RAPPORTI TRA LOTTA AL TERRORISMO E DIRITTI UMANI SECONDO IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
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Con
le sentenze del 21 settembre 2005 relative ai casi Yusuf e Al Barakaat
International Foundation c. Con-siglio e Commissione (T-306/01) e Kadi
c. Consiglio e Commissione (T-315/01), il Tribunale di I grado della CE
si è pronunciato sui rapporti tra la normativa dell’Unione, adottata
nell’ambito della PESC per impedire i finanziamenti al terrorismo
internazionale, e il rispetto dei diritti umani fondamentali.
È noto che per contrastare il terrorismo internazionale l’UE, in esecuzione delle risoluzioni con le quali il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (d’ora in avanti, Cds ed NU) ha disposto il congelamento dei capitali e delle risorse finanziarie dei Talebani, di Bin Laden e delle persone ed entità associate a Bin Laden, ha adottato numerose posizioni comuni attuate, laddove fosse necessaria un’azione della CE, da appositi regolamenti comunitari. Le persone ed entità associate a Bin Laden sono individuate in un elenco dal Comitato per le sanzioni contro i Talebani, istituito con risoluzione 1267, del 15 ottobre 1999.
Nel suddetto elenco, recepito nell’allegato al regolamento comunitario 467/2001, del 6 marzo 2001, figurano i ricorrenti Yusuf, Al Barakaat International Foundation e Kadi. Gli stessi hanno chiesto al Tribunale di I istanza l’annullamento del regolamento in parola, adducendo la violazione dei propri diritti fondamentali alla proprietà, alla difesa e ad un ricorso giurisdizionale effettivo. Tale richiesta ha avuto successivamente ad oggetto il regolamento 881/2002, del 27 maggio 2002, nel quale è stato trasfuso, processo pendente, il citato regolamento 467/2001.
Nelle due sentenze, il Tribunale ha anzitutto affrontato la questione relativa ai rapporti tra UE e ONU nel campo del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Si trattava di esaminare se la CE fosse fornita o no di discrezionalità nell’attuazione delle pertinenti risoluzioni del Cds e, di conseguenza, se il sindacato giurisdizionale del Tribunale incontrasse limiti di carattere procedurale rispetto al regolamento impugnato per violazione dei diritti fondamentali dei ricorrenti, posto che, in caso di competenza vincolata della CE, un eventuale annullamento dello stesso equivarrebbe a dichiarare incidentalmente la contrarietà delle risoluzioni del Cds ai suddetti diritti umani, così sindacando il contenuto delle risoluzioni del Cds.
Il Tribunale ha rilevato che gli Stati membri delle NU sono obbligati a dare esecuzione alle decisioni del Cds in materia di mantenimento della pace e della sicurezza internazionale (art. 25, Carta NU); peraltro né l’UE, né la CE sono Membri dell’ONU. Tuttavia, ai sensi dell’art. 103 della Carta, gli obblighi derivanti dalla stessa nonché dalle decisioni del Cds prevalgono su quelli nascenti da altri impegni pattizi degli Stati membri, tra i quali figurano gli obblighi derivanti dal diritto comunitario.
Tale preminenza è riconosciuta dall’art. 307, TCE – in quanto la Carta dell’ONU è accordo anteriore al Trattato comunitario – e dall’art. 297, TCE. Secondo il Tribunale, quest’ultima norma esprimerebbe l’impegno della CE a non ostacolare l’esecuzione da parte degli Stati degli obblighi in materia di mantenimento della pace e della sicurezza internazionale: infatti, per evitare pregiudizi al mercato comune, essa prevede l’obbligo di consultazione tra i Membri circa le misure adottate a tale scopo da uno Stato. Dal combinato disposto delle norme richiamate, il Tribunale ha desunto che gli Stati membri della CE non hanno potuto trasferire le competenze da essi stessi non possedute all’atto della stipulazione del TCE; ricordato che ai sensi dell’art. 48 della Carta i Membri dell’ONU possono attuare le decisioni del Cds singolarmente o per mezzo delle organizzazioni internazionali di cui siano Parti, il Tribunale ha concluso che, ove la CE abbia assunto “poteri già spettanti agli Stati membri nell’ambito di applicazione della Carta delle NU, le disposizioni di questa sono vincolanti per la Comunità” (par. 253, caso Yusuf e Al Barakaat International Foundation; par. 203; caso Kadi).
