ESPORTABILITA' E DIFENDIBILITA' DEL MODELLO AGRICOLO E RURALE EUROPEO - Sud in Europa

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ESPORTABILITA' E DIFENDIBILITA' DEL MODELLO AGRICOLO E RURALE EUROPEO

Archivio > Anno 2005 > Settembre 2005

di Giuseppe GARGANO (Consulente in materia di politiche di sviluppo e di coesione dell’Unione Europea)    
Il riconoscimento del ruolo che l’agricoltura svolge nell’economia d’Europa è alla base della volontà che l’Unione Europea ha espresso di voler tutelare e promuovere a livello internazionale il suo modello agricolo e rurale, che riflette la storia, la cultura, l’approccio mentale della società europea nel suo insieme.
La difesa di questo modello, nell’ambito dei negoziati commerciali multilaterali, significa riconoscere che il dibattito sulle politiche agricole e rurali non può limitarsi a discussioni puramente tecniche; che la promozione dello stesso sulla scena internazionale, quale modello che punta al mantenimento dell’attività economica e dell’occupazione delle zone rurali, alla valorizzazione ed alla gestione dell’ambiente e della biodiversità, alla conservazione del paesaggio e delle sue bellezze ed ad una più forte coesione tra le zone rurali e quelle urbane, è frutto delle scelte specifiche della società europea e che quindi non può essere negoziato.
Parallelamente, l’Unione europea deve sviluppare l’attuale modello per garantire che gli agricoltori possano mantenere il suo ruolo multifunzionale, consistente nel fornire prodotti alimentari sicuri e di qualità ed offrendo contestualmente servizi che soddisfino le forti esigenze manifestate dai cittadini europei e che non sempre hanno un valore commerciale.
Il concetto di multifunzionalità ha cominciato a farsi strada già da diversi anni quando si è cominciato a considerare il ruolo dell’agricoltura ed i suoi effetti negativi sull’ambiente, l’impatto che poteva avere un certo modello di agricoltura intensivo e quindi da considerare non soltanto come un settore economico a sé stante, ma volto ad assumere anche un ruolo sociale.
Dal punto di vista politico, la multifunzionalità è stata ampiamente riconosciuta nell’ambito di Agenda 2000, anche se si trovano delle tracce, già a metà degli anni ottanta nel Libro verde dell’Unione Europea del 1985, nel Futuro del mondo rurale del 1988, fino alla Conferenza di Cork del 1996. Inoltre, con il vertice di Lussemburgo dei capi di Stato e di governo del 1997, sono state individuati dei criteri per la definizione del modello agricolo europeo quali la piccola dimensione delle aziende, la loro conduzione familiare e la forte integrazione con il territorio su cui esse insistono. Ma l’elemento che più di ogni altro qualifica questo modello è dato dalla coesistenza di forme di agricoltura diverse, non soltanto a livello di produzioni, ma anche a livello di tecniche agricolturali e per gli effetti che generano sul territorio.
Inoltre, è da rilevare che il concetto di multifunzionalità viene ripreso in molti trattati internazionali quali la Conven-zione di Rio del 1992 e nei lavori della FAO e dell’OCSE in cui viene sottolineata la sostenibilità dei processi di sviluppo connessi all’agricoltura.
Inevitabilmente questo aspetto della multifunzionalità è stato portato anche nelle sedi internazionali di discussione, prima fra tutti l’Organizzazione Mondiale del Commercio, laddove il ruolo dell’agricoltura nelle politiche di mercato è stato orientato verso un rafforzamento della competitività e dell’internazionalizzazione degli scambi commerciali, giungendo in tal modo alla fissazione di obiettivi con implicazioni contrastanti e all’assunzione di posizioni diversificate fra i vari paesi.
Da un lato, paesi eterogenei per storia e posizione geografica come quelli che fanno parte dell’Unione Europea, la Svizzera, la Norvegia, ma anche il Giappone e la Corea, i cosiddetti “amici della multifunzionalità”, riconoscono nella stessa un concetto fondamentale per lo sviluppo dell’agricoltura, intesa non solamente come produttrice di beni alimentari, ma da tutelare e sostenere, rilevando la necessità di investire in prodotti tipici e di stringere maggiormente il rapporto tra produzione agricola e territorio. Inoltre, essi sostengono che la multifunzionalità non debba essere soltanto una prerogativa di nazioni ricche, ma che debba riguardare anche i Paesi in via di sviluppo, per garantire lo sviluppo delle loro zone rurali e per combattere la povertà.
A questi paesi, si contrappongono gli Stati Uniti d’America e il cosiddetto gruppo di Cairns, rappresentato da 18 paesi grandi esportatori di prodotti agricoli del continente americano, del sud est asiatico e dell’Africa, i quali sostengono, invece, la completa liberalizzazione delle politiche agricole e commerciali, paventando nella posizione del gruppo antagonista la volontà di mantenere il protezionismo nelle proprie politiche agricole.
Quando nel 1957 fu firmato a Roma il Trattato istitutivo della allora CEE, le finalità della politica agricola comune consistevano nell’incrementare la produttività dell’agricoltura, sviluppando il progresso tecnico e razionale della produzione agricola mediante un migliore impiego dei fattori di produzione ed in particolare della manodopera, assicurare un tenore di vita equo alla popolazione agricola, stabilizzare i mercati e garantire i prezzi tali da essere remunerativi per i produttori e ragionevoli per i consumatori.
