ALLE REGIONI IL POTERE DI ATTUARE LE DIRETTIVE COMUNITARIE
Archivio > Anno 2002 > Giugno 2002
di Annamaria BONOMO
Passerà
alle Regioni, nelle materie di loro competenza, il potere di dare
attuazione alle direttive comunitarie. Il Consiglio dei Ministri ha
infatti approvato uno schema di Disegno di legge (Ddl del 3.5.2002) per
modificare la legge 9 marzo 1986, n. 89, la c.d. “legge La Pergola”, che
disciplina i procedimenti di partecipazione e di adeguamento al
processo normativo comunitario e che per anni ha rappresentato lo
strumento principale per il recepimento delle direttive comunitarie
nell’ordinamento italiano.
Si tratta di una modifica che si rende necessaria e non rinviabile per porre rimedio a due ordini di problemi. Da un lato l’esigenza di adeguare la legge La Pergola al mutato quadro costituzionale che, con la riforma del Titolo V della Costituzione attuata con legge costituzionale n. 3/2001, ha attribuito un nuovo e più incisivo ruolo alle Regioni e alle Province autonome nell’esecuzione del diritto comunitario; dall’altro la necessità di semplificare ed accelerare la fase di recepimento della normativa comunitaria, troppo spesso inadeguata quanto a qualità e tempestività di attuazione.
Per quanto concerne il profilo relativo al miglioramento dei meccanismi di attuazione, le modifiche presentate nel Disegno di legge provvedono da un lato a potenziare l’incisività e l’efficacia della partecipazione dello Stato italiano, coadiuvato dalle Regioni e dalle autonomie locali, nella fase ascendente, vale a dire nella fase di formazione degli atti comunitari, e dall’altro a semplificare e accelerare la fase discendente, cioè quella che attiene al recepimento, per dare attuazione con puntualità ai numerosi atti comunitari, aumentati anche in seguito all’ampliamento delle materie attratte nell’area di competenza dell’Unione europea.
Per far fronte a tali esigenze, il provvedimento in discorso introduce, accanto allo strumento principale della legge comunitaria annuale, nuovi e più flessibili sistemi di adeguamento agli obblighi comunitari, per ottemperare a quei doveri di esecuzione i cui tempi si rivelano spesso incompatibili con l’attesa della presentazione della successiva legge annuale comunitaria. Per evitare condanne per inadempimento da parte della Corte di giustizia, è stato quindi ad esempio confermato l’utilizzo dello strumento regolamentare per l’attuazione delle direttive comunitarie; è stato inoltre disciplinato un sistema di adeguamento agli atti normativi e ai principi stabiliti dalle sentenze degli organi giurisdizionali della UE con l’attivazione di corsie parlamentari preferenziali quando l’obbligo di uniformazione debba essere ottemperato prima della entrata in vigore della legge comunitaria annuale; infine è stato previsto un meccanismo di intervento statale sostitutivo e preventivo per scongiurare il rischio di inadempimento degli obblighi comunitari da parte degli enti territoriali.
Per quanto riguarda il nuovo ruolo delle Regioni, lo scema di Disegno di legge riconosce ad esse la partecipazione sia nella fase ascendente che in quella discendente. Va ricordato infatti che il nuovo testo dell’art. 117, comma quinto, della Costituzione stabilisce che nelle materie di loro competenza, le Regioni e le Province autonome partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari. A tale fine, il provvedimento in discorso disegna varie ed efficaci modalità di partecipazione regionale: viene previsto ad esempio un tempestivo aggiornamento delle informazioni relative ai progetti degli atti normativi e di indirizzo comunitari, la possibilità per le Regioni di individuare propri rappresentanti abilitati a partecipare stabilmente alle riunioni interne volte a definire la posizione italiana da sostenere in sede comunitaria ed infine un ruolo ancora più significativo per la Conferenza Stato-Regioni e Stato-Città di cui viene istituita una sessione comunitaria.