Su queste basi, il Tribunale ha rilevato che la Carta riafferma la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, che essa include tra i fini dell’Organizzazione la promozione della tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e che chiede al Consiglio di esercitare i suoi poteri nel rispetto dei fini e dei principi della Carta, con la conseguenza che le risoluzioni del Cds devono osservare lo ius cogens per essere legittime, e ha analizzato incidentalmente la conformità delle risoluzioni in discorso rispetto a siffatto diritto “inteso come un ordinamento pubblico internazionale che si impone nei confronti di tutti i soggetti del diritto internazionale, compresi gli organi dell’ONU, e al quale non è possibile derogare” (par. 277, caso Yusuf e Al Barakaat International Foundation; par. 226, caso Kadi). Il Tribunale ha infine dato soluzione negativa alla questione se le limitazioni e deroghe dei diritti di proprietà, di difesa e ad un ricorso giurisdizionale effettivo, lamentate dai ricorrenti, possano costituire violazioni di norme cogenti.
In particolare, per quanto concerne la supposta lesione del diritto di proprietà dei ricorrenti, il Tribunale ha ammesso che si tratta di una restrizione temporanea e suscettibile di revisione periodica ed ha escluso che possa costituire, nel caso di specie, un trattamento disumano e degradante (par. 291, caso Yusuf e Al Barakaat International Foundation; par. 240, caso Kadi), in quanto sia le risoluzioni del Cds, che il regolamento impugnato prevedono che le competenti autorità nazionali, su richiesta degli interessati e salva l’opposizione del Comitato per le sanzioni contro i Talebani, possano escludere dal congelamento le risorse destinate a coprire le spese per affitti, ipoteche, medicinali o cure mediche. Ciò renderebbe la restrizione del diritto di proprietà non arbitraria e sproporzionata rispetto alla tutela della sicurezza pubblica, in conformità all’art. 17 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, del 10 dicembre 1948. Nell’esame della presunta violazione del diritto alla difesa, il Tribunale ha distinto tra il diritto ad essere ascoltati dal Comitato per le sanzioni contro i Talebani prima della loro inclusione nell’elenco e il diritto ad essere ascoltati dalle istituzioni comunitarie prima dell’adozione del regolamento.
Quest’ultimo non sussisterebbe nella specie, poiché “il principio di diritto comunitario relativo al contraddittorio non si può applicare in circostanze del genere in cui l’audizione dell’interessato non potrebbe in nessun caso portare l’istituzione a rivedere la propria posizione” (par. 328, caso Yusuf e Al Barakaat International Foundation; par. 258, caso Kadi).
Il Tribunale ha affermato altresì l’inesistenza nell’ambito delle norme imperative dell’ordinamento internazionale del diritto ad essere ascoltato dal Comitato prima dell’inclusione nell’elenco ed ha aggiunto che tale audizione comprometterebbe la realizzazione dell’interesse generale perseguito tramite il congelamento dei beni. Il Tribunale ha riconosciuto che il Cds ha invece assicurato il diritto alla difesa attraverso la possibilità del ricorso al Comitato per ottenere la cancellazione del nome dall’elenco.
La procedura tuttavia può essere attivata solo da parte dello Stato, su richiesta della persona interessata. La limitazione del diritto della persona coinvolta ad essere ascoltata direttamente, secondo il Tribunale, sarebbe legittima, poiché adeguatamente compensata dal ruolo attribuito alle autorità statali. Queste ultime, infatti, svolgono una funzione essenziale già nell’individuazione delle persone da sanzionare con il congelamento dei beni, fornendo in proposito informazioni e indizi al Comitato per le sanzioni contro i Talebani (par. 315, caso Yusuf e Al Barakaat International Foundation; par. 268, caso Kadi) ed un eventuale loro rifiuto arbitrario di chiedere al Comitato il riesame è impugnabile dagli interessati dinanzi alle giurisdizioni nazionali. In ogni caso, sarebbe invece escluso il diritto dello Stato e delle persona interessata di accedere alle prove che hanno portato all’iscrizione del nome in elenco, in quanto il segreto è essenziale per non pregiudicare l’azione contro il terrorismo.
