L'IMPEGNO DELL'UNIONE EUROPEA CONTRO LA PENA DI MORTE
Archivio > Anno 2007 > Febbraio 2007
di Teresa Maria MOSCHETTA
Il Parlamento europeo, nella seduta plenaria del 1° febbraio scorso, ha adottato una risoluzione a favore della moratoria universale sulla pena capitale chiedendo che venga disposta la sospensione mondiale immediata ed incondizionata delle esecuzioni mediante risoluzione delle Nazioni Unite. L’iniziativa del Parlamento europeo si inserisce nella ampia riflessione sulla pena di morte, in particolare sulla sua profonda contrarietà ai principi fondamentali dell’inviolabilità e della dignità della persona umana, alimentata dalla risonanza internazionale ricevuta dai drammatici avvenimenti degli ultimi mesi.
La condanna alla pena capitale da parte di un tribunale libico delle cinque infermiere bulgare accusate di aver volontariamente infettato centinaia di bambini con il virus dell’HIV e l’esecuzione in mondovisione del dittatore iracheno Saddam Hussein, costituiscono soltanto due esempi eclatanti di una prassi tristemente nota, che conosce ogni anno la condanna a morte di circa 5.000 persone e circa 2.000 esecuzioni in 22 Paesi nel mondo.
L’opinione pubblica di diversi Paesi si è da tempo mobilitata contro questo tipo di punizioni che non hanno nulla di esemplare. Decapitazioni, elettroshock, impiccagione, iniezioni letali, fucilazioni e decapitazioni costituiscono barbarie che offendono la dignità umana e non trovano giustificazione neppure nella efferatezza dei crimini commessi dagli imputati.
Nel corso degli ultimi anni, l’Unione europea ha intrapreso una imponente campagna di sensibilizzazione contro la pena di morte essendo la promozione dei diritti e delle libertà fondamentali di ogni essere umano tratto saliente delle politiche dell’Unione europea sia in ambito interno che in ambito internazionale.
In ambito interno, tutti gli Stati membri dell’Unione europea sono firmatari del Protocollo n. 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, concluso nel maggio 2002, in base al quale è proibito il ricorso alla pena capitale anche in tempo di guerra. L’abolizione della pena di morte, inoltre, costituisce uno dei requisiti fondamentali per l’ingresso nell’Unione europea di nuovi Stati, i quali devono impegnarsi nei rispettivi trattati di adesione ad aderire al Protocollo n. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che sancisce il divieto di ricorrere alla pena capitale a prescindere dal crimine commesso dall’imputato.
Gli Stati membri dell’Unione europea non soltanto hanno l’obbligo di non contemplare la pena capitale nei rispettivi ordinamenti giuridici ma devono, altresì, astenersi dal fornire qualsiasi forma di sostegno alle esecuzioni in paesi terzi. Così, il Consiglio ha adottato il regolamento 1236/2005 che vieta l’importazione e l’esportazione di merci utilizzabili soltanto per infliggere la pena di morte, torture o trattamenti e pene crudeli, inumane e degradanti, prevedendo per l’esportazione di merci che potrebbero avere anche questo tipo di impiego una apposita autorizzazione da parte delle autorità competenti degli Stati membri.
Il diritto alla vita ed il divieto della tortura ed altri trattamenti crudeli, inumani e degradanti sono sanciti in numerose dichiarazioni e convenzioni adottate a partire dal secondo dopoguerra in ambito internazionali. Basti citare la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, il Patto sui diritti civili e politici del 1966 con il suo Secondo protocollo che invita gli Stati parte ad abolire la pena capitale dai rispettivi ordinamenti, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali con i suoi già citati Protocollo n. 6 e Protocollo n. 13 e da ultimo lo Statuto della Corte penale internazionale che non contempla tra le punizioni applicabili la pena capitale. D’altro canto, è in ambito internazionale che la campagna contro la pena di morte affronta la sua sfida più difficile dato anche i delicati equilibri politici ed economici che rischia di alterare.
