LA TUTELA DEL SOFTWARE IN EUROPA TRA NORMATIVA INTERNAZIONALE E COMUNITARIA
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di Giuseppe MORGESE
La
recente approvazione della direttiva 2009/24/CE del Parlamento europeo e
del Consiglio, del 23 aprile 2009, relativa alla tutela giuridica dei
programmi per elaboratore (in GUUE L 111 del 5 maggio 2009), che
codifica e sostituisce la direttiva 91/250/CEE del Consiglio del 14
maggio 1991 (in GUCE L 122 del 17 maggio 1991), offre l’occasione di
ripercorrere brevemente l’evoluzione della tutela del software in Europa
alla luce della rilevante normativa internazionale e comunitaria.
È infatti opportuno sottolineare come la direttiva in esame, nonostante apporti solo modifiche di carattere formale senza incidere sul contenuto sostanziale delle norme della direttiva del 1991, sia ciò nondimeno indice della (attuale) volontà delle istituzioni comunitarie di mantenere l’originaria impostazione con riferimento soprattutto alla forma di tutela adottata per questa particolare categoria di beni immateriali. La direttiva 2009/24/CE, come si dirà, conferma infatti la scelta per una tutela del software basata sul paradigma del diritto d’autore e non invece, come pure è stato proposto nel recente passato, secondo il sistema brevettuale.
Si intende comunemente per software un particolare insieme sequenziale di istruzioni fornite in un determinato linguaggio – alternativamente denominato “codice sorgente” (se comprensibile all’uomo) oppure “codice oggetto” (qualora destinato a essere inteso solo dalla macchina) – che permette di svolgere specifiche attività una volta caricate su di un elaboratore (hardware). Quello nel settore del software è stato uno dei primi interventi normativi di armonizzazione compiuti dalla Comunità europea in materia di diritti di proprietà intellettuale. La ragione per cui si è preferito intervenire in una materia connotata da alto tecnicismo, pur in mancanza di un più organico quadro giuridico in materia di copyright, risiedeva in una duplice necessità. Da un lato, quella di tutelare le imprese europee nei confronti delle loro controparti statunitensi e giapponesi, che all’epoca detenevano il mercato mondiale del software. Dall’altro, quella di proteggere gli investimenti necessari a sviluppare detti programmi a fronte dei fenomeni di “pirateria informatica”.
La scelta in favore di una tutela basata sullo schema del diritto d’autore si ricava dall’art. 1, par. 1 direttiva 2009/24/CE, secondo cui “gli Stati membri tutelano i programmi per elaboratore, mediante diritto d’autore, come opere letterarie ai sensi della convenzione di Berna sulla tutela delle opere letterarie e artistiche”. Quest’ultima Convenzione, firmata il 9 settembre 1886 e successivamente modificata, non include espressamente i programmi per elaboratore tra le opere tutelate. Tuttavia, si ritiene unanimemente che l’elenco riportato ai suoi articoli 2 e 2-bis sia meramente esemplificativo e quindi non impedisca la riconduzione alle “opere artistiche e letterarie” di altre categorie di opere, come appunto il software.
La tutela basata sul copyright è d’altro canto ritenuta idonea come minimo comune denominatore anche in altri strumenti internazionali più recenti, quali l’Accordo TRIPs del 1994 e il World Copyright Treaty (WCT) del 1996, che al riguardo utilizzano espressioni simili a quelle della direttiva 2009/24/CE. L’Accordo TRIPs, che rappresenta l’allegato 1C dell’Accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), afferma infatti al suo art. 9, par. 2 che “[c]omputer programs, whether in source or object code, shall be protected as literary works under the Berne Convention”. Il WCT, a sua volta, prevede all’art. 4 che “[c]omputer programs are protected as literary works within the meaning of Article 2 of the Berne Convention. Such protection applies to computer programs, whatever may be the mode or form of their expression”.
L’estensione al software dello schema del diritto d’autore comporta alcune conseguenze. Innanzitutto, ad essere tutelata non è l’idea alla base del programma ma la sua particolare espressione (art. 1, par. 2 direttiva 2009/24/CE). Ciò implica che, sulla base della medesima idea, possono essere sviluppati tanti softwares quante sono le sue diverse possibili espressioni. In secondo luogo, condizione essenziale affinché un programma per elaboratore possa essere tutelato è la sua “originalità” (art. 1, par. 3 direttiva 2009/24/CE), intesa come risultato della creazione intellettuale del suo autore, senza che i meriti intrinseci o estrinseci del programma vengano presi in considerazione. In terzo luogo, la titolarità dei diritti esclusivi sul programma spetta all’autore o agli autori (oppure ai loro aventi causa, come nel caso della titolarità in capo al datore di lavoro in caso di creazione da parte dei suoi dipendenti: art. 3 direttiva 2009/ 24/CE).
