MANCATO RISPETTO DEL DIRITTO OMC E RESPONSABILITA' EXTRACONTRATTUALE DELLA COMUNITA' EUROPEA
Archivio > Anno 2008 > Dicembre 2008
di Valeria DI COMITE
1.
Con la recente sentenza del 9 settembre 2008 (cause riunite C-120/06 P e
C-121/06 P, FIAMM e Fedon c. Consiglio dell’Unione europea e
Commissione delle Comunità europee) la grande sezione della Corte di
giustizia ha affrontato la dibattuta questione relativa all’eventuale
responsabilità della Comunità europea a causa della mancata modifica
di una normativa comunitaria qualora detta normativa sia considerata
incompatibile con gli Accordi commerciali internazionali a seguito di
accertamento da parte dell’Organo di soluzione delle controversie
dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC). La questione è
stata portata alla cognizione della Corte nel contesto di un ricorso
promosso dalle imprese FIAMM e Fedon affinché venissero annullate le
sentenze del Tribunale di primo grado del 14 dicembre 2005
(rispettivamente causa T-69/00, FIAMM e FIAMM Technologies c. Consiglio
e Commissione, Raccolta, p. II-5393 e causa T-135/01, Fedon & Figli
e a. c. Consiglio e Commissione, Raccolta, p. II-29). Con tali
sentenze il Tribunale di primo grado aveva respinto i ricorsi della
FIAMM e della Fedon diretti ad ottenere il risarcimento del danno
asseritamente causato dalla sovrattassa doganale sull’importazione dei
loro prodotti prelevata dagli Stati Uniti d’America in base ad
un’autorizzazione rilasciata dall’Organo per la risoluzione delle
controversie (in prosieguo: DSB – Dispute Settlement Body) dell’OMC.
2. È opportuno premettere che gli accordi commerciali internazionali su cui si basa il funzionamento dell’OMC (Accordi e Memorandum allegati allo stesso Accordo isititutivo dell’OMC) prevedono la possibilità che in caso di dubbi in merito al rispetto di una regola convenzionale il DSB può essere adito dagli Stati membri dell’Organizzazione e dalla CE affinché venga determinato se la misura interna contestata sia compatibile con il diritto OMC. Qualora il DSB ritenga detta misura incompatibile chiederà alla parte soccombente di modificare la misura contestata e renderla conforme agli obblighi internazionali entro un c.d. termine ragionevole, fissato in base alle procedure stabilite nell’Intesa sulla soluzione delle controversie. Nell’ambito di tale competenza “quasi-giurisdizionale” dell’Organo di soluzione delle controversie è prevista, peraltro, la possibilità che lo stesso DSB autorizzi la parte lesa ad applicare contromisure nei confronti di quei Membri che non abbiano ottemperato alla raccomandazione del DSB di modificare la misura entro il c.d. termine ragionevole.
Nel contesto di questo sistema le contromisure sono costituite da sovrattasse che lo Stato leso può applicare alle merci provenienti dallo Stato soccombente anche in settori commerciali diversi da quello disciplinato nella misura contestata. Tale situazione si era verificata nel caso che ha dato origine alla controversia davanti agli organi giurisdizionali comunitari.
3. Il DSB aveva, infatti, autorizzato gli Stati Uniti ad applicare le contromisure, consistenti nella sospensione di concessioni doganali, a seguito dell’accertamento dell’incompatibilità del regime comunitario di importazione delle banane con gli Accordi OMC (constatato con risoluzione del DSB del 25 settembre 1997). Il 19 aprile 1999 era stata rilasciata l’autorizzazione in quanto la Comunità europea non aveva modificato la normativa interna relativa al regime comunitario di importazione di banane entro il termine regionevole (1° gennaio 1999) stabilito in base art. 21, par. 3, lett. c) dell’Intesa sulla soluzione delle controversie. L’11 aprile del 2001 Stati Uniti e Comunità europea giunsero ad un accordo in merito alla controversia commerciale sul regime di importazione delle banane, di conseguenza dal 1° luglio 2001 gli Stati Uniti sospesero l’applicazione delle contromisure. Tuttavia, la FIAMM e la Fedon, durante il periodo dell’applicazione delle contromisure incrociate, avevano pagato una sovrattassa doganale, per l’esportazione dei loro prodotti (batterie e astucci per occhiali). Per questa ragione le ricorrenti FIAMM e Fedon avevano richiesto al Tribunale di primo grado di voler riconoscere la responsabilità extracontrattuale della Comunità europea per aver causato loro dei danni a causa del mancato adempimento della risoluzione del DSB. Entrambi i ricorsi si fondavano essenzialmente su due motivi: il primo riguardava la responsabilità extracontrattuale per comportmento illecito ed il secondo la responsabilità per fatto lecito.