A questo proposito è utile ricordare come nel 1998 il Consiglio “Affari Generali” dell’Unione europea abbia adottato un documento nel quale viene delineata la politica dell’Unione europea in materia di abolizione della pena capitale che prevede l’elaborazione di relazioni sui diritti umani, la promozione della ratifica del Secondo protocollo al Patto internazionale sui diritti civili e politici nonché la promozione della cooperazione bilaterale e multilaterale al fine di istituire procedure giudiziarie eque ed imparziali. Nel caso di Stati recidivi, l’Unione europea si impegna a far rispettare almeno le norme minime di garanzia quali, ad esempio, limitare l’uso della pena capitale soltanto ai crimini intenzionali più gravi; non imporre la pena di morte per reati per i quali, successivamente alla loro commissione, è stata prevista una pena inferiore; vietare la pena capitale per i minori, le donne incinte, le madri con figli in giovane età e le persone sofferenti di alienazione mentale; presentare prove chiare e convincenti sulla colpevolezza dell’imputato attraverso un equo processo in cui l’accusato goda della assistenza giudiziaria; prevedere la possibilità di ricorso individuale; infliggere la morte con la minima intensità possibile di sofferenze.
L’impegno dell’Unione europea in tal senso è stato riaffermato nel dicembre 2000 dal Consiglio europeo di Nizza con l’approvazione della Carta europea dei diritti fondamentali che sancisce il diritto di ciascun essere umano alla vita e la proibizione della pena disponendo il divieto di espellere o estradare una persona verso uno Stato in cui esista un serio rischio che venga condannato alla pena capitale.
La campagna dell’Unione europea contro la pena di morte si sostanzia nell’esercitare una costante pressione sugli Stati che ancora ricorrono a questa pratica punitiva e nell’alimentare il dibattito sul tema a livello internazionale.
Sempre più di frequente le istituzioni comunitarie adottano dichiarazioni politiche ed intraprendono concrete azioni di intervento verso paesi terzi. Recentemente, il Parlamento europeo ha chiesto al Consiglio ed alla Commissione di fare pressione sul governo libico al fine di fare rilasciare le cinque infermiere bulgare sollecitando, in caso di mancato accordo, un revisione della politica comune di impegno con la Libia nei settori che si ritenga opportuni. A questo proposito è utile ricordare come il “principio di condizionalità” che caratterizza gli accordi commerciali della Comunità europea con diversi paesi, in particolare in via di sviluppo, tende a legare le relazioni politiche e commerciali dell’Unione europea alla promozione ed al rispetto dei diritti e della dignità umana a livello mondiale.
Azioni di denuncia contro la pena di morte sono state intraprese dall’Unione europea nei confronti di numerosi paesi come Stati Uniti d’America, Autorità palestinese, Libano, Malesia, Giappone, Guinea, Sri Lanka, Botswana, Cina, Bangladesh, Pakistan, Iran, Arabia Saudita, Indonesia, India, Nigeria, Senegal, Repubblica democratica del Congo, Burkina Faso, Nigeria, Burma, Kuwait, Filippine, Sudan, Tajikistan, Nigeria, Uganda, Sudan, Qatar, Belize, Barbados e Laos. In particolare, l’Unione europea ha chiesto agli USA di ritirare la riserva all’articolo 6 del Patto sui diritti civili e politici che sancisce il diritto alla vita ed il rispetto dei livelli minimi di garanzia dei diritti dei condannati. Le azioni dell’Unione europea in materia sono finanziate dal fondo comunitario Iniziativa europea per la democrazia ed i diritti umani finalizzato ad accrescere la consapevolezza dei paesi reticenti e delle rispettive opinioni pubbliche attraverso studi su come questi paesi possano adeguare le proprie legislazioni agli standard di tutela dei diritti umani ed attraverso campagne informative.
Il ruolo dell’Unione europea nell’alimentare il dibattito a livello internazionale si svolge in stretta collaborazione con organizzazioni intergovernative nonché organizzazioni internazionali.
L’organizzazione intergovernativa “Assemblea contro la pena di morte” ha organizzato il suo primo Congresso mondiale, nel giugno 2001, proprio nella sede del Parlamento europeo a Strasburgo. Questa iniziativa, che vede il coinvolgimento di esperti internazionali, organizzazioni non governative ed esponenti del mondo politico, si è ripetuta nell’ottobre 2004 a Montreal e nel febbraio 2007 a Parigi.
L’Unione europea interviene anche a favore delle iniziative dell’OCSE e del Consiglio d’Europa entrambe impegnate in una campagna per l’abolizione della pena di morte a livello mondiale. In seguito ad una iniziativa dell’Unione europea, inoltre, la Commissione delle Nazioni Unite sui diritti umani ha adottato, nel 1999, una risoluzione sulla pena capitale richiamando tutti gli Stati a ratificare il Secondo Protocollo al Patto internazionale sui diritti civili e politici.
