IL REGOLAMENTO (CE) N. 1/2003: UNA "RIVOLUZIONE COPERNICANA" NELL'APPLICAZIONE DELLA NORMATIVA ANTITRUST COMUNITARIA
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di Giuseppe MORGESE
Il 16 dicembre 2002 il Consiglio dell’Unione europea ha adottato il “Regolamento (CE) n. 1/2003, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del Trattato” (in GUCE L1 del 4 gennaio 2003, pag. 1 ss.), destinato a sostituire dal 1° maggio 2004 il Rego-lamento (CEE) n. 17/62, del 6 febbraio 1962, primo regolamento d’applicazione degli stessi articoli (in GUCE 13 del 21 febbraio 1962, pag. 204/62: originariamente il regolamento n. 17/62 conteneva un riferimento agli artt. 85 e 86 CEE che, in seguito alla rinumerazione degli articoli del Trattato CE attuata dall’articolo 12 del Trattato di Amsterdam, corrispondono ora, appunto, agli articoli 81 e 82 CE; si avverte che nel prosieguo sarà utilizzata quest’ultima numerazione).
Il Regolamento in questione, frutto di un dibattito pluriennale ed espressione di un approccio diverso rispetto al passato di concepire il diritto della concorrenza applicabile alle imprese, rappresenta una rivoluzione nel panorama giuridico-economico comunitario sotto svariati aspetti.
Innanzitutto, esso segna il tramonto del regime di notificazione ed autorizzazione (in vigore dal 1962) e la scelta del regime c.d. di eccezione legale.
Stante infatti la formulazione dell’art. 81 CE – che a fronte del divieto delle intese restrittive della concorrenza, sancito nel primo comma, consente l’esenzione dal divieto stesso in presenza di tutte le condizioni previste nel terzo comma (beneficio anche per i consumatori; indispensabilità delle restrizioni; non eliminazione della concorrenza) – sin dagli albori dell’applicazione del diritto antitrust comunitario si è scelto di utilizzare il regime della notificazione e della conseguente eventuale autorizzazione (secondo il quale, in presenza di un’intesa che ricade astrattamente nel divieto ex primo comma dell’art. 81 del Trattato – intesa considerata nulla ai sensi del successivo secondo comma –, solamente l’intervento di un’autorità può rimuovere ex ante il divieto stesso mediante una decisione di esenzione costitutiva di diritti, qualora si ravvisi la presenza delle condizioni previste nel terzo comma dello stesso art. 81 CE) invece del regime di eccezione legale (grazie al quale, viceversa, l’insieme delle condizioni per l’esenzione va interpretata come eccezione ex lege alla previsione del divieto, senza quindi l’intervento dell’autorità per la sua applicazione al caso concreto; corollario è che l’intesa astrattamente vietata ma concretamente esentabile viene considerata valida a tutti gli effetti sin dal momento della sua conclusione, e non invece dalla decisione di esenzione, e la sua validità o meno rispetto all’intero art. 81 CE va accertata ex post, in caso di denuncia o di procedimento avviato d’ufficio). La scelta del regime di notificazione-autorizzazione era coerente con la situazione che si presentava negli anni ’60 all’interno del Mercato comune, in cui un sistema di valutazione ex ante della liceità delle intese avrebbe assicurato sia il necessario flusso di informazioni in capo alla Commissione sulla struttura dei mercati e sulle varie tipologie di intese, sia l’applicazione uniforme del diritto antitrust comunitario (data l’inesistenza o quantomeno la difformità delle varie normative antitrust nazionali tra di loro e nei confronti della normativa comunitaria), sia infine la certezza del diritto (a causa della formulazione assolutamente astratta dell’art. 81 CE, la cui portata non era stata ancora chiarita dalla giurisprudenza della Corte di giustizia e dalla prassi decisionale della stessa Commissione; mancanza di certezza, peraltro, aggravata dalla sanzione di nullità ex tunc per le intese vietate, prevista nel secondo comma dell’art. 81 del Trattato): con il Regolamento n. 17/62, di conseguenza, si era ovviato al primo problema tramite la previsione di una procedura di notifica alla Commissione (di fatto) obbligatoria per le imprese che intendevano avvalersi dell’esenzione dell’art. 81(3) CE; al secondo problema, attribuendo alla Commissione la competenza esclusiva ad applicare il terzo comma dell’art. 81 CE (salvo il controllo della Corte di giustizia) in uno con la previsione di norme limitative della competenza applicativa del diritto antitrust comunitario da parte delle autorità (amministrative e/o giurisdizionali) nazionali; al terzo problema, garantendo con la decisione di esenzione, costitutiva – come detto – di diritti in capo alle imprese cui era diretta, la certezza della non impugnabilità, ad opera di concorrenti o controparti, delle intese restrittive ma esentate.
Dal 1962 ad oggi la situazione è andata però modificandosi in misura notevole: a causa della gran mole di notifiche ad essa sottoposte, la Commissione sin dall’inizio si è trovata nella materiale impossibilità di definirle tutte con decisione formale in tempi ragionevoli, ed anche i correttivi approntati nei decenni successivi (applicazione della dottrina delle intese c.d. de minimis; elaborazione di una serie di Comunicazioni interpretative sulle categorie di intese in linea di principio non ricadenti nell’art. 81 CE; adozione di numerosi Regolamenti di esenzione per categorie di intese nel campo delle restrizioni verticali, degli accordi di specializzazione, di ricerca e sviluppo, di trasferimento di tecnologia, nei settori dei trasporti e delle assicurazioni; introduzione del nuovo strumento informale chiamato comfort letter, o lettera amministrativa di archiviazione; predisposizione di Comunicazioni rivolte a giudici e autorità nazionali al fine di realizzare, nei limiti del sistema di autorizzazione stesso, un’applicazione maggiormente decentrata della normativa comunitaria della concorrenza) si sono rivelati in realtà ben poco soddisfacenti, visto che ancora qualche anno fa la Commissione si trovava costretta – anche a causa del costante incremento delle notifiche relative ad operazioni di concentrazione tra imprese (come tali disciplinate dal Regolamento CEE n. 4064/89, in GUCE L 395 del 30-12-1989, come modificato da ultimo dal Regolamento CE n. 1310/97, in GUCE L 180 del 9-7-1997) e al conseguente aumento del carico di lavoro – a dover archiviare circa il 90% dei casi ai sensi degli articoli 81 e 82 del Trattato.
Se queste erano le premesse, non ulteriormente rinviabile era apparsa una radicale modifica del sistema delle notificazioni-autorizzazioni: in ragione di ciò, la Commissione nell’aprile del 1999 adottava il Libro Bianco sulla modernizzazione del diritto antitrust (in GUCE C 132 del 12-5-1999, pag. 1 ss.), documento alla base sia della relativa Proposta di Regolamento del Consiglio, del settembre 2000, concernente l’applicazione alle imprese delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del Trattato (in GUCE C 365 E del 19-12-2000, pag. 284 ss.) che del Regolamento CE n. 1/2003, oggetto della presente trattazione.
