LA CORTE SI PRONUNCIA SULLA TUTELA DELLA DOP "PARMIGIANO REGGIANO" - Sud in Europa

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LA CORTE SI PRONUNCIA SULLA TUTELA DELLA DOP "PARMIGIANO REGGIANO"

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di Valeria DI COMITE    
Con la sentenza del 26 febbraio 2008 (causa C-132/05, Commissione c. Germania) la Corte di giustizia delle Comunità europee si è pronunciata su un’interessante questione concernente la tutela della denominazione di origine controllata (DOP) “Parmigiano Reggiano”. L’interesse della pronuncia non riguarda esclusivamente il caso di specie ma ha una portata decisamente più ampia, poiché la Corte si è soffermata a chiarire un aspetto particolarmente significativo in merito all’estensione della tutela accordata alle denominazioni di origine protetta ed agli obblighi incombenti sugli Stati membri dell’UE nel predisporre mezzi idonei a garantire siffatta tutela.

1. La sentenza della Corte è stata resa nell’ambito di un ricorso per inadempimento (ai sensi dell’art. 226 TCE) promosso dalla Commissione europea (sostenuta da Repubblica italiana e Repubblica ceca) nei confronti della Repubblica federale di Germania (sostenuta da Regno di Danimarca e Repubblica d’Austria). Detto ricorso aveva ad oggetto il rifiuto della Germania di perseguire di ufficio come condotta illecita l’uso sul proprio territorio della denominazione “parmesan” nell’etichettatura di formaggi non corrispondenti al disciplinare della DOP “parmigiano reggiano”. Il fulcro della decisione della Corte ha dunque riguardato la questione se l’uso della denominazione “parmesan” costituisse un’usurpazione della DOP “parmigiano reggiano”. Per valutare la fondatezza del ricorso la Corte ha analizzato tre diversi aspetti: 1) se in base alla normativa comunitaria la denominazione è protetta solo nella “forma precisa in cui è registrata” o se anche i singoli elementi di una denominazione composta godano della protezione della DOP; 2) se l’uso della denominazione “parmesan” costituisse un’evocazione della DOP “parmigiano reggiano” o se si trattasse di una denominazione generica; e 3) se le forme di tutela predisposte dal sistema tedesco fossero sufficienti a impedire un uso illecito delle DOP ed in particolare della DOP “parmigiano reggiano”, o se fosse obbligatorio in base al diritto comunitario predisporre specifici organi incaricati di controllare il rispetto delle DOP accordate in altri Stati membri.
Prima di analizzare la decisione della Corte bisogna premettere che la tutela delle DOP è disciplinata dal regolamento (CEE) 2081 del Consiglio, del 14 luglio 1992, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed alimentari (pubblicato in GUCE L 208 del 24 luglio 1992 p. 1). L’art. 13 di tale regolamento prevede che: “le denominazioni registrate sono tutelate contro […] b) qualsiasi usurpazione, limitazione, o evocazione, anche se l’origine vera del prodotto è indicata o se la denominazione protetta è una traduzione […]. Se una denominazione registrata contiene la denominazione di un prodotto agricolo o alimentare che è considerata generica, l’uso di questa denominazione generica per il prodotto agricolo o alimentare appropriato non è contrario al primo comma, lettera a) o b)”.

2. In relazione al primo aspetto esaminato nella sentenza, la Commissione riteneva che in base alla regolamentazione comunitaria in caso di denominazione composta da più elementi tutti gli elementi di tale denominazione dovessero essere protetti da utilizzazioni abusive. In altri termini, in tali casi, senza bisogno di registrare ciascun singolo elemento la tutela si estenderebbe a ciascun elemento isolatamente considerato. Per la Commissione questa regola conoscerebbe solo due eccezioni, ossia: la prima riguarda l’ipotesi in cui lo Stato membro interessato nel comunicare la denominazione di origine avesse comunicato di non richiedere la tutela per certe parti della denominazione; e la seconda concerne le situazioni in cui un elemento della denominazione sia considerato una denominazione generica. Ma la Commissione ha escluso che tale situazione si fosse verificata per la denominazione “parmigiano”. Secondo la Repubblica federale tedesca, invece, la tutela dell’art. 13 del regolamento 2081 del 1992 dovrebbe essere riconosciuta solo “nella forma precisa in cui è registrata” e in considerazione del fatto che la Repubblica italiana non avesse registrato la denominazione “parmigiano”, quest’ultima denominazione non rientrerebbe nell’ambito della tutela accordata alla DOP “parmigiano reggiano”. In merito a tale prima questione la Corte ha respinto le argomentazioni del governo tedesco considerando che la tutela possa essere accordata anche ai singoli elementi di una denominazione composita, ricordando peraltro che come già riconosciuto nel caso Chiciak e Fol (sentenza della Corte del 9 giugno 1998, cause riunite C-129/97 e C-130/97 in Raccolta, p. I-3315, punto 38) spetta al giudice nazionale – sulla base di un’approfondita analisi del contesto fattuale – determinare se alcuni elementi della denominazione siano divenuti un nome generico.

