LA CORTE CONDANNA L’ITALIA SUGLI EX LETTORI DI LINGUA STRANIERA MA SOLO “A METÀ”
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di Ivan INGRAVALLO (Ricercatore di Diritto Internazionale nell’Università degli Studi di Bari)
La
sentenza emanata il 18 luglio 2006 dalla Corte di giustizia (Grande
sezione) nel caso C-119/04 chiude dopo circa sette anni il contenzioso
che ha visto la Commissione contestare in più occasioni all’Italia il
mancato adempimento agli obblighi di diritto comunitario nei confronti
degli ex lettori di lingua straniera presso le università italiane. La
Corte condanna l’Italia, ai sensi dell’art. 228 TCE, per non aver
ottemperato alla precedente sentenza del 26 giugno 2001 (caso C-212/99),
che accertava l’infrazione italiana ex art. 226 TCE per violazione del
divieto di discriminazione tra cittadini europei posto dall’art. 39 TCE.
La sentenza del 26 luglio 2006, peraltro, non dispone, come richiesto
dalla Commissione ai sensi dell’art. 228, par. 2 TCE, la “sanzione
accessoria” consistente nell’inflizione di una sanzione pecuniaria a
carico dell’Italia.Come accennato, l’inadempimento italiano risale nel
tempo, in quanto sin dal 4 giugno 1999 la Commissione contestò allo
Stato italiano la violazione dell’art. 39 TCE con riferimento ai diritti
quesiti degli ex lettori di lingua straniera divenuti, a seguito della
legge n. 236 del 21 giugno 1995, “collaboratori ed esperti linguistici
di lingua madre”. La violazione accertata dalla Corte con la ricordata
sentenza del 26 giugno 2001 non derivava da tale legge, il cui art. 4,
terzo comma assicura la conservazione dei diritti quesiti da parte degli
ex lettori di lingua straniera, ma dagli atti di esecuzione della
medesima, in particolare dai contratti collettivi d’Ateneo delle singole
università e dai contratti di lavoro stipulati tra queste e i
collaboratori linguistici; l’inadempimento era, infatti, sussistente in
ragione della prassi amministrativa e contrattuale posta in essere da
sei università pubbliche (quelle della Basilicata, di Milano, di
Palermo, di Pisa, di Roma “La Sapienza”, oltre all’Istituto
Universitario Orientale di Napoli). La posizione degli ex lettori di
lingua straniera risultava meno favorevole di quella generalmente
garantita ai cittadini italiani dalla legge n. 230 del 18 aprile 1962
sulla disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato e ciò,
secondo la Corte, realizzava una forma dissimulata di discriminazione.
La Commissione, con lettera del 31 gennaio 2002, ritenendo che l’Italia
non avesse dato esecuzione alla sentenza del 2001, avviò una nuova
procedura, ai sensi dell’art. 228, par. 1 TCE, volta ad indurre l’Italia
a por termine all’inadempimento (in base a tale disposizione infatti lo
«Stato è tenuto a prendere i provvedimenti che l’esecuzione della
sentenza della Corte di giustizia comporta»), e il 4 marzo 2004, non
avendo ottenuto tale risultato nella fase precontenziosa, la Commissione
ha presentato ricorso alla Corte, chiedendole in primo luogo di
accertare la mancata adozione di tutti i provvedimenti necessari ad
eseguire la sentenza del 2001.La Commissione, infatti, non ha ritenuto
adeguati i provvedimenti adottati dal Governo italiano, tra cui le
lettere inviate alle sei università inadempienti al fine di indurle a
conformarsi alla sentenza del 2001 e il decreto legge n. 2 del 14
gennaio 2004 recante disposizioni urgenti relative al trattamento
economico dei collaboratori linguistici presso talune università ed in
materia di titoli equipollenti (convertito nella legge n. 63 del 5 marzo
2004). Questo, adottato proprio al fine di dare attuazione alla
suddetta sentenza, obbliga le università a riconoscere i diritti quesiti
agli ex lettori di lingua straniera e a prendere quale parametro di
riferimento il trattamento economico dei ricercatori confermati a tempo
definito, non essendo possibile equipararli ai ricercatori confermati a
tempo pieno (giusta anche la giurisprudenza della nostra Corte
costituzionale, cfr. le or-dinanze n. 94 e n. 262 del 2002 e n.
160/2003), in quanto questi ultimi svolgono soprattutto attività di
ricerca, mentre i collaboratori linguistici hanno principalmente compiti
didattici. Diverso è, sul punto, l’orientamento della Commissione,
accolto anche dall’Avvocato generale Poiares Maduro, il quale afferma
che il Governo italiano non ha spiegato sufficientemente perché la
differenza tra i collaboratori linguistici e i ricercatori confermati a
tempo pieno determini un’ampia disparità di trattamento con riferimento
alla retribuzione arretrata e ai diritti pensionistici acquisiti.In
secondo luogo, nel ricorso del 4 marzo 2004 la Commissione ha chiesto
alla Corte di condannare l’Italia al pagamento di una penalità di
309.750 euro per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione della sentenza
del 26 giugno 2001, in conformità a quanto prevede il par. 2 dell’art.
