L'INTEGRAZIONE DELL'AMERICA LATINA E L'UNIONE EUROPEA
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Indebolito sul piano interno ed internazionale, contestato da manifestazioni di piazza ed osteggiato da alcune capitali, il Presidente Bush non è riuscito nel IV Vertice delle Americhe di Mar de Plata (4-5 novembre 2005) a convincere tutti i suoi pari latinoamericani dei vantaggi che per le economie dei loro Paesi rappresenterebbe l’instaurazione di una vasta zona di libero scambio sull’intero continente americano, che vada dall’Alaska alla Terra del Fuoco (Área de Libre Comercio de las Américas, ALCA o Free Trade Area of the Americas, FTAA).
Le grandi linee di questo ambizioso progetto erano state tracciate agli inizi degli anni ’90 da Bush sr. con il lancio della Enterprise of the Americas Initiative: nel 1994 prendeva già corpo il primo nucleo di questa area di libero scambio con la messa in marcia del Nafta tra Stati Uniti, Canada e Messico. Al tempo stesso Clinton convocava a Miami il I Vertice delle Americhe (dicembre 1994) ed otteneva l’appoggio di tutti i Capi di Stato e di Governo del continente per il varo dell’ALCA con l’impegno che essa sarebbe stata operativa entro 10 anni e comunque non oltre il 2005.
Qualora vedesse la luce, l’ALCA costituirebbe una impressionante realizzazione che, per estensione, popolazione e PIL supererebbe di molto la stessa Unione Europea anche allargata a 28. Per gli Stati Uniti essa sarebbe il coronamento di un’idea perseguita con metodi diversi ma con la stessa determinazione da tutte le Amministrazioni: l’egemonia economica statunitense sull’intero continente americano.
Senonchè, non tutti i Paesi si sono rivelati pronti ad accettare questa prospettiva. Alcuni si sono opposti frontalmente all’ALCA ritenendola dannosa per gli interessi dell’America Latina. Tale è il caso del Venezuela, il cui Presidente Chávez ha proclamato a Mar de Plata che l’ALCA era “morta e sotterrata”. Ad essa egli ha contrapposto una autonoma iniziativa latinoamericana l’Alternativa Bolivariana de las Américas (ALBA), dai contorni ancora imprecisati, ma il cui obiettivo principale dovrebbe essere la lotta alla povertà ed all’esclusione sociale.
Altri Paesi, invece, senza rigettare totalmente il progetto, hanno espresso forti perplessità e riserve, ritenendo che non ci siano attualmente le condizioni per la sua realizzazione: e ciò tenuto conto, da un lato, delle profonde “asimmetrie” fra le economie del Continente e, dall’altro, della politica distorsiva applicata da Washington in materia di sussidi all’agricoltura. Quest’ultima posizione è stata sostenuta con accentuazioni diverse dai quattro Paesi del Mercosud (Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay) ed è stata alla fine sottoscritta anche dal Venezuela, sia pure con qualche reticenza. Si è così formalizzata a Mar de Plata una spaccatura fra maggioranza (Stati Uniti e altri 28 Paesi) e minoranza (i quattro del Mercosud e il Venezuela): spaccatura che, per la prima volta nella storia dei vertici interamericani, è stata recepita formalmente nel documento finale come condizione per la sua stessa approvazione da parte dei 34 Presidenti. In queste condizioni non è stato possibile fissare, come alcuni richiedevano, una data per la ripresa dei negoziati che del resto si erano già arenati da quasi due anni.
Si è trattato quindi di un totale fallimento come ha scritto la stampa internazionale? Nel breve periodo senz’altro sì, ma in una prospettiva di più lungo respiro sarebbe meglio parlare di battuta d’arresto in una situazione che appare in realtà molto più complessa ed articolata.