3. In merito al secondo aspetto della questione ossia se l’uso della denominazione “parmesan” costituisse un’evocazione della DOP “parmigiano reggiano” la Commissione aveva evidenziato che la commercializzazione di formaggi denominati “parmesan” fosse una violazione dell’art. 13 del regolamento 2081/92 CEE, cit. in quanto il termine “parmesan” è la traduzione della DOP “parmigiano reggiano”. L’espressione parmesan è in effetti la traduzione francese del termine parmigiano, che è poi stata utilizzata anche in altri Stati membri dell’UE compresa la Germania. Ed in base al citato art. 13 anche l’uso di una traduzione costituirebbe una violazione della DOP. Il termine “parmesan” peraltro è un’evocazione della DOP ugualmente vietata dall’art. 13 in quanto il termine parmigiano non sarebbe divenuto un nome generico. La Commissione ha infatti ricordato che “una denominazione geografica potrebbe, nel tempo e attraverso l’uso, diventare una denominazione generica, nel senso che il consumatore potrebbe giungere a considerarla indicazione di un certo tipo di prodotto piuttosto che dell’origine geografica del prodotto stesso”, (sentenza Commissione c. Germania, punto 36). Una simile situazione si era verificata ad esempio nell’uso delle denominazioni camember e brie che attualmente possono considerarsi denominazione generiche. Secondo la Commissione tale cambiamento del valore della denominazione non si era invece verificata nel caso del nome “parmesan” in quanto detta denominazione rimaneva fortemente ancorata alla sua connotazione geografica. Il governo tedesco invece ha eccepito che l’uso della denominazione “parmesan” non costituisse una violazione dell’art. 13 del citato regolamento in quanto tale termine è la mera traduzione del termine “parmigiano” che, secondo la Germania, sarebbe divenuta un denominazione generica atta ad indicare i formaggi di pasta dura. Per rafforzare la sua tesi la Germania aveva sostenuto da un lato che la Corte di giustizia nella sentenza Bigi (sentenza della Corte del 25 giugno 2002, causa C-66/00, Bigi, in Raccolta, p. I-5917, in merito a tale sentenza sia consentito un rinvio al nostro commento "La tutela del parmigiano reggiano nell’interpretazione della Corte di Giustizia", in Sud in Europa, settembre, 2002, p. 14) aveva volutamente evitato di risolvere la questione se il termine “parmesan” costituisse una denominazione generica e dall’altro che la traduzione di una denominazione di origine non comporterebbe automaticamente una violazione di una DOP dovendosi invece verificare in concreto se detta traduzione evochi effettivamente la DOP. Tale situazione, secondo la Germania, non si verificherebbe nel caso di specie ove la traduzione avrebbe “assunto col tempo un altro significato nell’accezione corrente dei consumatori, divenendo in tal modo una denominazione generica” e che in particolare in Germania il termine “parmesan” è “considerato da sempre la denominazione generica di un formaggio a pasta dura grattugiato o da grattugiare” (sentenza Commissione c. Germania, punto 41).
A tal proposito la Corte ha ricordato che in base all’art. 13 del regolamento 2081 del 1992 le denominazioni registrate “sono tutelate contro qualsiasi usurpazione, imitazione, o evocazione, anche se l’origine vera del prodotto è indicata o se la denominazione protetta è una traduzione” (sentenza Commissione c. Germania, punto 43). Secondo la Corte il concetto di “evocazione” riguarda ipotesi in cui il termine usato per individuare un prodotto “incorpori una parte delle denominazione protetta, di modo che il consumatore, in presenza del nome del prodotto, sia indotto ad avere in mente, come immagine di riferimento, la merce che fruisce della denominazione” (sentenza Commissione c. Germania, punto 44 e conclusioni dell’Avvocato generale presentate il 28 giugno 2007, punto 55). L’evocazione secondo la Corte può peraltro verificarsi anche in mancanza di qualunque rischio di confusione dei prodotti.
Per determinare se nel caso di specie la denominazione “parmesan” evocasse la DOP “parmigiano reggiano” la Corte ha messo in evidenza le analogie fonetiche ed ottiche tra le due denominazioni in relazione, tra l’altro, a prodotti simili. In considerazione inoltre della somiglianza concettuale tra i due termini “parmesan” e “parmigiano reggiano” la Corte ha stabilito che l’uso della prima denominazione dovesse considerarsi come un’evocazione della seconda. Pertanto essa non ha ritenuto necessario accertare se il termine “parmesan” fosse la traduzione della DOP “parmigiano reggiano” (sentenza Commissione c. Germania, punti 46-50). In relazione alla questione se in Germania il termine “parmesan” potesse considerarsi una denominazione generica, la Corte, confermando la posizione dell’Avvocato generale Jan Maák (conclusioni dell’Avvocato generale presentate il 28 giugno 2007, punti 63 e 64) ha considerato le prove presentate dalla Germania insufficienti a dimostrare una siffatta evoluzione nell’uso della denominazione “parmesan”. La Germania infatti si era limitata a presentare citazioni tratte dai dizionari, ma non aveva invece prodotto delle prove idonee a dimostrare in concreto in quale modo il termine “parmesan” fosse percepito dai consumatori, non aveva infatti presentato, a titolo esemplificativo, né dati relativi al consumo di tali prodotti né dati relativi all’importazione del parmigiano reggiano dall’Italia né sondaggi. Inoltre dai documenti presentati alla Corte risultava che i formaggi denominati “parmesan” venivano commercializzati con etichette richiamanti tradizioni culturali e paesaggi italiani, per cui alla Corte è apparso possibile dedurre che in Germania i consumatori percepiscono il formaggio “parmesan” come un formaggio associato all’Italia anche se in realtà è stato prodotto in un altro Stato membro. Per tutti questi motivi la Corte rilevando che la Germania non fosse stata in grado di dimostrare che il termine “parmesan” fosse divenuto una denominazione generica, ha considerato che l’utilizzazione del termine “parmesan” fosse lesivo della DOP “parmigiano reggiano”.

