IL QUADRO ISTITUZIONALE NELLA COSTITUZIONE EUROPEA
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La
Costituzione europea, pur senza sconvolgere l’assetto istituzionale
venutosi a delineare nel corso delle successive modifiche degli
originari Trattati istitutivi delle Comunità europee, ha apportato
significative novità concernenti sia le istituzioni e gli organi
preesistenti (basti pensare al sistema di votazione nel Consiglio dei
ministri), sia la creazione di nuovi organi (quale il ministro degli
affari esteri).
La
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materia ha costituito oggetto di ampio dibattito e anche di vivaci contrasti nell’ambito della “Convenzione” presieduta da Giscard d’Estaing e, successivamente, della Conferenza intergovernativa che è approdata all’approvazione del testo definitivo, sottoscritto a Roma lo scorso 29 ottobre. E invero sugli aspetti istituzionali dell’Unione si contrapponevano esigenze, interessi, metodi, approcci all’integrazione europea variamente differenziati: le diverse posizioni degli Stati più forti rispetto a quelli “piccoli” si riflettevano specialmente nelle regole di votazione nel Consiglio, così come, per altro verso, il più accentuato attaccamento di alcuni Stati alla loro sovranità determinava un’accanita difesa della regola dell’unanimità in settori particolarmente sensibili (come la politica estera e di sicurezza comune); d’altra parte anche le istituzioni avanzavano le loro proposte, a tutela delle proprie prerogative o, più ampiamente, del metodo “comunitario” di sviluppo dell’integrazione europea - insidiato dal riemergere del metodo “intergovernativo” - e di quell’equilibrio istituzionale (tra Consiglio, Parlamento europeo e Commissione) sul quale si regge la struttura dell’Unione. Così la Commissione ha manifestato le proprie perplessità (se non l’aperta ostilità) nei confronti delle modifiche relative alla presidenza del Consiglio europeo, nonché riguardo alla riduzione del numero dei membri della stessa Commissione rispetto a quello
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degli Stati membri. Il Parlamento europeo ha propugnato la più ampia applicazione del sistema (certo più democratico) di adozione degli atti dell’Unione mediante la procedura di codecisione. Anche i parlamenti nazionali, rappresentati in seno alla “Convenzione”, e le autonomie regionali, hanno operato per una maggiore democratizzazione della vita dell’Unione attraverso una qualche forma di partecipazione ai procedimenti decisionali europei e di controllo sul rispetto del principio di sussidiarietà.
La Costituzione, al titolo IV della parte I, contempla le istituzioni e gli organi dell’Unione, distinguendo, da una parte, un quadro istituzionale (capo I), che comprende le istituzioni principali, cioè il Parlamento europeo, il Consiglio europeo, il Consiglio dei ministri, la Commissione europea e la Corte di giustizia dell’Unione europea, e, dall’altra parte (capo II), le altre istituzioni e organi dell’Unione, quali la Banca centrale europea, la Corte dei conti e gli organi consultivi (Comitato delle regioni e Comitato economico e sociale). L’art I-19, che elenca le istituzioni principali, riafferma il principio delle competenze di attribuzione, in base al quale “ciascuna istituzione agisce nei limiti delle attribuzioni che le sono conferite dalla Costituzione, secondo le procedure e condizioni da essa previste”; esso, inoltre, prescrive espressamente il rispetto del principio di leale collaborazione che, contemplato dall’art. 10 del vi
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gente Trattato CE, per quanto riguarda gli obblighi degli Stati membri di assicurare l’attuazione dei compiti della Comunità e dei fini del Trattato, è stato esteso dalla giurisprudenza della Corte di giustizia ai rapporti tra le istituzioni europee.
Limitandoci all’esame delle istituzioni principali – e prescindendo dalla Corte di giustizia, oggetto di un altro contributo – notiamo che per la composizione del Parlamento europeo l’art. I-20 reca solo qualche lieve modifica e precisazione rispetto alla corrispondente disposizione del Trattato CE. Esso, anzitutto, eleva da 732 a 750 il numero massimo dei suoi componenti; stabilisce, inoltre, che la rappresentanza dei cittadini è garantita in modo progressivamente proporzionale, con riferimento a ciascuno Stato membro, e definisce una soglia minima (di sei membri) e massima (di novantasei) per ciascuno Stato, demandando a una decisione europea, adottata all’unanimità dal Consiglio europeo su iniziativa del Parlamento europeo e con la sua approvazione, la regolamentazione della composizione dello stesso Parlamento, nel rispetto dei predetti principi. L’articolo in esame precisa inoltre che l’elezione del Parlamento europeo avviene “a suffragio universale diretto, libero e segreto”.
Quanto ai poteri del Parlamento europeo, essi risultano sensibilmente rafforzati, specie nel procedimento legislativo, contribuendo così all’ulteriore avanzamento di quel processo di sviluppo democratico, che
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ha progressivamente colmato, in larga misura, quel deficit di democrazia che, indubbiamente presente nell’originario assetto dei rapporti tra le istituzioni comunitarie, era stato denunciato con vigore dal Parlamento europeo.