In primo luogo, va tenuto presente che gli occhi dei due grandi del Mercosud, Brasile e Argentina, erano rivolti più che al Vertice di Mar de Plata ai negoziati del Doha Round in cui si discute, a livello OMC, dei rapporti commerciali futuri fra le grandi aree economiche del mondo: Stati Uniti, Unione Europea, Giappone, Cina, India, America Latina ecc. In questo contesto, dovrebbe essere sciolto, prima o poi, il difficile nodo dei sussidi agricoli alla cui soluzione Brasile e Argentina (due grandi produttori agrozootecnici che integrano il Gruppo dei 20) sono particolarmente interessati. Si tratta di uno degli aspetti più sensibili e complessi del negoziato in corso, date le resistenze non solo degli Stati Uniti ma anche del Giappone e di alcuni Paesi dell’Unione Europea (Francia in particolare, ma non solo). A queste resistenze fanno riscontro le richieste dei Paesi più avanzati di ottenere sostanziali progressi in materia di apertura dei mercati del terzo mondo su altri dossier ritenuti ugualmente importanti. La prossima riunione ministeriale di Hong Kong (dicembre 2005) sarà un test importante per saggiare la reale volontà di tutti di avanzare decisamente su questo delicato terreno.
In secondo luogo, non va dimenticato che, a prescindere dal risultato poco lusinghiero di Mar de Plata, rimane ferma la determinazione di Washington – ma anche di Canada, Messico, Cile – di continuare a perseguire, con ogni mezzo possibile, l’obiettivo strategico di un grande mercato continentale. Lo hanno ricordato con chiarezza, prima e dopo il vertice, sia esponenti dell’Amministrazione americana sia i leaders degli altri Paesi le cui economie hanno tratto benefici dagli accordi di libero scambio firmati con gli Stati Uniti. Basti segnalare che le esportazioni del Messico che, al varo del NAFTA, ammontavano a 35 miliardi di dollari si sono sestuplicate in dieci anni, ammontando attualmente a oltre 200 miliardi.
Su questa strada del resto Washington si muove da tempo: dapprima con il NAFTA, poi con l’accordo di libero scambio con i Paesi dell’America Centrale (CAFTA), quindi con specifici accordi già conclusi con alcuni Paesi (Cile) o in via di negoziazione con altri (Colombia, Perù, Ecuador). Anche con il Paraguay e l’Uruguay (due membri del Mercosud) sono state avviate conversazioni per la conclusione di accordi che possono legare in qualche modo le economie di questi due Paesi agli Stati Uniti. Con il Brasile – che insieme al Messico è il principale interlocutore di Washington in America Latina – la Casa Bianca prosegue l’offensiva per consolidare ed ampliare un rapporto di partenariato speciale. È stata significativa in questo senso la tappa che, dopo Mar de Plata, Bush ha effettuato a Brasilia. In quell’occasione il Presidente statunitense non ha lesinato elogi al collega brasiliano, al quale ha riconosciuto il ruolo di leader continentale, mentre Lula ha definito “strategica” la relazione del suo Paese con gli Stati Uniti.
In prospettiva, resterebbero fuori dall’abbraccio americano il Venezuela di Chávez e l’Argentina di Kirchner. Senonchè Chávez, pur non perdendo ogni occasione per attaccare l’attuale dirigenza statunitense, continua a vendere abbondantemente petrolio agli Stati Uniti, dimostrando in pratica di non aver bisogno dell’ALCA per esportare il suo principale prodotto. Dal canto suo Kirchner, dopo il difficile colloquio avuto con Bush a Mar de Plata, dovrà ad un certo momento ammorbidire le sue posizioni, se vuole evitare il pericolo di un certo isolamento.
Ma il progetto ALCA non esaurisce il dibattito in materia di integrazione che da anni è in corso all’interno del continente americano. Dopo il fallimento dell’ALALC ed in parte dell’ALADI, in America Latina si muovono, con diverso ritmo, oltre al NAFTA, tre significativi processi di integrazione subregionale: quello dell’area centroamericana e dei Caraibi (CARICOM e MCCA), quello dell’area andina (Comunidad Andina de Naciones, CAN: Venezuela, Colombia, Ecuador, Perù e Bolivia) e quello del Cono Sud (MERCOSUD: Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay). Il Cile, un tempo membro del Patto Andino, ne è uscito alcuni anni fa ed ha stabilito accordi di libero scambio con gli Stati Uniti, il Canada e il Mercato Centroamericano, mentre in questi ultimi tempi il Venezuela ed il Messico hanno chiesto di avere più stretti rapporti con il Mercosud (il Venezuela vorrebbe addirittura entrarvi come membro a pieno titolo).