Se nei Consideranda vengono tracciate le linee programmatiche della riforma, il testo normativo vero e proprio consta di undici capitoli, progressivamente intitolati ai principi, alle competenze, alle decisioni della Commissione, alla cooperazione, ai poteri di indagine, alle sanzioni, alla prescrizione, alle audizioni e segreto d’ufficio, ai regolamenti d’esenzione, alle disposizioni generali e alle disposizioni transitorie di modifica e finali.
Il Capitolo I, dedicato ai Principi, rappresenta l’hard core della riforma, ed infatti l’articolo 1 (“Applicazione degli articoli 81 e 82 del Trattato”) segna il passaggio dal regime di notificazione-autorizzazione a quello di eccezione legale: similmente a quanto già previsto nel Regolamento 17/62, anche adesso gli accordi, le decisioni di associazioni di imprese e le pratiche concordate di cui all’art. 81(1) CE, che non soddisfano le condizioni per l’esenzione di cui all’art. 81(3) CE, sono vietati senza che occorra una previa decisione in tal senso (primo comma), mentre – ed è questa la traduzione normativa del nuovo regime – quelle intese che viceversa soddisfano le condizioni dell’art. 81(3) CE non sono vietate, e questo senza che occorra una previa decisione in tal senso (secondo comma); infine, immutata resta la previsione per quanto riguarda l’art. 82 CE, in quanto lo sfruttamento abusivo di una posizione dominante è vietato senza una dichiarazione in tal senso (terzo comma).
Con l’articolo 1 del Regolamento 1/2003, come si diceva, viene abolito non solo il sistema delle notifiche e delle successive (e, nella prassi, sempre più eventuali) autorizzazioni formali, ma anche la pratica delle comfort letters e tutti gli stratagemmi attuati nel corso dei 40 anni di vigenza del Regolamento 17/62 per sopperire all’enorme carico di lavoro della Direzione generale Concorrenza della Commissione europea.
Coerente con l’assunto alla base dell’articolo 1 è la nuova disciplina dell’onere della prova, sancita nell’articolo 2 (“Onere della prova”): vi si stabilisce che, in caso di contestazione di un’infrazione dell’art. 81(1) CE o dell’art. 82 CE, detto onere incombe alla parte o all’autorità che asserisce tale infrazione, mentre grava sull’impresa o sull’associazione di imprese che invoca l’applicazione dell’esenzione di cui all’art. 81(3) CE provare che le condizioni in esso enunciate sono soddisfatte.
La seconda importante novità è rappresentata dall’articolo 3 (“Rapporto fra gli articoli 81 e 82 e le legislazioni nazionali in materia di concorrenza”), che ha ad oggetto il rapporto tra gli ambiti di applicazione delle legislazioni antitrust nazionali e comunitaria; a causa dell’opposizione degli Stati membri – desiderosi di individuare l’ambito di applicazione della propria legislazione indipendentemente dall’ambito di applicazione degli artt. 81 e 82 CE (anche perché nella valutazione di alcune intese si perseguivano obiettivi spesso contrari alla liberalizzazione del commercio e all’integrazione regionale) – mancava nel Regolamento 17/62 una norma che disciplinasse in maniera più chiara (rispetto alla formulazione dell’art. 81(1) CE) le eventuali sovrapposizioni di competenza, per cui nel vuoto normativo ci si orientò per l’ipotesi della doppia barriera, secondo la quale il diritto comunitario e quello nazionale erano simultaneamente applicabili alla medesima fattispecie, pur se con il temperamento del principio del primato del diritto comunitario (si venivano a delineare quindi le seguenti tre ipotesi: da un lato un’intesa vietata dalle norme comunitarie risultava preclusiva di una decisione di autorizzazione a livello nazionale; dall’altro un divieto disposto a livello comunitario non impediva un ulteriore divieto da parte del diritto nazionale, salvo il doversi tener conto delle sanzioni già comminate dal diritto comunitario; dall’altro ancora un’intesa autorizzata a livello comunitario poteva invece essere vietata dal diritto nazionale), ipotesi che (a differenza degli Stati Uniti, in cui essa è oggetto di tutela costituzionale e pacificamente ammessa) nella Comunità europea risultava appunto essere solo il frutto di scelte autonomamente compiute dai legislatori nazionali, pur se avallate dalla giurisprudenza della Corte di giustizia (vedasi sentenza 13 febbraio 1969, in causa 14/68, Walt Wilhelm, in Raccolta, pag. 1).
A distanza di più di 40 anni, l’articolo 3 del Regolamento 1/2003 finalmente disciplina i rapporti tra gli ambiti di applicazione delle diverse normative; se la previsione generale del primo comma (secondo la quale quando le autorità o le giurisdizioni nazionali, nell’ambito della valutazione di intese o di sfruttamenti abusivi secondo la propria legislazione antitrust, incorrono in ipotesi di rilevanza comunitaria, sono tenute ad applicare simultaneamente anche gli artt. 81 e 82 CE) appare in linea con l’azione di decentramento attuata tramite il Regolamento in esame (ed evidenziata negli articoli successivi), essa assume invece – rispetto all’art. 81 CE – la sua specifica importanza nel successivo secondo comma, in cui si afferma che l’applicazione della normativa nazionale non può comportare il divieto di intese che non importino restrizioni alla concorrenza ex art. 81(1) CE o che soddisfino le condizioni dell’art. 81(3) CE o ancora che siano disciplinate da un regolamento di esenzione per categoria: in questo modo viene affermato a livello legislativo (e solamente per le ipotesi, ripetiamo, ricadenti nell’ambito dell’art. 81 CE) il principio della cedevolezza della legislazione nazionale antitrust in presenza di fattispecie concrete ricadenti nell’ambito di applicazione dell’art. 81 del Trattato non solo in caso di divieto (ipotesi già contemplata nel sistema della doppia barriera) ma anche in caso di non rilevanza o di esenzione (ipotesi che segna il passaggio al sistema della barriera semplice); per quanto riguarda l’art. 82 CE invece rimane in vigore il sistema della doppia barriera, dato che l’articolo 3, secondo comma, ultima parte, ribadisce che gli Stati membri potranno vietare o sanzionare condotte unilaterali delle imprese in forza di norme nazionali più rigorose. Infine, il terzo comma del presente articolo, a parziale compensazione del passaggio al sistema della barriera semplice, stabilisce che le previsioni dei commi 1 e 2 cedono in caso di concorrente applicazione di normative nazionali in materia di controllo delle fusioni (o, per meglio dire, di controllo delle operazioni di concentrazione) o perseguenti finalità differenti da quella della tutela dell’assetto concorrenziale del mercato di cui agli articoli 81 e 82 del Trattato.