Tali poteri sono definiti dall’art. I-20, par. 1, come esercizio, congiuntamente al Consiglio dei ministri, della funzione legislativa e della funzione di bilancio e come esercizio delle funzioni di controllo politico e consultive, alle condizioni stabilite dalla Costituzione. Più precisamente, il Parlamento ha il potere di eleggere, a maggioranza dei suoi membri, il presidente della Commissione (art. I-27, par. 1). Sebbene il Parlamento non possa individuare il candidato, che viene proposto dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata, quanto meno la composizione politica del Parlamento è influente su tale designazione. Lo stesso art. I-27, par. 1, dispone, infatti, che il Consiglio europeo proponga il candidato “tenuto conto delle elezioni del Parlamento europeo” (e dopo avere effettuato le consultazioni appropriate); ciò implica che il candidato designato corrisponda agli orientamenti politici prevalenti nel Parlamento e che egli possa essere eletto sulla base della fiducia espressa dalla componente politica maggioritaria (com’è confermato dalla regola secondo la quale la sua elezione avviene a maggioranza dei membri del Parlamento). Si accentua così il rapporto di fiducia politica tra il presidente (e l’int
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era Commissione, anch’essa soggetta al voto di approvazione del Parlamento) e il Parlamento, rapporto che è espressamente riconosciuto dall’art. I-26, par. 8, il quale dichiara che la Commissione è responsabile collettivamente dinanzi al Parlamento europeo e a tale premessa ricollega la disciplina della mozione di censura.
I poteri di controllo del Parlamento vengono estesi anche al Consiglio europeo, il quale (come il Consiglio dei ministri) è ascoltato dal Parlamento, peraltro secondo modalità previste dal proprio regolamento interno (art. III-337, par. 1).
Sul piano legislativo va sottolineato che la procedura ordinaria diventa (opportunamente semplificata) quella di codecisione, nella quale, com’è noto, il Parlamento europeo è posto in posizione di parità con il Consiglio dei ministri, avendo eguale potere sia nel proporre modifiche alla proposta della Commissione, sia nel determinarne l’approvazione o la bocciatura (art. III-396). È ribadito, inoltre, il potere del Parlamento di chiedere alla Commissione di presentare proposte di atti, ma con l’obbligo della Commissione, ove non presenti proposte, di comunicare le motivazioni al Parlamento (art. III-332 e in senso analogo, nei rapporti tra il Consiglio dei ministri e la Commissione, art. III-345). Ulteriori ampliamenti dei poteri del Parlamento si registrano nell’approvazione del bilancio, con la scomparsa della distinzione tra spese obbligatorie e non obbligatorie, e in varie ma
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terie, nelle quali alla consultazione del Parlamento di sostituisce la sua approvazione (avente funzione analoga al parere conforme). Il Parlamento resta invece in una posizione sostanzialmente marginale nel settore della politica estera e di sicurezza comune nella quale, malgrado l’apparente eliminazione dei “pilastri” introdotti dal Trattato di Maastricht e la riconduzione degli stessi ad un quadro unitario, prevale in maniera accentuata il metodo intergovernativo.
La seconda istituzione compresa tra quelle principali costituenti il “quadro istituzionale” è il Consiglio europeo. Con l’attribuzione della qualifica di “istituzione” si completa quel lungo processo che ha condotto tale organo, nato nella prassi e situato, originariamente, al di fuori e, in senso politico, al di sopra del sistema istituzionale comunitario, ad inserirsi a pieno titolo nella struttura dell’Unione. Ciò comporta la soggezione del Consiglio europeo all’ordinamento normativo della Costituzione e persino al controllo di legittimità della Corte di giustizia. Questa, infatti, è competente a pronunciarsi sulla invalidità degli atti del Consiglio europeo destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi (art. III-365), nonché sui ricorsi in carenza presentati contro lo stesso Consiglio (art. III-367).
I poteri del Consiglio europeo sono definiti in maniera più precisa che in passato. Esso dà all’Unione gli impulsi necessari al suo sviluppo e ne definisc
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e gli orientamenti e le priorità politiche generali; non esercita, invece, funzioni legislative (art. I-21). Si riunisce ogni trimestre (non più almeno due volte all’anno) su convocazione del presidente, il quale, se la situazione lo richiede, può convocare anche una riunione straordinaria. La Costituzione prevede che in certi casi (per esempio, per la designazione del presidente della Commissione e per l’elezione del proprio presidente) il Consiglio si pronunci a maggioranza qualificata, non per consenso, come di regola. La maggioranza qualificata è regolata come per il Consiglio dei ministri, che esamineremo più oltre. In questa sede vale la pena di avvertire che la votazione è riservata ai capi di Stato o di governo che compongono il Consiglio europeo, con esclusione del presidente della Commissione e del presidente dello stesso Consiglio, che pure ne fanno parte (art. I-25, par. 4).
L’inserimento del Consiglio europeo nel quadro istituzionale dell’Unione è stato visto come un rafforzamento del metodo intergovernativo che, per di più, altera il tradizionale equilibrio “triangolare” tra Consiglio dei ministri, Parlamento e Commissione. Probabilmente – com’è stato autorevolmente osservato da Antonio Tizzano – l’opzione preferibile sarebbe stata di unificare il Consiglio europeo e quello dei ministri in un’unica istituzione (eventualmente differenziando, nelle diverse materie, il livello della sua composizione), tenuto conto che i due
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Consigli rappresentano i medesimi interessi statali.
