UE ritiene che la riforma della PAC(politica agricola comune) del 2002 abbia già da-to prova di un proprio tentativo per andare incontro alle esigenze di maggiore trasparenza e liberalizzazione del mercato agricolo. Al contrario, il Farm Bill firmato da Bush il 13 maggio 2002, anziché far diminuire il sostegno accordato alle proprie imprese agricole, ha aumentato di un 70% le sovvenzioni all’agricoltura. Inoltre, lo stesso sistema federale statunitense impedisce una trasparenza in relazione alle sovvenzioni nordamericane all’agricoltura poiché, diversamente da quanto accade nell’UE, ogni singolo Stato federato è libero di realizzare una propria politica agricola.
Nonostante tali differenze, l’interesse comune degli Stati Uniti e dell’Unione europea, in relazione ad una maggiore liberalizzazione dei mercati per i prodotti industriali e alla necessità di fare fronte comune rispetto al posizione dei maggiori esportatori dei prodotti agricoli, li ha indotti a presentare un progetto comune. Tale progetto è stato considerato troppo vago da parte di alcuni Stati, come il Brasile e l’India, poiché non venivano precisate le modalità per garantire l’accesso ai mercati agricoli per i paesi in via di sviluppo. La formazione di un nuovo gruppo di paesi esportatori il cd. Gruppo dei 23, che riuniva in prima linea dei paesi con un forte potere negoziale come il Brasile, la Cina, l’India, l’Argentina e il Sud Africa, ha consentito loro di fare pressione in relazione al mercato agricolo - in particolare nei settori del cotone e del mais - sulla posizione congiunta di Stati Uniti e Unione europea.
Il tentativo degli Stati Uniti, dell’UE e del Giappone di includere nel testo della Dichiarazione finale anche tematiche relative alla protezione degli investimenti e alle regole sulla concorrenza, tuttavia, è stato contrastato dai PVS. Il mancato accordo su una dichiarazione finale ha provocato il fallimento della Conferenza di Cancùn, fallimento che costituisce un grave colpo per la OMC, e per i paesi più poveri in considerazione dei miglioramenti che erano stati previsti in relazione alla liberalizzazione dell’agricoltura. Numerose sono state le voci soddisfatte di questo insuccesso, specialmente dei movimenti antiglobal, che considerano l’OMC un foro per i ricchi. Ritengo, invece, che sia alto il rischio che questo fallimento comporti il prevalere dell’unilateralismo sul multilateralismo anche nell’ambito commerciale. Gli Stati Uniti hanno già iniziato a concludere una serie di accordi bilaterali in materia commerciale, considerando che se il sistema multilaterale non funziona è necessario dare spazio alle relazioni commercial bilaterali. La mancanza di trasparenza di tali accordi non è certo favorevole ai paesi più poveri.