Il Capitolo II, che stabilisce la ripartizione di competenze tra la Commissione, le autorità nazionali garanti della concorrenza e le giurisdizioni statali, rappresenta la necessaria conseguenza del passaggio al regime di eccezione legale: se l’art. 81 CE – sosteneva la Commissione nel Libro Bianco – deve essere considerato nella sua interezza, non può più esservi una sola autorità amministrativa (la Commissione) competente ad attestare l’esenzione di cui all’art. 81(3) del Trattato, e quindi tale facoltà deve necessariamente passare in capo anche alle autorità amministrative o giurisdizionali nazionali; nel Regolamento in esame, infatti, l’articolo 4 attribuisce alla Commissione le competenze previste negli articoli successivi, mentre l’articolo 5 stabilisce che le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri sono competenti ad applicare gli articoli 81 e 82 CE in casi individuali (la competenza ad emanare regolamenti di esenzione per categoria rimanendo sempre in capo alla Commissione), per cui, agendo d’ufficio o in seguito a denuncia, possono ordinare la cessazione delle infrazioni, disporre misure cautelari, accettare impegni, comminare ammende, penalità di mora o qualunque altra sanzione prevista dalla normativa nazionale, oppure possono anche decidere di non intervenire qualora allo stato degli atti non sussistano le condizioni per un divieto; l’articolo 6, inoltre, statuisce che le giurisdizioni nazionali sono competenti ad applicare gli articoli 81 e 82 del Trattato, di conseguenza permettendo alla singola persona fisica o giuridica, data l’astratta possibilità di dotare l’art. 81(3) CE di effetto diretto (astratta perché, così come è formulato l’art. 81 CE ed in mancanza di una modifica esplicita del Trattato in tal senso, dovrebbe dipendere non dalla lettera degli articoli 1 e 6 del presente Regolamento bensì da una pronuncia della Corte di giustizia in quanto unico organo legittimato ad interpretare le disposizioni del Trattato stesso), di far valere innanzi al giudice nazionale la posizione giuridica soggettiva vantata in forza della suddetta disposizione comunitaria (oltre che, ovviamente, in forza degli artt. 81(1) e 82 CE).
Nell’alveo del Capitolo III (Decisioni della Commissione), l’articolo 7 (“Contestazione ed eliminazione delle infrazioni”) ricalca in larga parte l’art. 3, Regolamento 17/62, con due opportune precisazioni: la prima stabilisce che, nella scelta tra rimedi strutturali (es. dismissione di alcune attività d’impresa) e comportamentali (es. ingiunzione ad astenersi da condotte pregiudizievoli del mercato) per porre fine ad un’infrazione, la Commissione deve optare per i primi solamente qualora i secondi si rivelino inefficaci o maggiormente onerosi, mentre la seconda prevede che la Commissione possa procedere alla constatazione di un’infrazione già cessata, ma solo in presenza di un legittimo interesse (rischio di ripetizione dell’infrazione da parte del destinatario; caso che solleva nuove questioni il cui chiarimento è di pubblico interesse); l’articolo 8 (“Misure cautelari”) stabilisce i criteri secondo cui la Commissione può adottare tali provvedimenti; l’articolo 9 (“Impegni”) prevede per la Commissione, nel caso in cui intenda contestare un’infrazione e le imprese interessate abbiano proposto degli impegni ritenuti soddisfacenti, la possibilità di emanare decisioni individuali con cui rendere obbligatori detti impegni e chiudere il procedimento, pur riservandosi la possibilità di riaprirlo in caso di modificazione della situazione di fatto oppure di non ottemperanza delle imprese agli impegni assunti oppure ancora di decisione presa sulla base di informazioni incomplete, inesatte o fuorvianti; l’articolo 10 (“Constatazione di inapplicabilità”) dispone – ed in ciò assolutamente non riproponendo il sistema delle esenzioni individuali – che la Commissione, per ragioni di interesse pubblico comunitario e agendo d’ufficio (quindi non su domanda di parte) può (e non ‘deve’, come nell’attuale sistema) stabilire mediante decisione (di natura dichiarativa e non costitutiva) che, in base agli elementi a sua conoscenza, l’art. 81 CE è inapplicabile ad un’intesa (sia perché non restrittiva ex primo comma sia perché soddisfa le condizioni di cui al terzo comma), così come potrà stabilire che non vi è sfruttamento abusivo di una posizione dominante ai sensi dell’art. 82 CE.
Il Capitolo IV (Cooperazione) intende regolare il sistema di cooperazione mediante la creazione di un vero e proprio network tra la Commissione e le diverse autorità nazionali garanti della concorrenza, in modo da prevenire il rischio di conflitti (positivi come negativi) di competenza derivanti dall’aver attribuito il potere di applicare gli articoli 81 e 82 del Trattato nella loro totalità in capo a più soggetti, ed assicurare la tendenziale applicazione omogenea degli stessi in tutto il territorio comunitario. L’articolo 11 prevede che la Commissione e le autorità nazionali applichino le regole comunitarie in stretta collaborazione, con la previsione di flussi informativi bidirezionali (Commissione – singola autorità garante interessata ad un’intesa o posizione dominante) e multidirezionali (Commissione – insieme delle autorità nazionali interessate all’evolversi della prassi applicativa da parte dell’autorità comunitaria); funzionale risulta l’obbligo per ogni singola autorità nazionale sia di informare la Commissione prima o immediatamente dopo l’apertura di un procedimento ai sensi degli articoli 81 e 82 del Trattato (con la mera facoltà di informare anche le altre autorità), sia di trasmettere all’autorità comunitaria tutta una serie di documenti (anche a richiesta di quest’ultima) al più tardi 30 giorni prima dell’adozione di una decisione finale in merito a tale procedimento (anche qui con la facoltà di informare tutte le altre autorità nazionali); è prevista la possibilità di consultare la Commissione da parte delle autorità nazionali in merito ad ogni questione attinente il diritto comunitario della concorrenza; il potere di avocazione della Commissione è sancito al sesto comma, ove è stabilito che l’avvio di un procedimento da parte della stessa priva le autorità nazionali della competenza ad applicare gli articoli 81 e 82 CE per quella fattispecie concreta, pur con l’obbligo per la Commissione di consultare l’autorità nazionale che abbia eventualmente aperto in precedenza un fascicolo su quella determinata intesa o posizione dominante. L’articolo 12 disciplina la base giuridica per lo scambio di qualsiasi informazione tra la Commissione e le autorità nazionali, e per l’uso di tali informazioni come mezzo di prova, ma solo ai fini dell’applicazione degli articoli 81 e 82 CE; l’articolo riguarda la trasmissione di informazioni dalla Commissione alle autorità nazionali e viceversa, la trasmissione tra le varie autorità nazionali, e prevede la possibilità di trasmissione di interi fascicoli, inclusi documenti riservati (questi ultimi, a norma dell’art. 20(1), Regolamento 17/62, attualmente non possono essere usati dalle autorità nazionali qualora provengano da procedimenti comunitari); il terzo comma stabilisce le condizioni in presenza delle quali le informazioni scambiate possono essere usate come mezzi di prova per comminare sanzioni a persone