Una riaffermazione della logica intergovernativa traspare anche dalle modifiche concernenti il presidente del Consiglio europeo. Questi non è più assegnato a rotazione semestrale a tutti gli Stati membri, ma è eletto dal Consiglio a maggioranza qualificata per un periodo di due anni e mezzo e il suo mandato è rinnovabile una volta (art. I-22). Sia l’elezione che la durata del mandato accrescono l’autorità politica del presidente e la sua visibilità e rischiano di mettere in ombra la figura del presidente della Commissione. Le sue funzioni, peraltro, non sono particolarmente incisive; egli presiede e anima i lavori del Consiglio, assicura la preparazione e la continuità dei suoi lavori (in cooperazione con il presidente della Commissione e in base ai lavori del Consiglio “Affari generali”), si adopera per facilitare la coesione e il consenso in seno al Consiglio europeo, presenta al Parlamento europeo una relazione dopo ciascuna delle riunioni del Consiglio europeo; inoltre assicura la rappresentanza esterna dell’Unione per le materie relative alla politica estera e di sicurezza comune.
Si noti che la carica di presidente del Consiglio europeo è incompatibile con qualsiasi mandato nazionale (art. I-22, par. 3). La limitazione dell’incompatibilità al solo mandato nazionale, non anche a quello europeo, lascia aperta la possibilità che in futuro tale carica possa essere assunta dal pres
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idente della Commissione.
Per il Consiglio dei ministri (indicato anche semplicemente come il “Consiglio”) le principali novità riguardano le sue formazioni e il sistema di votazione. Per il resto l’art. I-23 dichiara che esso esercita, congiuntamente al Parlamento europeo, la funzione legislativa e quella di bilancio, nonché funzioni di definizione delle politiche e di coordinamento. Il Consiglio emana anche atti non legislativi, quali regolamenti europei e decisioni europee e, in casi specifici debitamente motivati e in materia di politica estera e di sicurezza comune, esercita anche competenze di esecuzione.
Riguardo alle formazioni del Consiglio, l’art. I-24 stabilisce che esso si riunisce in varie formazioni e ne prevede espressamente due, il Consiglio “Affari generali” e il Consiglio “Affari esteri” (mentre non è stata accolta la proposta, formulata dalla “Convenzione”, di una formazione come “Consiglio legislativo”). Il primo assicura la coerenza dei lavori delle varie formazioni, prepara le riunioni del Consiglio europeo e ne assicura il seguito in collegamento con il presidente del Consiglio europeo e la Commissione; il secondo elabora l’azione esterna dell’Unione secondo le linee strategiche definite dal Consiglio europeo e assicura la coerenza dell’azione dell’Unione. La presidenza di quest’ultimo spetta al ministro degli affari esteri, mentre per il Consiglio “Affari generali” (e delle altre formazioni, il cui elenco sarà
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stabilito con una decisione del Consiglio europeo) la presidenza è esercitata dai rappresentanti degli Stati membri a rotazione, conformemente a una decisione del Consiglio europeo.
La regola generale di votazione del Consiglio diventa quella della maggioranza qualificata. Com’è noto, il procedimento di votazione è stato oggetto di accaniti contrasti. Il progetto della “Convenzione”, che prevedeva l’abolizione della ponderazione del voto, ha incontrato la netta opposizione di Polonia e Spagna, i quali avevano ricevuto dal Trattato di Nizza del 26 febbraio 2001 un voto sproporzionato rispetto alla loro popolazione e non intendevano rinunciare a tale beneficio. La soluzione raggiunta nella Conferenza intergovernativa (consacrata nell’art. I-25) comporta l’eliminazione della ponderazione e l’introduzione di un meccanismo basato su una doppia maggioranza, di Stati e di popolazione. La maggioranza qualificata è data, infatti, dal 55% dei membri del Consiglio (72% se il Consiglio non delibera su proposta della Commissione o del ministro degli esteri), con un minimo di 15 membri, rappresentanti almeno il 65% della popolazione dell’Unione. Peraltro la minoranza di blocco deve comprendere almeno 4 membri del Consiglio; in mancanza la maggioranza qualificata si considera raggiunta. Il compromesso realizzato su tale regola prevede che essa entri in vigore il 1° novembre 2009, applicandosi per ora il voto ponderato risultante dal Trattato di adesi
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one di Atene del 16 aprile 2003 (art. 2 del Protocollo n. 34 sulle disposizioni transitorie relative alle istituzioni e agli organi dell’Unione).
