L’AGENDA POST-STOCCOLMA: QUALI LE PRIORITÀ DELL’UNIONE NEL 2015-2019? di Angela Maria ROMITO
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Fare il punto della situazione, oggi, è utile per provare ad immaginare quali saranno le future linee di intervento dell’Unione in un prossimo futuro, avendo a mente due importanti fattori: in primo luogo, nel prossimo quinquennio si sarà nella fase conclusiva dell’adesione dell’UE alla CEDU, in secundis, gli Stati membri che hanno sinora goduto di un trattamento speciale (Irlanda, Danimarca e soprattutto Regno Unito) dovrebbero chiarire in modo definitivo la propria posizione rispetto alla nuova fase dello SLSG e della cooperazione di Schengen.
Come si ricorderà nella seduta del 10-11 dicembre 2009, il Consiglio europeo ha adottato, dopo i Programmi di Tampere e quello dell’Aja, il terzo documento strategico pluriennale sulla giustizia e gli affari interni, il c.d. Programma di Stoccolma, per il periodo 2010-2014. In un momento storico che coincideva con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, l’Unione aveva assegnato a sé l’obiettivo primario di rafforzare e rendere più tangibile la cittadinanza europea in ogni modo possibile. Nell’aprile 2010, affinché i cittadini europei potessero percepire nella quotidianità i vantaggi dell’appartenenza all’Unione, la Commissione aveva approvato il proprio Piano d’azione per l’attuazione del Programma, elencando gli interventi volti a trasformare le priorità politiche in azioni e risultati concreti.
Posto al centro di interessi l’individuo, in quanto cittadino europeo, il Programma mirava, in estrema sintesi, al rafforzamento dei suoi diritti (Un’Europa dei diritti); alla costruzione di uno spazio giuridico europeo attraverso il progressivo avvicinamento della regolamentazione civile e penale dei diversi Stati membri (Un’Europa della giustizia); alla costruzione di un’Europa sicura, grazie alla collaborazione in materia penale e delle forze di polizia dei diversi Paesi contro la criminalità transnazionale (Un’Europa che protegge); al rafforzamento della gestione integrata delle frontiere (Un’Europa accessibile); allo sviluppo di una politica migratoria improntata alla solidarietà nei confronti dei migranti e al rispetto delle esigenze dei diversi Stati membri (Un’Europa della solidarietà); nonché al rafforzamento delle opportunità di cooperazione con i Paesi terzi (Un’Europa in un mondo globalizzato).
Sotto il primo profilo nel Piano di azione erano elencate numerose misure volte a garantire ad ampio raggio la protezione dei diritti fondamentali sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dalla CEDU per fare in modo che i cittadini UE ed i loro familiari potessero esercitare pienamente i loro diritti sia all’interno che al di fuori dell’Unione. Gli interventi che nel 2010 la Commissione proponeva di mettere in atto sarebbero tutti stati rivolti ad esercitare in pieno il diritto di libera circolazione, a combattere il razzismo e la xenofobia, a proteggere i soggetti maggiormente vulnerabili (bambini, minoranze come ad esempio i rom, vittime di violenze). Si prospettava anche un impegno teso a tutelare i diritti degli indagati e imputati nei procedimenti penali. Nello spirito di rafforzare un sentimento di appartenenza all’UE si indicava, inoltre, che la partecipazione dei cittadini alla vita democratica dell’Unione sarebbe stata promossa attraverso la trasparenza del processo decisionale, l’accesso ai documenti e la buona amministrazione.
Per rafforzare lo spazio giudiziario europeo, il Piano d’azione stabiliva una serie di misure, nelle materie civili e penali, per consentire ai cittadini di far valere i propri diritti ovunque nell’Unione. Al fine di facilitare il loro accesso alla giustizia si stabiliva che era necessario proseguire nel solco delle misure già varate con il Programma dell’Aja e, quindi, perseguire l’attuazione del riconoscimento reciproco dei provvedimenti giudiziari (c.d. quinta libertà). Inoltre, la Commissione si proponeva di implementare la legislazione in materia civile, in particolare nelle tematiche riferite al divorzio, oltre che “ammodernare” e rivedere il regolamento Bruxelles I, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale. In generale l’obiettivo nel settore giustizia era quello di rafforzare la fiducia reciproca tra le autorità giurisdizionali, in modo da migliorare la conoscenza reciproca dei sistemi giudiziari degli Stati membri, garantire certezza giuridica e migliorare l’accesso alla giustizia.