4. Infine la Corte ha esaminato un altro aspetto decisivo per determinare se la Germania avesse violato il regolamento comunitario, ossia se le autorità tedesche fossero tenute a perseguire le violazioni dell’art. 13 del regolamento 2081 del 1992. Secondo la Commissione il comportamento della Germania, la quale si era rifiutata di perseguire di ufficio i casi di utilizzazione abusiva della denominazione “parmesan”, costituiva infatti un’omissione contraria al diritto comunitario. La Germania invece riteneva di aver rispettato gli obblighi derivanti dal regolamento 2081 del 1992. Essa dopo aver precisato che, come è noto, le disposizioni dei regolamenti godono di applicazione diretta e possono essere invocate direttamente dai singoli davanti ai giudici nazionali, aveva evidenziato che nel proprio ordinamento giuridico esistevano diverse disposizioni legislative idonee a perseguire l’uso illecito di una DOP e in specie la legge sulla lotta alla concorrenza sleale e la legge relativa alla tutela dei marchi. La Germania ha altresì messo in luce come un’ampia cerchia di soggetti, comprese le organizzazioni dei consumatori, è legittimata a presentare un’azione avverso l’uso abusivo delle DOP e che pertanto i rimedi giurisdizionali già esistenti nel diritto interno dovevano considerarsi sufficienti a ga-rantire la tutela della DOP. La Germania inoltre riteneva che dal regolamento comunitario non discendesse alcun obbligo di stabilire specifiche modalità sanzionatorie in caso di violazione dell’art. 13 del regolamento citato.
A tal proposito è opportuno precisare che l’art. 10 di tale regolamento stabilisce quanto segue: “Gli Stati membri provvedono a che entro sei mesi dall’entrata in vigore del presente regolamento vi siano strutture di controllo aventi il compito di garantire che i prodotti agricoli e alimentari recanti una de-nominazione protetta rispondano ai requisiti del disciplinare” (art. 10, n. 1); “Qualora constatino che un prodotto agricolo o alimentare recante una denominazione protetta originaria del suo Stato membro non risponde ai requisiti del disciplinare, le autorità di controllo designate e/o gli organismi privati di uno Stato membro prendono i necessari provvedimenti per assicurare il rispetto del presente regolamento. Essi informano lo Stato membro delle misure adottate nell’esercizio dei controlli. [...]” (art. 10, n. 4).
La Corte interpretando tale norma, anche alla luce di altre disposizioni del citato regolamento, ha chiarito che l’obbligo di creare organi e sistemi predisposti al controllo dell’uso della DOP nel rispetto del disciplinare compete allo Stato membro di origine del prodotto. Secondo la Corte, dunque, gli organi di controllo obbligati ad assicurare il rispetto del disciplinare delle DOP sono quelli dello Stato da cui proviene il prodotto tutelato dalla DOP. Il controllo sul rispetto della DOP “parmigiano reggiano” è quindi di competenza degli organi italiani e non di quelli tedeschi.
La Corte ha concluso che: a) il sistema normativo e giurisdizionale tedesco è idoneo a garantire la tutela della DOP e, in particolare, non solo degli interessi dei produttori ma anche quelli dei consumatori (come dimostrava peraltro il fatto che fossero pendenti davanti ai giudici interni procedimenti relativi all’uso della denominazione “parmesan” compreso uno avviato dal Consorzio del formaggio parmigiano reggiano); b) non esiste un obbligo di perseguire di ufficio le violazioni del regolamento 2081 del 1992; c) la Commissione non ha dimostrato che la Germania fosse venuta meno agli obblighi derivanti da tale regolamento. La Corte ha dunque deciso di respingere il ricorso di infrazione.

