L'OBBLIGO DEGLI STATI DI RISARCIRE I DANNI PER VIOLAZIONE DEL DIRITTO COMUNITARIO DA PARTE DI UN GIUDICE DI ULTIMO GRADO - Sud in Europa

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L'OBBLIGO DEGLI STATI DI RISARCIRE I DANNI PER VIOLAZIONE DEL DIRITTO COMUNITARIO DA PARTE DI UN GIUDICE DI ULTIMO GRADO

Archivio > Anno 2004 > Marzo 2004
di Ugo VILLANI (Ordinario di Diritto dell’Unione europea nell’Università di Roma “La Sapienza”)    

La giurisprudenza della Corte di giustizia del Lussemburgo relativa all’obbligo degli Stati membri di risarcire ai singoli i danni derivanti da violazioni del diritto comunitario si è arricchita di una nuova sentenza, emanata il 30 settembre 2003 nella causa C-224/01, su domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Landesgericht für Zivilrechtssachen di Vienna nel procedimento pendente tra il sig. Gerhard Köbler e la Repubblica d’Austria.
Com’è noto, tale giurisprudenza è stata inaugurata dalla “storica” sentenza del 19 novembre 1991, causa C-6/90 e C-9/90, Francovich e Bonifaci e altri. In essa la Corte affermò che lo Stato è responsabile – a certe condizioni – per i danni causati ai singoli da inosservanza di obblighi comunitari, anzitutto perché, ove i singoli non avessero la possibilità di ottenere un risarcimento, sarebbe messa a repentaglio la piena efficacia delle norme comunitarie e sarebbe infirmata la tutela dei diritti da esse riconosciuti. Una seconda motivazione della responsabilità dello Stato fu desunta dall’obbligo di cooperazione con la Comunità, previsto dall’art. 10 del Trattato CE, il quale comporta l’obbligo di eliminare le conseguenze di una violazione del diritto comunitario, risarcendo i danni da essa provocati. La successiva giurisprudenza della Corte ha messo a fuoco le seguenti condizioni, richieste affinché sorga, per lo Stato, l’obbligo risarcitorio: la norma violata deve essere preordinata a conferire diritti ai singoli; la violazione deve essere sufficientemente caratterizzata, cioè deve essere grave e manifesta; occorre che sussista un nesso di causalità diretto tra la violazione dell’obbligo e il danno subito dai soggetti lesi. Benché il diritto al risarcimento abbia fondamento nel diritto comunitario, la sua attuazione deve realizzarsi nell’ambito dell’ordinamento nazionale e ad opera del giudice statale, al quale spetta pronunziare la condanna dello Stato al risarcimento dei danni.
Nel caso Francovich e Bonifaci la responsabilità dello Stato – nella specie l’Italia – nasceva da un’omissione del legislatore, il quale non aveva tempestivamente dato attuazione alla direttiva 80/987 del 20 ottobre 1980 sulla tutela dei lavoratori subordinati in caso d’insolvenza del datore di lavoro. Nella giurisprudenza successiva la casistica si è estremamente differenziata, riguardando la violazione di disposizioni del Trattato CE, la non corretta attuazione di una direttiva, violazioni commesse dalla pubblica amministrazione dello Stato, oppure da enti pubblici diversi dallo Stato, come un Land austriaco, o enti pubblici non territoriali, quale un’associazione di professionisti di diritto pubblico, o enti previdenziali. La Corte ha sempre imputato allo Stato, unitariamente considerato, la condotta di tutti i suoi organi, legislativi come amministrativi, nonché di tutte le sue articolazioni interne, territoriali o meno.
Per la prima volta, con la citata sentenza Köbler, il problema della responsabilità dello Stato si è posto con riguardo ad una violazione del diritto comunitario commessa con una sentenza di un organo giudiziario di ultimo grado. Il sig. Köbler, professore nell’Università di Innsbruck, si era visto negare dal Verwaultungsgerichtshof austriaco (giudice supremo amministrativo) il diritto ad una indennità speciale di anzianità – costituente, secondo tale giudice, un premio di fedeltà -, prevista dalla legislazione austriaca per i professori universitari che avessero compiuto quindici anni di anzianità, ma soltanto nel-le università austriache. Il Köbler, che aveva compiuto tale periodo complessivo in diversi Stati membri, lamentava che l’esclusione dei periodi di insegnamento in università non austriache costituiva una discriminazione indiretta contraria al diritto comunitario.
La Corte di giustizia ha affermato, in principio, che l’obbligo di risarcimento può derivare anche da una violazione del diritto comunitario dovuta ad una sentenza di ultimo grado. Essa ha ribadito che tale obbligo sussiste qualunque sia l’organo dello Stato, la cui azione o omissione abbia dato origine alla trasgressione, e quale che sia il potere, legislativo, amministrativo o giudiziario, al quale la violazione sia imputabile. Ha quindi sottolineato che, proprio in considerazione del ruolo essenziale svolto dal potere giudiziario nella tutela dei diritti derivanti ai singoli dalle norme comunitarie, la piena efficacia di queste ultime sarebbe messa in discussione e la tutela dei diritti dei singoli sarebbe affievolita se essi non potessero ottenere un risarcimento quando i loro diritti siano lesi da una decisione di un giudice di ultimo grado. Nel procedimento davanti alla Corte di giustizia, specie nelle osservazioni di taluni governi, sono state sollevate varie obiezioni in merito all’applicabilità del principio della