Per quanto concerne la fase discendente, è cioè della partecipazione delle Regioni all’attuazione ed all’esecuzione degli atti dell’Unione europea, va ricordato che il nuovo testo costituzionale riforma in profondità il criterio di riparto di competenze legislative fra Stato e Regioni, collocandoli su un piano di sostanziale parità, attraverso l’enunciazione di limiti posti in via generale ad entrambi i livelli, tra i quali il rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario (art. 117 Cost., comma uno). In base all’art. 12 del Ddl in parola, che modifica l’art. 9 della legge La Pergola, le Regioni hanno l’obbligo, non più la semplice facoltà, di dare immediata e autonoma attuazione alle direttive comunitarie nelle materie di competenza concorrente o esclusiva regionale. L’art. 117, infatti mentre attribuisce alla legislazione esclusiva statale i rapporti dello Stato con l’Unione europea, prevede che nelle materie di legislazione concorrente e residuale (comma tre e quattro dell’art. 117 Cost.) le Regioni partecipino alla formazione, nonché all’attuazione delle norme comunitarie. Tuttavia, in quest’ultimo caso viene prevista la possibilità di intervento sostitutivo dello Stato in caso di inadempienza degli enti territoriali. La ratio della previsione di un potere siffatto risiede nella circostanza che lo Stato rimane l’unico soggetto responsabile nei confronti dell’Unione (notoriamente indifferente alla ripartizione interna delle competenze) dell’adempimento degli obblighi comunitari. Viene così previsto dal provvedimento in discorso che lo Stato possa emanare un atto statale di recepimento, che rimarrà in vita fintanto che le Regioni non avranno provveduto ad attuare l’atto comunitario. A tal riguardo, la relazione di accompagnamento al Ddl parla di “intervento statale suppletivo anticipato, ma cedevole”, in quanto le norme statali sostitutive entreranno in vigore solo alla scadenza del termine assegnato per l’attuazione da parte delle Regioni.
Sembra quasi che il governo, e prima ancora il legislatore costituzionale, abbiano voluto sì riconoscere alle Regioni il nuovo ruolo che gli spetta in conformità con le nuove competenze ad esse conferite, ma, al contempo, abbiano voluto costruire una rete di sicurezza onde evitare che il decentramento agli organi regionali possa risolversi in un peggioramento o in un ritardo degli adempimenti comunitari che esponga l’Italia a procedure di infrazione alle quali in passato l’Italia è stata già troppo spesso sottoposta.
Si tratta di una modifica che si rende necessaria e non rinviabile per porre rimedio a due ordini di problemi. Da un lato l’esigenza di adeguare la legge La Pergola al mutato quadro costituzionale che, con la riforma del Titolo V della Costituzione attuata con legge costituzionale n. 3/2001, ha attribuito un nuovo e più incisivo ruolo alle Regioni e alle Province autonome nell’esecuzione del diritto comunitario; dall’altro la necessità di semplificare ed accelerare la fase di recepimento della normativa comunitaria, troppo spesso inadeguata quanto a qualità e tempestività di attuazione.
Per quanto concerne il profilo relativo al miglioramento dei meccanismi di attuazione, le modifiche presentate nel Disegno di legge provvedono da un lato a potenziare l’incisività e l’efficacia della partecipazione dello Stato italiano, coadiuvato dalle Regioni e dalle autonomie locali, nella fase ascendente, vale a dire nella fase di formazione degli atti comunitari, e dall’altro a semplificare e accelerare la fase discendente, cioè quella che attiene al recepimento, per dare attuazione con puntualità ai numerosi atti comunitari, aumentati anche in seguito all’ampliamento delle materie attratte nell’area di competenza dell’Unione europea.