fisiche. L’articolo 13 stabilisce un meccanismo sospensivo di carattere volontario per la risoluzione dei conflitti positivi di competenza tra autorità nazionali: nel caso in cui due o più autorità abbiano avviato un procedimento nei confronti della medesima fattispecie disciplinata dagli articoli 81 e 82 del Trattato, il fatto che ognuna di esse stia agendo (o addirittura che abbia già agito in precedenza) costituisce per le altre un motivo sufficiente per sospendere il procedimento o respingere la denuncia (il carattere facoltativo della sospensione è dovuto al fatto che si è preferito rendere il network libero di decidere – mediante regolamenti attuativi del Regolamento 1/2003 – dove radicare il procedimento solo in un momento successivo all’acquisizione delle opinioni di tutte le autorità nazionali coinvolte, piuttosto che obbligare le seconde arrivate a declinare la propria competenza in base a norme rigide di litispendenza); la stessa facoltà declinatoria è in possesso della Commissione, pur dovendosi coordinare questa disposizione con il potere di avocazione di cui essa dispone ai sensi dell’articolo 11(6). L’articolo 14 ricalca, con alcune specificazioni resesi necessarie a seguito dell’esperienza maturata, l’art. 10(3-6), Regolamento 17/62, in merito alla composizione e all’operare del Comitato consultivo in materia di intese e posizioni dominanti. L’articolo 15 disciplina invece i rapporti tra la Commissione e le autorità nazionali, da un lato, e le autorità giurisdizionali, dall’altro: vi si prevede da un lato la possibilità per gli organi giudiziari di richiedere alla Commissione informazioni in suo possesso o pareri in merito a questioni relative all’applicazione della normativa antitrust comunitaria sottoposte alla loro cognizione, e dall’altro l’obbligo per gli Stati membri di trasmettere alla Commissione copia di tutte le sentenze in tale materia; notevole importanza assume la possibilità per le autorità nazionali (all’interno della loro giurisdizione) e per la Commissione di svolgere una funzione di amicus curiae, presentando, nell’ambito di procedimenti giurisdizionali vertenti sull’applicazione degli articoli 81 e 82 del Trattato, osservazioni scritte e (solo su autorizzazione dell’organo giurisdizionale) orali: tuttavia, data la mancanza della previsione di un obbligo di informazione riguardo l’avvio di un procedimento giurisdizionale simile a quello previsto per i procedimenti amministrativi nazionali, è presumibile che la presente disposizione – in combinato disposto con l’obbligo di trasmissione di copia delle sentenze di cui supra – conduca ad una situazione per cui le autorità nazionali e/o la Commissione agiranno in qualità di amici curiae solamente in caso di (eventuale) appello. Infine l’articolo 16, in omaggio al principio di applicazione uniforme del diritto comunitario, stabilisce che gli organi amministrativi e giurisdizionali nazionali si attivino al fine di non adottare decisioni in contrasto con quelle della Commissione: peraltro, qualora ciò non avvenga in prima battuta (intervento in giudizio, richiesta di informazioni o di pareri, ecc.), sia che gli organi giurisdizionali sollevino una questione pregiudiziale innanzi alla Corte di giustizia mediante il rinvio di cui all’art. 234 CE, sia che le autorità nazionali ricorrano all’operare del network, dovrebbe comunque essere assicurata l’uniforme applicazione in caso di decisioni difformi da quelle della Commissione in casi concreti.
Sia il Capitolo V (Poteri di indagine) che il Capitolo VI (Sanzioni) ricalcano in misura sostanziale quanto già previsto dal Regolamento 17/62, e comunque un’analisi ap-profondita esulerebbe dal contesto di questo elaborato; appare comunque degno di nota il fatto che l’articolo 22 elevi il tetto massimo delle ammende “per inosservanza delle norme procedurali” fino all’1% del fatturato annuo totale (sinora andavano da 100 a 5000 Euro), lasciando intatta la soglia del 10% per le ammende comminate per “infrazioni sostanziali” degli articoli 81 e 82 CE ed introducendo un’innovativa disposizione in materia di infrazioni commesse da associazioni di imprese: qualora siano loro comminate ammende ed esse non siano solvibili, la Commissione potrà pretenderne il pagamento da ciascuna delle imprese aderenti all’associazione al momento della commissione dell’infrazione, purché l’ammontare pro quota non ecceda il 10% del fatturato totale realizzato nel corso dell’esercizio sociale precedente.
Il Capitolo VII è dedicato alle prescrizioni, e mentre l’articolo 25 ne disciplina il regime in materia di imposizione di sanzioni, l’articolo 26 tratta delle prescrizioni in materia di esecuzione delle sanzioni stesse.
Il Capitolo VIII (Audizioni e segreto d’ufficio) è dedicato ai diritti delle parti, dei ricorrenti e dei terzi, soggetti tutti in vario modo coinvolti nel corso di un procedimento in materia di concorrenza, e la cui normativa non si discosta di molto da quella del Regolamento 17/62; all’articolo 27 vengono disciplinate le modalità di effettuazione delle audizioni delle imprese e associazioni di imprese oggetto del procedimento, la garanzia del diritto alla difesa per le parti interessate, il diritto di accesso ai fascicoli, il diritto di essere sentiti dalla Commissione qualora se ne abbia interesse, il diritto di presentare osservazioni in merito al documento (contenente l’esposizione sommaria dei fatti) che la Commissione pubblica nel caso voglia adottare decisioni in tema di impegni o di chiusura del procedimento; l’articolo 28 re-gola invece il rispetto del segreto d’ufficio per la Com-missione e per le autorità nazionali (salvo le disposizioni sullo scambio di informazioni).
Il Capitolo IX (Regolamenti d’esenzione) consta dell’unico articolo 29, in cui si prevede che la Commissione possa revocare il beneficio concesso in via generale da regolamenti di esenzione per categoria in determinati casi in cui un’intesa dimostri di avere effetti incompatibili con l’art. 81(3) CE (facoltà concessa anche alle autorità nazionali, qualora gli effetti incompatibili si producano sul territorio di uno Stato membro, o su parte di esso, che abbia “tutte le caratteristiche di un mercato geografico distinto”).
Il Capitolo X (Disposizioni generali) raggruppa varie disposizioni riguardanti: la pubblicazione delle decisioni adottate in applicazione degli articoli 7, 8, 9, 10, 23 e 24 (articolo 30); la competenza della Corte di giustizia a decidere sui ricorsi avverso le decisioni con cui la Commissione irroga ammende o penalità di mora (articolo 31); l’esclusione dal campo di applicazione del presente Regolamento della materia dei trasporti marittimi internazionali non di linea, dei trasporti marittimi che si svolgono esclusivamente all’interno di uno Stato membro e dei trasporti aerei fra aeroporti della Comunità e Paesi terzi (articolo 32); le disposizioni di esecuzione, mediante la quale la Commissione è autorizzata ad adottare quelle misure che ritenga idonee ai fini dell’applicazione del Regolamento 1/2003 (in particolare quelle riguardanti la forma, il contenuto e le altre modalità delle denunce, oppure le modalità dello scambio di informazioni e di consultazione, oppure ancora le modalità delle audizioni), previa consultazione di tutte le parti interessate (articolo 33).
