CHE "STORIA" SARA'?
Archivio > Anno 2003 > Ottobre 2003
di Ennio TRIGGIANI
L’ora
del grande appuntamento sta ormai per essere scandita. Un’altra pagina
decisiva nella storia d’Europa è sul punto di essere scritta nel
momento in cui la Conferenza dei Capi di Stato e di Governo sarà
chiamata a discutere ed approvare il Progetto di Trattato costituzionale
europeo espresso dalla Convenzione europea.
Restano i dubbi connessi alla decisione, politica, di adottare il testo senza alcun cambiamento, come auspica Giscard d’Estaing, oppure di operare qualche significativo cambiamento in senso maggiormente “europeistico”, come sostiene Prodi, con il “rischio” peraltro che le eventuali modifiche possano muoversi in ben altra direzione.
Nel frattempo, nostro compito è comunque quello di tentare una valutazione di massima dei risultati raggiunti dalla Convenzione. Il relativo parametro di giudizio (per quanto necessariamente sintetico) non può che ancorarsi al grado di maggiore sopranazionalità che il processo di integrazione europea sarà in grado di raggiungere grazie alla nuova Costituzione europea. Elementi positivi in tale direzione certamente non mancano. Si pensi ad es. alla generalizzata estensione della procedura di codecisione (Consiglio dei ministri e Parlamento europeo) nell’adozione degli atti normativi ed alla qualificazione di questi ultimi finalmente come legge (l’attuale regolamento) e legge quadro (la direttiva), all’ampliamento delle situazioni per le quali si vota a maggioranza, alla riforma della Commissione europea, alla nascita della Procura europea, al pieno inserimento della Carta dei diritti fondamentali nel testo della Costituzione, o ancora alla nascita stessa di una Costituzione europea.
Non mancano peraltro serie perplessità fra le quali mi sembra dover sottolineare, per tutte, l’aver vincolato la politica estera e di sicurezza comune alla pesantezza di un voto unanime che, ancorando le relative scelte ad un misero minimo comune denominatore di 25 (per ora) Stati, rischia di rendere tale politica una mera finzione.
E tuttavia, senza poter in questa sede spingerci in una analisi approfondita, le novità introdotte dal Trattato costituzionale europeo potrebbero consentire a rafforzare il rapporto diretto tra l’U.E. ed i suoi cittadini consentendo a noi tutti di vivere in maniera più piena e forse più consapevole la cittadinanza europea.
L’Europa vive oggi un singolare processo di “nuova unificazione” quale superamento su basi nuove e pluraliste della disaggregazione, prodottasi per secoli nel nostro continente, dei fattori di unificazione prima esistenti (dal latino alle lingue nazionali popolari, dal cattolicesimo alle divisioni intercristiane, dal diritto romano-giustinianeo ai codici nazionali, ecc…). Oggi si evidenzia invece, in controtendenza, un processo irreversibile di successiva costruzione di una realtà singolare fondata certo su profili sia economici che giuridico-istituzionali, ma anche sull’unico disegno strategico incentrato sulla cultura del rispetto delle diverse identità storiche, linguistiche, culturali. Si assiste, in altri termini, alla maturazione della consapevolezza di un destino e di un futuro politico e sociale comune, nella cui prospettiva il reciproco riconoscimento delle differenze può diventare il contrassegno di un’identità comune europea: si tratta di valorizzare le identità nazionali (e sub-nazionali) estendendole a una dimensione sopranazionale europea nella quale esprimere una permanente e comune solidarietà.
In sintesi, il processo appare progressivamente sopranazionale in quanto concretizza il primo tentativo di governo istituzionale e democratico della globalizzazione e fonda la propria ragion d’essere sul paradigma delle libertà e dei diritti prima che su quello dei poteri: è questo il segnale politico più significativo che sembra dedursi dalla analisi del Progetto.
È in questi termini che il livello sopranazionale pare configurarsi come un momento di passaggio più o meno lungo verso la costruzione di una “nuova” realtà statale di tipo federale. Una realtà imperniata sulla progressiva “desovranalizzazione” ma non sulla “denazionalizzazione”, in quanto nessuno deve mettere in discussione la prerogativa della salvaguardia delle diverse specificità culturali nazionali (e sub-nazionali). D’altronde, il principio della “supremazia giuridica” tipico di ogni ordinamento federale non si discosta molto dal c.d. “primato del diritto europeo” che in maniera ormai incontestabile caratterizza l’ordinamento comunitario. Ed è in questo complessivo contesto che va probabilmente ridisegnato il concetto di “sovranità” liberandolo da una accezione di tipo “assoluto”, ormai del tutto astratta e scarsamente realistica, per ricondurla in ambiti più “storici” e comunque funzionalisti.