Per far fronte a tali esigenze, il provvedimento in discorso introduce, accanto allo strumento principale della legge comunitaria annuale, nuovi e più flessibili sistemi di adeguamento agli obblighi comunitari, per ottemperare a quei doveri di esecuzione i cui tempi si rivelano spesso incompatibili con l’attesa della presentazione della successiva legge annuale comunitaria. Per evitare condanne per inadempimento da parte della Corte di giustizia, è stato quindi ad esempio confermato l’utilizzo dello strumento regolamentare per l’attuazione delle direttive comunitarie; è stato inoltre disciplinato un sistema di adeguamento agli atti normativi e ai principi stabiliti dalle sentenze degli organi giurisdizionali della UE con l’attivazione di corsie parlamentari preferenziali quando l’obbligo di uniformazione debba essere ottemperato prima della entrata in vigore della legge comunitaria annuale; infine è stato previsto un meccanismo di intervento statale sostitutivo e preventivo per scongiurare il rischio di inadempimento degli obblighi comunitari da parte degli enti territoriali.
Per quanto riguarda il nuovo ruolo delle Regioni, lo scema di Disegno di legge riconosce ad esse la partecipazione sia nella fase ascendente che in quella discendente. Va ricordato infatti che il nuovo testo dell’art. 117, comma quinto, della Costituzione stabilisce che nelle materie di loro competenza, le Regioni e le Province autonome partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari. A tale fine, il provvedimento in discorso disegna varie ed efficaci modalità di partecipazione regionale: viene previsto ad esempio un tempestivo aggiornamento delle informazioni relative ai progetti degli atti normativi e di indirizzo comunitari, la possibilità per le Regioni di individuare propri rappresentanti abilitati a partecipare stabilmente alle riunioni interne volte a definire la posizione italiana da sostenere in sede comunitaria ed infine un ruolo ancora più significativo per la Conferenza Stato-Regioni e Stato-Città di cui viene istituita una sessione comunitaria.
Per quanto concerne la fase discendente, è cioè della partecipazione delle Regioni all’attuazione ed all’esecuzione degli atti dell’Unione europea, va ricordato che il nuovo testo costituzionale riforma in profondità il criterio di riparto di competenze legislative fra Stato e Regioni, collocandoli su un piano di sostanziale parità, attraverso l’enunciazione di limiti posti in via generale ad entrambi i livelli, tra i quali il rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario (art. 117 Cost., comma uno). In base all’art. 12 del Ddl in parola, che modifica l’art. 9 della legge La Pergola, le Regioni hanno l’obbligo, non più la semplice facoltà, di dare immediata e autonoma attuazione alle direttive comunitarie nelle materie di competenza concorrente o esclusiva regionale. L’art. 117, infatti mentre attribuisce alla legislazione esclusiva statale i rapporti dello Stato con l’Unione europea, prevede che nelle materie di legislazione concorrente e residuale (comma tre e quattro dell’art. 117 Cost.) le Regioni partecipino alla formazione, nonché all’attuazione delle norme comunitarie. Tuttavia, in quest’ultimo caso viene prevista la possibilità di intervento sostitutivo dello Stato in caso di inadempienza degli enti territoriali. La ratio della previsione di un potere siffatto risiede nella circostanza che lo Stato rimane l’unico soggetto responsabile nei confronti dell’Unione (notoriamente indifferente alla ripartizione interna delle competenze) dell’adempimento degli obblighi comunitari. Viene così previsto dal provvedimento in discorso che lo Stato possa emanare un atto statale di recepimento, che rimarrà in vita fintanto che le Regioni non avranno provveduto ad attuare l’atto comunitario. A tal riguardo, la relazione di accompagnamento al Ddl parla di “intervento statale suppletivo anticipato, ma cedevole”, in quanto le norme statali sostitutive entreranno in vigore solo alla scadenza del termine assegnato per l’attuazione da parte delle Regioni.
Sembra quasi che il governo, e prima ancora il legislatore costituzionale, abbiano voluto sì riconoscere alle Regioni il nuovo ruolo che gli spetta in conformità con le nuove competenze ad esse conferite, ma, al contempo, abbiano voluto costruire una rete di sicurezza onde evitare che il decentramento agli organi regionali possa risolversi in un peggioramento o in un ritardo degli adempimenti comunitari che esponga l’Italia a procedure di infrazione alle quali in passato l’Italia è stata già troppo spesso sottoposta.