Infine, il Capitolo XI (Disposizioni transitorie di modifica e finali) da un lato prevede disposizioni transitorie per il passaggio dal vecchio al nuovo regime (articolo 34), dall’altro invita gli Stati membri a designare le autorità nazionali competenti per l’applicazione degli articoli 81 e 82 del Trattato (articolo 35), dall’altro ancora dispone le modifiche necessarie ad alcuni regolamenti precedentemente adottati, in modo da armonizzarli con il presente, ed infine (articolo 45) dispone l’applicazione del Regolamento 1/2003 a decorrere dal 1° maggio 2004.
Il Regolamento in questione, frutto di un dibattito pluriennale ed espressione di un approccio diverso rispetto al passato di concepire il diritto della concorrenza applicabile alle imprese, rappresenta una rivoluzione nel panorama giuridico-economico comunitario sotto svariati aspetti.
Innanzitutto, esso segna il tramonto del regime di notificazione ed autorizzazione (in vigore dal 1962) e la scelta del regime c.d. di eccezione legale.
Stante infatti la formulazione dell’art. 81 CE – che a fronte del divieto delle intese restrittive della concorrenza, sancito nel primo comma, consente l’esenzione dal divieto stesso in presenza di tutte le condizioni previste nel terzo comma (beneficio anche per i consumatori; indispensabilità delle restrizioni; non eliminazione della concorrenza) – sin dagli albori dell’applicazione del diritto antitrust comunitario si è scelto di utilizzare il regime della notificazione e della conseguente eventuale autorizzazione (secondo il quale, in presenza di un’intesa che ricade astrattamente nel divieto ex primo comma dell’art. 81 del Trattato – intesa considerata nulla ai sensi del successivo secondo comma –, solamente l’intervento di un’autorità può rimuovere ex ante il divieto stesso mediante una decisione di esenzione costitutiva di diritti, qualora si ravvisi la presenza delle condizioni previste nel terzo comma dello stesso art. 81 CE) invece del regime di eccezione legale (grazie al quale, viceversa, l’insieme delle condizioni per l’esenzione va interpretata come eccezione ex lege alla previsione del divieto, senza quindi l’intervento dell’autorità per la sua applicazione al caso concreto; corollario è che l’intesa astrattamente vietata ma concretamente esentabile viene considerata valida a tutti gli effetti sin dal momento della sua conclusione, e non invece dalla decisione di esenzione, e la sua validità o meno rispetto all’intero art. 81 CE va accertata ex post, in caso di denuncia o di procedimento avviato d’ufficio). La scelta del regime di notificazione-autorizzazione era coerente con la situazione che si presentava negli anni ’60 all’interno del Mercato comune, in cui un sistema di valutazione ex ante della liceità delle intese avrebbe assicurato sia il necessario flusso di informazioni in capo alla Commissione sulla struttura dei mercati e sulle varie tipologie di intese, sia l’applicazione uniforme del diritto antitrust comunitario (data l’inesistenza o quantomeno la difformità delle varie normative antitrust nazionali tra di loro e nei confronti della normativa comunitaria), sia infine la certezza del diritto (a causa della formulazione assolutamente astratta dell’art. 81 CE, la cui portata non era stata ancora chiarita dalla giurisprudenza della Corte di giustizia e dalla prassi decisionale della stessa Commissione; mancanza di certezza, peraltro, aggravata dalla sanzione di nullità ex tunc per le intese vietate, prevista nel secondo comma dell’art. 81 del Trattato): con il Regolamento n. 17/62, di conseguenza, si era ovviato al primo problema tramite la previsione di una procedura di notifica alla Commissione (di fatto) obbligatoria per le imprese che intendevano avvalersi dell’esenzione dell’art. 81(3) CE; al secondo problema, attribuendo alla Commissione la competenza esclusiva ad applicare il terzo comma dell’art. 81 CE (salvo il controllo della Corte di giustizia) in uno con la previsione di norme limitative della competenza applicativa del diritto antitrust comunitario da parte delle autorità (amministrative e/o giurisdizionali) nazionali; al terzo problema, garantendo con la decisione di esenzione, costitutiva – come detto – di diritti in capo alle imprese cui era diretta, la certezza della non impugnabilità, ad opera di concorrenti o controparti, delle intese restrittive ma esentate.
Dal 1962 ad oggi la situazione è andata però modificandosi in misura notevole: a causa della gran mole di notifiche ad essa sottoposte, la Commissione sin dall’inizio si è trovata nella materiale impossibilità di definirle tutte con decisione formale in tempi ragionevoli, ed anche i correttivi approntati nei decenni successivi (applicazione della dottrina delle intese c.d. de minimis; elaborazione di una serie di Comunicazioni interpretative sulle categorie di intese in linea di principio non ricadenti nell’art. 81 CE; adozione di numerosi Regolamenti di esenzione per categorie di intese nel campo delle restrizioni verticali, degli accordi di specializzazione, di ricerca e sviluppo, di trasferimento di tecnologia, nei settori dei trasporti e delle assicurazioni; introduzione del nuovo strumento informale chiamato comfort letter, o lettera amministrativa di archiviazione; predisposizione di Comunicazioni rivolte a giudici e autorità nazionali al fine di realizzare, nei limiti del sistema di autorizzazione stesso, un’applicazione maggiormente decentrata della normativa comunitaria della concorrenza) si sono rivelati in realtà ben poco soddisfacenti, visto che ancora qualche anno fa la Commissione si trovava costretta – anche a causa del costante incremento delle notifiche relative ad operazioni di concentrazione tra imprese (come tali disciplinate dal Regolamento CEE n. 4064/89, in GUCE L 395 del 30-12-1989, come modificato da ultimo dal Regolamento CE n. 1310/97, in GUCE L 180 del 9-7-1997) e al conseguente aumento del carico di lavoro – a dover archiviare circa il 90% dei casi ai sensi degli articoli 81 e 82 del Trattato.
Se queste erano le premesse, non ulteriormente rinviabile era apparsa una radicale modifica del sistema delle notificazioni-autorizzazioni: in ragione di ciò, la Commissione nell’aprile del 1999 adottava il Libro Bianco sulla modernizzazione del diritto antitrust (in GUCE C 132 del 12-5-1999, pag. 1 ss.), documento alla base sia della relativa Proposta di Regolamento del Consiglio, del settembre 2000, concernente l’applicazione alle imprese delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del Trattato (in GUCE C 365 E del 19-12-2000, pag. 284 ss.) che del Regolamento CE n. 1/2003, oggetto della presente trattazione.
Se nei Consideranda vengono tracciate le linee programmatiche della riforma, il testo normativo vero e proprio consta di undici capitoli, progressivamente intitolati ai principi, alle competenze, alle decisioni della Commissione, alla cooperazione, ai poteri di indagine, alle sanzioni, alla prescrizione, alle audizioni e segreto d’ufficio, ai regolamenti d’esenzione, alle disposizioni generali e alle disposizioni transitorie di modifica e finali.
