IL GIUDICATO AMMINISTRATIVO CONTRARIO AL DIRITTO COMUNITARIO, LA CERTEZZA DEL DIRITTO E IL PRINCIPIO DI LEALE COOPERAZIONE
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di Angela Maria ROMITO
Con
la sentenza del 12 febbraio 2008 (C-2/06, Willy Kempter KG e
Hauptzollamt Hamburg-Jonas) la Grande sezione della Corte di giustizia
si è pronunciata in via pregiudiziale sull’interpretazione del principio
di cooperazione risultante dall’art. 10 TCE, letto alla luce del
celebre caso Kühne & Heitz.
Nella precedente pronuncia resa nel gennaio 2004, i giudici comunitari hanno statuito che il principio di cooperazione impone all’amministrazione il riesame (o la rettifica) in autotutela di un provvedimento adottato sulla base di una interpretazione del diritto comunitario successivamente smentita dalla Corte di giustizia. In particolare, tale dovere sussiste allorquando l’organo amministrativo disponga, secondo il diritto nazionale, del potere di ritornare su tale decisione; l’atto amministrativo sia divenuto «definitivo» in seguito ad una sentenza nazionale di un giudice che statuisce in ultima istanza; che la decisione risulti adottata sulla base di un’interpretazione del diritto comunitario che si sia rivelata, alla luce di una sentenza successiva della stessa Corte di giustizia europea, errata ed adottata senza ricorso al rinvio pregiudiziale; che l’interessato si sia rivolto immediatamente all’organo amministrativo per il riesame o la rettifica.
Nel recente caso sottoposto al vaglio della Corte di giustizia il Finanzgericht Hamburg (Tribunale competente in materia di tributi in Germania) ha sollevato dinanzi all’autorità giurisdizionale comunitaria due quesiti interpretativi (ai sensi dell’art. 234 TCE) al fine di potersi pronunciare sulla richiesta di riesame presentata dalla società Kempter di un provvedimento amministrativo definitivo che le imponeva il rimborso di restituzioni all’esportazione che erano già state corrisposte.
Era accaduto infatti che a seguito di un atto dell’amministrazione doganale impugnato (in primo e secondo grado) dinanzi le competenti autorità tributarie, la ricorrente fosse stata condannata a rimborsare le restituzioni all’esportazione di cui aveva beneficiato tra il 1990 ed il 1992. Successivamente la stessa corte tedesca pronunciandosi su un caso analogo (sentenza Emsland-Stärke) aveva statuito che la condizione secondo cui le merci dovevano essere state importate in un paese terzo affinché venissero concesse le restituzioni all’esportazione previste da un regolamento comunitario potessero essere opposte al beneficiario delle restituzioni solamente prima della concessione delle stesse. Di conseguenza la Kempter senza indugio ha chiesto allo Hauptzolllamt (Ufficio della dogana centrale tedesca) la riapertura del procedimento e la revisione della decisione a sé sfavorevole.
Il Finanzgericht di Amburgo, nella sua ordinanza di rinvio, dopo aver constatato che la decisione di recupero dello Hauptzollamt era illegittima, si è chiesto se lo stesso Hauptzollamt fosse tenuto a riesaminare la propria decisione, che, nel frattempo, era divenuta definitiva, anche se la ricorrente non aveva sollevato nei precedenti gradi di giudizio l’eccezione dell’ erronea interpretazione del diritto comunitario (specificamente l’art. 5, n. 1, del regolamento 3665/87/CEE).
Le domande pregiudiziali formulate dal giudice a quo sono due: la prima è diretta a chiarire se il riesame o la rettifica di una decisione amministrativa definitiva, per tener conto dell’interpretazione di una disposizione del diritto comunitario data nel frattempo dalla Corte, presuppongano che il ricorrente abbia invocato il diritto comunitario nell’ambito del ricorso dinanzi al giudice nazionale; la seconda mira a stabilire se l’eventuale diritto di domandare il riesame o la rettifica (di una decisione amministrativa definitiva in contrasto con il diritto comunitario) sia soggetto a decadenza.
Il giudice ad quem con riferimento al primo quesito ha dichiarato che, perché il ricorrente possa invocare il riesame o la rettifica di una decisione amministrativa definitiva basata su un’interpretazione erronea del diritto comunitario, non è necessario che abbia già invocato l’applicazione del diritto comunitario nell’ambito del ricorso giurisdizionale di diritto interno da lui proposto contro tale decisione. Riguardo al secondo quesito la Grande Sezione ha statuito che nessun limite temporale per presentare una domanda diretta al riesame o alla rettifica di una decisione amministrativa divenuta definitiva è imposto dal diritto comunitario, restando nella discrezionalità degli Stati membri la fissazione di termini di ricorso ragionevoli, conformemente ai princípi comunitari di effettività e di equivalenza.