Infine, il Tribunale ha rilevato che il diritto ad un ricorso giurisdizionale effettivo è per sua natura derogabile in caso di pericolo pubblico eccezionale che minaccia l’esistenza della Nazione (art. 4, n. 1, Patto internazionale sui diritti civili e politici dell’ONU, del 16 dicembre 1966) e di immunità dalla giurisdizione degli Stati e delle organizzazioni internazionali (par. 342, caso Yusuf e Al Barakaat International Foundation; par. 287, caso Kadi), sicché sarebbe dunque conforme al diritto cogente la scelta del Cds di non prevedere a favore dell’interessato alcun ricorso giurisdizionale diretto contro la inclusione del proprio nome nell’elenco redatto dal Comitato.
Ciò in considerazione della prevalenza della necessità di tutelare la sicurezza internazionale; del carattere temporaneo delle misure conseguenti all’iscrizione; nonché della previsione di un meccanismo di riesame delle misure adottate dinanzi al Comitato (parr. 344-345, caso Yusuf e Al Barakaat International Foundation; parr. 289-290; caso Kadi).
Siffatte considerazioni limiterebbero altresì i poteri del Tribunale alla sola verifica che il regolamento impugnato rispetti i requisiti di forma e lo ius cogens; in altri termini, ogni altra valutazione di merito comporterebbe la sostituzione della discrezionalità del Tribunale a quella del Cds, nel campo del mantenimento della pace e sicurezza internazionali.
In conclusione, se non pare dubbio che il Tribunale non abbia la competenza di valutare la legittimità delle risoluzioni del Cds, è legittimo chiedersi per quale ragione esso abbia voluto comunque verificarne la conformità allo ius cogens, categoria alla quale è improbabile appartengano i diritti di cui i ricorrenti lamentavano la lesione. È plausibile che la scelta del Tribunale, per quanto non corretta dal punto di vista procedurale, sia dettata dalla volontà di ribadire l’importanza per l’UE del rispetto dei diritti umani fondamentali, nonché di dimostrare che i diritti dei ricorrenti sono stati derogati e limitati conformemente al diritto internazionale.
Va altresì ricordato che l’ONU è in prima linea nel richiamare gli Stati a lottare contro il terrorismo nel rispetto dei diritti umani fondamentali (attività che appare congruente con quanto raccomandato dall’Assemblea Generale, da ultimo, con la risoluzione 59/191, del 20 dicembre 2004), che il Tribunale stesso ha ammesso che il Cds è vincolato dalla Carta al rispetto di tutti i diritti umani fondamentali e non dei soli diritti umani riconosciuti dallo ius cogens (parr. 279-280 Yusuf e Al Barakaat International Foundation; parr. 228-229, caso Kadi), che sarebbe dunque contraddittorio che il Cds fosse legittimato a violare i diritti umani nel disporre il congelamento dei capitali dei presunti terroristi, che, ove ciò avvenga, gli Stati (e, di conseguenza l’UE) probabilmente non sarebbero vincolati ad attuare le risoluzioni in questione, in quanto illegittime rispetto alla Carta.
Infine, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha più volte ribadito che gli Stati membri non sono giustificati qualora ledano i diritti garantiti dalla Convenzione europea sulla salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, del 4 no-vembre 1950, per dare attuazione al diritto comunitario. Anche alla luce della recente sentenza nella quale la Corte europea ha affermato il principio della protezione equivalente dei diritti fondamentali (affare Bosphorus Hava Yollary Turizm ve Ticaret Anonim ªirketi c. Irlanda, del 30 giugno 2005), resta pertanto da domandarsi se la Corte potrebbe condannare gli Stati UE per aver dato esecuzione a regolamenti comunitari, emanati sulla base di risoluzioni del Cds, che violino i diritti garantiti dalla Convenzione.
Nel caso di specie, taluni dubbi potrebbero profilarsi circa la idoneità del ricorso, proposto per il tramite dello Stato ad un organo politico quale il Comitato per le sanzioni contro i Talebani, ad assicurare il rispetto dei requisiti di necessità e, soprattutto, di proporzionalità nella deroga al diritto al giusto processo (artt. 6 e 15, Convenzione), nonostante tale procedura sia disciplinata nei dettagli dalle direttive per la condotta dei lavori del Comitato, adottate il 7 novembre 2002 ed emendate il 10 aprile 2003, “allo scopo di tenere conto, per quanto possibile, dei diritti fondamentali della persone incluse in elenco” (par. 312, caso Yusuf e Al Barakaat International Foundation; par. 265, caso Kadi).