4. Il Tribunale di primo grado aveva rigettato i ricorsi considerando non fondate le pretese delle ricorrenti relative ad entrambi i regimi di responsabilità extracontrattuale. In primo luogo, per quanto concerne la responsabilità extracontrattuale per comportamento illecito il Tribunale ribadendo la consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia in materia (inaugurata con la sentenza del 23 novembre 1999, causa C-149/96, Portogallo c. Consiglio, Raccolta, p. I-8395) aveva evidenziato come le disposizioni degli Accordi OMC non siano idonee ad essere invocate dai privati come parametro di legalità dell’azione delle istituzioni europee e che l’ipotesi contemplata nel caso di specie non rientrava in nessuna delle due note eccezioni stabilite nei casi Fediol (sentenza del 22 giugno 1989, causa 70/87, Raccolta, p. 1781) e Nakajima (sentenza del 7 maggio 1991, causa C-69/89, Raccolta, p. I-2069). Il Tribunale aveva quindi constatato che in considerazione del fatto che le norme OMC non figurano tra le disposizioni di accordi internazionali in base alle quali il giudice comunitario controlla la legalità del comportamento delle istituzioni comunitarie non si poteva dimostrare che il comportamento delle istituzioni fosse illegittimo. In mancanza di detta dimostrazione non veniva soddisfatto uno dei tre requisiti essenziali per l’insorgere della responsabilità extracontrattuale della Comunità per condotta illecita dei suoi organi (sentenza FIAMM, punto 149 e sentenza Fedon, punto 142).
In secondo luogo, per quanto attiene alla responsabilità da fatto lecito il Tribunale aveva ricordato che la responsabilità della Comunità si basa sulla disposizione dell’art. 288 TCE secondo cui: “... la Comunità deve risarcire, conformemente ai principi generali comuni ai diritti degli Stati membri, i danni cagionati dalle sue istituzioni ... nell’esercizio delle loro funzioni”. Il Tribunale aveva quindi considerato che nell’ambito dei diversi ordinamenti interni, sebbene in gradi differenti, in settori specifici ed in base a diverse disposizioni, gli individui potessero ottenere davanti ai giudici nazionali l’indennizzo di certi danni, anche a seguito di un’azione lecita da parte dell’autore del danno. Di conseguenza il Tribunale aveva considerato che la responsabilità extracontrattuale della Comunità poteva sorgere anche in mancanza di una condotta illecita delle isituzioni qualora venissero soddisfatte tre condizioni: l’esistenza di un danno, il nesso causale tra il danno e la condotta delle istituzioni comunitarie e, infine, il carattere “anormale e speciale” del danno sofferto. Tuttavia nel caso di specie il Tribunale aveva ritenuto che il danno sofferto dalle ricorrenti non avesse carattere anormale, in quanto le sospensioni delle concessioni doganali – misure previste dagli stessi Accordi OMC – costituiscono vicissitudini inerenti allo stesso sistema del commercio internazionale. Secondo il Tribunale, tale situazione avrebbe dovuto essere sopportata da qualsiasi operatore economico il quale commercializza i suoi prodotti nel mercato di un membro dell’OMC. Sulla base di tali motivi il Tribunale aveva pertanto deciso di rigettare i ricorsi.
Nel chiedere l’annuallamento delle rispettive sentenze le ricorrenti avevano invocato diversi motivi che principalmente riguardavano in primo luogo la mancanza di motivazione nell’aver riconosciuto l’assenza di effetto diretto delle risoluzioni del DSB ed in secondo luogo l’insufficienza della motivazione concernente l’asserito carattere non anormale del danno sofferto dalle stesse ricorrenti.