Tali diritti esclusivi consistono nelle facoltà di effettuare o autorizzare la riproduzione totale e parziale del programma, la traduzione, l’adattamento, l’adeguamento e ogni altra modifica dello stesso, e infine qualsiasi forma di distribuzione al pubblico (art. 4, par. 1 direttiva 2009/24/CE). Tutto ciò, tuttavia, fermo restando il c.d. “principio dell’esaurimento” secondo cui i diritti del titolare sul bene fisico incorporante il software terminano con la prima vendita dello stesso e non si estendono ai successivi atti di disposizione (eccetto per quanto riguarda le ulteriori forme di locazione e soprattutto di copia: art. 4, par. 2 direttiva 2009/24/CE).
La direttiva in esame prevede poi alcune deroghe al diritto esclusivo del titolare del software. Innanzitutto, al legittimo acquirente è consentito compiere tutti gli atti necessari per una utilizzazione del programma conforme alla sua destinazione, nonché per la correzione di errori. Lo stesso soggetto è poi autorizzato di diritto non solo a estrarre una “copia privata” del software acquistato, ma anche a “osservare, studiare o sperimentare il funzionamento del programma, allo scopo di determinare le idee e i principi su cui è basato ogni elemento del programma” (art. 5 direttiva 2009/24/CE). Inoltre, basandosi sul principio del “fair use”, l’art. 6 direttiva 2009/24/CE risolve in senso positivo il problema della c.d. “decompilazione” (o reverse engineering) del programma. Alle condizioni elencate nella norma, infatti, non è richiesta l’autorizzazione del titolare per tutte le attività dirette a modificare la forma del codice sorgente od oggetto, qualora tali attività siano indispensabili “per ottenere le informazioni necessarie per conseguire l’interoperabilità con altri programmi” e in questa maniera consentire l’interazione tra diversi softwares.
Infine, da un lato gli Stati membri della Comunità hanno l’obbligo di sanzionare gli atti di detenzione e distribuzione sia delle copie illecite del software sia degli strumenti necessari per eliminare gli eventuali dispositivi di protezione in esso previsti, prevedendo altresì la possibilità del sequestro di tali beni (art. 7 direttiva 2009/24/CE). Dall’altro, il successivo art. 8 fa salva l’applicazione “di altre eventuali disposizioni giuridiche come quelle in materia di diritti brevettuali, marchi commerciali, concorrenza sleale, segreto industriale, tutela dei prodotti che incorporano semiconduttori, nonché in materia di diritto contrattuale”.
A tal proposito c’è da ricordare che, in tempi recenti, le istituzioni comunitarie hanno tentato di estendere anche al software le norme in materia di invenzioni brevettabili. Una tale soluzione prendeva spunto dalla – e tentava di generalizzare per i Paesi comunitari la – prassi dell’Ufficio europeo dei brevetti (UEB), organo istituito dalla Convenzione di Monaco sul brevetto europeo (CBE) del 1973. L’art. 52, par. 1 di quest’ultima ribadisce i tradizionali requisiti affinché un’invenzione sia brevettabile (novità, attività inventiva e applicazione industriale). Il successivo art. 52, par. 2 esclude invece che possano essere considerate invenzioni, tra le altre, “schemes, rules and methods for performing mental acts, playing games or doing business, and programs for computers”. Questa limitazione alla brevettabilità viene tuttavia circoscritta dall’art. 52, par. 3 CBE solo al software considerato “in quanto tale”, e cioè privo di “carattere tecnico”.
Ciò ha portato nel corso del tempo l’UEB a concedere numerosi brevetti per invenzioni attuate mediante elaboratori elettronici, sulla scorta della circostanza per cui i relativi programmi non si limitavano a creare semplici modificazioni nell’hardware sulla base delle istruzioni impartite – caratteristica propria dei programmi per computer “in quanto tali” – ma avevano effetti ulteriori che presentavano carattere tecnico o risolvevano un problema tecnico. Tuttavia, non essendo la prassi dell’UEB vincolante per i giudici interni, si avevano (e si hanno tuttora) divergenze nell’interpretazione della CBE all’interno dei diversi Stati parte di essa, soprattutto in Germania e Regno Unito, con inevitabili riflessi sulla mancata uniforme tutela riconosciuta a tali brevetti.
