I MOVIMENTI DI RIFIUTI E LA TUTELA DELL'AMBIENTE NEL DIRITTO UE
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di Angela RIETI
La
Grande Sezione della Corte di giustizia con la sentenza dell’8
settembre 2009, resa nella causa C-411/06, Commissione c. Parlamento
europeo e Consiglio dell’Unione europea (non ancora pubblicata in
Raccolta) ha statuito sulla validità del fondamento normativo del
regolamento 1013/2006/CE del Parlamento e del Consiglio, del 14 giugno
2006 relativo alle spedizioni di rifiuti (GUUE L 190 del 12 luglio
2006).
Il regolamento 1013/2006/CE ha sostituito ed aggiornato il regolamento 259/1993/CEE del Consiglio, del 1° febbraio 1993 relativo alla sorveglianza e al controllo delle spedizioni di rifiuti all’interno della Comunità europea, nonché in entrata e in uscita dal suo territorio (GUCE L 30 del 6 febbraio 1993). Quest’ultimo regolamento era stato adottato dalla Comunità europea per dare attuazione agli obblighi della Convenzione di Basilea, avente ad oggetto il controllo dei movimenti transfrontalieri e lo smaltimento dei rifiuti pericolosi. Il regolamento 259/1993/CEE cit. aveva come base giuridica l’attuale art. 175 TCE (ex art. 130 S) in quanto, avuto riguardo alle sue finalità ed suo al contenuto, la componente preponderante era risultata essere la protezione dell’ambiente. Il successivo regolamento 1013/2006/CE ha mantenuto la medesima base normativa. Secondo le valutazioni del Parlamento e del Consiglio la “vocazione ambientalista” del menzionato regolamento continuava ad essere prevalente rispetto alle altre componenti, nonostante la sua portata normativa risultasse essere più ampia rispetto a quella della Convenzione di Basilea e del precedente regolamento di attuazione. Il regolamento 1013/2006/CE, infatti, a differenza del regolamento 259/1993/CE, si applica ratione materiae non solo ai “rifiuti pericolosi destinati allo smaltimento” ma a “tutti i rifiuti” destinati allo smaltimento ed al recu-pero.
La Commissione in data 2 ottobre 2006 ha impugnato il regolamento de quo deducendo come unico motivo di ricorso ai sensi dell’art. 230 TCE la scelta del fondamento normativo. L’Istituzione ricorrente ha contestato il fatto che l’art. 175, par. 1 TCE sia stato posto come unico fondamento normativo del regolamento in oggetto poiché esso comprenderebbe due “componenti indissociabili” e poste sullo stato piano quali la politica commerciale comune e la tutela dell’ambiente. Pertanto, ai fini dell’adozione dell’atto in esame, si imporrebbe un “doppio fondamento normativo” costituito rispettivamente dagli articoli 133 e 175, par. 1 TCE.
A parere della Commissione, dunque, pur non essendo in discussione l’obbiettivo di protezione dell’ambiente, non è stata debitamente valutata dal Parlamento e dal Consiglio la natura commerciale delle misure che regolano le spedizioni intra ed extracomunitarie di rifiuti. I rifiuti sono delle “merci”, di conseguenza il regolamento 1013/2006/CE, incidendo sulla libera circolazione delle merci, attiene anche alla politica commerciale comune (punto 32 della sentenza). In particolare, la Commissione da un lato ha ritenuto fondata la scelta dell’art. 175, par. 1 TCE quale base giuridica per le “spedizioni intracomunitarie di rifiuti” (disciplinate dal Titolo II del regolamento 1013/2006/CE), dall’altro ha sostenuto che le “spedizioni extracomunitarie” (disciplinate dai Titoli IV, V, VI del medesimo regolamento), avendo ad oggetto le importazioni, le esportazioni ed il transito di rifiuti della Comunità europea, si sarebbero dovute fondare sull’art. 133 TCE.
La scelta da parte del legislatore comunitario di una base giuridica in luogo di un’altra non è priva di conseguenze ed è finalizzata al perseguimento di alcune scelte di politica del diritto. Fondare un atto sul solo art. 175, par. 1 TCE comporta non solo l’attribuzione di una competenza ripartita tra Comunità e Stati membri ma anche la facoltà per il singolo Stato membro di adottare la disciplina derogatoria prevista dall’art. 176 TCE. Tale disposizione consente allo Stato membro, nel rispetto del Trattato, di adottare eventuali misure restrittive in piena autonomia ed in deroga alle disposizioni armonizzate, con il solo limite di notificare alla Commissione l’adozione della restrizione unilaterale. Al contrario, prevedere un doppio fondamento normativo basato sugli articoli 175, par. 1 e 133 TCE significa attribuire una competenza esclusiva alla Comunità e, di conseguenza, annullare la riserva di sovranità garantita agli Stati membri in virtù dell’art. 176 TCE.