È noto che per contrastare il terrorismo internazionale l’UE, in esecuzione delle risoluzioni con le quali il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (d’ora in avanti, Cds ed NU) ha disposto il congelamento dei capitali e delle risorse finanziarie dei Talebani, di Bin Laden e delle persone ed entità associate a Bin Laden, ha adottato numerose posizioni comuni attuate, laddove fosse necessaria un’azione della CE, da appositi regolamenti comunitari. Le persone ed entità associate a Bin Laden sono individuate in un elenco dal Comitato per le sanzioni contro i Talebani, istituito con risoluzione 1267, del 15 ottobre 1999.
Nel suddetto elenco, recepito nell’allegato al regolamento comunitario 467/2001, del 6 marzo 2001, figurano i ricorrenti Yusuf, Al Barakaat International Foundation e Kadi. Gli stessi hanno chiesto al Tribunale di I istanza l’annullamento del regolamento in parola, adducendo la violazione dei propri diritti fondamentali alla proprietà, alla difesa e ad un ricorso giurisdizionale effettivo. Tale richiesta ha avuto successivamente ad oggetto il regolamento 881/2002, del 27 maggio 2002, nel quale è stato trasfuso, processo pendente, il citato regolamento 467/2001.
Nelle due sentenze, il Tribunale ha anzitutto affrontato la questione relativa ai rapporti tra UE e ONU nel campo del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Si trattava di esaminare se la CE fosse fornita o no di discrezionalità nell’attuazione delle pertinenti risoluzioni del Cds e, di conseguenza, se il sindacato giurisdizionale del Tribunale incontrasse limiti di carattere procedurale rispetto al regolamento impugnato per violazione dei diritti fondamentali dei ricorrenti, posto che, in caso di competenza vincolata della CE, un eventuale annullamento dello stesso equivarrebbe a dichiarare incidentalmente la contrarietà delle risoluzioni del Cds ai suddetti diritti umani, così sindacando il contenuto delle risoluzioni del Cds.
Il Tribunale ha rilevato che gli Stati membri delle NU sono obbligati a dare esecuzione alle decisioni del Cds in materia di mantenimento della pace e della sicurezza internazionale (art. 25, Carta NU); peraltro né l’UE, né la CE sono Membri dell’ONU. Tuttavia, ai sensi dell’art. 103 della Carta, gli obblighi derivanti dalla stessa nonché dalle decisioni del Cds prevalgono su quelli nascenti da altri impegni pattizi degli Stati membri, tra i quali figurano gli obblighi derivanti dal diritto comunitario.
Tale preminenza è riconosciuta dall’art. 307, TCE – in quanto la Carta dell’ONU è accordo anteriore al Trattato comunitario – e dall’art. 297, TCE. Secondo il Tribunale, quest’ultima norma esprimerebbe l’impegno della CE a non ostacolare l’esecuzione da parte degli Stati degli obblighi in materia di mantenimento della pace e della sicurezza internazionale: infatti, per evitare pregiudizi al mercato comune, essa prevede l’obbligo di consultazione tra i Membri circa le misure adottate a tale scopo da uno Stato. Dal combinato disposto delle norme richiamate, il Tribunale ha desunto che gli Stati membri della CE non hanno potuto trasferire le competenze da essi stessi non possedute all’atto della stipulazione del TCE; ricordato che ai sensi dell’art. 48 della Carta i Membri dell’ONU possono attuare le decisioni del Cds singolarmente o per mezzo delle organizzazioni internazionali di cui siano Parti, il Tribunale ha concluso che, ove la CE abbia assunto “poteri già spettanti agli Stati membri nell’ambito di applicazione della Carta delle NU, le disposizioni di questa sono vincolanti per la Comunità” (par. 253, caso Yusuf e Al Barakaat International Foundation; par. 203; caso Kadi).