Ultima in ordine di tempo ma non di importanza è giunta la “Comunidad Sudamericana de Naciones (CSN)”, un progetto fortemente voluto dal Brasile per intensificare i rapporti di collaborazione tra i quattro del Mercosud ed i cinque della Comunità Andina di Nazioni con l’inclusione del Cile e di altri Stati (Surinam e Guyana). La CSN è stata varata a Cuzco (Perù) l’8 dicembre 2004 e rilanciata, in mezzo a non poche difficoltà, nel primo Vertice dei Capi di Stato e di Governo dei Paesi membri, svoltosi a Brasilia il 30 settembre 2005. Nonostante la denominazione di “Comunità”, la CSN ha in realtà come obiettivo “far progredire e consolidare il processo di convergenza volto a stabilire una zona di libero scambio sudamericana” mediante la riduzione delle “asimmetrie” e la complementazione delle economie dell’America del Sud.
Un aspetto interessante di questa iniziativa è il proposito dei Paesi membri di realizzare in materia di trasporti, energia e comunicazioni grandi opere infrastrutturali, anche di carattere subregionale, secondo il modello europeo dei “corridoi” e delle “reti transnazionali”. Si tratta di progetti costosi ed ambiziosi, la cui realizzazione tuttavia aiuterà i processi di integrazione in corso, contribuendo ad eliminare non pochi ostacoli tuttora presenti nell’evoluzione di essi.
Ma, anche da un altro punto di vista, l’azione diplomatica di Washington e dei suoi principali alleati nel perseguire il progetto di una vasta zona di libero scambio sull’intero continente non esaurisce la complessità dei processi in corso in America Latina in materia di integrazione.
L’Unione Europea viene vista da molti come un’alternativa all’egemonia statunitense o quanto meno come un bilanciamento di essa. Risalgono già a vent’anni fa i primi contatti fra l’UE e i Paesi dell’America Centrale con l’avvio del “Dialogo di San José” (1984): ad essi fecero seguito qualche anno dopo quelli con il “Gruppo di Rio” mediante la “Dichiarazione di Roma” del 1990. Negli anni ’90 due importanti passi avanti sono stati fatti nella instaurazione di un proficuo dialogo e di stretti rapporti di collaborazione fra le due aree: a) la stipula a Madrid nel 1995 dell’accordo di cooperazione interregionale UE-Mercosud che per la prima volta ha ipotizzato la creazione di una zona di libero scambio di carattere “biregionale” fra le due aree; b) la convocazione a Rio de Janeiro nel 1999 del primo Vertice dei Capi di Stato e di Governo dei Paesi dell’UE, dell’America Latina e dei Caraibi, che ha dato il via ad una “associazione” fra queste due importanti aree del mondo.
Da allora si stanno intensificando varie forme di cooperazione tra l’UE, le strutture subregionali e i singoli Paesi del subcontinente. Sul primo aspetto particolare importanza rivestono i negoziati in corso fra l’UE e il Mercosud, tenuto conto della complementarietà delle rispettive economie e delle notevoli affinità ideali e culturali tra le due aree. Tuttavia, anche questo negoziato è in buona parte condizionato dall’andamento del Doha Round, soprattutto per il problema dei sussidi agricoli e delle contropartite che l’UE richiede al Mercosud su altri dossier. Sul secondo versante va registrata l’importanza degli accordi di associazione che l’Unione Europea ha stabilito con il Messico (1997) e con il Cile (2002), da cui le due parti hanno tratto indubbi benefici.
