IL DIRITTO DI RECESSO DAI CONTRATTI DI MUTUO E LA TUTELA DEL CONSUMATORE NELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE
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In
due recentissime sentenze la Corte di giustizia si è pronunciata su
un’importante questione concernente l’applicabilità della direttiva
sulla tutela dei consumatori in caso di contratti negoziati fuori dai
locali commerciali (direttiva del Consiglio del 20 dicembre 1985,
85/577/CEE, pubblicata in GUCE L 372, p. 31), ai contratti di mutuo
finalizzati all’acquisto di immobili (cfr. sentenze della Corte di
giustizia del 25 ottobre 2005, causa C-350/03 Schulte c. Deutsche
Bausparkasse Badenia AG; e causa C-229/04 Crailsheimer Volksbank eG c.
Conrads e altri, non ancora pubblicate in Raccolta). I fatti che hanno
dato origine alle controversie principali sono simili: in entrambi i
casi si trattava di contratti di mutuo stipulati dai consumatori nel
proprio domicilio.
In particolare nel caso Schulte i ricorrenti erano stati contattati nel proprio domicilio da un agente di una società di servizi immobiliari e finanziari che proponeva loro un investimento finanziario volto all’acquisto di un immobile, facente parte di un complesso immobiliare, da finanziarsi con un mutuo ipotecario. Tale acquisto si inseriva nel contesto di in un’operazione finanziaria in cui era previsto che le unità immobiliari dovevano essere locate a terzi, era inoltre previsto un sistema di gestione comune dei proventi della locazione per cui si garantiva una ripartizione equa di tutti i proventi della locazione del complesso immobiliare.
L’acquisto dell’immobile doveva essere finanziato interamente attraverso il mutuo per ragioni fiscali, e l’investimento nell’appartamento non avrebbe dovuto richiedere ulteriori spese da parte dei coniugi Schulte poiché doveva essere rimborsato esclusivamente attraverso i proventi della locazione. L’importo del mutuo veniva versato dalla banca direttamente all’impresa finanziaria, tuttavia poiché i proventi previsti non si erano realizzati la banca chiese ai coniugi di fare fronte direttamente al pagamento delle rate del mutuo. Bisogna precisare che al mo-mento della conclusione del contratto di mutuo nel domicilio dei coniugi, essi non erano stati informati del diritto di recesso, da esercitarsi nel termine minimo di sette giorni, previsto dall’art. 5, n. 1 della direttiva 85/577/CEE. Per queste ragioni nella causa principale i coniugi Schulte contestavano il loro obbligo di dover pagare l’importo del mutuo ritenendo di avere il diritto di recedere da entrambi i contratti di mutuo e di compravendita dell’immobile in base alla direttiva su richiamata, trattandosi di contratti costitutivi di un’unica entità economica. Pertanto i signori Schulte ritenevano di dover solo restituire l’immobile senza dover pagare l’importo del mutuo. Anche il caso Craisheimer riguardava una fattispecie simile a quella appena descritta, per cui è stato risolto dalla Corte attraverso un richiamo alla sentenza Schulte.
Il giudice nazionale tedesco al fine di risolvere la questione principale ha proposto un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia sottoponendole diverse questioni volte a chiarire l’interpretazione della direttiva 85/577/CEE, e segnatamente se la stessa fosse applicabile ai contratti di compravendita di immobili connessi ai contratti di mutuo ipotecario e costituenti con essi un’unica entità economica; ed in caso contrario quali conseguenze avrebbe per il consumatore l’esercizio del diritto di recesso dal solo contratto di mutuo. In relazione a quest’ultimo aspetto il giudice a quo evidenziava che se al contratto di mutuo ipotecario fosse stata applicata la legislazione tedesca concernente gli effetti della rescissione dei contratti, il consumatore avrebbe sopportato conseguenze peggiori rispetto alla situazione in cui si sarebbe trovato rimanendo vincolato al contratto, perché avrebbe dovuto restituire immediatamente tutto l’importo del mutuo corrispondendo inoltre gli interessi legali. Secondo il giudice tedesco tali conseguenze non sembravano conciliabili con la tutela del consumatore che si intende perseguire con la direttiva comunitaria.