Quello appena descritto è l’obbiettivo cui ha mirato la Commissione nel ricorso in esame. Prevedere un doppio fondamento normativo nei termini indicati, comporta che sia la sola Comunità a regolamentare la circolazione dei rifiuti nel mercato comunitario escludendo “una competenza degli Stati membri che avrebbe immancabilmente l’effetto di falsare la concorrenza fra imprese degli Stati membri nei mercati esterni e di creare perturbazioni nel mercato interno comunitario” (punto 37 della sentenza).
Il Parlamento ed il Consiglio, seguendo una giurisprudenza consolidata, hanno sostenuto che la scelta della base giuridica nel caso di specie è stata compiuta utilizzando il “criterio della finalità principale” (cfr. sentenza del 10 gennaio 2006, causa C-178/03, Commissione delle Comunità europee c. Parlamento europeo e Consiglio dell’Unione europea, in Raccolta p. I-107, punto 41; sentenza del 6 novembre 2008, causa C-155/07, Parlamento europeo c. Consiglio dell’Unione europea, non ancora pubblicata, punto 34). Secondo tale principio, ai fini della corretta individuazione della base normativa su cui fondare un atto di diritto derivato è necessario analizzarne lo scopo ed il contenuto. Se al termine di tale vaglio risulta che l’atto è caratterizzato dalla presenza di una componente principale ed altre accessorie, l’atto medesimo dovrà fondarsi solo sulla base giuridica connessa alla componente principale. Il Parlamento ed il Consiglio dopo aver analizzato la struttura ed il contenuto del regolamento 1013/2006/CE, avuto riguardo ad alcuni considerando del preambolo ed in particolare all’art. 49, sono pervenuti alla conclusione che non solo la componente principale del regolamento è la tutela dell’ambiente ma, soprattutto, che esso non presenta riferimenti inerenti al perseguimento di obbiettivi di politica commerciale comune.
Le Istituzioni di cui trattasi, inoltre, hanno espresso seri dubbi circa l’eventuale utilizzazione in combinato disposto degli articoli 133 e 175, par. 1 TCE, in virtù della constatazione che in materia di politica commerciale la competenza esclusiva della Comunità esclude l’operatività dell’art. 176 TCE. L’applicazione congiunta delle due disposizioni, infatti, come prospettata dalla Commissione, limita di fatto l’incidenza dell’art. 176 TCE poiché esso, prescrivendo per l’adozione di eventuali provvedimenti la compatibilità con le altre disposizioni del Trattato, risulta necessariamente limitato dall’art. 133 TCE.
La Corte, nell’esercizio della sua funzione giurisdizionale, ha adottato il criterio della componente principale, analizzando separatamente lo “scopo” ed il “contenuto” del regolamento. In merito al primo aspetto, in linea con quanto affermato dal Parlamento e dal Consiglio, la Corte ha riscontrato che il regolamento impugnato richiama esclusivamente lo scopo della protezione dell’ambiente e non menziona in alcun modo obbiettivi di politica commerciale comune. Con riguardo al secondo aspetto, ossia al contenuto, essa ha accertato che lo strumento principale previsto dal regolamento è la “procedura di notifica ed autorizzazione preventive scritte” il cui fine principale è la salvaguardia della salute umana e dell’ambiente. Secondo la Corte, dunque, la procedura di preventiva notifica ed autorizzazione è uno strumento di politica ambientale che non mira in alcun modo a regolamentare o a favorire gli scambi commerciali di rifiuti (punto 59 della sentenza). In merito a tale ultimo aspetto, l’organo giudicante ha richiamato un suo precedente parere, sostenendo che la procedura prevista dal regolamento 1013/2006/CE ha la stessa natura normativa della “procedura di previo consenso informato” prevista dal Protocollo di Cartagena in materia di biotecnologie, che aveva già precedentemente definito come strumento di politica ambientale (cfr. parere del 6 dicembre 2001, 2/00, in Raccolta, p. I-9713).
Inoltre, la Corte ha sottolineato come sarebbe giuridicamente incoerente, ai fini della scelta del doppio fondamento normativo, ritenere che lo scopo ambientale debba essere ritenuto “prevalente” quando la procedura citata è utilizzata con riguardo alle spedizioni intracomunitarie di rifiuti ed, invece, “accessorio” in merito all’utilizzazione della medesima procedura con riguardo alle spedizioni extracomunitarie.
Sulla base di queste premesse la Corte di giustizia, pur non vagliando le questioni giuridiche sollevate dalle Istituzioni in merito ad un’eventuale applicazione congiunta degli articoli 133 e 175, par. 1 TCE e previo accertamento della natura strettamente ambientale del regolamento, ha respinto il ricorso. Con tale decisione, dunque, non sono state accolte né le motivazioni giuridiche né le scelte di politica legislativa prospettate dalla Commissione. La Corte di giustizia ha ritenuto che la protezione dell’ambiente, qualora sia la componete principale di un atto di diritto derivato, rappresenti per la Comunità europea un valore preminente rispetto ad esigenze di politica commerciale e di ordine economico.