La differenza elaborata dall’UEB tra programmi per computer “in quanto tali”, tutelati in base al diritto d’autore, e programmi aventi carattere tecnico, idonei a essere brevettabili, è stata tenuta presente dalla Commissione europea nell’elaborazione della nota proposta di direttiva del 2002 relativa alla brevettabilità delle invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici (COM(2002) 92 def., 20 febbraio 2002). Quest’ultima si proponeva di armonizzare il quadro giuridico nei diversi Paesi membri della Comunità in modo da sopperire in via normativa alle citate difformità interpretative della CBE. La proposta di direttiva, infatti, per un verso riteneva brevettabili i softwares dotati dei caratteri della novità, dell’attività inventiva e dell’applicazione industriale. Per altro verso, faceva propria la giurisprudenza dell’UEB (pur senza avere alcun obbligo a riguardo, essendo il sistema comunitario altra cosa rispetto a quello istituito dalla CBE) affermando che il requisito dell’attività inventiva fosse integrato solo qualora l’invenzione attuata mediante elabori elettronici presentasse “carattere tecnico”. Per altro verso ancora, considerava cumulabili la tutela per mezzo del diritto d’autore e quella in base al brevetto, in modo da mantenere inalterata la protezione fornita dalla (vecchia) direttiva 91/250/CEE per tutti quei programmi privi di carattere tecnico.
Questa proposta, tuttavia, ha suscitato notevoli critiche da parte dell’opinione pubblica e delle piccole e medie imprese europee del software. Si temeva soprattutto che la concessione di brevetti sui programmi per elaboratore bloccasse di fatto lo sviluppo non solo dei programmi proprietari successivi ma anche del c.d. open source. Dette critiche sono state talmente “efficaci” da convincere nel 2005 il Parlamento europeo a respingere la proposta del 2002 a larghissima maggioranza – primo caso di bocciatura integrale, in seconda lettura, di una proposta di atto comunitario – come reazione alla volontà di Consiglio e Commissione di non tener conto degli emendamenti da esso proposti. A seguito di questo rifiuto, la Commissione ha deciso di non ripresentare (almeno per gli anni a venire) una proposta diretta a rendere brevettabile il software.
È infatti opportuno sottolineare come la direttiva in esame, nonostante apporti solo modifiche di carattere formale senza incidere sul contenuto sostanziale delle norme della direttiva del 1991, sia ciò nondimeno indice della (attuale) volontà delle istituzioni comunitarie di mantenere l’originaria impostazione con riferimento soprattutto alla forma di tutela adottata per questa particolare categoria di beni immateriali. La direttiva 2009/24/CE, come si dirà, conferma infatti la scelta per una tutela del software basata sul paradigma del diritto d’autore e non invece, come pure è stato proposto nel recente passato, secondo il sistema brevettuale.
Si intende comunemente per software un particolare insieme sequenziale di istruzioni fornite in un determinato linguaggio – alternativamente denominato “codice sorgente” (se comprensibile all’uomo) oppure “codice oggetto” (qualora destinato a essere inteso solo dalla macchina) – che permette di svolgere specifiche attività una volta caricate su di un elaboratore (hardware). Quello nel settore del software è stato uno dei primi interventi normativi di armonizzazione compiuti dalla Comunità europea in materia di diritti di proprietà intellettuale. La ragione per cui si è preferito intervenire in una materia connotata da alto tecnicismo, pur in mancanza di un più organico quadro giuridico in materia di copyright, risiedeva in una duplice necessità. Da un lato, quella di tutelare le imprese europee nei confronti delle loro controparti statunitensi e giapponesi, che all’epoca detenevano il mercato mondiale del software. Dall’altro, quella di proteggere gli investimenti necessari a sviluppare detti programmi a fronte dei fenomeni di “pirateria informatica”.