Nelle sentenze in esame la Corte di giustizia, in primo luogo, si è soffermata ad individuare il campo di applicazione della direttiva negando che la stessa potesse applicarsi ai contratti di compravendita immobiliare essendo gli stessi esplicitamente esclusi dal suo campo di applicazione ai termini dell’art. 3, n. 2, lett. a). La Corte ha inoltre reiterato il principio già espresso nella sentenza Heninger (Sentenza della Corte del 13 dicembre 2001, causa C-481/99, Heninger, pubblicata in Raccolta, pp. I-9945 ss.) chiarendo che tale direttiva è applicabile ai contratti di mutuo ipotecario destinati a finanziare l’acquisto di un bene immobile, poiché la circostanza che si tratti di un tipo di contratto che si ricollega ad un diritto su un immobile, non è di per sé sufficiente a far ritenere che tale contratto riguardi un diritto concernente beni immobili e di conseguenza non rientra nella sfera di applicazione dell’art. 3, n. 2, lett. a). Secondo la Corte i due contratti – quello di mutuo e quello di compravendita immobiliare – costituirebbero due operazioni giuridiche separate aventi, in linea di principio, obiettivi diversi, per cui ha affermato che la direttiva dovesse essere applicata al solo contratto di mutuo ipotecario.
In secondo luogo, in relazione alla questione delle conseguenze che il recesso del contratto di mutuo dovrebbe avere per il consumatore, la Corte in base alla propria giurisprudenza Heninger ha chiarito che, come previsto dalla direttiva, le conseguenze del diritto di recesso devono essere disciplinate dal diritto nazionale. Essa tuttavia per la prima volta si è soffermata ad analizzare la differente situazione cui va incontro il consumatore al quale non è stata fornita dal commerciante l’informazione relativa al suo diritto di recesso, rispetto alla situazione in cui tale informazione sia stata debitamente fornita.
Premesso che la tutela del consumatore accordata dalla direttiva viene garantita attraverso l’istituzione del diritto di recesso, in caso tale informazione sia effettuata al momento della conclusione del contratto presso il suo domicilio, il consumatore sarebbe messo nella condizione di “ritornare sui suoi passi”, per cui potrebbe esercitare il diritto di recesso dal contratto di mutuo ed evitare di concludere il contratto di compravendita senza, quindi, esporsi ai rischi dell’operazione finanziaria propostagli. In questi casi la normativa comunitaria non osta a che l’esercizio del diritto di recesso comporti il ripristino dello status quo ante e di conseguenza che il consumatore sia tenuto a versare immediatamente l’importo del mutuo e gli interessi al tasso di mercato.
Tuttavia la situazione è differente qualora il commerciante non abbia adempiuto all’obbligo di informazione previsto dalla direttiva. Gli Stati membri devono garantire che la legislazione nazionale preveda delle forme di tutela per i consumatori qualora questa informazione non sia garantita. In altri termini gli Stati membri, nel disciplinare le conseguenze del diritto di recesso, dovranno assicurare il rispetto del diritto comunitario ed “in particolare delle norme della direttiva, interpretate alla luce del suo obiettivo, in modo tale da garantire che essa produca i propri effetti utili” (cfr. sentenza Schulte, par. 69). Nel caso di specie la Corte ha quindi rilevato la particolare situazione in cui si troverebbe il consumatore in caso di mancata informazione da parte della banca circa il suo diritto di recesso. Qualora, trascorsi vari anni dalla conclusione del contratto, il consumatore, essendo informato di tale diritto di recesso, decidesse di esercitarlo, in base alla legislazione tedesca, si troverebbe esposto a rischi maggiori – obbligo di rimborso immediato della parte residua dell’importo del mutuo e dei corrispondenti interessi legali – rispetto alla situazione in cui si troverebbe non esercitando il suo diritto di recesso e rimanendo pertanto vincolato al contratto di mutuo. In considerazione del fatto che se la banca avesse informato il consumatore quest’ultimo non sarebbe stato esposto a tali rischi, la Corte ha concluso che “la direttiva fa obbligo agli Stati membri di adottare misure idonee per evitare al consumatore di sostenere le conseguenze del verificarsi di tali rischi. Gli Stati membri devono quindi garantire che, in situazioni di tal genere, la banca che non abbia rispettato l’obbligo di informazione sopporti le conseguenze del verificarsi dei detti rischi, al fine di rispettare l’obbligo di tutela dei consumatori”.
La posizione della Corte viene dunque ad ampliare la tutela dei consumatori imputando alle banche rischi che altrimenti avrebbero dovuto sopportare i consumatori. La tutela appare ampia anche in ragione dell’ulteriore precisazione effettuata dalla Corte nel caso Crailsheimer. In quest’ultimo caso, infatti, la banca obiettava che i contratti di mutuo erano stati negoziati da intermediari e che essa ignorava che tali contratti erano stati conclusi nel contesto di vendite a domicilio. La Corte ha chiarito che la nozione di “commerciante” prevista dalla direttiva riguarda anche la persona che agisce in nome o per conto di un commerciante e che l’obiettivo della direttiva è quello di tutelare il consumatore rispetto all’elemento sorpresa insito nelle vendite porta a porta. La tutela del consumatore, infatti, non è condizionata dal fatto che sia dimostrato che quest’ultimo sia stato manipolato o indotto dal commerciante a concludere il contratto. Secondo la Corte, dunque, la direttiva deve essere interpretata nel senso che “qualora un terzo intervenga in nome e per conto di un commerciante nella negoziazione o nella stipula di un contratto, l’applicazione della direttiva non può essere subordinata alla condizione che il commerciante fosse o avrebbe dovuto essere stato a conoscenza del fatto che il contratto era stato stipulato in una situazione di vendita a domicilio”.