5. La pronuncia della Corte resa nel caso in esame va considerata in modo positivo nella parte in cui tende a chiarire che anche l’uso di traduzioni di un solo elemento di una denominazione composta possano comportare l’evocazione di una DOP e possano pertanto essere perseguite. Tuttavia, a nostro parere, tale pronuncia lascia ancora aperta la questione se il termine “parmesan” possa considerarsi una denominazione generica. Infatti nella decisione è ben precisato che la Germania non è riuscita a provare nel caso di specie che tale situazione si è verificata perché non ha prodotto gli elementi pertinenti a valutare tutti fattori necessari per determinare se una siffatta evoluzione si sia verificata. Non potremmo meravigliarci se in futuro verranno proposti nuovi casi relativi alla questione se la denominazione “parmesan” sia equivalente alla DOP “parmigiano reggiano” e di conseguenza se il termine “parmesan” possa essere utilizzato per contraddistinguere formaggi che non corrispondono al disciplinare. Un altro aspetto della sentenza che, sebbene giuridicamente ineccepibile, manifesta la difficoltà di perseguire l’uso abusivo di denominazioni di origine riguarda la questione del sistema dei controlli idonei a evitare la commercializzazione di prodotti contraddistinti dalla DOP che però non rispondono al disciplinare. L’Avvocato Generale nelle sue conclusioni aveva chiarito infatti che per garantire il rispetto del regolamento è necessario predisporre “due tipi di controllo. (...) Da un lato, occorre monitorare sistematicamente il rispetto del disciplinare della DOP da parte dei produttori attivi nella zona di fabbricazione dei prodotti che recano detta DOP; dall’altro, occorre contrastare l’usurpazione delle DOP al di fuori della zona di produzione” (conclusioni dell’Avvocato generale citate, punto 92). Mentre la prima funzione viene svolta dagli organi di controllo istituiti ai sensi dell’art. 10 del regolamento cit., per quanto concerne la seconda funzione gli Stati, in base al principio di autonomia procedurale, possono garantire l’attuazione del diritto comunitario con le regole sostanziali e procedurali del proprio diritto nazionale. Tuttavia come evidenziato dall’Avvocato generale, sebbene la tutela giurisdizionale nel diritto tedesco potesse considerarsi potenzialmente idonea a tutelare gli interessi anche di soggetti diversi dai produttori, sarebbe opportuno assicurare anche altre forme di controllo che rendano maggiormente effettiva l’attuazione del regolamento. La previsione di tali organi secondo l’Avvocato generale si giustificherebbe in base all’interpretazione dell’art. 10 del regolamento. A nostro avviso l’interpretazione dell’art. 10 del regolamento reso dalla Corte sembra maggiormente rispondente al testo della disposizione e alla funzione della stessa, ma un obbligo degli Stati di garantire l’effettivo rispetto del regolamento anche attraverso forme di controllo amministrativo potrebbe chiaramente fondarsi sulla necessità di garantire l’effettività del diritto comunitario e sul principio di leale collaborazione che dovrebbe sempre informare l’azione degli Stati nell’attuazione del diritto comunitario.
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