Anche la composizione della Commissione ha costituito oggetto di vivaci dibattiti tra chi voleva ridurre il numero dei commissari e chi (compresa la Commissione) si batteva per l’attribuzione di un commissario a ciascuno Stato. In sede di “Convenzione” era prevalsa la riduzione a 15 (compreso il presidente e il ministro degli esteri), scelti in base ad un sistema di rotazione e affiancati da altri commissari privi di diritto di voto. La soluzione accolta nell’art. I-26 della Costituzione prevede, invece, che la prima Commissione nominata in applicazione della stessa Costituzione comprenda un cittadino per ciascuno Stato membro (compreso il presidente e il ministro degli esteri). Successivamente essa sarà composta da un numero di membri corrispondente ai due terzi del numero degli Stati membri (salvo che il Consiglio europeo non decida, all’unanimità, di modificare tale numero). I membri della Commissione sono scelti tra i cittadini degli Stati membri in base ad un sistema di rotazione paritaria, stabilito con decisione unanime del Consiglio europeo secondo i seguenti principi: a) gli Stati membri sono trattati su un piano di assoluta parità per quanto concerne la determinazione dell’avvicendamento e del periodo di permanenza dei loro cittadini in seno alla Commissione; pertanto lo scarto tra
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il numero totale dei mandati detenuti da cittadini di due Stati membri non può essere superiore a uno; b) ciascuna delle Commis-sioni successive è costituita in modo da riflettere in maniera soddisfacente la molteplicità demografica e geografica degli Stati membri.
La composizione ridotta della Commissione, rispetto agli Stati membri, appare condivisibile, in quanto l’attribuzione di un commissario a ciascuno Stato avrebbe determinato un progressivo e irrazionale ampliamento della Commissione e, presumibilmente, delle sue direzioni generali. Il principio di un commissario per Stato avrebbe prodotto il rischio, inoltre, di accentuare il legame con lo Stato di appartenenza di ciascun commissario, il quale, al contrario, deve operare in piena indipendenza, nell’interesse generale dell’Unione.
La Commissione vede forse ridotto il suo ruolo, a fronte dell’accentuazione del metodo intergovernativo, incarnato dal Consiglio europeo e da quello dei ministri, da un lato, e del maggiore peso del Parlamento europeo, dall’altro. Tuttavia essa conserva, di regola, il monopolio dell’iniziativa legislativa (art. I-26, par. 2) e, se la Costituzione lo prevede, il potere di proposta degli altri atti. Essa, inoltre, può adottare regolamenti delegati, in base a leggi o leggi quadro, al fine di completare o modificare determinati elementi non essenziali della legge o della legge quadro (art. I-36), nonché atti di esecuzione (art. I-37).
Una riduzione dei
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poteri della Commissione si registra in materia di accordi dell’Unione. Essa, infatti, non è più deputata allo svolgimento dei negoziati, che vengono affidati dal Consiglio a un negoziatore, designato in funzione della materia dell’accordo previsto; ed è su proposta del negoziatore (posto, eventualmente, a capo di una squadra) che il Consiglio decide la firma e la conclusione dell’accordo (art. III-325).
Più autorevole appare invece il ruolo del presidente in seno alla Commissione (salvo quanto si dirà riguardo al ministro degli esteri), come risulta, per esempio, dal suo potere di provocare le dimissioni di un commissario senza bisogno dell’approvazione del collegio (art. I-27, par. 3).
Una novità è rappresentata dalla figura del ministro degli affari esteri dell’Unione, il quale cumula sostanzialmente le funzioni già svolte dall’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune e dal commissario per le relazioni esterne. Si tratta di un organo che opera con “double casquette”, in seno al Consiglio e alla Commissione, la cui nomina implica il concorso della volontà dei governi, del presidente della Commissione e del Parlamento europeo. Egli, infatti, è nominato a maggioranza qualificata dal Consiglio europeo con l’accordo del presidente della Commissione; ma, in quanto membro della Commissione, è soggetto alla consueta procedura di nomina prevista dall’art. I-27 per la Commissione (ma non alle dimissioni su richiesta
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del presidente, per le quali occorre una delibera del Consiglio europeo). Il ministro degli affari esteri guida la politica estera e di sicurezza comune, comprensiva di quella di sicurezza e di difesa comune, e contribuisce con le sue proposte all’elaborazione di detta politica e la attua in qualità di mandatario del Consiglio; e in tale qualità presiede il Consiglio “Affari esteri”. Nella veste di componente della Commissione egli ne è vicepresidente, vigila sulla coerenza dell’azione esterna dell’Unione ed è incaricato delle responsabilità che incombono alla Commissione nel settore delle relazioni esterne e del coordinamento degli altri aspetti dell’azione esterna dell’Unione. Partecipa, inoltre, ai lavori del Consiglio europeo (art. I-21, par. 2). Tra l’altro, al ministro degli esteri spettano un potere di iniziativa per le decisioni del Consiglio europeo e del Consiglio in materia di politica estera e di sicurezza comune (art. I-40, par. 6) e un potere di raccomandazione per l’apertura di negoziati in vista di accordi dell’Unione che riguardino esclusivamente o principalmente tale politica (art. III-325, par. 3).
Il doppio ruolo del ministro degli esteri, da un lato, può contribuire ad una politica estera coerente e unitaria; dall’altro – com’è stato osservato da Lucia S. Rossi – potrebbe rivelarsi eccessivamente ingombrante per la Commissione e il suo presidente. Solo il concreto funzionamento del quadro istituzionale risultante d
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alla Costituzione potrà consentire un giudizio sicuro sulle scelte operate. Ci sembra, peraltro, che, pur con gli inevitabili e indispensabili compromessi tra le diverse istanze e i diversi interessi in giuoco, esso appaia complessivamente razionale ed efficace e segni, specie con riguardo al Parlamento europeo, un avanzamento nello sviluppo dell’integrazione europea secondo linee di approfondimento democratico e partecipativo.