La campagna contro la pena di morte gioca la sua partita decisiva propria in seno alle Nazioni Unite, l’unica organizzazione internazionale in grado di adottare decisioni vincolanti a livello universale. Proprio in questa sede, pertanto, gli Stati membri dell’Unione europea devono mostrare di agire in maniera realmente univoca sostenendo azioni condivise in nome della loro comune appartenenza. In attesa che venga riconosciuto all’Unione europea, anche formalmente, quel ruolo di impulso allo sviluppo del diritto internazionale che nei fatti si impegna ad esercitare.
La condanna alla pena capitale da parte di un tribunale libico delle cinque infermiere bulgare accusate di aver volontariamente infettato centinaia di bambini con il virus dell’HIV e l’esecuzione in mondovisione del dittatore iracheno Saddam Hussein, costituiscono soltanto due esempi eclatanti di una prassi tristemente nota, che conosce ogni anno la condanna a morte di circa 5.000 persone e circa 2.000 esecuzioni in 22 Paesi nel mondo.
L’opinione pubblica di diversi Paesi si è da tempo mobilitata contro questo tipo di punizioni che non hanno nulla di esemplare. Decapitazioni, elettroshock, impiccagione, iniezioni letali, fucilazioni e decapitazioni costituiscono barbarie che offendono la dignità umana e non trovano giustificazione neppure nella efferatezza dei crimini commessi dagli imputati.
Nel corso degli ultimi anni, l’Unione europea ha intrapreso una imponente campagna di sensibilizzazione contro la pena di morte essendo la promozione dei diritti e delle libertà fondamentali di ogni essere umano tratto saliente delle politiche dell’Unione europea sia in ambito interno che in ambito internazionale.
In ambito interno, tutti gli Stati membri dell’Unione europea sono firmatari del Protocollo n. 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, concluso nel maggio 2002, in base al quale è proibito il ricorso alla pena capitale anche in tempo di guerra. L’abolizione della pena di morte, inoltre, costituisce uno dei requisiti fondamentali per l’ingresso nell’Unione europea di nuovi Stati, i quali devono impegnarsi nei rispettivi trattati di adesione ad aderire al Protocollo n. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che sancisce il divieto di ricorrere alla pena capitale a prescindere dal crimine commesso dall’imputato.
Gli Stati membri dell’Unione europea non soltanto hanno l’obbligo di non contemplare la pena capitale nei rispettivi ordinamenti giuridici ma devono, altresì, astenersi dal fornire qualsiasi forma di sostegno alle esecuzioni in paesi terzi. Così, il Consiglio ha adottato il regolamento 1236/2005 che vieta l’importazione e l’esportazione di merci utilizzabili soltanto per infliggere la pena di morte, torture o trattamenti e pene crudeli, inumane e degradanti, prevedendo per l’esportazione di merci che potrebbero avere anche questo tipo di impiego una apposita autorizzazione da parte delle autorità competenti degli Stati membri.
Il diritto alla vita ed il divieto della tortura ed altri trattamenti crudeli, inumani e degradanti sono sanciti in numerose dichiarazioni e convenzioni adottate a partire dal secondo dopoguerra in ambito internazionali. Basti citare la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, il Patto sui diritti civili e politici del 1966 con il suo Secondo protocollo che invita gli Stati parte ad abolire la pena capitale dai rispettivi ordinamenti, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali con i suoi già citati Protocollo n. 6 e Protocollo n. 13 e da ultimo lo Statuto della Corte penale internazionale che non contempla tra le punizioni applicabili la pena capitale. D’altro canto, è in ambito internazionale che la campagna contro la pena di morte affronta la sua sfida più difficile dato anche i delicati equilibri politici ed economici che rischia di alterare.
A questo proposito è utile ricordare come nel 1998 il Consiglio “Affari Generali” dell’Unione europea abbia adottato un documento nel quale viene delineata la politica dell’Unione europea in materia di abolizione della pena capitale che prevede l’elaborazione di relazioni sui diritti umani, la promozione della ratifica del Secondo protocollo al Patto internazionale sui diritti civili e politici nonché la promozione della cooperazione bilaterale e multilaterale al fine di istituire procedure giudiziarie eque ed imparziali. Nel caso di Stati recidivi, l’Unione europea si impegna a far rispettare almeno le norme minime di garanzia quali, ad esempio, limitare l’uso della pena capitale soltanto ai crimini intenzionali più gravi; non imporre la pena di morte per reati per i quali, successivamente alla loro commissione, è stata prevista una pena inferiore; vietare la pena capitale per i minori, le donne incinte, le madri con figli in giovane età e le persone sofferenti di alienazione mentale; presentare prove chiare e convincenti sulla colpevolezza dell’imputato attraverso un equo processo in cui l’accusato goda della assistenza giudiziaria; prevedere la possibilità di ricorso individuale; infliggere la morte con la minima intensità possibile di sofferenze.