Il Capitolo I, dedicato ai Principi, rappresenta l’hard core della riforma, ed infatti l’articolo 1 (“Applicazione degli articoli 81 e 82 del Trattato”) segna il passaggio dal regime di notificazione-autorizzazione a quello di eccezione legale: similmente a quanto già previsto nel Regolamento 17/62, anche adesso gli accordi, le decisioni di associazioni di imprese e le pratiche concordate di cui all’art. 81(1) CE, che non soddisfano le condizioni per l’esenzione di cui all’art. 81(3) CE, sono vietati senza che occorra una previa decisione in tal senso (primo comma), mentre – ed è questa la traduzione normativa del nuovo regime – quelle intese che viceversa soddisfano le condizioni dell’art. 81(3) CE non sono vietate, e questo senza che occorra una previa decisione in tal senso (secondo comma); infine, immutata resta la previsione per quanto riguarda l’art. 82 CE, in quanto lo sfruttamento abusivo di una posizione dominante è vietato senza una dichiarazione in tal senso (terzo comma).
Con l’articolo 1 del Regolamento 1/2003, come si diceva, viene abolito non solo il sistema delle notifiche e delle successive (e, nella prassi, sempre più eventuali) autorizzazioni formali, ma anche la pratica delle comfort letters e tutti gli stratagemmi attuati nel corso dei 40 anni di vigenza del Regolamento 17/62 per sopperire all’enorme carico di lavoro della Direzione generale Concorrenza della Commissione europea.
Coerente con l’assunto alla base dell’articolo 1 è la nuova disciplina dell’onere della prova, sancita nell’articolo 2 (“Onere della prova”): vi si stabilisce che, in caso di contestazione di un’infrazione dell’art. 81(1) CE o dell’art. 82 CE, detto onere incombe alla parte o all’autorità che asserisce tale infrazione, mentre grava sull’impresa o sull’associazione di imprese che invoca l’applicazione dell’esenzione di cui all’art. 81(3) CE provare che le condizioni in esso enunciate sono soddisfatte.
La seconda importante novità è rappresentata dall’articolo 3 (“Rapporto fra gli articoli 81 e 82 e le legislazioni nazionali in materia di concorrenza”), che ha ad oggetto il rapporto tra gli ambiti di applicazione delle legislazioni antitrust nazionali e comunitaria; a causa dell’opposizione degli Stati membri – desiderosi di individuare l’ambito di applicazione della propria legislazione indipendentemente dall’ambito di applicazione degli artt. 81 e 82 CE (anche perché nella valutazione di alcune intese si perseguivano obiettivi spesso contrari alla liberalizzazione del commercio e all’integrazione regionale) – mancava nel Regolamento 17/62 una norma che disciplinasse in maniera più chiara (rispetto alla formulazione dell’art. 81(1) CE) le eventuali sovrapposizioni di competenza, per cui nel vuoto normativo ci si orientò per l’ipotesi della doppia barriera, secondo la quale il diritto comunitario e quello nazionale erano simultaneamente applicabili alla medesima fattispecie, pur se con il temperamento del principio del primato del diritto comunitario (si venivano a delineare quindi le seguenti tre ipotesi: da un lato un’intesa vietata dalle norme comunitarie risultava preclusiva di una decisione di autorizzazione a livello nazionale; dall’altro un divieto disposto a livello comunitario non impediva un ulteriore divieto da parte del diritto nazionale, salvo il doversi tener conto delle sanzioni già comminate dal diritto comunitario; dall’altro ancora un’intesa autorizzata a livello comunitario poteva invece essere vietata dal diritto nazionale), ipotesi che (a differenza degli Stati Uniti, in cui essa è oggetto di tutela costituzionale e pacificamente ammessa) nella Comunità europea risultava appunto essere solo il frutto di scelte autonomamente compiute dai legislatori nazionali, pur se avallate dalla giurisprudenza della Corte di giustizia (vedasi sentenza 13 febbraio 1969, in causa 14/68, Walt Wilhelm, in Raccolta, pag. 1).
A distanza di più di 40 anni, l’articolo 3 del Regolamento 1/2003 finalmente disciplina i rapporti tra gli ambiti di applicazione delle diverse normative; se la previsione generale del primo comma (secondo la quale quando le autorità o le giurisdizioni nazionali, nell’ambito della valutazione di intese o di sfruttamenti abusivi secondo la propria legislazione antitrust, incorrono in ipotesi di rilevanza comunitaria, sono tenute ad applicare simultaneamente anche gli artt. 81 e 82 CE) appare in linea con l’azione di decentramento attuata tramite il Regolamento in esame (ed evidenziata negli articoli successivi), essa assume invece – rispetto all’art. 81 CE – la sua specifica importanza nel successivo secondo comma, in cui si afferma che l’applicazione della normativa nazionale non può comportare il divieto di intese che non importino restrizioni alla concorrenza ex art. 81(1) CE o che soddisfino le condizioni dell’art. 81(3) CE o ancora che siano disciplinate da un regolamento di esenzione per categoria: in questo modo viene affermato a livello legislativo (e solamente per le ipotesi, ripetiamo, ricadenti nell’ambito dell’art. 81 CE) il principio della cedevolezza della legislazione nazionale antitrust in presenza di fattispecie concrete ricadenti nell’ambito di applicazione dell’art. 81 del Trattato non solo in caso di divieto (ipotesi già contemplata nel sistema della doppia barriera) ma anche in caso di non rilevanza o di esenzione (ipotesi che segna il passaggio al sistema della barriera semplice); per quanto riguarda l’art. 82 CE invece rimane in vigore il sistema della doppia barriera, dato che l’articolo 3, secondo comma, ultima parte, ribadisce che gli Stati membri potranno vietare o sanzionare condotte unilaterali delle imprese in forza di norme nazionali più rigorose. Infine, il terzo comma del presente articolo, a parziale compensazione del passaggio al sistema della barriera semplice, stabilisce che le previsioni dei commi 1 e 2 cedono in caso di concorrente applicazione di normative nazionali in materia di controllo delle fusioni (o, per meglio dire, di controllo delle operazioni di concentrazione) o perseguenti finalità differenti da quella della tutela dell’assetto concorrenziale del mercato di cui agli articoli 81 e 82 del Trattato.