5. La Corte di giustizia nella sentenza del 9 settembre 2008 ha precisato ulteriormente la sua posizione in merito agli effetti delle risoluzioni del DSB, escludendo a chiare lettere l’invocabilità di tali risoluzioni davanti al giudice comunitario ed al giudice nazionale e negando, altresì, l’esistenza di una responsabilità extracontrattuale della Comunità per il mancato rispetto di dette risoluzioni.
Le motivazioni addotte dalla Corte nella propria decisione sono molteplici e continuano ad affermare il principio in base al quale nell’ambito dell’applicazione delle regole OMC le istituzioni comunitarie godono di un importante margine discrezionale che non può subire le limitazioni che deriverebbero dal controllo giurisdizionale. Secondo la Corte il riconsocimento dell’effetto diretto tanto delle norme materiali del diritto OMC come delle risoluzioni del DSB priverebbe le istituzioni comunitarie dell’importante ruolo che rivestono i negoziati con gli altri Membri dell’Organizzazione per mantenere l’equilibrio nelle relazioni commerciali internazionali.
Nel suo articolato ragionamento la Corte ha affrontato separatemente le due questioni inerenti la responsabilità extracontrattuale per condotta illecita, da una parte, e per atti leciti, dall’altra. In relazione al primo aspetto la Corte ha considerato infondate le richieste delle ricorrenti evidenziando come il Tribunale, seppure implicitamente, avesse motivato in modo sufficiente la constatazione che le risoluzioni del DSB non possono essere considerate come validi parametri di legalità dell’azione delle istituzioni comunitarie. La possibilità di usare tali risoluzioni come parametro di legalità delle norme comunitarie, secondo la Corte, è inamminisbilie sia nel caso in cui lo scopo di tale valutazione sia la dichiarazione di annullamento dell’atto, sia nel caso in cui l’obiettivo del ricorso sia l’accertamento della responsabilità della Comunità. Infatti, come rilevato dall’Avvocato Generale M. Poiares Maduro (punto 49 delle conclusioni) qualsiasi decisione di annullamento di un atto normativo da parte del giudice comunitario ha l’effetto di “cosa giudicata”, sia che essa venga adottata nell’ambito di un ricorso di annullamento che nell’ambito di un’azione di risarcimento danni, per cui le conseguenze di tale decisione sarebbero identiche, a prescindere dallo scopo finale di tale valutazione e l’istituzione interessata dovrebbe adottare le misure necessarie ad eliminare tale invalidità.
Di conseguenza, siffatta decisione avrebbe l’effetto di vincolare l’azione delle istituzioni comunitarie. Secondo reiterata giurisprudenza, invece, l’esercizio della funzione normativa non può essere vincolata dalla prospettiva di eventuali reclami per il risarcimento dei danni, qualora l’interesse generale della Comunità richieda il sacrificio di interessi particolari (punto 121 della sentenza). Per questi motivi la Corte ha confermato il primo motivo della sentenza del Tribunale di primo grado, rigettanto questa parte del ricorso.
In merito al secondo motivo la Corte ha invece ritenuto che il Tribunale fosse incorso in un errore di diritto nel determinare l’esistenza di un regime di responsabilità extracontrattuale della Comunità per atti leciti. La Corte ha, infatti, considerato che in assenza di una condotta illecita viene a mancare uno dei presupposti necessari per il riconoscimento della responsabilità extracontrattuale della Comunità. La Corte ha peraltro affermato che l’esame comparativo degli ordinamenti interni ha consentito di affermare l’esistenza della responsabilità extracontrattuale della Comunità per condotta illecita, mentre tale esame non ha portato ad una simile constatazione per la responsabilità da atti leciti. Secondo la Corte allo stato attuale di evoluzione del diritto comunitario non esiste un regime di responsabilità della Comunità per un comportamento compreso nella sua sfera di competenza normativa, in una situazione in cui l’eventuale incompatibilità di tale comportamento con gli Accordi OMC non può essere invocato davanti ai giudici comunitari. Di conseguenza la Corte, anche se ha constatato un errore di diritto nel ragionamento del Tribunale, ha rigettato i ricorsi.
Questa sentenza conferma la posizione della Corte, la quale per motivi che non si fondano solo su un’analisi giuridica ma che senza dubbio sono permeati da un’evidente opportunità politica ha rienuto di non riconoscere alcuna forma di tutela giurisdizionale agli operatori economici in caso di mancata conformità del diritto comunitario con le disposizioni degli Accordi OMC.