responsabilità dello Stato nel caso di sentenze di ultimo grado. In primo luogo si è sostenuto che il suddetto principio rimetterebbe in discussione l’autorità della cosa giudicata, in contrasto con il principio della certezza del diritto. La Corte, pur condividendo l’importanza della certezza del diritto, ha respinto l’obiezione osservando che la responsabilità dello Stato non rimette in discussione l’autorità del giudicato; tale responsabilità, infatti, implica l’obbligo di risarcire il danno conseguente alla sentenza, ma non la revisione della sentenza stessa. Un’altra obiezione si collegava all’indipendenza e all’autorità del giudice, che sarebbero indebolite qualora un errore giudiziario potesse comportare un’azione di risarcimento. Anche quest’argomento è stato respinto dalla Corte di giustizia. Essa ha rilevato che la responsabilità riguarda lo Stato, non personalmente il giudice, la cui indipendenza, pertanto, non sarebbe sottoposta ad alcuna pressione; inoltre, rispetto al rischio di indebolimento dell’autorità del giudice di ultimo grado, ha replicato che, al contrario, “la riparazione degli effetti dannosi di una decisione giurisdizionale erronea potrebbe senz’altro essere considerata nel senso che corrobora la qualità di un ordinamento giuridico e quindi in definitiva anche l’autorità del potere giurisdizionale”.
La Corte, peraltro, ha sottolineato che, nel valutare la sussistenza della condizione consistente in una violazione grave e manifesta del diritto comunitario, occorre tenere conto della specificità della funzione giurisdizionale e delle legittime esigenze della certezza del diritto. Pertanto la responsabilità dello Stato è configurabile solo nel caso “eccezionale” in cui il giudice abbia violato in maniera manifesta il diritto comunitario. Nella specie, pur dichiarando che la normativa austriaca rappresentava un ostacolo illecito alla libera circolazione dei lavoratori e che, pertanto, il Verwaultungsgericht, respingendo la domanda del sig. Köbler, aveva violato il diritto comunitario, la Corte – discostandosi dalle conclusioni dell’Avvocato generale Léger – ha ritenuto che tale violazione non avesse il carattere manifesto, necessario per determinare la responsabilità dello Stato. In proposito la Corte di giustizia ha considerato che il diritto comunitario non disciplina esplicitamente il punto se una misura quale un premio di fedeltà, che comporta un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori, possa essere giustificata e, quindi, compatibile con tale diritto; la questione, inoltre, non trovava una soluzione neppure nella giurisprudenza della stessa Corte e non poteva giudicarsi ovvia. Essa ha rilevato, d’altra parte, che il Verwaultungsgerichtshof austriaco, dopo un’iniziale domanda d’interpretazione alla Corte, non aveva mantenuto la sua domanda a causa di un’erronea interpretazione di una sentenza della stessa Corte, la quale, secondo il giudice austriaco, aveva ormai risolto la questione.
Malgrado la soluzione negativa data dalla Corte di giustizia al problema della responsabilità dell’Austria nel caso di specie, il principio stesso della responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario da parte di un giudice di ultimo grado riveste un’importanza considerevole nel quadro di un ulteriore rafforzamento della tutela dei diritti derivanti per i singoli dalle norme comunitarie.
Di fronte alla costante giurisprudenza della Corte di giustizia non può non destare preoccupazione la riluttanza di cui dà prova, talvolta, la nostra Corte di cassazione nel recepire e applicare i principi affermati in tale giurisprudenza. Ci riferiamo, in particolare, alla sentenza del 1° aprile 2003, n. 4915, con la quale la Corte, III sezione civile, ha negato la risarcibilità di un danno derivante dal ritardo nell’attuazione in Italia della direttiva 85/577 del 20 dicembre 1985 sui contratti negoziati fuori dai locali commerciali. La Corte di cassazione ha motivato la sua decisione per la considerazione che l’attività legislativa è espressione di potere politico, libero, cioè, nei fini e sottratto a qualsiasi sindacato giurisdizionale, escludendo, pertanto, che possa qualificarsi come un illecito, ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., imputabile allo Stato-persona, quella che è una determinata conformazione dello Stato-ordinamento.
Tale sentenza è stata seguita, il 16 maggio 2003, da un’altra sentenza della III sezione civile della Corte di cassazione, n. 7630, la quale ha riconosciuto, invece, il diritto al risarcimento del danno derivante dal ritardo nell’attuazione in Italia delle direttive 75/363 del 16 giugno 1975 e 82/76 del 26 gennaio 1982 sull’istituzione di corsi di specializzazione medica. Sebbene, a nostro avviso, ci si debba compiacere di come quest’ultima sentenza abbia correttamente applicato i principi elaborati dalla Corte di giustizia in materia di responsabilità dello Stato per i danni causati da violazioni del diritto comunitario, permane una sensazione di smarrimento di fronte al … disorientamento della Corte di cassazione, che non appare conforme alla propria funzione di nomofilachia, consistente nell’assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge.
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