Il Capitolo II, che stabilisce la ripartizione di competenze tra la Commissione, le autorità nazionali garanti della concorrenza e le giurisdizioni statali, rappresenta la necessaria conseguenza del passaggio al regime di eccezione legale: se l’art. 81 CE – sosteneva la Commissione nel Libro Bianco – deve essere considerato nella sua interezza, non può più esservi una sola autorità amministrativa (la Commissione) competente ad attestare l’esenzione di cui all’art. 81(3) del Trattato, e quindi tale facoltà deve necessariamente passare in capo anche alle autorità amministrative o giurisdizionali nazionali; nel Regolamento in esame, infatti, l’articolo 4 attribuisce alla Commissione le competenze previste negli articoli successivi, mentre l’articolo 5 stabilisce che le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri sono competenti ad applicare gli articoli 81 e 82 CE in casi individuali (la competenza ad emanare regolamenti di esenzione per categoria rimanendo sempre in capo alla Commissione), per cui, agendo d’ufficio o in seguito a denuncia, possono ordinare la cessazione delle infrazioni, disporre misure cautelari, accettare impegni, comminare ammende, penalità di mora o qualunque altra sanzione prevista dalla normativa nazionale, oppure possono anche decidere di non intervenire qualora allo stato degli atti non sussistano le condizioni per un divieto; l’articolo 6, inoltre, statuisce che le giurisdizioni nazionali sono competenti ad applicare gli articoli 81 e 82 del Trattato, di conseguenza permettendo alla singola persona fisica o giuridica, data l’astratta possibilità di dotare l’art. 81(3) CE di effetto diretto (astratta perché, così come è formulato l’art. 81 CE ed in mancanza di una modifica esplicita del Trattato in tal senso, dovrebbe dipendere non dalla lettera degli articoli 1 e 6 del presente Regolamento bensì da una pronuncia della Corte di giustizia in quanto unico organo legittimato ad interpretare le disposizioni del Trattato stesso), di far valere innanzi al giudice nazionale la posizione giuridica soggettiva vantata in forza della suddetta disposizione comunitaria (oltre che, ovviamente, in forza degli artt. 81(1) e 82 CE).
Nell’alveo del Capitolo III (Decisioni della Commissione), l’articolo 7 (“Contestazione ed eliminazione delle infrazioni”) ricalca in larga parte l’art. 3, Regolamento 17/62, con due opportune precisazioni: la prima stabilisce che, nella scelta tra rimedi strutturali (es. dismissione di alcune attività d’impresa) e comportamentali (es. ingiunzione ad astenersi da condotte pregiudizievoli del mercato) per porre fine ad un’infrazione, la Commissione deve optare per i primi solamente qualora i secondi si rivelino inefficaci o maggiormente onerosi, mentre la seconda prevede che la Commissione possa procedere alla constatazione di un’infrazione già cessata, ma solo in presenza di un legittimo interesse (rischio di ripetizione dell’infrazione da parte del destinatario; caso che solleva nuove questioni il cui chiarimento è di pubblico interesse); l’articolo 8 (“Misure cautelari”) stabilisce i criteri secondo cui la Commissione può adottare tali provvedimenti; l’articolo 9 (“Impegni”) prevede per la Commissione, nel caso in cui intenda contestare un’infrazione e le imprese interessate abbiano proposto degli impegni ritenuti soddisfacenti, la possibilità di emanare decisioni individuali con cui rendere obbligatori detti impegni e chiudere il procedimento, pur riservandosi la possibilità di riaprirlo in caso di modificazione della situazione di fatto oppure di non ottemperanza delle imprese agli impegni assunti oppure ancora di decisione presa sulla base di informazioni incomplete, inesatte o fuorvianti; l’articolo 10 (“Constatazione di inapplicabilità”) dispone – ed in ciò assolutamente non riproponendo il sistema delle esenzioni individuali – che la Commissione, per ragioni di interesse pubblico comunitario e agendo d’ufficio (quindi non su domanda di parte) può (e non ‘deve’, come nell’attuale sistema) stabilire mediante decisione (di natura dichiarativa e non costitutiva) che, in base agli elementi a sua conoscenza, l’art. 81 CE è inapplicabile ad un’intesa (sia perché non restrittiva ex primo comma sia perché soddisfa le condizioni di cui al terzo comma), così come potrà stabilire che non vi è sfruttamento abusivo di una posizione dominante ai sensi dell’art. 82 CE.
Il Capitolo IV (Cooperazione) intende regolare il sistema di cooperazione mediante la creazione di un vero e proprio network tra la Commissione e le diverse autorità nazionali garanti della concorrenza, in modo da prevenire il rischio di conflitti (positivi come negativi) di competenza derivanti dall’aver attribuito il potere di applicare gli articoli 81 e 82 del Trattato nella loro totalità in capo a più soggetti, ed assicurare la tendenziale applicazione omogenea degli stessi in tutto il territorio comunitario. L’articolo 11 prevede che la Commissione e le autorità nazionali applichino le regole comunitarie in stretta collaborazione, con la previsione di flussi informativi bidirezionali (Commissione – singola autorità garante interessata ad un’intesa o posizione dominante) e multidirezionali (Commissione – insieme delle autorità nazionali interessate all’evolversi della prassi applicativa da parte dell’autorità comunitaria); funzionale risulta l’obbligo per ogni singola autorità nazionale sia di informare la Commissione prima o immediatamente dopo l’apertura di un procedimento ai sensi degli articoli 81 e 82 del Trattato (con la mera facoltà di informare anche le altre autorità), sia di trasmettere all’autorità comunitaria tutta una serie di documenti (anche a richiesta di quest’ultima) al più tardi 30 giorni prima dell’adozione di una decisione finale in merito a tale procedimento (anche qui con la facoltà di informare tutte le altre autorità nazionali); è prevista la possibilità di consultare la Commissione da parte delle autorità nazionali in merito ad ogni questione attinente il diritto comunitario della concorrenza; il potere di avocazione della Commissione è sancito al sesto comma, ove è stabilito che l’avvio di un procedimento da parte della stessa priva le autorità nazionali della competenza ad applicare gli articoli 81 e 82 CE per quella fattispecie concreta, pur con l’obbligo per la Commissione di consultare l’autorità nazionale che abbia eventualmente aperto in precedenza un fascicolo su quella determinata intesa o posizione dominante. L’articolo 12 disciplina la base giuridica per lo scambio di qualsiasi informazione tra la Commissione e le autorità nazionali, e per l’uso di tali informazioni come mezzo di prova, ma solo ai fini dell’applicazione degli articoli 81 e 82 CE; l’articolo riguarda la trasmissione di informazioni dalla Commissione alle autorità nazionali e viceversa, la trasmissione tra le varie autorità nazionali, e prevede la possibilità di trasmissione di interi fascicoli, inclusi documenti riservati (questi ultimi, a norma dell’art. 20(1), Regolamento 17/62, attualmente non possono essere usati dalle autorità nazionali qualora provengano da procedimenti comunitari); il terzo comma stabilisce le condizioni in presenza delle quali le informazioni scambiate possono essere usate come mezzi di prova per comminare sanzioni a persone fisiche. L’articolo 13 stabilisce un meccanismo sospensivo di carattere volontario per la risoluzione dei conflitti positivi di competenza tra autorità nazionali: nel caso in cui due o più autorità abbiano avviato un procedimento nei confronti della medesima fattispecie disciplinata