Sotto quest’ultimo profilo, per permettere ai cittadini di trarre il massimo beneficio dallo spazio giudiziario europeo, la Commissione si impegnava a proporre delle azioni soprattutto puntando sulla giustizia elettronica (tecnologie dell’informazione e della comunicazione nel campo della giustizia). Al fine di poter interagire con i Paesi terzi in un contesto giuridico sicuro, si riteneva prioritario potenziare la presenza internazionale dell’UE, soprattutto attraverso la negoziazione di accordi e convenzioni con Paesi extraeuropei.
Sul fronte della sicurezza il Programma di Stoccolma raccomandava lo sviluppo di una strategia per garantire la protezione dei cittadini e la lotta alla criminalità organizzata e al terrorismo; nel dettaglio, il Piano d’azione prevedeva, da un lato, di porre in atto misure volte a migliorare gli strumenti di sicurezza esistenti (particolarmente quelli collegati alla gestione dei flussi di informazioni), e dall’altro di introdurre strumenti di sicurezza tecnologici (come il Registro europeo dei cittadini di paesi terzi condannati) e soprattutto di avvalersi maggiormente della cooperazione tra l’Ufficio europeo di polizia, Eurojust e l’agenzia europea per le frontiere esterne (Frontex). Per proteggere i cittadini dalle forme gravi di criminalità organizzata, il Piano d’azione predisponeva misure specifiche per contrastare la tratta degli esseri umani, lo sfruttamento sessuale dei minori e la pedopornografia, la criminalità informatica e la sicurezza delle reti e delle informazioni, il traffico di stupefacenti e il terrorismo. La Commissione si dichiarava pronta anche a rafforzare le capacità dell’UE di prevenzione, preparazione e risposta a tutti i tipi di catastrofi, sia naturali che di origine umana.
Sul delicato tema dell’accesso all’Europa e del rafforzamento della frontiere esterne, la Commissione si dichiarava pronta a sviluppare ulteriormente da un lato l’approccio integrato alla gestione dei confini esterni dell’Unione – con proposte legislative per modificare Frontex, il codice frontiere Schengen e il sistema europeo di sorveglianza delle frontiere (Eurosur), a implementare il Sistema d’informazione Schengen di seconda generazione (SIS II) e il Sistema d’informazione visti (VIS) – e dall’altro a sviluppare la politica comune in materia di visti e potenziare la cooperazione consolare regionale.
L’intera politica della migrazione, che nell’arco dell’ultimo quinquennio si è rivelata essere il vero “tallone d’Achille” dell’Unione, avrebbe dovuto esser improntata al principio della solidarietà, promuovendo l’integrazione e i diritti dei migranti, affrontando in modo incisivo l’immigrazione clandestina con specifici accordi di riammissione e politiche di rimpatrio mirate, tutelando in particolar modo i minori non accompagnati. La Commissione intendeva anche perseguire una politica comune in materia di asilo per stabilire uno spazio comune per la protezione dei richiedenti l’asilo attraverso la condivisione di responsabilità tra gli Stati membri.
Infine, in un mondo globalizzato, il Piano d’azione ribadiva le interconnessioni tra la dimensione interna ed esterna delle politiche in materia di libertà, sicurezza e giustizia e, di conseguenza, stabiliva che per rafforzare la dimensione esterna si sarebbero seguiti gli orientamenti già consolidati, continuando a considerare la politica dell’Unione in materia di relazioni esterne unica e a lavorare in partenariato con i Paesi terzi (inclusi i Paesi candidati, di vicinato e SEE/Schengen, gli Stati Uniti d’America e la Federazione russa).