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materia ha costituito oggetto di ampio dibattito e anche di vivaci contrasti nell’ambito della “Convenzione” presieduta da Giscard d’Estaing e, successivamente, della Conferenza intergovernativa che è approdata all’approvazione del testo definitivo, sottoscritto a Roma lo scorso 29 ottobre. E invero sugli aspetti istituzionali dell’Unione si contrapponevano esigenze, interessi, metodi, approcci all’integrazione europea variamente differenziati: le diverse posizioni degli Stati più forti rispetto a quelli “piccoli” si riflettevano specialmente nelle regole di votazione nel Consiglio, così come, per altro verso, il più accentuato attaccamento di alcuni Stati alla loro sovranità determinava un’accanita difesa della regola dell’unanimità in settori particolarmente sensibili (come la politica estera e di sicurezza comune); d’altra parte anche le istituzioni avanzavano le loro proposte, a tutela delle proprie prerogative o, più ampiamente, del metodo “comunitario” di sviluppo dell’integrazione europea - insidiato dal riemergere del metodo “intergovernativo” - e di quell’equilibrio istituzionale (tra Consiglio, Parlamento europeo e Commissione) sul quale si regge la struttura dell’Unione. Così la Commissione ha manifestato le proprie perplessità (se non l’aperta ostilità) nei confronti delle modifiche relative alla presidenza del Consiglio europeo, nonché riguardo alla riduzione del numero dei membri della stessa Commissione rispetto a quello
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degli Stati membri. Il Parlamento europeo ha propugnato la più ampia applicazione del sistema (certo più democratico) di adozione degli atti dell’Unione mediante la procedura di codecisione. Anche i parlamenti nazionali, rappresentati in seno alla “Convenzione”, e le autonomie regionali, hanno operato per una maggiore democratizzazione della vita dell’Unione attraverso una qualche forma di partecipazione ai procedimenti decisionali europei e di controllo sul rispetto del principio di sussidiarietà.
La Costituzione, al titolo IV della parte I, contempla le istituzioni e gli organi dell’Unione, distinguendo, da una parte, un quadro istituzionale (capo I), che comprende le istituzioni principali, cioè il Parlamento europeo, il Consiglio europeo, il Consiglio dei ministri, la Commissione europea e la Corte di giustizia dell’Unione europea, e, dall’altra parte (capo II), le altre istituzioni e organi dell’Unione, quali la Banca centrale europea, la Corte dei conti e gli organi consultivi (Comitato delle regioni e Comitato economico e sociale). L’art I-19, che elenca le istituzioni principali, riafferma il principio delle competenze di attribuzione, in base al quale “ciascuna istituzione agisce nei limiti delle attribuzioni che le sono conferite dalla Costituzione, secondo le procedure e condizioni da essa previste”; esso, inoltre, prescrive espressamente il rispetto del principio di leale collaborazione che, contemplato dall’art. 10 del vi
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gente Trattato CE, per quanto riguarda gli obblighi degli Stati membri di assicurare l’attuazione dei compiti della Comunità e dei fini del Trattato, è stato esteso dalla giurisprudenza della Corte di giustizia ai rapporti tra le istituzioni europee.
Limitandoci all’esame delle istituzioni principali – e prescindendo dalla Corte di giustizia, oggetto di un altro contributo – notiamo che per la composizione del Parlamento europeo l’art. I-20 reca solo qualche lieve modifica e precisazione rispetto alla corrispondente disposizione del Trattato CE. Esso, anzitutto, eleva da 732 a 750 il numero massimo dei suoi componenti; stabilisce, inoltre, che la rappresentanza dei cittadini è garantita in modo progressivamente proporzionale, con riferimento a ciascuno Stato membro, e definisce una soglia minima (di sei membri) e massima (di novantasei) per ciascuno Stato, demandando a una decisione europea, adottata all’unanimità dal Consiglio europeo su iniziativa del Parlamento europeo e con la sua approvazione, la regolamentazione della composizione dello stesso Parlamento, nel rispetto dei predetti principi. L’articolo in esame precisa inoltre che l’elezione del Parlamento europeo avviene “a suffragio universale diretto, libero e segreto”.
Quanto ai poteri del Parlamento europeo, essi risultano sensibilmente rafforzati, specie nel procedimento legislativo, contribuendo così all’ulteriore avanzamento di quel processo di sviluppo democratico, che
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ha progressivamente colmato, in larga misura, quel deficit di democrazia che, indubbiamente presente nell’originario assetto dei rapporti tra le istituzioni comunitarie, era stato denunciato con vigore dal Parlamento europeo.