Secondo la giurispudenza, quindi, non solo è negata l’efficacia diretta delle disposizioni delgi Accordi OMC e delle risoluzioni del DSB, ma è altresì negata la possibilità, per tali operatori, di ottenere un risarcimento del danno. Questa scelta si giusitifica ancora una volta nell’afferamazione dell’interesse della Comunità affinchè sia riconsosciuto un ampio margine di discrezionalità alle Istituzioni europee nell’applicazione delle regole commerciali stabilite nell’ambito dell’OMC e nella possibilità che tali Istituzioni possano negoziare, in una situazione di parità con gli altri Membri dell’OMC, le misure e le modalità idonee a dare esecuzione alle risoluzioni dell’OMC.
2. È opportuno premettere che gli accordi commerciali internazionali su cui si basa il funzionamento dell’OMC (Accordi e Memorandum allegati allo stesso Accordo isititutivo dell’OMC) prevedono la possibilità che in caso di dubbi in merito al rispetto di una regola convenzionale il DSB può essere adito dagli Stati membri dell’Organizzazione e dalla CE affinché venga determinato se la misura interna contestata sia compatibile con il diritto OMC. Qualora il DSB ritenga detta misura incompatibile chiederà alla parte soccombente di modificare la misura contestata e renderla conforme agli obblighi internazionali entro un c.d. termine ragionevole, fissato in base alle procedure stabilite nell’Intesa sulla soluzione delle controversie. Nell’ambito di tale competenza “quasi-giurisdizionale” dell’Organo di soluzione delle controversie è prevista, peraltro, la possibilità che lo stesso DSB autorizzi la parte lesa ad applicare contromisure nei confronti di quei Membri che non abbiano ottemperato alla raccomandazione del DSB di modificare la misura entro il c.d. termine ragionevole.
Nel contesto di questo sistema le contromisure sono costituite da sovrattasse che lo Stato leso può applicare alle merci provenienti dallo Stato soccombente anche in settori commerciali diversi da quello disciplinato nella misura contestata. Tale situazione si era verificata nel caso che ha dato origine alla controversia davanti agli organi giurisdizionali comunitari.
3. Il DSB aveva, infatti, autorizzato gli Stati Uniti ad applicare le contromisure, consistenti nella sospensione di concessioni doganali, a seguito dell’accertamento dell’incompatibilità del regime comunitario di importazione delle banane con gli Accordi OMC (constatato con risoluzione del DSB del 25 settembre 1997). Il 19 aprile 1999 era stata rilasciata l’autorizzazione in quanto la Comunità europea non aveva modificato la normativa interna relativa al regime comunitario di importazione di banane entro il termine regionevole (1° gennaio 1999) stabilito in base art. 21, par. 3, lett. c) dell’Intesa sulla soluzione delle controversie. L’11 aprile del 2001 Stati Uniti e Comunità europea giunsero ad un accordo in merito alla controversia commerciale sul regime di importazione delle banane, di conseguenza dal 1° luglio 2001 gli Stati Uniti sospesero l’applicazione delle contromisure. Tuttavia, la FIAMM e la Fedon, durante il periodo dell’applicazione delle contromisure incrociate, avevano pagato una sovrattassa doganale, per l’esportazione dei loro prodotti (batterie e astucci per occhiali). Per questa ragione le ricorrenti FIAMM e Fedon avevano richiesto al Tribunale di primo grado di voler riconoscere la responsabilità extracontrattuale della Comunità europea per aver causato loro dei danni a causa del mancato adempimento della risoluzione del DSB. Entrambi i ricorsi si fondavano essenzialmente su due motivi: il primo riguardava la responsabilità extracontrattuale per comportmento illecito ed il secondo la responsabilità per fatto lecito.