Rispetto ai numerosi e ambizioni interventi che si sarebbero voluti realizzare un primo bilancio è stato pubblicato nel documento dal titolo “Verso la negoziazione e l’adozione del programma successivo a Stoccolma per il periodo 2015-2019” (doc. PE 493.015), uno studio commissionato dal Parlamento europeo, al quale hanno fatto seguito numerosi ulteriori documenti interni di riflessione: la valutazione congiunta delle commissioni Giustizia (JURI), Libertà civili, giustizia e affari interni (LIBE) e Affari costituzionali (AFCO) del PE sul tema “Programma di Stoccolma: lo stato delle cose nella cooperazione giudiziaria e di polizia in materia civile e penale”, nonché l’incontro interparlamentare “Future Priorities in the field of Civil Liberties, Justice and Home Affairs”, la relazione della Direzione generale politiche interne “Future development of EU Home Affairs Policies (Post Stockholm Programme)”, il report redatto dall’European Migration Network (EMN), intitolato “A Descriptive Analysis of the Impacts of the Stockholm Programme 2010-2013” (tutti reperibili online).
L’insieme dei documenti di analisi, oltre che rilevare i risultati effettivamente raggiunti, è utile soprattutto per tracciare le possibili iniziative prioritarie per l’azione futura. Complessivamente la valutazione non è pienamente positiva, forse perché il Programma di Stoccolma era troppo ambizioso: pur riconoscendo importati successi concreti raggiunti, molti aspetti di criticità permangano.
Indubbiamente il settore nel quale l’Unione ha registrano i risultati maggiormente positivi sono quelli legati al “segmento giustizia”, grazie alla corposa implementazione della legislazione nel settore della cooperazione in materia civile e penale, nonché alla maggiore armonizzazione delle legislazioni interne in tema di asilo. Il successo raggiunto non potrà che essere ulteriormente migliorato, soprattutto alla luce del fatto che, nel settore penale, nel prossimo futuro dovrebbero concludersi i negoziati sulla creazione del Procuratore europeo e si assisterà al passaggio al regime ordinario delle misure in materia di cooperazione giudiziaria e di polizia in campo penale adottate prima dell’entrata in vigore del Trattato (il regime transitorio è terminato il 1° dicembre 2014).
Non soddisfano, invece, i risultati raggiunti negli altri settori di intervento. Preoccupanti interrogativi sono stati manifestati relativamente alla capacità dell’Unione di garantire lo Stato di diritto e far fronte alle crisi. In particolare la controversia relativa alle riforme costituzionali in Ungheria ha dimostrato che l’Unione non dispone degli strumenti necessari per obbligare gli Stati membri a rispettare i suoi valori fondamentali e, per quanto riguarda la capacità dell’Unione di far fronte alle crisi, episodi gravissimi quali il “crollo” del sistema di asilo e di controllo delle frontiere esterne in Grecia e la fallimentare gestione del dramma umanitario dei profughi siriani confermano, purtroppo, l’assenza di solidarietà tra gli Stati membri.
Ed è appunto il settore “sicurezza” quello che, in questi anni, ha messo a dura prova la capacità di azione dell’Unione: la crisi migratoria nel Mediterraneo ha posto l’UE dinnanzi all’improcrastinabile necessità di fornire risposte “unitarie” ed “univoche”, in particolar modo agli Stati della “sponda Sud”, maggiormente esposti alla continua e costante pressione dell’accoglienza dei migranti. In maniera innovativa rispetto al Programma di Stoccolma rientra pertanto, nell’Agenda post-Stoccolma, il focus sulla Task Force istituita nel Mediterraneo per trattare tale fenomeno con un approccio integrato. Di riflesso, e di conseguenza, nel prossimo futuro l’UE dovrà impegnarsi ancor di più nel tessere relazioni diplomatiche con Paesi terzi che si affacciano sulle sponde dello stesso mare, al fine di contrastare in modo coeso il traffico di esseri umani, il contrabbando e la criminalità organizzata.
Non potendo prevedere il futuro, è possibile evincere solo in linea generale le sfide che aspettano l’UE nel nuovo Programma. Come desumibile dai documenti di riflessione, esse sono di tre ordini: una sfida a livello politico, per assicurare l’effettiva tutela dei diritti fondamentali – in particolare quella dei dati personali – ed applicare il principio costituzionale della solidarietà; una sfida a livello istituzionale, per riconoscere, così come chiaramente indicato dal Trattato di Lisbona, maggior spazio al PE (di nuova elezione) come interlocutore a tutti gli effetti nella programmazione dello SLSG e abbandonare così definitivamente l’approccio intergovernativo; ed infine una sfida tecnica, per rafforzare l’approccio della valutazione ex-post dei risultati in materia di giustizia e affari interni, “forzando” anche gli Stati membri a dar conto del proprio operato.