Tali poteri sono definiti dall’art. I-20, par. 1, come esercizio, congiuntamente al Consiglio dei ministri, della funzione legislativa e della funzione di bilancio e come esercizio delle funzioni di controllo politico e consultive, alle condizioni stabilite dalla Costituzione. Più precisamente, il Parlamento ha il potere di eleggere, a maggioranza dei suoi membri, il presidente della Commissione (art. I-27, par. 1). Sebbene il Parlamento non possa individuare il candidato, che viene proposto dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata, quanto meno la composizione politica del Parlamento è influente su tale designazione. Lo stesso art. I-27, par. 1, dispone, infatti, che il Consiglio europeo proponga il candidato “tenuto conto delle elezioni del Parlamento europeo” (e dopo avere effettuato le consultazioni appropriate); ciò implica che il candidato designato corrisponda agli orientamenti politici prevalenti nel Parlamento e che egli possa essere eletto sulla base della fiducia espressa dalla componente politica maggioritaria (com’è confermato dalla regola secondo la quale la sua elezione avviene a maggioranza dei membri del Parlamento). Si accentua così il rapporto di fiducia politica tra il presidente (e l’int
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era Commissione, anch’essa soggetta al voto di approvazione del Parlamento) e il Parlamento, rapporto che è espressamente riconosciuto dall’art. I-26, par. 8, il quale dichiara che la Commissione è responsabile collettivamente dinanzi al Parlamento europeo e a tale premessa ricollega la disciplina della mozione di censura.
I poteri di controllo del Parlamento vengono estesi anche al Consiglio europeo, il quale (come il Consiglio dei ministri) è ascoltato dal Parlamento, peraltro secondo modalità previste dal proprio regolamento interno (art. III-337, par. 1).
Sul piano legislativo va sottolineato che la procedura ordinaria diventa (opportunamente semplificata) quella di codecisione, nella quale, com’è noto, il Parlamento europeo è posto in posizione di parità con il Consiglio dei ministri, avendo eguale potere sia nel proporre modifiche alla proposta della Commissione, sia nel determinarne l’approvazione o la bocciatura (art. III-396). È ribadito, inoltre, il potere del Parlamento di chiedere alla Commissione di presentare proposte di atti, ma con l’obbligo della Commissione, ove non presenti proposte, di comunicare le motivazioni al Parlamento (art. III-332 e in senso analogo, nei rapporti tra il Consiglio dei ministri e la Commissione, art. III-345). Ulteriori ampliamenti dei poteri del Parlamento si registrano nell’approvazione del bilancio, con la scomparsa della distinzione tra spese obbligatorie e non obbligatorie, e in varie ma
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terie, nelle quali alla consultazione del Parlamento di sostituisce la sua approvazione (avente funzione analoga al parere conforme). Il Parlamento resta invece in una posizione sostanzialmente marginale nel settore della politica estera e di sicurezza comune nella quale, malgrado l’apparente eliminazione dei “pilastri” introdotti dal Trattato di Maastricht e la riconduzione degli stessi ad un quadro unitario, prevale in maniera accentuata il metodo intergovernativo.
La seconda istituzione compresa tra quelle principali costituenti il “quadro istituzionale” è il Consiglio europeo. Con l’attribuzione della qualifica di “istituzione” si completa quel lungo processo che ha condotto tale organo, nato nella prassi e situato, originariamente, al di fuori e, in senso politico, al di sopra del sistema istituzionale comunitario, ad inserirsi a pieno titolo nella struttura dell’Unione. Ciò comporta la soggezione del Consiglio europeo all’ordinamento normativo della Costituzione e persino al controllo di legittimità della Corte di giustizia. Questa, infatti, è competente a pronunciarsi sulla invalidità degli atti del Consiglio europeo destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi (art. III-365), nonché sui ricorsi in carenza presentati contro lo stesso Consiglio (art. III-367).
I poteri del Consiglio europeo sono definiti in maniera più precisa che in passato. Esso dà all’Unione gli impulsi necessari al suo sviluppo e ne definisc
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e gli orientamenti e le priorità politiche generali; non esercita, invece, funzioni legislative (art. I-21). Si riunisce ogni trimestre (non più almeno due volte all’anno) su convocazione del presidente, il quale, se la situazione lo richiede, può convocare anche una riunione straordinaria. La Costituzione prevede che in certi casi (per esempio, per la designazione del presidente della Commissione e per l’elezione del proprio presidente) il Consiglio si pronunci a maggioranza qualificata, non per consenso, come di regola. La maggioranza qualificata è regolata come per il Consiglio dei ministri, che esamineremo più oltre. In questa sede vale la pena di avvertire che la votazione è riservata ai capi di Stato o di governo che compongono il Consiglio europeo, con esclusione del presidente della Commissione e del presidente dello stesso Consiglio, che pure ne fanno parte (art. I-25, par. 4).
L’inserimento del Consiglio europeo nel quadro istituzionale dell’Unione è stato visto come un rafforzamento del metodo intergovernativo che, per di più, altera il tradizionale equilibrio “triangolare” tra Consiglio dei ministri, Parlamento e Commissione. Probabilmente – com’è stato autorevolmente osservato da Antonio Tizzano – l’opzione preferibile sarebbe stata di unificare il Consiglio europeo e quello dei ministri in un’unica istituzione (eventualmente differenziando, nelle diverse materie, il livello della sua composizione), tenuto conto che i due
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Consigli rappresentano i medesimi interessi statali.