La scelta in favore di una tutela basata sullo schema del diritto d’autore si ricava dall’art. 1, par. 1 direttiva 2009/24/CE, secondo cui “gli Stati membri tutelano i programmi per elaboratore, mediante diritto d’autore, come opere letterarie ai sensi della convenzione di Berna sulla tutela delle opere letterarie e artistiche”. Quest’ultima Convenzione, firmata il 9 settembre 1886 e successivamente modificata, non include espressamente i programmi per elaboratore tra le opere tutelate. Tuttavia, si ritiene unanimemente che l’elenco riportato ai suoi articoli 2 e 2-bis sia meramente esemplificativo e quindi non impedisca la riconduzione alle “opere artistiche e letterarie” di altre categorie di opere, come appunto il software.
La tutela basata sul copyright è d’altro canto ritenuta idonea come minimo comune denominatore anche in altri strumenti internazionali più recenti, quali l’Accordo TRIPs del 1994 e il World Copyright Treaty (WCT) del 1996, che al riguardo utilizzano espressioni simili a quelle della direttiva 2009/24/CE. L’Accordo TRIPs, che rappresenta l’allegato 1C dell’Accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), afferma infatti al suo art. 9, par. 2 che “[c]omputer programs, whether in source or object code, shall be protected as literary works under the Berne Convention”. Il WCT, a sua volta, prevede all’art. 4 che “[c]omputer programs are protected as literary works within the meaning of Article 2 of the Berne Convention. Such protection applies to computer programs, whatever may be the mode or form of their expression”.
L’estensione al software dello schema del diritto d’autore comporta alcune conseguenze. Innanzitutto, ad essere tutelata non è l’idea alla base del programma ma la sua particolare espressione (art. 1, par. 2 direttiva 2009/24/CE). Ciò implica che, sulla base della medesima idea, possono essere sviluppati tanti softwares quante sono le sue diverse possibili espressioni. In secondo luogo, condizione essenziale affinché un programma per elaboratore possa essere tutelato è la sua “originalità” (art. 1, par. 3 direttiva 2009/24/CE), intesa come risultato della creazione intellettuale del suo autore, senza che i meriti intrinseci o estrinseci del programma vengano presi in considerazione. In terzo luogo, la titolarità dei diritti esclusivi sul programma spetta all’autore o agli autori (oppure ai loro aventi causa, come nel caso della titolarità in capo al datore di lavoro in caso di creazione da parte dei suoi dipendenti: art. 3 direttiva 2009/ 24/CE).
Tali diritti esclusivi consistono nelle facoltà di effettuare o autorizzare la riproduzione totale e parziale del programma, la traduzione, l’adattamento, l’adeguamento e ogni altra modifica dello stesso, e infine qualsiasi forma di distribuzione al pubblico (art. 4, par. 1 direttiva 2009/24/CE). Tutto ciò, tuttavia, fermo restando il c.d. “principio dell’esaurimento” secondo cui i diritti del titolare sul bene fisico incorporante il software terminano con la prima vendita dello stesso e non si estendono ai successivi atti di disposizione (eccetto per quanto riguarda le ulteriori forme di locazione e soprattutto di copia: art. 4, par. 2 direttiva 2009/24/CE).
La direttiva in esame prevede poi alcune deroghe al diritto esclusivo del titolare del software. Innanzitutto, al legittimo acquirente è consentito compiere tutti gli atti necessari per una utilizzazione del programma conforme alla sua destinazione, nonché per la correzione di errori. Lo stesso soggetto è poi autorizzato di diritto non solo a estrarre una “copia privata” del software acquistato, ma anche a “osservare, studiare o sperimentare il funzionamento del programma, allo scopo di determinare le idee e i principi su cui è basato ogni elemento del programma” (art. 5 direttiva 2009/24/CE). Inoltre, basandosi sul principio del “fair use”, l’art. 6 direttiva 2009/24/CE risolve in senso positivo il problema della c.d. “decompilazione” (o reverse engineering) del programma. Alle condizioni elencate nella norma, infatti, non è richiesta l’autorizzazione del titolare per tutte le attività dirette a modificare la forma del codice sorgente od oggetto, qualora tali attività siano indispensabili “per ottenere le informazioni necessarie per conseguire l’interoperabilità con altri programmi” e in questa maniera consentire l’interazione tra diversi softwares.