L’impegno dell’Unione europea in tal senso è stato riaffermato nel dicembre 2000 dal Consiglio europeo di Nizza con l’approvazione della Carta europea dei diritti fondamentali che sancisce il diritto di ciascun essere umano alla vita e la proibizione della pena disponendo il divieto di espellere o estradare una persona verso uno Stato in cui esista un serio rischio che venga condannato alla pena capitale.
La campagna dell’Unione europea contro la pena di morte si sostanzia nell’esercitare una costante pressione sugli Stati che ancora ricorrono a questa pratica punitiva e nell’alimentare il dibattito sul tema a livello internazionale.
Sempre più di frequente le istituzioni comunitarie adottano dichiarazioni politiche ed intraprendono concrete azioni di intervento verso paesi terzi. Recentemente, il Parlamento europeo ha chiesto al Consiglio ed alla Commissione di fare pressione sul governo libico al fine di fare rilasciare le cinque infermiere bulgare sollecitando, in caso di mancato accordo, un revisione della politica comune di impegno con la Libia nei settori che si ritenga opportuni. A questo proposito è utile ricordare come il “principio di condizionalità” che caratterizza gli accordi commerciali della Comunità europea con diversi paesi, in particolare in via di sviluppo, tende a legare le relazioni politiche e commerciali dell’Unione europea alla promozione ed al rispetto dei diritti e della dignità umana a livello mondiale.
Azioni di denuncia contro la pena di morte sono state intraprese dall’Unione europea nei confronti di numerosi paesi come Stati Uniti d’America, Autorità palestinese, Libano, Malesia, Giappone, Guinea, Sri Lanka, Botswana, Cina, Bangladesh, Pakistan, Iran, Arabia Saudita, Indonesia, India, Nigeria, Senegal, Repubblica democratica del Congo, Burkina Faso, Nigeria, Burma, Kuwait, Filippine, Sudan, Tajikistan, Nigeria, Uganda, Sudan, Qatar, Belize, Barbados e Laos. In particolare, l’Unione europea ha chiesto agli USA di ritirare la riserva all’articolo 6 del Patto sui diritti civili e politici che sancisce il diritto alla vita ed il rispetto dei livelli minimi di garanzia dei diritti dei condannati. Le azioni dell’Unione europea in materia sono finanziate dal fondo comunitario Iniziativa europea per la democrazia ed i diritti umani finalizzato ad accrescere la consapevolezza dei paesi reticenti e delle rispettive opinioni pubbliche attraverso studi su come questi paesi possano adeguare le proprie legislazioni agli standard di tutela dei diritti umani ed attraverso campagne informative.
Il ruolo dell’Unione europea nell’alimentare il dibattito a livello internazionale si svolge in stretta collaborazione con organizzazioni intergovernative nonché organizzazioni internazionali.
L’organizzazione intergovernativa “Assemblea contro la pena di morte” ha organizzato il suo primo Congresso mondiale, nel giugno 2001, proprio nella sede del Parlamento europeo a Strasburgo. Questa iniziativa, che vede il coinvolgimento di esperti internazionali, organizzazioni non governative ed esponenti del mondo politico, si è ripetuta nell’ottobre 2004 a Montreal e nel febbraio 2007 a Parigi.
L’Unione europea interviene anche a favore delle iniziative dell’OCSE e del Consiglio d’Europa entrambe impegnate in una campagna per l’abolizione della pena di morte a livello mondiale. In seguito ad una iniziativa dell’Unione europea, inoltre, la Commissione delle Nazioni Unite sui diritti umani ha adottato, nel 1999, una risoluzione sulla pena capitale richiamando tutti gli Stati a ratificare il Secondo Protocollo al Patto internazionale sui diritti civili e politici.
La campagna contro la pena di morte gioca la sua partita decisiva propria in seno alle Nazioni Unite, l’unica organizzazione internazionale in grado di adottare decisioni vincolanti a livello universale. Proprio in questa sede, pertanto, gli Stati membri dell’Unione europea devono mostrare di agire in maniera realmente univoca sostenendo azioni condivise in nome della loro comune appartenenza. In attesa che venga riconosciuto all’Unione europea, anche formalmente, quel ruolo di impulso allo sviluppo del diritto internazionale che nei fatti si impegna ad esercitare.