La complessa realtà europea contemporanea non può che basarsi su di una collaborazione integrata fra ordinamenti giuridici, sulla interazione tra un nuovo ordinamento espressione di una realtà tendenzialmente sopranazionale ed in quanto tale sovraordinata ma fortemente collegata con gli ordinamenti giuridici nazionali. In tale dimensione, il processo in atto può trovare un punto di riferimento, molto importante dal punto di vista politico e sicuramente interessante da quello istituzionale, nella figura delle cooperazioni rafforzate (artt. I-43 e III-322 ss.). È opportuno, in proposito, sottolineare il ricorso al plurale nel delineare tale figura, in quanto con l’uso del singolare si correrebbe il rischio di un “trattato nel trattato” che in fondo amplificherebbe sempre la dimensione intergovernativa. L’aspetto interessante è invece dato dalla esistenza di una pluralità di opzioni riguardo le cooperazioni rafforzate che dovrebbero almeno attenuare il rischio che l’integrazione orizzontale, e cioè l’ampliamento, possa rallentare se non bloccare l’integrazione verticale, e cioè quella funzionalistica.
Le cooperazioni rafforzate possono quindi diventare, quali zone legittime di diritto speciale e di “avanguardia giuridica”, l’elemento trainante rispetto alla prosecuzione del processo di integrazione ancor oggi sottoposto a difficoltà e resistenze di ogni genere. Appare, in proposito, abbastanza singolare che la stessa politica estera di sicurezza comune, finora il tempio dell’unanimità, invece per quanto concerne le cooperazioni rafforzate consenta le decisioni a maggioranza, proprio perché per il T.U.E. la politica estera di sicurezza comune deve salvaguardare i valori e servire gli interessi dell’Unione nel suo insieme, affermando la sua identità, come forza coerente sulla scena internazionale.
In conclusione, l’Unione Europea in questi anni, pur con tutte le dinamiche politiche che ha innescato, resta comunque una comunità di diritto, e nel diritto ha trovato in questi decenni una imprevista forza auto-propulsiva. Si è riproposta quella lotta per il diritto ai fini di una costruzione di una società giusta e democratica, di cui parlava Rudolph von Jhering più di un secolo fa, che un’alta applicazione sta oggi avendo attraverso il processo di integrazione europea. E resta da riflettere su quella capacità profetica di Immanuel Kant, che individuava nel diritto la via maestra per garantire la conquista della pace. La pace tra i Paesi membri, se ben si riflette, è stata la prima importante dimensione sopranazionale raggiunta dall’integrazione europea.
Restano i dubbi connessi alla decisione, politica, di adottare il testo senza alcun cambiamento, come auspica Giscard d’Estaing, oppure di operare qualche significativo cambiamento in senso maggiormente “europeistico”, come sostiene Prodi, con il “rischio” peraltro che le eventuali modifiche possano muoversi in ben altra direzione.
Nel frattempo, nostro compito è comunque quello di tentare una valutazione di massima dei risultati raggiunti dalla Convenzione. Il relativo parametro di giudizio (per quanto necessariamente sintetico) non può che ancorarsi al grado di maggiore sopranazionalità che il processo di integrazione europea sarà in grado di raggiungere grazie alla nuova Costituzione europea. Elementi positivi in tale direzione certamente non mancano. Si pensi ad es. alla generalizzata estensione della procedura di codecisione (Consiglio dei ministri e Parlamento europeo) nell’adozione degli atti normativi ed alla qualificazione di questi ultimi finalmente come legge (l’attuale regolamento) e legge quadro (la direttiva), all’ampliamento delle situazioni per le quali si vota a maggioranza, alla riforma della Commissione europea, alla nascita della Procura europea, al pieno inserimento della Carta dei diritti fondamentali nel testo della Costituzione, o ancora alla nascita stessa di una Costituzione europea.
Non mancano peraltro serie perplessità fra le quali mi sembra dover sottolineare, per tutte, l’aver vincolato la politica estera e di sicurezza comune alla pesantezza di un voto unanime che, ancorando le relative scelte ad un misero minimo comune denominatore di 25 (per ora) Stati, rischia di rendere tale politica una mera finzione.
E tuttavia, senza poter in questa sede spingerci in una analisi approfondita, le novità introdotte dal Trattato costituzionale europeo potrebbero consentire a rafforzare il rapporto diretto tra l’U.E. ed i suoi cittadini consentendo a noi tutti di vivere in maniera più piena e forse più consapevole la cittadinanza europea.