Infine, da un lato gli Stati membri della Comunità hanno l’obbligo di sanzionare gli atti di detenzione e distribuzione sia delle copie illecite del software sia degli strumenti necessari per eliminare gli eventuali dispositivi di protezione in esso previsti, prevedendo altresì la possibilità del sequestro di tali beni (art. 7 direttiva 2009/24/CE). Dall’altro, il successivo art. 8 fa salva l’applicazione “di altre eventuali disposizioni giuridiche come quelle in materia di diritti brevettuali, marchi commerciali, concorrenza sleale, segreto industriale, tutela dei prodotti che incorporano semiconduttori, nonché in materia di diritto contrattuale”.
A tal proposito c’è da ricordare che, in tempi recenti, le istituzioni comunitarie hanno tentato di estendere anche al software le norme in materia di invenzioni brevettabili. Una tale soluzione prendeva spunto dalla – e tentava di generalizzare per i Paesi comunitari la – prassi dell’Ufficio europeo dei brevetti (UEB), organo istituito dalla Convenzione di Monaco sul brevetto europeo (CBE) del 1973. L’art. 52, par. 1 di quest’ultima ribadisce i tradizionali requisiti affinché un’invenzione sia brevettabile (novità, attività inventiva e applicazione industriale). Il successivo art. 52, par. 2 esclude invece che possano essere considerate invenzioni, tra le altre, “schemes, rules and methods for performing mental acts, playing games or doing business, and programs for computers”. Questa limitazione alla brevettabilità viene tuttavia circoscritta dall’art. 52, par. 3 CBE solo al software considerato “in quanto tale”, e cioè privo di “carattere tecnico”.
Ciò ha portato nel corso del tempo l’UEB a concedere numerosi brevetti per invenzioni attuate mediante elaboratori elettronici, sulla scorta della circostanza per cui i relativi programmi non si limitavano a creare semplici modificazioni nell’hardware sulla base delle istruzioni impartite – caratteristica propria dei programmi per computer “in quanto tali” – ma avevano effetti ulteriori che presentavano carattere tecnico o risolvevano un problema tecnico. Tuttavia, non essendo la prassi dell’UEB vincolante per i giudici interni, si avevano (e si hanno tuttora) divergenze nell’interpretazione della CBE all’interno dei diversi Stati parte di essa, soprattutto in Germania e Regno Unito, con inevitabili riflessi sulla mancata uniforme tutela riconosciuta a tali brevetti.
La differenza elaborata dall’UEB tra programmi per computer “in quanto tali”, tutelati in base al diritto d’autore, e programmi aventi carattere tecnico, idonei a essere brevettabili, è stata tenuta presente dalla Commissione europea nell’elaborazione della nota proposta di direttiva del 2002 relativa alla brevettabilità delle invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici (COM(2002) 92 def., 20 febbraio 2002). Quest’ultima si proponeva di armonizzare il quadro giuridico nei diversi Paesi membri della Comunità in modo da sopperire in via normativa alle citate difformità interpretative della CBE. La proposta di direttiva, infatti, per un verso riteneva brevettabili i softwares dotati dei caratteri della novità, dell’attività inventiva e dell’applicazione industriale. Per altro verso, faceva propria la giurisprudenza dell’UEB (pur senza avere alcun obbligo a riguardo, essendo il sistema comunitario altra cosa rispetto a quello istituito dalla CBE) affermando che il requisito dell’attività inventiva fosse integrato solo qualora l’invenzione attuata mediante elabori elettronici presentasse “carattere tecnico”. Per altro verso ancora, considerava cumulabili la tutela per mezzo del diritto d’autore e quella in base al brevetto, in modo da mantenere inalterata la protezione fornita dalla (vecchia) direttiva 91/250/CEE per tutti quei programmi privi di carattere tecnico.
Questa proposta, tuttavia, ha suscitato notevoli critiche da parte dell’opinione pubblica e delle piccole e medie imprese europee del software. Si temeva soprattutto che la concessione di brevetti sui programmi per elaboratore bloccasse di fatto lo sviluppo non solo dei programmi proprietari successivi ma anche del c.d. open source. Dette critiche sono state talmente “efficaci” da convincere nel 2005 il Parlamento europeo a respingere la proposta del 2002 a larghissima maggioranza – primo caso di bocciatura integrale, in seconda lettura, di una proposta di atto comunitario – come reazione alla volontà di Consiglio e Commissione di non tener conto degli emendamenti da esso proposti. A seguito di questo rifiuto, la Commissione ha deciso di non ripresentare (almeno per gli anni a venire) una proposta diretta a rendere brevettabile il software.