Una riaffermazione della logica intergovernativa traspare anche dalle modifiche concernenti il presidente del Consiglio europeo. Questi non è più assegnato a rotazione semestrale a tutti gli Stati membri, ma è eletto dal Consiglio a maggioranza qualificata per un periodo di due anni e mezzo e il suo mandato è rinnovabile una volta (art. I-22). Sia l’elezione che la durata del mandato accrescono l’autorità politica del presidente e la sua visibilità e rischiano di mettere in ombra la figura del presidente della Commissione. Le sue funzioni, peraltro, non sono particolarmente incisive; egli presiede e anima i lavori del Consiglio, assicura la preparazione e la continuità dei suoi lavori (in cooperazione con il presidente della Commissione e in base ai lavori del Consiglio “Affari generali”), si adopera per facilitare la coesione e il consenso in seno al Consiglio europeo, presenta al Parlamento europeo una relazione dopo ciascuna delle riunioni del Consiglio europeo; inoltre assicura la rappresentanza esterna dell’Unione per le materie relative alla politica estera e di sicurezza comune.
Si noti che la carica di presidente del Consiglio europeo è incompatibile con qualsiasi mandato nazionale (art. I-22, par. 3). La limitazione dell’incompatibilità al solo mandato nazionale, non anche a quello europeo, lascia aperta la possibilità che in futuro tale carica possa essere assunta dal pres
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idente della Commissione.
Per il Consiglio dei ministri (indicato anche semplicemente come il “Consiglio”) le principali novità riguardano le sue formazioni e il sistema di votazione. Per il resto l’art. I-23 dichiara che esso esercita, congiuntamente al Parlamento europeo, la funzione legislativa e quella di bilancio, nonché funzioni di definizione delle politiche e di coordinamento. Il Consiglio emana anche atti non legislativi, quali regolamenti europei e decisioni europee e, in casi specifici debitamente motivati e in materia di politica estera e di sicurezza comune, esercita anche competenze di esecuzione.
Riguardo alle formazioni del Consiglio, l’art. I-24 stabilisce che esso si riunisce in varie formazioni e ne prevede espressamente due, il Consiglio “Affari generali” e il Consiglio “Affari esteri” (mentre non è stata accolta la proposta, formulata dalla “Convenzione”, di una formazione come “Consiglio legislativo”). Il primo assicura la coerenza dei lavori delle varie formazioni, prepara le riunioni del Consiglio europeo e ne assicura il seguito in collegamento con il presidente del Consiglio europeo e la Commissione; il secondo elabora l’azione esterna dell’Unione secondo le linee strategiche definite dal Consiglio europeo e assicura la coerenza dell’azione dell’Unione. La presidenza di quest’ultimo spetta al ministro degli affari esteri, mentre per il Consiglio “Affari generali” (e delle altre formazioni, il cui elenco sarà
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stabilito con una decisione del Consiglio europeo) la presidenza è esercitata dai rappresentanti degli Stati membri a rotazione, conformemente a una decisione del Consiglio europeo.
La regola generale di votazione del Consiglio diventa quella della maggioranza qualificata. Com’è noto, il procedimento di votazione è stato oggetto di accaniti contrasti. Il progetto della “Convenzione”, che prevedeva l’abolizione della ponderazione del voto, ha incontrato la netta opposizione di Polonia e Spagna, i quali avevano ricevuto dal Trattato di Nizza del 26 febbraio 2001 un voto sproporzionato rispetto alla loro popolazione e non intendevano rinunciare a tale beneficio. La soluzione raggiunta nella Conferenza intergovernativa (consacrata nell’art. I-25) comporta l’eliminazione della ponderazione e l’introduzione di un meccanismo basato su una doppia maggioranza, di Stati e di popolazione. La maggioranza qualificata è data, infatti, dal 55% dei membri del Consiglio (72% se il Consiglio non delibera su proposta della Commissione o del ministro degli esteri), con un minimo di 15 membri, rappresentanti almeno il 65% della popolazione dell’Unione. Peraltro la minoranza di blocco deve comprendere almeno 4 membri del Consiglio; in mancanza la maggioranza qualificata si considera raggiunta. Il compromesso realizzato su tale regola prevede che essa entri in vigore il 1° novembre 2009, applicandosi per ora il voto ponderato risultante dal Trattato di adesi
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one di Atene del 16 aprile 2003 (art. 2 del Protocollo n. 34 sulle disposizioni transitorie relative alle istituzioni e agli organi dell’Unione).
Anche la composizione della Commissione ha costituito oggetto di vivaci dibattiti tra chi voleva ridurre il numero dei commissari e chi (compresa la Commissione) si batteva per l’attribuzione di un commissario a ciascuno Stato. In sede di “Convenzione” era prevalsa la riduzione a 15 (compreso il presidente e il ministro degli esteri), scelti in base ad un sistema di rotazione e affiancati da altri commissari privi di diritto di voto. La soluzione accolta nell’art. I-26 della Costituzione prevede, invece, che la prima Commissione nominata in applicazione della stessa Costituzione comprenda un cittadino per ciascuno Stato membro (compreso il presidente e il ministro degli esteri). Successivamente essa sarà composta da un numero di membri corrispondente ai due terzi del numero degli Stati membri (salvo che il Consiglio europeo non decida, all’unanimità, di modificare tale numero). I membri della Commissione sono scelti tra i cittadini degli Stati membri in base ad un sistema di rotazione paritaria, stabilito con decisione unanime del Consiglio europeo secondo i seguenti principi: a) gli Stati membri sono trattati su un piano di assoluta parità per quanto concerne la determinazione dell’avvicendamento e del periodo di permanenza dei loro cittadini in seno alla Commissione; pertanto lo scarto tra
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il numero totale dei mandati detenuti da cittadini di due Stati membri non può essere superiore a uno; b) ciascuna delle Commis-sioni successive è costituita in modo da riflettere in maniera soddisfacente la molteplicità demografica e geografica degli Stati membri.