In particolare nel caso Schulte i ricorrenti erano stati contattati nel proprio domicilio da un agente di una società di servizi immobiliari e finanziari che proponeva loro un investimento finanziario volto all’acquisto di un immobile, facente parte di un complesso immobiliare, da finanziarsi con un mutuo ipotecario. Tale acquisto si inseriva nel contesto di in un’operazione finanziaria in cui era previsto che le unità immobiliari dovevano essere locate a terzi, era inoltre previsto un sistema di gestione comune dei proventi della locazione per cui si garantiva una ripartizione equa di tutti i proventi della locazione del complesso immobiliare.
L’acquisto dell’immobile doveva essere finanziato interamente attraverso il mutuo per ragioni fiscali, e l’investimento nell’appartamento non avrebbe dovuto richiedere ulteriori spese da parte dei coniugi Schulte poiché doveva essere rimborsato esclusivamente attraverso i proventi della locazione. L’importo del mutuo veniva versato dalla banca direttamente all’impresa finanziaria, tuttavia poiché i proventi previsti non si erano realizzati la banca chiese ai coniugi di fare fronte direttamente al pagamento delle rate del mutuo. Bisogna precisare che al mo-mento della conclusione del contratto di mutuo nel domicilio dei coniugi, essi non erano stati informati del diritto di recesso, da esercitarsi nel termine minimo di sette giorni, previsto dall’art. 5, n. 1 della direttiva 85/577/CEE. Per queste ragioni nella causa principale i coniugi Schulte contestavano il loro obbligo di dover pagare l’importo del mutuo ritenendo di avere il diritto di recedere da entrambi i contratti di mutuo e di compravendita dell’immobile in base alla direttiva su richiamata, trattandosi di contratti costitutivi di un’unica entità economica. Pertanto i signori Schulte ritenevano di dover solo restituire l’immobile senza dover pagare l’importo del mutuo. Anche il caso Craisheimer riguardava una fattispecie simile a quella appena descritta, per cui è stato risolto dalla Corte attraverso un richiamo alla sentenza Schulte.
Il giudice nazionale tedesco al fine di risolvere la questione principale ha proposto un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia sottoponendole diverse questioni volte a chiarire l’interpretazione della direttiva 85/577/CEE, e segnatamente se la stessa fosse applicabile ai contratti di compravendita di immobili connessi ai contratti di mutuo ipotecario e costituenti con essi un’unica entità economica; ed in caso contrario quali conseguenze avrebbe per il consumatore l’esercizio del diritto di recesso dal solo contratto di mutuo. In relazione a quest’ultimo aspetto il giudice a quo evidenziava che se al contratto di mutuo ipotecario fosse stata applicata la legislazione tedesca concernente gli effetti della rescissione dei contratti, il consumatore avrebbe sopportato conseguenze peggiori rispetto alla situazione in cui si sarebbe trovato rimanendo vincolato al contratto, perché avrebbe dovuto restituire immediatamente tutto l’importo del mutuo corrispondendo inoltre gli interessi legali. Secondo il giudice tedesco tali conseguenze non sembravano conciliabili con la tutela del consumatore che si intende perseguire con la direttiva comunitaria.
Nelle sentenze in esame la Corte di giustizia, in primo luogo, si è soffermata ad individuare il campo di applicazione della direttiva negando che la stessa potesse applicarsi ai contratti di compravendita immobiliare essendo gli stessi esplicitamente esclusi dal suo campo di applicazione ai termini dell’art. 3, n. 2, lett. a). La Corte ha inoltre reiterato il principio già espresso nella sentenza Heninger (Sentenza della Corte del 13 dicembre 2001, causa C-481/99, Heninger, pubblicata in Raccolta, pp. I-9945 ss.) chiarendo che tale direttiva è applicabile ai contratti di mutuo ipotecario destinati a finanziare l’acquisto di un bene immobile, poiché la circostanza che si tratti di un tipo di contratto che si ricollega ad un diritto su un immobile, non è di per sé sufficiente a far ritenere che tale contratto riguardi un diritto concernente beni immobili e di conseguenza non rientra nella sfera di applicazione dell’art. 3, n. 2, lett. a). Secondo la Corte i due contratti – quello di mutuo e quello di compravendita immobiliare – costituirebbero due operazioni giuridiche separate aventi, in linea di principio, obiettivi diversi, per cui ha affermato che la direttiva dovesse essere applicata al solo contratto di mutuo ipotecario.