228 TCE che, inserito nel TCE dal Trattato di Maastricht nel 1992 al
fine di rafforzare il regime della doppia condanna per infrazione di
obblighi comunitari da parte di Stati membri, ha ricevuto sino ad oggi
un’applicazione assai sporadica. La condanna al pagamento di una
penalità per il protratto inadempimento è stata infatti comminata dalla
Corte in quattro sole occasioni (cfr. le sentenze del 4 luglio 2000,
C-387/97, Commissione c. Grecia, del 25 novembre 2003, C-278/01,
Commissione c. Spagna, e quelle del 12 luglio 2005, C-304/02, e del 14
marzo 2006, C-177/04, entrambe Commissione c. Francia).Oltre alla
Commissione, anche l’Avvocato generale ha sostenuto l’opportunità di
infliggere all’Italia una penalità ex art. 228, par. 2 TCE, ma
proponendo un ammontare differente. Questo è elaborato sulla base della
comunicazione della Commissione del 28 febbraio 1997 sul metodo di
calcolo della penalità (cfr. GUCE, C 63, p. 2), che si articola attorno a
tre criteri fondamentali: la gravità dell’infrazione, con un
coefficiente che va da 1 a 20 e si calcola moltiplicando 500 euro per il
coefficiente prescelto (nel caso in esame la Commissione ha proposto
14, Poiares Maduro 12); la durata dell’infrazione, su scala da 1 a 3
(nel caso in esame entrambi la valutano nell’ordine del 2,5); la
capacità finanziaria dello Stato membro inadempiente, che la citata
comunicazione del 1997 fissa per l’Italia a 17,7, tenendo conto del
prodotto interno lordo e del voto ponderato in seno al Consiglio. La
Commissione ha quindi proposto una penalità, per ogni giorno di ritardo
nell’attuazione dei provvedimenti necessari per conformarsi alla
sentenza del 26 giugno 2001, pari a 309.750 euro, mentre per l’Avvocato
generale la stessa avrebbe dovuto ammontare a 265.500 Euro.Nella
sentenza del 18 luglio 2006 la Corte, ai sensi dell’art. 228, par. 1
TCE, ha condannato il Governo italiano per il mancato ottemperamento,
alla data di scadenza (due mesi) del parere motivato della Commissione
del 30 aprile 2003, a quanto accertato con la sentenza del 26 giugno
2001. Al contempo la Corte non ha inflitto all’Italia la penalità
richiesta dalla Commissione ex art. 228, par. 2 TCE, in quanto non ha
ritenuto sussistere elementi sufficienti a concludere che permanga
l’inadempimento dello Stato italiano. La Corte, richiamando la propria
giurisprudenza (in particolare le ricordate sentenze Commissione c.
Francia del 12 luglio 2005 e del 14 marzo 2006), ha utilizzato come
criterio dirimente, al fine di infliggere la penalità, la persistenza
dell’inadempimento alla data in cui essa ha esaminato i fatti. A tal
fine, è stata valutata positivamente l’adozione del decreto legge n.
2/04, che ha provveduto in primo luogo ad equiparare i collaboratori
linguistici ai ricercatori confermati a tempo parziale, scelta che la
Corte, a differenza della Commissione e dell’Avvocato generale, ha
ritenuto essere non sindacabile, in quanto rientrante nella competenza
delle autorità nazionali, e in secondo luogo a individuare in 500 ore di
insegnamento l’impegno pieno per gli ex lettori di lingua straniera,
attraverso quello che la Corte considera un criterio oggettivo (cfr. i
paragrafi 35-38 della sentenza). Inoltre, la Corte ha considerato con
favore il comportamento delle sei università interessate, che hanno
prodotto dichiarazioni attestanti l’avvenuto riconoscimento completo dei
diritti quesiti agli ex lettori di lingua straniera, e quello del
Governo italiano, che ha presentato dei prospetti dettagliati relativi
all’attuazione di tale riconoscimento in quelle università (cfr. i
paragrafi 42-46 della sentenza).L’impostazione accolta dalla Corte di
giustizia nella pronuncia del 18 luglio 2006 risulta ispirata da criteri
di equilibrio e di giustizia sostanziale, oltre che rispettosa delle
competenze nazionali, laddove invece appariva eccessiva l’intromissione
realizzata dalla Commissione e accolta nelle conclusioni dell’Avvocato
generale. Resta l’interrogativo legato a quanto abbia pesato la
minacciata inflizione di una penalità ai sensi dell’art. 228, par. 2 TCE
al fine di indurre il Governo italiano a conformarsi, seppur
tardivamente, alla sentenza di accertamento del 26 giugno 2001.