Su queste basi, il Tribunale ha rilevato che la Carta riafferma la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, che essa include tra i fini dell’Organizzazione la promozione della tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e che chiede al Consiglio di esercitare i suoi poteri nel rispetto dei fini e dei principi della Carta, con la conseguenza che le risoluzioni del Cds devono osservare lo ius cogens per essere legittime, e ha analizzato incidentalmente la conformità delle risoluzioni in discorso rispetto a siffatto diritto “inteso come un ordinamento pubblico internazionale che si impone nei confronti di tutti i soggetti del diritto internazionale, compresi gli organi dell’ONU, e al quale non è possibile derogare” (par. 277, caso Yusuf e Al Barakaat International Foundation; par. 226, caso Kadi). Il Tribunale ha infine dato soluzione negativa alla questione se le limitazioni e deroghe dei diritti di proprietà, di difesa e ad un ricorso giurisdizionale effettivo, lamentate dai ricorrenti, possano costituire violazioni di norme cogenti.
In particolare, per quanto concerne la supposta lesione del diritto di proprietà dei ricorrenti, il Tribunale ha ammesso che si tratta di una restrizione temporanea e suscettibile di revisione periodica ed ha escluso che possa costituire, nel caso di specie, un trattamento disumano e degradante (par. 291, caso Yusuf e Al Barakaat International Foundation; par. 240, caso Kadi), in quanto sia le risoluzioni del Cds, che il regolamento impugnato prevedono che le competenti autorità nazionali, su richiesta degli interessati e salva l’opposizione del Comitato per le sanzioni contro i Talebani, possano escludere dal congelamento le risorse destinate a coprire le spese per affitti, ipoteche, medicinali o cure mediche. Ciò renderebbe la restrizione del diritto di proprietà non arbitraria e sproporzionata rispetto alla tutela della sicurezza pubblica, in conformità all’art. 17 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, del 10 dicembre 1948. Nell’esame della presunta violazione del diritto alla difesa, il Tribunale ha distinto tra il diritto ad essere ascoltati dal Comitato per le sanzioni contro i Talebani prima della loro inclusione nell’elenco e il diritto ad essere ascoltati dalle istituzioni comunitarie prima dell’adozione del regolamento.
Quest’ultimo non sussisterebbe nella specie, poiché “il principio di diritto comunitario relativo al contraddittorio non si può applicare in circostanze del genere in cui l’audizione dell’interessato non potrebbe in nessun caso portare l’istituzione a rivedere la propria posizione” (par. 328, caso Yusuf e Al Barakaat International Foundation; par. 258, caso Kadi).
Il Tribunale ha affermato altresì l’inesistenza nell’ambito delle norme imperative dell’ordinamento internazionale del diritto ad essere ascoltato dal Comitato prima dell’inclusione nell’elenco ed ha aggiunto che tale audizione comprometterebbe la realizzazione dell’interesse generale perseguito tramite il congelamento dei beni. Il Tribunale ha riconosciuto che il Cds ha invece assicurato il diritto alla difesa attraverso la possibilità del ricorso al Comitato per ottenere la cancellazione del nome dall’elenco.
La procedura tuttavia può essere attivata solo da parte dello Stato, su richiesta della persona interessata. La limitazione del diritto della persona coinvolta ad essere ascoltata direttamente, secondo il Tribunale, sarebbe legittima, poiché adeguatamente compensata dal ruolo attribuito alle autorità statali. Queste ultime, infatti, svolgono una funzione essenziale già nell’individuazione delle persone da sanzionare con il congelamento dei beni, fornendo in proposito informazioni e indizi al Comitato per le sanzioni contro i Talebani (par. 315, caso Yusuf e Al Barakaat International Foundation; par. 268, caso Kadi) ed un eventuale loro rifiuto arbitrario di chiedere al Comitato il riesame è impugnabile dagli interessati dinanzi alle giurisdizioni nazionali. In ogni caso, sarebbe invece escluso il diritto dello Stato e delle persona interessata di accedere alle prove che hanno portato all’iscrizione del nome in elenco, in quanto il segreto è essenziale per non pregiudicare l’azione contro il terrorismo.