Estremamente interessanti sono le motivazioni a supporto della pronuncia: la Corte, innanzi tutto pone in gran risalto il ruolo attribuito al principio della certezza del diritto (considerato principio fondamentale del sistema comunitario), il cui rispetto impedisce di formulare un preciso obbligo di riesame (o di rettifica) di qualsiasi decisione amministrativa definitiva che sia contraria al diritto comunitario, dovendosi in linea di massima privilegiare il consolidamento dei diritti sorti a favore dei soggetti interessati dalla decisione. Solo in circostanze particolari, in virtù del principio di leale cooperazione, sarà consentito rimuovere gli effetti prodotti da un atto amministrativo difforme dal diritto comunitario e divenuto definitivo.
In secondo luogo i giudici di Lussemburgo si dilungano sulla funzione “essenziale” del ricorso per rinvio pregiudiziale: il sistema introdotto dall’art. 234 TCE, volto ad assicurare l’unità dell’interpretazione del diritto comunitario negli Stati membri, statuisce una cooperazione diretta tra la Corte e i giudici nazionali attraverso un procedimento estraneo ad ogni iniziativa delle parti. Esso si fonda – continua la Corte – su un dialogo tra giudici nazionali e comunitari e la valutazione circa l’opportunità di proposizione del rinvio è rimessa all’esclusiva valutazione del giudice a quo. Né dalla giurisprudenza pregressa (Kühne & Heitz) si può dedurre il contrario.
La Grande Camera così si esprime: “A tal riguardo occorre ricordare che, sebbene il diritto comunitario non imponga ai giudici nazionali di sollevare d’ufficio un motivo vertente sulla violazione di disposizioni comunitarie se l’esame di tale motivo li obbligherebbe ad esorbitare dai limiti della controversia come è stata circoscritta dalle parti, tali giudici sono tenuti a sollevare d’ufficio i motivi di diritto relativi ad una norma comunitaria vincolante quando, in virtù del diritto nazionale, essi hanno l’obbligo o la facoltà di farlo con riferimento ad una norma interna di natura vincolante” (par. 45).
Di seguito, poi, la Corte affronta il sempre dibattuto tema del rapporto tra diritto comunitario e diritto processuale nazionale: essa pur riaffermando il principio della preminenza del primo nei confronti di tutte le istituzioni nazionali (potere giudiziario, incluso), si mostra rispettosa del principio della intangibilità del giudicato (anche se non in termini assoluti) e dell’autonomia procedurale degli Stati membri, perché subordina al diritto interno la possibilità di riesame o la rettifica della decisione dell’organo amministrativo ed il termine di decadenza.
Riguardo il termine temporale entro cui richiedere il riesame o la rettifica del provvedimento definitivo, si rende necessario meglio precisare quanto già stabilito nel precedente del 2004: allora la Corte si era limitata ad indicare che l’interessato si sarebbe dovuto rivolgere all’organo amministrativo per il riesame “immediatamente“ dopo essere venuto a conoscenza della sentenza pregiudiziale della Corte da cui deriva l’illegittimità della decisione amministrativa divenuta definitiva. Nel caso in esame si specifica meglio che l’interessato dovrà attivarsi entro un las-so di tempo, a decorrere dalla pronuncia della detta sentenza, che appaia ragionevole con riferimento ai princípi del diritto nazionale e conforme ai princípi di equivalenza e di effettività. Infatti, non potendo il diritto comunitario imporre alcun termine preciso per la presentazione di una domanda di riesame o di rettifica, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare i giudici competenti e stabilire le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario, purché tali modalità, da un lato, non siano meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna (principio di equivalenza) né, dall’altro, rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività).
La Corte ha così riconosciuto compatibile con il diritto comunitario la fissazione di termini di ricorso ragionevoli a pena di decadenza, nell’interesse della certezza del diritto purché non siano tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti attribuiti dall’ordinamento giuridico comunitario.
Il caso in esame ha consentito alla Corte di chiarire ulteriormente come intende conciliare gli obblighi che derivano dal principio di prevalenza del diritto comunitario nonché dall’efficacia retroattiva delle proprie decisioni pregiudiziali con quelli che scaturiscono dal principio della certezza del diritto connesso al principio dell’autorità di cosa definitivamente giudicata.