Dal canto suo, il Vertice UE-America Latina di Guadalajara (maggio 2004) ha rilanciato il carattere “strategico” dell’associazione fra le due aree, (da parte dell’UE partecipavano per la prima volta i Paesi dell’allargamento) e si ritiene che un ulteriore impulso ad una più stretta cooperazione fra le due zone possa venire dal prossimo Vertice UE-America Latina che, sotto presidenza austriaca, avrà luogo a Vienna a maggio 2006.
Le grandi linee di questo ambizioso progetto erano state tracciate agli inizi degli anni ’90 da Bush sr. con il lancio della Enterprise of the Americas Initiative: nel 1994 prendeva già corpo il primo nucleo di questa area di libero scambio con la messa in marcia del Nafta tra Stati Uniti, Canada e Messico. Al tempo stesso Clinton convocava a Miami il I Vertice delle Americhe (dicembre 1994) ed otteneva l’appoggio di tutti i Capi di Stato e di Governo del continente per il varo dell’ALCA con l’impegno che essa sarebbe stata operativa entro 10 anni e comunque non oltre il 2005.
Qualora vedesse la luce, l’ALCA costituirebbe una impressionante realizzazione che, per estensione, popolazione e PIL supererebbe di molto la stessa Unione Europea anche allargata a 28. Per gli Stati Uniti essa sarebbe il coronamento di un’idea perseguita con metodi diversi ma con la stessa determinazione da tutte le Amministrazioni: l’egemonia economica statunitense sull’intero continente americano.
Senonchè, non tutti i Paesi si sono rivelati pronti ad accettare questa prospettiva. Alcuni si sono opposti frontalmente all’ALCA ritenendola dannosa per gli interessi dell’America Latina. Tale è il caso del Venezuela, il cui Presidente Chávez ha proclamato a Mar de Plata che l’ALCA era “morta e sotterrata”. Ad essa egli ha contrapposto una autonoma iniziativa latinoamericana l’Alternativa Bolivariana de las Américas (ALBA), dai contorni ancora imprecisati, ma il cui obiettivo principale dovrebbe essere la lotta alla povertà ed all’esclusione sociale.
Altri Paesi, invece, senza rigettare totalmente il progetto, hanno espresso forti perplessità e riserve, ritenendo che non ci siano attualmente le condizioni per la sua realizzazione: e ciò tenuto conto, da un lato, delle profonde “asimmetrie” fra le economie del Continente e, dall’altro, della politica distorsiva applicata da Washington in materia di sussidi all’agricoltura. Quest’ultima posizione è stata sostenuta con accentuazioni diverse dai quattro Paesi del Mercosud (Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay) ed è stata alla fine sottoscritta anche dal Venezuela, sia pure con qualche reticenza. Si è così formalizzata a Mar de Plata una spaccatura fra maggioranza (Stati Uniti e altri 28 Paesi) e minoranza (i quattro del Mercosud e il Venezuela): spaccatura che, per la prima volta nella storia dei vertici interamericani, è stata recepita formalmente nel documento finale come condizione per la sua stessa approvazione da parte dei 34 Presidenti. In queste condizioni non è stato possibile fissare, come alcuni richiedevano, una data per la ripresa dei negoziati che del resto si erano già arenati da quasi due anni.
Si è trattato quindi di un totale fallimento come ha scritto la stampa internazionale? Nel breve periodo senz’altro sì, ma in una prospettiva di più lungo respiro sarebbe meglio parlare di battuta d’arresto in una situazione che appare in realtà molto più complessa ed articolata.