L’Europa vive oggi un singolare processo di “nuova unificazione” quale superamento su basi nuove e pluraliste della disaggregazione, prodottasi per secoli nel nostro continente, dei fattori di unificazione prima esistenti (dal latino alle lingue nazionali popolari, dal cattolicesimo alle divisioni intercristiane, dal diritto romano-giustinianeo ai codici nazionali, ecc…). Oggi si evidenzia invece, in controtendenza, un processo irreversibile di successiva costruzione di una realtà singolare fondata certo su profili sia economici che giuridico-istituzionali, ma anche sull’unico disegno strategico incentrato sulla cultura del rispetto delle diverse identità storiche, linguistiche, culturali. Si assiste, in altri termini, alla maturazione della consapevolezza di un destino e di un futuro politico e sociale comune, nella cui prospettiva il reciproco riconoscimento delle differenze può diventare il contrassegno di un’identità comune europea: si tratta di valorizzare le identità nazionali (e sub-nazionali) estendendole a una dimensione sopranazionale europea nella quale esprimere una permanente e comune solidarietà.
In sintesi, il processo appare progressivamente sopranazionale in quanto concretizza il primo tentativo di governo istituzionale e democratico della globalizzazione e fonda la propria ragion d’essere sul paradigma delle libertà e dei diritti prima che su quello dei poteri: è questo il segnale politico più significativo che sembra dedursi dalla analisi del Progetto.
È in questi termini che il livello sopranazionale pare configurarsi come un momento di passaggio più o meno lungo verso la costruzione di una “nuova” realtà statale di tipo federale. Una realtà imperniata sulla progressiva “desovranalizzazione” ma non sulla “denazionalizzazione”, in quanto nessuno deve mettere in discussione la prerogativa della salvaguardia delle diverse specificità culturali nazionali (e sub-nazionali). D’altronde, il principio della “supremazia giuridica” tipico di ogni ordinamento federale non si discosta molto dal c.d. “primato del diritto europeo” che in maniera ormai incontestabile caratterizza l’ordinamento comunitario. Ed è in questo complessivo contesto che va probabilmente ridisegnato il concetto di “sovranità” liberandolo da una accezione di tipo “assoluto”, ormai del tutto astratta e scarsamente realistica, per ricondurla in ambiti più “storici” e comunque funzionalisti.
La complessa realtà europea contemporanea non può che basarsi su di una collaborazione integrata fra ordinamenti giuridici, sulla interazione tra un nuovo ordinamento espressione di una realtà tendenzialmente sopranazionale ed in quanto tale sovraordinata ma fortemente collegata con gli ordinamenti giuridici nazionali. In tale dimensione, il processo in atto può trovare un punto di riferimento, molto importante dal punto di vista politico e sicuramente interessante da quello istituzionale, nella figura delle cooperazioni rafforzate (artt. I-43 e III-322 ss.). È opportuno, in proposito, sottolineare il ricorso al plurale nel delineare tale figura, in quanto con l’uso del singolare si correrebbe il rischio di un “trattato nel trattato” che in fondo amplificherebbe sempre la dimensione intergovernativa. L’aspetto interessante è invece dato dalla esistenza di una pluralità di opzioni riguardo le cooperazioni rafforzate che dovrebbero almeno attenuare il rischio che l’integrazione orizzontale, e cioè l’ampliamento, possa rallentare se non bloccare l’integrazione verticale, e cioè quella funzionalistica.
Le cooperazioni rafforzate possono quindi diventare, quali zone legittime di diritto speciale e di “avanguardia giuridica”, l’elemento trainante rispetto alla prosecuzione del processo di integrazione ancor oggi sottoposto a difficoltà e resistenze di ogni genere. Appare, in proposito, abbastanza singolare che la stessa politica estera di sicurezza comune, finora il tempio dell’unanimità, invece per quanto concerne le cooperazioni rafforzate consenta le decisioni a maggioranza, proprio perché per il T.U.E. la politica estera di sicurezza comune deve salvaguardare i valori e servire gli interessi dell’Unione nel suo insieme, affermando la sua identità, come forza coerente sulla scena internazionale.
In conclusione, l’Unione Europea in questi anni, pur con tutte le dinamiche politiche che ha innescato, resta comunque una comunità di diritto, e nel diritto ha trovato in questi decenni una imprevista forza auto-propulsiva. Si è riproposta quella lotta per il diritto ai fini di una costruzione di una società giusta e democratica, di cui parlava Rudolph von Jhering più di un secolo fa, che un’alta applicazione sta oggi avendo attraverso il processo di integrazione europea. E resta da riflettere su quella capacità profetica di Immanuel Kant, che individuava nel diritto la via maestra per garantire la conquista della pace. La pace tra i Paesi membri, se ben si riflette, è stata la prima importante dimensione sopranazionale raggiunta dall’integrazione europea.