4. Il Tribunale di primo grado aveva rigettato i ricorsi considerando non fondate le pretese delle ricorrenti relative ad entrambi i regimi di responsabilità extracontrattuale. In primo luogo, per quanto concerne la responsabilità extracontrattuale per comportamento illecito il Tribunale ribadendo la consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia in materia (inaugurata con la sentenza del 23 novembre 1999, causa C-149/96, Portogallo c. Consiglio, Raccolta, p. I-8395) aveva evidenziato come le disposizioni degli Accordi OMC non siano idonee ad essere invocate dai privati come parametro di legalità dell’azione delle istituzioni europee e che l’ipotesi contemplata nel caso di specie non rientrava in nessuna delle due note eccezioni stabilite nei casi Fediol (sentenza del 22 giugno 1989, causa 70/87, Raccolta, p. 1781) e Nakajima (sentenza del 7 maggio 1991, causa C-69/89, Raccolta, p. I-2069). Il Tribunale aveva quindi constatato che in considerazione del fatto che le norme OMC non figurano tra le disposizioni di accordi internazionali in base alle quali il giudice comunitario controlla la legalità del comportamento delle istituzioni comunitarie non si poteva dimostrare che il comportamento delle istituzioni fosse illegittimo. In mancanza di detta dimostrazione non veniva soddisfatto uno dei tre requisiti essenziali per l’insorgere della responsabilità extracontrattuale della Comunità per condotta illecita dei suoi organi (sentenza FIAMM, punto 149 e sentenza Fedon, punto 142).
In secondo luogo, per quanto attiene alla responsabilità da fatto lecito il Tribunale aveva ricordato che la responsabilità della Comunità si basa sulla disposizione dell’art. 288 TCE secondo cui: “... la Comunità deve risarcire, conformemente ai principi generali comuni ai diritti degli Stati membri, i danni cagionati dalle sue istituzioni ... nell’esercizio delle loro funzioni”. Il Tribunale aveva quindi considerato che nell’ambito dei diversi ordinamenti interni, sebbene in gradi differenti, in settori specifici ed in base a diverse disposizioni, gli individui potessero ottenere davanti ai giudici nazionali l’indennizzo di certi danni, anche a seguito di un’azione lecita da parte dell’autore del danno. Di conseguenza il Tribunale aveva considerato che la responsabilità extracontrattuale della Comunità poteva sorgere anche in mancanza di una condotta illecita delle isituzioni qualora venissero soddisfatte tre condizioni: l’esistenza di un danno, il nesso causale tra il danno e la condotta delle istituzioni comunitarie e, infine, il carattere “anormale e speciale” del danno sofferto. Tuttavia nel caso di specie il Tribunale aveva ritenuto che il danno sofferto dalle ricorrenti non avesse carattere anormale, in quanto le sospensioni delle concessioni doganali – misure previste dagli stessi Accordi OMC – costituiscono vicissitudini inerenti allo stesso sistema del commercio internazionale. Secondo il Tribunale, tale situazione avrebbe dovuto essere sopportata da qualsiasi operatore economico il quale commercializza i suoi prodotti nel mercato di un membro dell’OMC. Sulla base di tali motivi il Tribunale aveva pertanto deciso di rigettare i ricorsi.
Nel chiedere l’annuallamento delle rispettive sentenze le ricorrenti avevano invocato diversi motivi che principalmente riguardavano in primo luogo la mancanza di motivazione nell’aver riconosciuto l’assenza di effetto diretto delle risoluzioni del DSB ed in secondo luogo l’insufficienza della motivazione concernente l’asserito carattere non anormale del danno sofferto dalle stesse ricorrenti.
5. La Corte di giustizia nella sentenza del 9 settembre 2008 ha precisato ulteriormente la sua posizione in merito agli effetti delle risoluzioni del DSB, escludendo a chiare lettere l’invocabilità di tali risoluzioni davanti al giudice comunitario ed al giudice nazionale e negando, altresì, l’esistenza di una responsabilità extracontrattuale della Comunità per il mancato rispetto di dette risoluzioni.
Le motivazioni addotte dalla Corte nella propria decisione sono molteplici e continuano ad affermare il principio in base al quale nell’ambito dell’applicazione delle regole OMC le istituzioni comunitarie godono di un importante margine discrezionale che non può subire le limitazioni che deriverebbero dal controllo giurisdizionale. Secondo la Corte il riconsocimento dell’effetto diretto tanto delle norme materiali del diritto OMC come delle risoluzioni del DSB priverebbe le istituzioni comunitarie dell’importante ruolo che rivestono i negoziati con gli altri Membri dell’Organizzazione per mantenere l’equilibrio nelle relazioni commerciali internazionali.