Il regolamento 1013/2006/CE ha sostituito ed aggiornato il regolamento 259/1993/CEE del Consiglio, del 1° febbraio 1993 relativo alla sorveglianza e al controllo delle spedizioni di rifiuti all’interno della Comunità europea, nonché in entrata e in uscita dal suo territorio (GUCE L 30 del 6 febbraio 1993). Quest’ultimo regolamento era stato adottato dalla Comunità europea per dare attuazione agli obblighi della Convenzione di Basilea, avente ad oggetto il controllo dei movimenti transfrontalieri e lo smaltimento dei rifiuti pericolosi. Il regolamento 259/1993/CEE cit. aveva come base giuridica l’attuale art. 175 TCE (ex art. 130 S) in quanto, avuto riguardo alle sue finalità ed suo al contenuto, la componente preponderante era risultata essere la protezione dell’ambiente. Il successivo regolamento 1013/2006/CE ha mantenuto la medesima base normativa. Secondo le valutazioni del Parlamento e del Consiglio la “vocazione ambientalista” del menzionato regolamento continuava ad essere prevalente rispetto alle altre componenti, nonostante la sua portata normativa risultasse essere più ampia rispetto a quella della Convenzione di Basilea e del precedente regolamento di attuazione. Il regolamento 1013/2006/CE, infatti, a differenza del regolamento 259/1993/CE, si applica ratione materiae non solo ai “rifiuti pericolosi destinati allo smaltimento” ma a “tutti i rifiuti” destinati allo smaltimento ed al recu-pero.
La Commissione in data 2 ottobre 2006 ha impugnato il regolamento de quo deducendo come unico motivo di ricorso ai sensi dell’art. 230 TCE la scelta del fondamento normativo. L’Istituzione ricorrente ha contestato il fatto che l’art. 175, par. 1 TCE sia stato posto come unico fondamento normativo del regolamento in oggetto poiché esso comprenderebbe due “componenti indissociabili” e poste sullo stato piano quali la politica commerciale comune e la tutela dell’ambiente. Pertanto, ai fini dell’adozione dell’atto in esame, si imporrebbe un “doppio fondamento normativo” costituito rispettivamente dagli articoli 133 e 175, par. 1 TCE.
A parere della Commissione, dunque, pur non essendo in discussione l’obbiettivo di protezione dell’ambiente, non è stata debitamente valutata dal Parlamento e dal Consiglio la natura commerciale delle misure che regolano le spedizioni intra ed extracomunitarie di rifiuti. I rifiuti sono delle “merci”, di conseguenza il regolamento 1013/2006/CE, incidendo sulla libera circolazione delle merci, attiene anche alla politica commerciale comune (punto 32 della sentenza). In particolare, la Commissione da un lato ha ritenuto fondata la scelta dell’art. 175, par. 1 TCE quale base giuridica per le “spedizioni intracomunitarie di rifiuti” (disciplinate dal Titolo II del regolamento 1013/2006/CE), dall’altro ha sostenuto che le “spedizioni extracomunitarie” (disciplinate dai Titoli IV, V, VI del medesimo regolamento), avendo ad oggetto le importazioni, le esportazioni ed il transito di rifiuti della Comunità europea, si sarebbero dovute fondare sull’art. 133 TCE.
La scelta da parte del legislatore comunitario di una base giuridica in luogo di un’altra non è priva di conseguenze ed è finalizzata al perseguimento di alcune scelte di politica del diritto. Fondare un atto sul solo art. 175, par. 1 TCE comporta non solo l’attribuzione di una competenza ripartita tra Comunità e Stati membri ma anche la facoltà per il singolo Stato membro di adottare la disciplina derogatoria prevista dall’art. 176 TCE. Tale disposizione consente allo Stato membro, nel rispetto del Trattato, di adottare eventuali misure restrittive in piena autonomia ed in deroga alle disposizioni armonizzate, con il solo limite di notificare alla Commissione l’adozione della restrizione unilaterale. Al contrario, prevedere un doppio fondamento normativo basato sugli articoli 175, par. 1 e 133 TCE significa attribuire una competenza esclusiva alla Comunità e, di conseguenza, annullare la riserva di sovranità garantita agli Stati membri in virtù dell’art. 176 TCE.
Quello appena descritto è l’obbiettivo cui ha mirato la Commissione nel ricorso in esame. Prevedere un doppio fondamento normativo nei termini indicati, comporta che sia la sola Comunità a regolamentare la circolazione dei rifiuti nel mercato comunitario escludendo “una competenza degli Stati membri che avrebbe immancabilmente l’effetto di falsare la concorrenza fra imprese degli Stati membri nei mercati esterni e di creare perturbazioni nel mercato interno comunitario” (punto 37 della sentenza).