La composizione ridotta della Commissione, rispetto agli Stati membri, appare condivisibile, in quanto l’attribuzione di un commissario a ciascuno Stato avrebbe determinato un progressivo e irrazionale ampliamento della Commissione e, presumibilmente, delle sue direzioni generali. Il principio di un commissario per Stato avrebbe prodotto il rischio, inoltre, di accentuare il legame con lo Stato di appartenenza di ciascun commissario, il quale, al contrario, deve operare in piena indipendenza, nell’interesse generale dell’Unione.
La Commissione vede forse ridotto il suo ruolo, a fronte dell’accentuazione del metodo intergovernativo, incarnato dal Consiglio europeo e da quello dei ministri, da un lato, e del maggiore peso del Parlamento europeo, dall’altro. Tuttavia essa conserva, di regola, il monopolio dell’iniziativa legislativa (art. I-26, par. 2) e, se la Costituzione lo prevede, il potere di proposta degli altri atti. Essa, inoltre, può adottare regolamenti delegati, in base a leggi o leggi quadro, al fine di completare o modificare determinati elementi non essenziali della legge o della legge quadro (art. I-36), nonché atti di esecuzione (art. I-37).
Una riduzione dei
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poteri della Commissione si registra in materia di accordi dell’Unione. Essa, infatti, non è più deputata allo svolgimento dei negoziati, che vengono affidati dal Consiglio a un negoziatore, designato in funzione della materia dell’accordo previsto; ed è su proposta del negoziatore (posto, eventualmente, a capo di una squadra) che il Consiglio decide la firma e la conclusione dell’accordo (art. III-325).
Più autorevole appare invece il ruolo del presidente in seno alla Commissione (salvo quanto si dirà riguardo al ministro degli esteri), come risulta, per esempio, dal suo potere di provocare le dimissioni di un commissario senza bisogno dell’approvazione del collegio (art. I-27, par. 3).
Una novità è rappresentata dalla figura del ministro degli affari esteri dell’Unione, il quale cumula sostanzialmente le funzioni già svolte dall’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune e dal commissario per le relazioni esterne. Si tratta di un organo che opera con “double casquette”, in seno al Consiglio e alla Commissione, la cui nomina implica il concorso della volontà dei governi, del presidente della Commissione e del Parlamento europeo. Egli, infatti, è nominato a maggioranza qualificata dal Consiglio europeo con l’accordo del presidente della Commissione; ma, in quanto membro della Commissione, è soggetto alla consueta procedura di nomina prevista dall’art. I-27 per la Commissione (ma non alle dimissioni su richiesta
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del presidente, per le quali occorre una delibera del Consiglio europeo). Il ministro degli affari esteri guida la politica estera e di sicurezza comune, comprensiva di quella di sicurezza e di difesa comune, e contribuisce con le sue proposte all’elaborazione di detta politica e la attua in qualità di mandatario del Consiglio; e in tale qualità presiede il Consiglio “Affari esteri”. Nella veste di componente della Commissione egli ne è vicepresidente, vigila sulla coerenza dell’azione esterna dell’Unione ed è incaricato delle responsabilità che incombono alla Commissione nel settore delle relazioni esterne e del coordinamento degli altri aspetti dell’azione esterna dell’Unione. Partecipa, inoltre, ai lavori del Consiglio europeo (art. I-21, par. 2). Tra l’altro, al ministro degli esteri spettano un potere di iniziativa per le decisioni del Consiglio europeo e del Consiglio in materia di politica estera e di sicurezza comune (art. I-40, par. 6) e un potere di raccomandazione per l’apertura di negoziati in vista di accordi dell’Unione che riguardino esclusivamente o principalmente tale politica (art. III-325, par. 3).
Il doppio ruolo del ministro degli esteri, da un lato, può contribuire ad una politica estera coerente e unitaria; dall’altro – com’è stato osservato da Lucia S. Rossi – potrebbe rivelarsi eccessivamente ingombrante per la Commissione e il suo presidente. Solo il concreto funzionamento del quadro istituzionale risultante d
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alla Costituzione potrà consentire un giudizio sicuro sulle scelte operate. Ci sembra, peraltro, che, pur con gli inevitabili e indispensabili compromessi tra le diverse istanze e i diversi interessi in giuoco, esso appaia complessivamente razionale ed efficace e segni, specie con riguardo al Parlamento europeo, un avanzamento nello sviluppo dell’integrazione europea secondo linee di approfondimento democratico e partecipativo.