In primo luogo, va tenuto presente che gli occhi dei due grandi del Mercosud, Brasile e Argentina, erano rivolti più che al Vertice di Mar de Plata ai negoziati del Doha Round in cui si discute, a livello OMC, dei rapporti commerciali futuri fra le grandi aree economiche del mondo: Stati Uniti, Unione Europea, Giappone, Cina, India, America Latina ecc. In questo contesto, dovrebbe essere sciolto, prima o poi, il difficile nodo dei sussidi agricoli alla cui soluzione Brasile e Argentina (due grandi produttori agrozootecnici che integrano il Gruppo dei 20) sono particolarmente interessati. Si tratta di uno degli aspetti più sensibili e complessi del negoziato in corso, date le resistenze non solo degli Stati Uniti ma anche del Giappone e di alcuni Paesi dell’Unione Europea (Francia in particolare, ma non solo). A queste resistenze fanno riscontro le richieste dei Paesi più avanzati di ottenere sostanziali progressi in materia di apertura dei mercati del terzo mondo su altri dossier ritenuti ugualmente importanti. La prossima riunione ministeriale di Hong Kong (dicembre 2005) sarà un test importante per saggiare la reale volontà di tutti di avanzare decisamente su questo delicato terreno.
In secondo luogo, non va dimenticato che, a prescindere dal risultato poco lusinghiero di Mar de Plata, rimane ferma la determinazione di Washington – ma anche di Canada, Messico, Cile – di continuare a perseguire, con ogni mezzo possibile, l’obiettivo strategico di un grande mercato continentale. Lo hanno ricordato con chiarezza, prima e dopo il vertice, sia esponenti dell’Amministrazione americana sia i leaders degli altri Paesi le cui economie hanno tratto benefici dagli accordi di libero scambio firmati con gli Stati Uniti. Basti segnalare che le esportazioni del Messico che, al varo del NAFTA, ammontavano a 35 miliardi di dollari si sono sestuplicate in dieci anni, ammontando attualmente a oltre 200 miliardi.
Su questa strada del resto Washington si muove da tempo: dapprima con il NAFTA, poi con l’accordo di libero scambio con i Paesi dell’America Centrale (CAFTA), quindi con specifici accordi già conclusi con alcuni Paesi (Cile) o in via di negoziazione con altri (Colombia, Perù, Ecuador). Anche con il Paraguay e l’Uruguay (due membri del Mercosud) sono state avviate conversazioni per la conclusione di accordi che possono legare in qualche modo le economie di questi due Paesi agli Stati Uniti. Con il Brasile – che insieme al Messico è il principale interlocutore di Washington in America Latina – la Casa Bianca prosegue l’offensiva per consolidare ed ampliare un rapporto di partenariato speciale. È stata significativa in questo senso la tappa che, dopo Mar de Plata, Bush ha effettuato a Brasilia. In quell’occasione il Presidente statunitense non ha lesinato elogi al collega brasiliano, al quale ha riconosciuto il ruolo di leader continentale, mentre Lula ha definito “strategica” la relazione del suo Paese con gli Stati Uniti.
In prospettiva, resterebbero fuori dall’abbraccio americano il Venezuela di Chávez e l’Argentina di Kirchner. Senonchè Chávez, pur non perdendo ogni occasione per attaccare l’attuale dirigenza statunitense, continua a vendere abbondantemente petrolio agli Stati Uniti, dimostrando in pratica di non aver bisogno dell’ALCA per esportare il suo principale prodotto. Dal canto suo Kirchner, dopo il difficile colloquio avuto con Bush a Mar de Plata, dovrà ad un certo momento ammorbidire le sue posizioni, se vuole evitare il pericolo di un certo isolamento.
Ma il progetto ALCA non esaurisce il dibattito in materia di integrazione che da anni è in corso all’interno del continente americano. Dopo il fallimento dell’ALALC ed in parte dell’ALADI, in America Latina si muovono, con diverso ritmo, oltre al NAFTA, tre significativi processi di integrazione subregionale: quello dell’area centroamericana e dei Caraibi (CARICOM e MCCA), quello dell’area andina (Comunidad Andina de Naciones, CAN: Venezuela, Colombia, Ecuador, Perù e Bolivia) e quello del Cono Sud (MERCOSUD: Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay). Il Cile, un tempo membro del Patto Andino, ne è uscito alcuni anni fa ed ha stabilito accordi di libero scambio con gli Stati Uniti, il Canada e il Mercato Centroamericano, mentre in questi ultimi tempi il Venezuela ed il Messico hanno chiesto di avere più stretti rapporti con il Mercosud (il Venezuela vorrebbe addirittura entrarvi come membro a pieno titolo).