Resta però da chiedersi se il rimando alle norme di diritto interno circa i tempi previsti per rimuovere le conseguenze di un provvedimento anticomunitario in seguito ad una giurisprudenza interpretativa successiva all’adozione del provvedimento, sia il mezzo più idoneo e corretto da adottare, potendosi per questa via creare situazioni di disuguaglianza a danno dei singoli e di conseguenza, arrecare pregiudizio all’uniforme applicazione del diritto comunitario.
Nella precedente pronuncia resa nel gennaio 2004, i giudici comunitari hanno statuito che il principio di cooperazione impone all’amministrazione il riesame (o la rettifica) in autotutela di un provvedimento adottato sulla base di una interpretazione del diritto comunitario successivamente smentita dalla Corte di giustizia. In particolare, tale dovere sussiste allorquando l’organo amministrativo disponga, secondo il diritto nazionale, del potere di ritornare su tale decisione; l’atto amministrativo sia divenuto «definitivo» in seguito ad una sentenza nazionale di un giudice che statuisce in ultima istanza; che la decisione risulti adottata sulla base di un’interpretazione del diritto comunitario che si sia rivelata, alla luce di una sentenza successiva della stessa Corte di giustizia europea, errata ed adottata senza ricorso al rinvio pregiudiziale; che l’interessato si sia rivolto immediatamente all’organo amministrativo per il riesame o la rettifica.
Nel recente caso sottoposto al vaglio della Corte di giustizia il Finanzgericht Hamburg (Tribunale competente in materia di tributi in Germania) ha sollevato dinanzi all’autorità giurisdizionale comunitaria due quesiti interpretativi (ai sensi dell’art. 234 TCE) al fine di potersi pronunciare sulla richiesta di riesame presentata dalla società Kempter di un provvedimento amministrativo definitivo che le imponeva il rimborso di restituzioni all’esportazione che erano già state corrisposte.
Era accaduto infatti che a seguito di un atto dell’amministrazione doganale impugnato (in primo e secondo grado) dinanzi le competenti autorità tributarie, la ricorrente fosse stata condannata a rimborsare le restituzioni all’esportazione di cui aveva beneficiato tra il 1990 ed il 1992. Successivamente la stessa corte tedesca pronunciandosi su un caso analogo (sentenza Emsland-Stärke) aveva statuito che la condizione secondo cui le merci dovevano essere state importate in un paese terzo affinché venissero concesse le restituzioni all’esportazione previste da un regolamento comunitario potessero essere opposte al beneficiario delle restituzioni solamente prima della concessione delle stesse. Di conseguenza la Kempter senza indugio ha chiesto allo Hauptzolllamt (Ufficio della dogana centrale tedesca) la riapertura del procedimento e la revisione della decisione a sé sfavorevole.
Il Finanzgericht di Amburgo, nella sua ordinanza di rinvio, dopo aver constatato che la decisione di recupero dello Hauptzollamt era illegittima, si è chiesto se lo stesso Hauptzollamt fosse tenuto a riesaminare la propria decisione, che, nel frattempo, era divenuta definitiva, anche se la ricorrente non aveva sollevato nei precedenti gradi di giudizio l’eccezione dell’ erronea interpretazione del diritto comunitario (specificamente l’art. 5, n. 1, del regolamento 3665/87/CEE).
Le domande pregiudiziali formulate dal giudice a quo sono due: la prima è diretta a chiarire se il riesame o la rettifica di una decisione amministrativa definitiva, per tener conto dell’interpretazione di una disposizione del diritto comunitario data nel frattempo dalla Corte, presuppongano che il ricorrente abbia invocato il diritto comunitario nell’ambito del ricorso dinanzi al giudice nazionale; la seconda mira a stabilire se l’eventuale diritto di domandare il riesame o la rettifica (di una decisione amministrativa definitiva in contrasto con il diritto comunitario) sia soggetto a decadenza.
Il giudice ad quem con riferimento al primo quesito ha dichiarato che, perché il ricorrente possa invocare il riesame o la rettifica di una decisione amministrativa definitiva basata su un’interpretazione erronea del diritto comunitario, non è necessario che abbia già invocato l’applicazione del diritto comunitario nell’ambito del ricorso giurisdizionale di diritto interno da lui proposto contro tale decisione. Riguardo al secondo quesito la Grande Sezione ha statuito che nessun limite temporale per presentare una domanda diretta al riesame o alla rettifica di una decisione amministrativa divenuta definitiva è imposto dal diritto comunitario, restando nella discrezionalità degli Stati membri la fissazione di termini di ricorso ragionevoli, conformemente ai princípi comunitari di effettività e di equivalenza.