In secondo luogo, in relazione alla questione delle conseguenze che il recesso del contratto di mutuo dovrebbe avere per il consumatore, la Corte in base alla propria giurisprudenza Heninger ha chiarito che, come previsto dalla direttiva, le conseguenze del diritto di recesso devono essere disciplinate dal diritto nazionale. Essa tuttavia per la prima volta si è soffermata ad analizzare la differente situazione cui va incontro il consumatore al quale non è stata fornita dal commerciante l’informazione relativa al suo diritto di recesso, rispetto alla situazione in cui tale informazione sia stata debitamente fornita.
Premesso che la tutela del consumatore accordata dalla direttiva viene garantita attraverso l’istituzione del diritto di recesso, in caso tale informazione sia effettuata al momento della conclusione del contratto presso il suo domicilio, il consumatore sarebbe messo nella condizione di “ritornare sui suoi passi”, per cui potrebbe esercitare il diritto di recesso dal contratto di mutuo ed evitare di concludere il contratto di compravendita senza, quindi, esporsi ai rischi dell’operazione finanziaria propostagli. In questi casi la normativa comunitaria non osta a che l’esercizio del diritto di recesso comporti il ripristino dello status quo ante e di conseguenza che il consumatore sia tenuto a versare immediatamente l’importo del mutuo e gli interessi al tasso di mercato.
Tuttavia la situazione è differente qualora il commerciante non abbia adempiuto all’obbligo di informazione previsto dalla direttiva. Gli Stati membri devono garantire che la legislazione nazionale preveda delle forme di tutela per i consumatori qualora questa informazione non sia garantita. In altri termini gli Stati membri, nel disciplinare le conseguenze del diritto di recesso, dovranno assicurare il rispetto del diritto comunitario ed “in particolare delle norme della direttiva, interpretate alla luce del suo obiettivo, in modo tale da garantire che essa produca i propri effetti utili” (cfr. sentenza Schulte, par. 69). Nel caso di specie la Corte ha quindi rilevato la particolare situazione in cui si troverebbe il consumatore in caso di mancata informazione da parte della banca circa il suo diritto di recesso. Qualora, trascorsi vari anni dalla conclusione del contratto, il consumatore, essendo informato di tale diritto di recesso, decidesse di esercitarlo, in base alla legislazione tedesca, si troverebbe esposto a rischi maggiori – obbligo di rimborso immediato della parte residua dell’importo del mutuo e dei corrispondenti interessi legali – rispetto alla situazione in cui si troverebbe non esercitando il suo diritto di recesso e rimanendo pertanto vincolato al contratto di mutuo. In considerazione del fatto che se la banca avesse informato il consumatore quest’ultimo non sarebbe stato esposto a tali rischi, la Corte ha concluso che “la direttiva fa obbligo agli Stati membri di adottare misure idonee per evitare al consumatore di sostenere le conseguenze del verificarsi di tali rischi. Gli Stati membri devono quindi garantire che, in situazioni di tal genere, la banca che non abbia rispettato l’obbligo di informazione sopporti le conseguenze del verificarsi dei detti rischi, al fine di rispettare l’obbligo di tutela dei consumatori”.
La posizione della Corte viene dunque ad ampliare la tutela dei consumatori imputando alle banche rischi che altrimenti avrebbero dovuto sopportare i consumatori. La tutela appare ampia anche in ragione dell’ulteriore precisazione effettuata dalla Corte nel caso Crailsheimer. In quest’ultimo caso, infatti, la banca obiettava che i contratti di mutuo erano stati negoziati da intermediari e che essa ignorava che tali contratti erano stati conclusi nel contesto di vendite a domicilio. La Corte ha chiarito che la nozione di “commerciante” prevista dalla direttiva riguarda anche la persona che agisce in nome o per conto di un commerciante e che l’obiettivo della direttiva è quello di tutelare il consumatore rispetto all’elemento sorpresa insito nelle vendite porta a porta. La tutela del consumatore, infatti, non è condizionata dal fatto che sia dimostrato che quest’ultimo sia stato manipolato o indotto dal commerciante a concludere il contratto. Secondo la Corte, dunque, la direttiva deve essere interpretata nel senso che “qualora un terzo intervenga in nome e per conto di un commerciante nella negoziazione o nella stipula di un contratto, l’applicazione della direttiva non può essere subordinata alla condizione che il commerciante fosse o avrebbe dovuto essere stato a conoscenza del fatto che il contratto era stato stipulato in una situazione di vendita a domicilio”.