dagli articoli 81 e 82 del Trattato, il fatto che ognuna di esse stia agendo (o addirittura che abbia già agito in precedenza) costituisce per le altre un motivo sufficiente per sospendere il procedimento o respingere la denuncia (il carattere facoltativo della sospensione è dovuto al fatto che si è preferito rendere il network libero di decidere – mediante regolamenti attuativi del Regolamento 1/2003 – dove radicare il procedimento solo in un momento successivo all’acquisizione delle opinioni di tutte le autorità nazionali coinvolte, piuttosto che obbligare le seconde arrivate a declinare la propria competenza in base a norme rigide di litispendenza); la stessa facoltà declinatoria è in possesso della Commissione, pur dovendosi coordinare questa disposizione con il potere di avocazione di cui essa dispone ai sensi dell’articolo 11(6). L’articolo 14 ricalca, con alcune specificazioni resesi necessarie a seguito dell’esperienza maturata, l’art. 10(3-6), Regolamento 17/62, in merito alla composizione e all’operare del Comitato consultivo in materia di intese e posizioni dominanti. L’articolo 15 disciplina invece i rapporti tra la Commissione e le autorità nazionali, da un lato, e le autorità giurisdizionali, dall’altro: vi si prevede da un lato la possibilità per gli organi giudiziari di richiedere alla Commissione informazioni in suo possesso o pareri in merito a questioni relative all’applicazione della normativa antitrust comunitaria sottoposte alla loro cognizione, e dall’altro l’obbligo per gli Stati membri di trasmettere alla Commissione copia di tutte le sentenze in tale materia; notevole importanza assume la possibilità per le autorità nazionali (all’interno della loro giurisdizione) e per la Commissione di svolgere una funzione di amicus curiae, presentando, nell’ambito di procedimenti giurisdizionali vertenti sull’applicazione degli articoli 81 e 82 del Trattato, osservazioni scritte e (solo su autorizzazione dell’organo giurisdizionale) orali: tuttavia, data la mancanza della previsione di un obbligo di informazione riguardo l’avvio di un procedimento giurisdizionale simile a quello previsto per i procedimenti amministrativi nazionali, è presumibile che la presente disposizione – in combinato disposto con l’obbligo di trasmissione di copia delle sentenze di cui supra – conduca ad una situazione per cui le autorità nazionali e/o la Commissione agiranno in qualità di amici curiae solamente in caso di (eventuale) appello. Infine l’articolo 16, in omaggio al principio di applicazione uniforme del diritto comunitario, stabilisce che gli organi amministrativi e giurisdizionali nazionali si attivino al fine di non adottare decisioni in contrasto con quelle della Commissione: peraltro, qualora ciò non avvenga in prima battuta (intervento in giudizio, richiesta di informazioni o di pareri, ecc.), sia che gli organi giurisdizionali sollevino una questione pregiudiziale innanzi alla Corte di giustizia mediante il rinvio di cui all’art. 234 CE, sia che le autorità nazionali ricorrano all’operare del network, dovrebbe comunque essere assicurata l’uniforme applicazione in caso di decisioni difformi da quelle della Commissione in casi concreti.
Sia il Capitolo V (Poteri di indagine) che il Capitolo VI (Sanzioni) ricalcano in misura sostanziale quanto già previsto dal Regolamento 17/62, e comunque un’analisi ap-profondita esulerebbe dal contesto di questo elaborato; appare comunque degno di nota il fatto che l’articolo 22 elevi il tetto massimo delle ammende “per inosservanza delle norme procedurali” fino all’1% del fatturato annuo totale (sinora andavano da 100 a 5000 Euro), lasciando intatta la soglia del 10% per le ammende comminate per “infrazioni sostanziali” degli articoli 81 e 82 CE ed introducendo un’innovativa disposizione in materia di infrazioni commesse da associazioni di imprese: qualora siano loro comminate ammende ed esse non siano solvibili, la Commissione potrà pretenderne il pagamento da ciascuna delle imprese aderenti all’associazione al momento della commissione dell’infrazione, purché l’ammontare pro quota non ecceda il 10% del fatturato totale realizzato nel corso dell’esercizio sociale precedente.
Il Capitolo VII è dedicato alle prescrizioni, e mentre l’articolo 25 ne disciplina il regime in materia di imposizione di sanzioni, l’articolo 26 tratta delle prescrizioni in materia di esecuzione delle sanzioni stesse.
Il Capitolo VIII (Audizioni e segreto d’ufficio) è dedicato ai diritti delle parti, dei ricorrenti e dei terzi, soggetti tutti in vario modo coinvolti nel corso di un procedimento in materia di concorrenza, e la cui normativa non si discosta di molto da quella del Regolamento 17/62; all’articolo 27 vengono disciplinate le modalità di effettuazione delle audizioni delle imprese e associazioni di imprese oggetto del procedimento, la garanzia del diritto alla difesa per le parti interessate, il diritto di accesso ai fascicoli, il diritto di essere sentiti dalla Commissione qualora se ne abbia interesse, il diritto di presentare osservazioni in merito al documento (contenente l’esposizione sommaria dei fatti) che la Commissione pubblica nel caso voglia adottare decisioni in tema di impegni o di chiusura del procedimento; l’articolo 28 re-gola invece il rispetto del segreto d’ufficio per la Com-missione e per le autorità nazionali (salvo le disposizioni sullo scambio di informazioni).
Il Capitolo IX (Regolamenti d’esenzione) consta dell’unico articolo 29, in cui si prevede che la Commissione possa revocare il beneficio concesso in via generale da regolamenti di esenzione per categoria in determinati casi in cui un’intesa dimostri di avere effetti incompatibili con l’art. 81(3) CE (facoltà concessa anche alle autorità nazionali, qualora gli effetti incompatibili si producano sul territorio di uno Stato membro, o su parte di esso, che abbia “tutte le caratteristiche di un mercato geografico distinto”).
Il Capitolo X (Disposizioni generali) raggruppa varie disposizioni riguardanti: la pubblicazione delle decisioni adottate in applicazione degli articoli 7, 8, 9, 10, 23 e 24 (articolo 30); la competenza della Corte di giustizia a decidere sui ricorsi avverso le decisioni con cui la Commissione irroga ammende o penalità di mora (articolo 31); l’esclusione dal campo di applicazione del presente Regolamento della materia dei trasporti marittimi internazionali non di linea, dei trasporti marittimi che si svolgono esclusivamente all’interno di uno Stato membro e dei trasporti aerei fra aeroporti della Comunità e Paesi terzi (articolo 32); le disposizioni di esecuzione, mediante la quale la Commissione è autorizzata ad adottare quelle misure che ritenga idonee ai fini dell’applicazione del Regolamento 1/2003 (in particolare quelle riguardanti la forma, il contenuto e le altre modalità delle denunce, oppure le modalità dello scambio di informazioni e di consultazione, oppure ancora le modalità delle audizioni), previa consultazione di tutte le parti interessate (articolo 33).
Infine, il Capitolo XI (Disposizioni transitorie di modifica e finali) da un lato prevede disposizioni transitorie per il passaggio dal vecchio al nuovo regime (articolo 34), dall’altro invita gli Stati membri a designare le autorità nazionali competenti per l’applicazione degli articoli 81 e 82 del Trattato (articolo 35), dall’altro ancora dispone le modifiche necessarie ad alcuni regolamenti precedentemente adottati, in modo da armonizzarli con il presente, ed infine (articolo 45) dispone l’applicazione del Regolamento 1/2003 a decorrere dal 1° maggio 2004.