Nel suo articolato ragionamento la Corte ha affrontato separatemente le due questioni inerenti la responsabilità extracontrattuale per condotta illecita, da una parte, e per atti leciti, dall’altra. In relazione al primo aspetto la Corte ha considerato infondate le richieste delle ricorrenti evidenziando come il Tribunale, seppure implicitamente, avesse motivato in modo sufficiente la constatazione che le risoluzioni del DSB non possono essere considerate come validi parametri di legalità dell’azione delle istituzioni comunitarie. La possibilità di usare tali risoluzioni come parametro di legalità delle norme comunitarie, secondo la Corte, è inamminisbilie sia nel caso in cui lo scopo di tale valutazione sia la dichiarazione di annullamento dell’atto, sia nel caso in cui l’obiettivo del ricorso sia l’accertamento della responsabilità della Comunità. Infatti, come rilevato dall’Avvocato Generale M. Poiares Maduro (punto 49 delle conclusioni) qualsiasi decisione di annullamento di un atto normativo da parte del giudice comunitario ha l’effetto di “cosa giudicata”, sia che essa venga adottata nell’ambito di un ricorso di annullamento che nell’ambito di un’azione di risarcimento danni, per cui le conseguenze di tale decisione sarebbero identiche, a prescindere dallo scopo finale di tale valutazione e l’istituzione interessata dovrebbe adottare le misure necessarie ad eliminare tale invalidità.
Di conseguenza, siffatta decisione avrebbe l’effetto di vincolare l’azione delle istituzioni comunitarie. Secondo reiterata giurisprudenza, invece, l’esercizio della funzione normativa non può essere vincolata dalla prospettiva di eventuali reclami per il risarcimento dei danni, qualora l’interesse generale della Comunità richieda il sacrificio di interessi particolari (punto 121 della sentenza). Per questi motivi la Corte ha confermato il primo motivo della sentenza del Tribunale di primo grado, rigettanto questa parte del ricorso.
In merito al secondo motivo la Corte ha invece ritenuto che il Tribunale fosse incorso in un errore di diritto nel determinare l’esistenza di un regime di responsabilità extracontrattuale della Comunità per atti leciti. La Corte ha, infatti, considerato che in assenza di una condotta illecita viene a mancare uno dei presupposti necessari per il riconoscimento della responsabilità extracontrattuale della Comunità. La Corte ha peraltro affermato che l’esame comparativo degli ordinamenti interni ha consentito di affermare l’esistenza della responsabilità extracontrattuale della Comunità per condotta illecita, mentre tale esame non ha portato ad una simile constatazione per la responsabilità da atti leciti. Secondo la Corte allo stato attuale di evoluzione del diritto comunitario non esiste un regime di responsabilità della Comunità per un comportamento compreso nella sua sfera di competenza normativa, in una situazione in cui l’eventuale incompatibilità di tale comportamento con gli Accordi OMC non può essere invocato davanti ai giudici comunitari. Di conseguenza la Corte, anche se ha constatato un errore di diritto nel ragionamento del Tribunale, ha rigettato i ricorsi.
Questa sentenza conferma la posizione della Corte, la quale per motivi che non si fondano solo su un’analisi giuridica ma che senza dubbio sono permeati da un’evidente opportunità politica ha rienuto di non riconoscere alcuna forma di tutela giurisdizionale agli operatori economici in caso di mancata conformità del diritto comunitario con le disposizioni degli Accordi OMC.
Secondo la giurispudenza, quindi, non solo è negata l’efficacia diretta delle disposizioni delgi Accordi OMC e delle risoluzioni del DSB, ma è altresì negata la possibilità, per tali operatori, di ottenere un risarcimento del danno. Questa scelta si giusitifica ancora una volta nell’afferamazione dell’interesse della Comunità affinchè sia riconsosciuto un ampio margine di discrezionalità alle Istituzioni europee nell’applicazione delle regole commerciali stabilite nell’ambito dell’OMC e nella possibilità che tali Istituzioni possano negoziare, in una situazione di parità con gli altri Membri dell’OMC, le misure e le modalità idonee a dare esecuzione alle risoluzioni dell’OMC.