Estremamente interessanti sono le motivazioni a supporto della pronuncia: la Corte, innanzi tutto pone in gran risalto il ruolo attribuito al principio della certezza del diritto (considerato principio fondamentale del sistema comunitario), il cui rispetto impedisce di formulare un preciso obbligo di riesame (o di rettifica) di qualsiasi decisione amministrativa definitiva che sia contraria al diritto comunitario, dovendosi in linea di massima privilegiare il consolidamento dei diritti sorti a favore dei soggetti interessati dalla decisione. Solo in circostanze particolari, in virtù del principio di leale cooperazione, sarà consentito rimuovere gli effetti prodotti da un atto amministrativo difforme dal diritto comunitario e divenuto definitivo.
In secondo luogo i giudici di Lussemburgo si dilungano sulla funzione “essenziale” del ricorso per rinvio pregiudiziale: il sistema introdotto dall’art. 234 TCE, volto ad assicurare l’unità dell’interpretazione del diritto comunitario negli Stati membri, statuisce una cooperazione diretta tra la Corte e i giudici nazionali attraverso un procedimento estraneo ad ogni iniziativa delle parti. Esso si fonda – continua la Corte – su un dialogo tra giudici nazionali e comunitari e la valutazione circa l’opportunità di proposizione del rinvio è rimessa all’esclusiva valutazione del giudice a quo. Né dalla giurisprudenza pregressa (Kühne & Heitz) si può dedurre il contrario.
La Grande Camera così si esprime: “A tal riguardo occorre ricordare che, sebbene il diritto comunitario non imponga ai giudici nazionali di sollevare d’ufficio un motivo vertente sulla violazione di disposizioni comunitarie se l’esame di tale motivo li obbligherebbe ad esorbitare dai limiti della controversia come è stata circoscritta dalle parti, tali giudici sono tenuti a sollevare d’ufficio i motivi di diritto relativi ad una norma comunitaria vincolante quando, in virtù del diritto nazionale, essi hanno l’obbligo o la facoltà di farlo con riferimento ad una norma interna di natura vincolante” (par. 45).
Di seguito, poi, la Corte affronta il sempre dibattuto tema del rapporto tra diritto comunitario e diritto processuale nazionale: essa pur riaffermando il principio della preminenza del primo nei confronti di tutte le istituzioni nazionali (potere giudiziario, incluso), si mostra rispettosa del principio della intangibilità del giudicato (anche se non in termini assoluti) e dell’autonomia procedurale degli Stati membri, perché subordina al diritto interno la possibilità di riesame o la rettifica della decisione dell’organo amministrativo ed il termine di decadenza.
Riguardo il termine temporale entro cui richiedere il riesame o la rettifica del provvedimento definitivo, si rende necessario meglio precisare quanto già stabilito nel precedente del 2004: allora la Corte si era limitata ad indicare che l’interessato si sarebbe dovuto rivolgere all’organo amministrativo per il riesame “immediatamente“ dopo essere venuto a conoscenza della sentenza pregiudiziale della Corte da cui deriva l’illegittimità della decisione amministrativa divenuta definitiva. Nel caso in esame si specifica meglio che l’interessato dovrà attivarsi entro un las-so di tempo, a decorrere dalla pronuncia della detta sentenza, che appaia ragionevole con riferimento ai princípi del diritto nazionale e conforme ai princípi di equivalenza e di effettività. Infatti, non potendo il diritto comunitario imporre alcun termine preciso per la presentazione di una domanda di riesame o di rettifica, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare i giudici competenti e stabilire le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario, purché tali modalità, da un lato, non siano meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna (principio di equivalenza) né, dall’altro, rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività).
La Corte ha così riconosciuto compatibile con il diritto comunitario la fissazione di termini di ricorso ragionevoli a pena di decadenza, nell’interesse della certezza del diritto purché non siano tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti attribuiti dall’ordinamento giuridico comunitario.
Il caso in esame ha consentito alla Corte di chiarire ulteriormente come intende conciliare gli obblighi che derivano dal principio di prevalenza del diritto comunitario nonché dall’efficacia retroattiva delle proprie decisioni pregiudiziali con quelli che scaturiscono dal principio della certezza del diritto connesso al principio dell’autorità di cosa definitivamente giudicata.
Resta però da chiedersi se il rimando alle norme di diritto interno circa i tempi previsti per rimuovere le conseguenze di un provvedimento anticomunitario in seguito ad una giurisprudenza interpretativa successiva all’adozione del provvedimento, sia il mezzo più idoneo e corretto da adottare, potendosi per questa via creare situazioni di disuguaglianza a danno dei singoli e di conseguenza, arrecare pregiudizio all’uniforme applicazione del diritto comunitario.