Ad ogni modo, nel corso degli anni, il modello agricolo europeo, se da un lato ha conseguito una serie di successi che hanno contribuito a rafforzare l’economia degli Stati membri e la capacità di autosufficienza alimentare, ha dall’altro provocato la formazione di eccedenze produttive innescando costosi meccanismi di compensazione. Inoltre, il susseguirsi di crisi sanitarie quali l’insorgere della BSE, i casi della diossina, dell’afta epizotica, le crisi di mercato connessa alla mutata situazione economica e sociale, l’emergenza della problematica ambientale e il quadro di accordi internazionali, hanno poi richiesto un cambiamento dei principi, delle finalità e degli strumenti della Politica Agricola Comune che tradizionalmente era poggiata su un unico pilastro, quelle delle politiche di mercato, mentre solo di recente è stato aggiunto quello dello sviluppo rurale, al quale è necessario affiancare quello della sicurezza, della qualità degli alimenti e della tutela ambientale.
Grazie alla pressione europea, il modello agricolo europeo è stato portato nel 2001 sul tavolo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) nell’ambito del Doha Round e contenente gli obiettivi che gli Stati dovranno negoziare fino a dicembre 2005, tra cui la “riduzione di tutte le forme di sussidio all’esportazione nella prospettiva di una loro completa eliminazione”.
In sede WTO, gli Stati membri dell’Unione Europea hanno deciso di promuovere il modello agricolo europeo, perseguendo tre obiettivi principali: 1) l’ampliamento dell’accesso dei prodotti ai mercati dei paesi terzi; 2) il sostegno all’agricoltura, pur mantenendo la distinzione tra gli strumenti di aiuto in funzione del loro impatto sulla produzione e sul commercio; 3) offrendo ai Paesi in via di sviluppo la possibilità di trarre pieno vantaggio dall’espansione del commercio internazionale.
L’accordo sulle riforme fondamentali della PAC, raggiunto in ambito comunitario il 26 giugno 2003, ha poi portato vantaggi sia agli agricoltori europei che alla società in generale. Il punto centrale della riforma è costituito dal fatto che la grande maggioranza delle sovvenzioni concesse agli agricoltori dovrà essere versata indipendentemente dal volume della produzione (“disaccoppiamento”), ma subordinata al rispetto delle norme in materia di salvaguardia ambientale, sicurezza alimentare e protezione degli animali.
Ciò ha significato che nel quadro degli accordi WTO ed in particolare durante l’accordo di Ginevra dello scorso 31 luglio 2004, tali aiuti sono rientrati nella “green box”, ossia non distorsivi degli scambi ed in contrasto con la direzione assunta negli ultimi anni dalla politica commerciale degli USA, che ha comportato enormi aumenti della spesa agricola, raggiungendo e superando il limite dei sussidi distorsivi della sua “amber box” nonché la reintroduzione e il più frequente uso di sovvenzioni classificate come “pagamenti di emergenza”, volti a compensare il calo dei prezzi di mercato.
Durante i negoziati di Ginevra, è stato raggiunto un accordo tra cinque paesi: USA, UE, Brasile ed India in rappresentanza dei paesi del G20 e l’Australia, in rappresentanza del gruppo dei paesi esportatori di prodotti agricoli.
Da questo accordo, gli Stati Uniti sono riusciti a collocare i loro sussidi distorsivi nella “blue box” che sinora è stata praticamente di esclusivo utilizzo europeo, classificandoli come promesse sui crediti all’esportazione e sugli alimentari, mentre l’Unione Europea ha praticamente azzerato i sussidi in essa contenuti, riducendoli del 70/75%.
Per via del disaccoppiamento, la riforma risulterà più vantaggiosa sia per i paesi in via di sviluppo che per quelli meno sviluppati, in quanto viene a ridursi l’incidenza delle forti eccedenze produttive che verrebbe a gravare sui mercati mondiali e la necessità per l’UE di sovvenzionare le proprie esportazioni. Infine, adempiendo agli obiettivi di riduzione pari al degli aiuti distorsivi degli scambi e di maggiore apertura dei mercati fissati dal programma di Doha, l’Unione Europea potrà facilitare il riconoscimento dell’importanza delle indicazioni geografiche ed avere una dimensione etica, ossia adottare un comportamento “morale” nei confronti dei soggetti più deboli del circuito agroalimentare mondiale ed in particolare dei Paesi in via di sviluppo che rischiano di addossarsi tutti i costi della globalizzazione.
Questi ultimi, infatti, non potendo fruire delle sovvenzioni statali, sono costretti a vendere ad un prezzo concorrenziale i loro prodotti, ma non riuscendo a recuperare i costi. Inoltre, proprio i paesi in via di sviluppo importano grandi quantità di prodotti agricoli occidentali a prezzi bassi ma se da un lato questo può sembrare positivo per i loro consumatori, dall’altro ha effetti negativi sui coltivatori locali che non riescono a vendere i loro prodotti perché divenuti più costosi.
A tal proposito, nei confronti di questi ultimi e dei paesi meno avanzati, occorrerà garantire il miglioramento dell’accesso al mercato, valorizzando un commercio che sia equo e solidale, in quanto coerente con i valori ambientali, sociali, umani e relativi al benessere degli animali.
In conclusione, tale riforma riflette i grandi principi del “modello agricolo europeo”, fondato su un’agricoltura moderna e competitiva sul mercato mondiale; sostenibile e di qualità, dai metodi produttivi sani, rispettosi dell’ambiente e atti a fornire prodotti di qualità, al servizio delle zone rurali, che trae la sua forza dalle loro diversità e dalle loro tradizioni e che traccia una netta linea di demarcazione tra ciò che deve essere deciso a livello comunitario e quello che deve essere deciso a livello di Stati membri.
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