Il Parlamento ed il Consiglio, seguendo una giurisprudenza consolidata, hanno sostenuto che la scelta della base giuridica nel caso di specie è stata compiuta utilizzando il “criterio della finalità principale” (cfr. sentenza del 10 gennaio 2006, causa C-178/03, Commissione delle Comunità europee c. Parlamento europeo e Consiglio dell’Unione europea, in Raccolta p. I-107, punto 41; sentenza del 6 novembre 2008, causa C-155/07, Parlamento europeo c. Consiglio dell’Unione europea, non ancora pubblicata, punto 34). Secondo tale principio, ai fini della corretta individuazione della base normativa su cui fondare un atto di diritto derivato è necessario analizzarne lo scopo ed il contenuto. Se al termine di tale vaglio risulta che l’atto è caratterizzato dalla presenza di una componente principale ed altre accessorie, l’atto medesimo dovrà fondarsi solo sulla base giuridica connessa alla componente principale. Il Parlamento ed il Consiglio dopo aver analizzato la struttura ed il contenuto del regolamento 1013/2006/CE, avuto riguardo ad alcuni considerando del preambolo ed in particolare all’art. 49, sono pervenuti alla conclusione che non solo la componente principale del regolamento è la tutela dell’ambiente ma, soprattutto, che esso non presenta riferimenti inerenti al perseguimento di obbiettivi di politica commerciale comune.
Le Istituzioni di cui trattasi, inoltre, hanno espresso seri dubbi circa l’eventuale utilizzazione in combinato disposto degli articoli 133 e 175, par. 1 TCE, in virtù della constatazione che in materia di politica commerciale la competenza esclusiva della Comunità esclude l’operatività dell’art. 176 TCE. L’applicazione congiunta delle due disposizioni, infatti, come prospettata dalla Commissione, limita di fatto l’incidenza dell’art. 176 TCE poiché esso, prescrivendo per l’adozione di eventuali provvedimenti la compatibilità con le altre disposizioni del Trattato, risulta necessariamente limitato dall’art. 133 TCE.
La Corte, nell’esercizio della sua funzione giurisdizionale, ha adottato il criterio della componente principale, analizzando separatamente lo “scopo” ed il “contenuto” del regolamento. In merito al primo aspetto, in linea con quanto affermato dal Parlamento e dal Consiglio, la Corte ha riscontrato che il regolamento impugnato richiama esclusivamente lo scopo della protezione dell’ambiente e non menziona in alcun modo obbiettivi di politica commerciale comune. Con riguardo al secondo aspetto, ossia al contenuto, essa ha accertato che lo strumento principale previsto dal regolamento è la “procedura di notifica ed autorizzazione preventive scritte” il cui fine principale è la salvaguardia della salute umana e dell’ambiente. Secondo la Corte, dunque, la procedura di preventiva notifica ed autorizzazione è uno strumento di politica ambientale che non mira in alcun modo a regolamentare o a favorire gli scambi commerciali di rifiuti (punto 59 della sentenza). In merito a tale ultimo aspetto, l’organo giudicante ha richiamato un suo precedente parere, sostenendo che la procedura prevista dal regolamento 1013/2006/CE ha la stessa natura normativa della “procedura di previo consenso informato” prevista dal Protocollo di Cartagena in materia di biotecnologie, che aveva già precedentemente definito come strumento di politica ambientale (cfr. parere del 6 dicembre 2001, 2/00, in Raccolta, p. I-9713).
Inoltre, la Corte ha sottolineato come sarebbe giuridicamente incoerente, ai fini della scelta del doppio fondamento normativo, ritenere che lo scopo ambientale debba essere ritenuto “prevalente” quando la procedura citata è utilizzata con riguardo alle spedizioni intracomunitarie di rifiuti ed, invece, “accessorio” in merito all’utilizzazione della medesima procedura con riguardo alle spedizioni extracomunitarie.
Sulla base di queste premesse la Corte di giustizia, pur non vagliando le questioni giuridiche sollevate dalle Istituzioni in merito ad un’eventuale applicazione congiunta degli articoli 133 e 175, par. 1 TCE e previo accertamento della natura strettamente ambientale del regolamento, ha respinto il ricorso. Con tale decisione, dunque, non sono state accolte né le motivazioni giuridiche né le scelte di politica legislativa prospettate dalla Commissione. La Corte di giustizia ha ritenuto che la protezione dell’ambiente, qualora sia la componete principale di un atto di diritto derivato, rappresenti per la Comunità europea un valore preminente rispetto ad esigenze di politica commerciale e di ordine economico.