Infine, il Tribunale ha rilevato che il diritto ad un ricorso giurisdizionale effettivo è per sua natura derogabile in caso di pericolo pubblico eccezionale che minaccia l’esistenza della Nazione (art. 4, n. 1, Patto internazionale sui diritti civili e politici dell’ONU, del 16 dicembre 1966) e di immunità dalla giurisdizione degli Stati e delle organizzazioni internazionali (par. 342, caso Yusuf e Al Barakaat International Foundation; par. 287, caso Kadi), sicché sarebbe dunque conforme al diritto cogente la scelta del Cds di non prevedere a favore dell’interessato alcun ricorso giurisdizionale diretto contro la inclusione del proprio nome nell’elenco redatto dal Comitato.
Ciò in considerazione della prevalenza della necessità di tutelare la sicurezza internazionale; del carattere temporaneo delle misure conseguenti all’iscrizione; nonché della previsione di un meccanismo di riesame delle misure adottate dinanzi al Comitato (parr. 344-345, caso Yusuf e Al Barakaat International Foundation; parr. 289-290; caso Kadi).
Siffatte considerazioni limiterebbero altresì i poteri del Tribunale alla sola verifica che il regolamento impugnato rispetti i requisiti di forma e lo ius cogens; in altri termini, ogni altra valutazione di merito comporterebbe la sostituzione della discrezionalità del Tribunale a quella del Cds, nel campo del mantenimento della pace e sicurezza internazionali.
In conclusione, se non pare dubbio che il Tribunale non abbia la competenza di valutare la legittimità delle risoluzioni del Cds, è legittimo chiedersi per quale ragione esso abbia voluto comunque verificarne la conformità allo ius cogens, categoria alla quale è improbabile appartengano i diritti di cui i ricorrenti lamentavano la lesione. È plausibile che la scelta del Tribunale, per quanto non corretta dal punto di vista procedurale, sia dettata dalla volontà di ribadire l’importanza per l’UE del rispetto dei diritti umani fondamentali, nonché di dimostrare che i diritti dei ricorrenti sono stati derogati e limitati conformemente al diritto internazionale.
Va altresì ricordato che l’ONU è in prima linea nel richiamare gli Stati a lottare contro il terrorismo nel rispetto dei diritti umani fondamentali (attività che appare congruente con quanto raccomandato dall’Assemblea Generale, da ultimo, con la risoluzione 59/191, del 20 dicembre 2004), che il Tribunale stesso ha ammesso che il Cds è vincolato dalla Carta al rispetto di tutti i diritti umani fondamentali e non dei soli diritti umani riconosciuti dallo ius cogens (parr. 279-280 Yusuf e Al Barakaat International Foundation; parr. 228-229, caso Kadi), che sarebbe dunque contraddittorio che il Cds fosse legittimato a violare i diritti umani nel disporre il congelamento dei capitali dei presunti terroristi, che, ove ciò avvenga, gli Stati (e, di conseguenza l’UE) probabilmente non sarebbero vincolati ad attuare le risoluzioni in questione, in quanto illegittime rispetto alla Carta.
Infine, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha più volte ribadito che gli Stati membri non sono giustificati qualora ledano i diritti garantiti dalla Convenzione europea sulla salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, del 4 no-vembre 1950, per dare attuazione al diritto comunitario. Anche alla luce della recente sentenza nella quale la Corte europea ha affermato il principio della protezione equivalente dei diritti fondamentali (affare Bosphorus Hava Yollary Turizm ve Ticaret Anonim ªirketi c. Irlanda, del 30 giugno 2005), resta pertanto da domandarsi se la Corte potrebbe condannare gli Stati UE per aver dato esecuzione a regolamenti comunitari, emanati sulla base di risoluzioni del Cds, che violino i diritti garantiti dalla Convenzione.
Nel caso di specie, taluni dubbi potrebbero profilarsi circa la idoneità del ricorso, proposto per il tramite dello Stato ad un organo politico quale il Comitato per le sanzioni contro i Talebani, ad assicurare il rispetto dei requisiti di necessità e, soprattutto, di proporzionalità nella deroga al diritto al giusto processo (artt. 6 e 15, Convenzione), nonostante tale procedura sia disciplinata nei dettagli dalle direttive per la condotta dei lavori del Comitato, adottate il 7 novembre 2002 ed emendate il 10 aprile 2003, “allo scopo di tenere conto, per quanto possibile, dei diritti fondamentali della persone incluse in elenco” (par. 312, caso Yusuf e Al Barakaat International Foundation; par. 265, caso Kadi).