Ultima in ordine di tempo ma non di importanza è giunta la “Comunidad Sudamericana de Naciones (CSN)”, un progetto fortemente voluto dal Brasile per intensificare i rapporti di collaborazione tra i quattro del Mercosud ed i cinque della Comunità Andina di Nazioni con l’inclusione del Cile e di altri Stati (Surinam e Guyana). La CSN è stata varata a Cuzco (Perù) l’8 dicembre 2004 e rilanciata, in mezzo a non poche difficoltà, nel primo Vertice dei Capi di Stato e di Governo dei Paesi membri, svoltosi a Brasilia il 30 settembre 2005. Nonostante la denominazione di “Comunità”, la CSN ha in realtà come obiettivo “far progredire e consolidare il processo di convergenza volto a stabilire una zona di libero scambio sudamericana” mediante la riduzione delle “asimmetrie” e la complementazione delle economie dell’America del Sud.
Un aspetto interessante di questa iniziativa è il proposito dei Paesi membri di realizzare in materia di trasporti, energia e comunicazioni grandi opere infrastrutturali, anche di carattere subregionale, secondo il modello europeo dei “corridoi” e delle “reti transnazionali”. Si tratta di progetti costosi ed ambiziosi, la cui realizzazione tuttavia aiuterà i processi di integrazione in corso, contribuendo ad eliminare non pochi ostacoli tuttora presenti nell’evoluzione di essi.
Ma, anche da un altro punto di vista, l’azione diplomatica di Washington e dei suoi principali alleati nel perseguire il progetto di una vasta zona di libero scambio sull’intero continente non esaurisce la complessità dei processi in corso in America Latina in materia di integrazione.
L’Unione Europea viene vista da molti come un’alternativa all’egemonia statunitense o quanto meno come un bilanciamento di essa. Risalgono già a vent’anni fa i primi contatti fra l’UE e i Paesi dell’America Centrale con l’avvio del “Dialogo di San José” (1984): ad essi fecero seguito qualche anno dopo quelli con il “Gruppo di Rio” mediante la “Dichiarazione di Roma” del 1990. Negli anni ’90 due importanti passi avanti sono stati fatti nella instaurazione di un proficuo dialogo e di stretti rapporti di collaborazione fra le due aree: a) la stipula a Madrid nel 1995 dell’accordo di cooperazione interregionale UE-Mercosud che per la prima volta ha ipotizzato la creazione di una zona di libero scambio di carattere “biregionale” fra le due aree; b) la convocazione a Rio de Janeiro nel 1999 del primo Vertice dei Capi di Stato e di Governo dei Paesi dell’UE, dell’America Latina e dei Caraibi, che ha dato il via ad una “associazione” fra queste due importanti aree del mondo.
Da allora si stanno intensificando varie forme di cooperazione tra l’UE, le strutture subregionali e i singoli Paesi del subcontinente. Sul primo aspetto particolare importanza rivestono i negoziati in corso fra l’UE e il Mercosud, tenuto conto della complementarietà delle rispettive economie e delle notevoli affinità ideali e culturali tra le due aree. Tuttavia, anche questo negoziato è in buona parte condizionato dall’andamento del Doha Round, soprattutto per il problema dei sussidi agricoli e delle contropartite che l’UE richiede al Mercosud su altri dossier. Sul secondo versante va registrata l’importanza degli accordi di associazione che l’Unione Europea ha stabilito con il Messico (1997) e con il Cile (2002), da cui le due parti hanno tratto indubbi benefici.
Dal canto suo, il Vertice UE-America Latina di Guadalajara (maggio 2004) ha rilanciato il carattere “strategico” dell’associazione fra le due aree, (da parte dell’UE partecipavano per la prima volta i Paesi dell’allargamento) e si ritiene che un ulteriore impulso ad una più stretta cooperazione fra le due zone possa venire dal prossimo Vertice UE-America Latina che, sotto presidenza austriaca, avrà luogo a Vienna a maggio 2006.