LA CONVENZIONE DEL CONSIGLIO D'EUROPA SULLA LOTTA CONTRO LA TRATTA DEGLI ESSERI UMANI
Archivio > Anno 2006 > Novembre 2006
di Raffaella DI CHIO (Borsista post-dottorato in Diritto internazionale nella Università degli Studi di Bari)
Il
16 maggio del 2005 il Consiglio d’Europa ha aperto alla firma degli
Stati membri, degli Stati che hanno partecipato all’elaborazione e della
Comunità europea la Convenzione sulla lotta contro la tratta degli
esseri umani, che oltre a rappresentare un risultato significativo
nell’azione intrapresa dal Consiglio d’Europa nella lotta contro il
fenomeno, costituisce un valore aggiunto rispetto agli altri strumenti
internazionali in materia. Tale valore aggiunto deriva dall’adozione di
una prospettiva che, anziché mirare alla lotta contro la criminalità, è
fondata sui diritti dell’uomo e sulla protezione delle vittime della
tratta, nonché dalla creazione di un meccanismo di controllo
indipendente che garantisce il rispetto della Convenzione da parte degli
Stati membri.
Difatti, l’obiettivo principale della Convenzione enunciato nell’art. 1 è in primo luogo quello di prevenire e combattere la tratta; in secondo luogo quello di proteggere i diritti umani delle vittime e di promuovere la cooperazione internazionale nella lotta al fenomeno. A tale scopo, la Convenzione si applica a tutte le forme di tratta, indipendentemente dal fatto che comportino l’attraversamento dei confini nazionali, o siano collegate alla criminalità organizzata, o riguardino come vittime uomini, donne o bambini (art. 2). Ne risulta un ambito di applicazione più ampio e globale rispetto al Protocollo di Palermo sulla prevenzione, l’eliminazione e la punizione della tratta di persone, allegato alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità transnazionale organizzata, che viene richiamato nel Preambolo della Convenzione in esame. Infatti, per il tramite del richiamo all’art. 3, par. 1 della Convenzione di Palermo da parte dell’art. 1, par. 2 del Protocollo, quest’ultimo si applica solo a determinate infrazioni che siano di natura transnazionale e che coinvolgano un gruppo criminale organizzato.
Tuttavia, al Protocollo di Palermo è attribuito un ruolo determinante, testimoniato dal fatto che la definizione di tratta contenuta nella Convenzione del Consiglio d’Europa si fonda su quella dell’art. 3, lett. a) del Protocollo. Inoltre, la Convenzione sulla lotta contro la tratta si pone nell’ottica di completamento e di sviluppo delle disposizioni contenute nel Protocollo di Palermo (art. 39), più orientate alla prevenzione del crimine organizzato, definendo chiaramente la tratta come, prima di tutto, una violazione dei diritti della persona umana ponendo l’accento sulla protezione delle vittime che deve essere assicurata dagli Stati parti senza alcuna discriminazione di sesso, razza, colore, lingua, religione, opinioni politiche o altre, origine nazionale o sociale, appartenenza a una minoranza nazionale, proprietà, nascita o altra situazione (art. 3).
La Convenzione si compone di dieci capitoli; il primo è dedicato all’oggetto, al campo di applicazione, al principio di non-discriminazione ed alla definizione di tratta, contenuta nell’art. 4, che, come già detto è analogo alla corrispondente norma del Protocollo di Palermo, con la sola differenza che l’art. 4, lett. e) della Convenzione definisce espressamente la vittima, come “any natural person who is subject to trafficking in human beings as defined in this article”.
Il capitolo secondo della Convenzione (artt. 5-9) è dedicato invece alle misure per la prevenzione e la cooperazione. In particolare, l’art. 7 stabilisce che gli Stati devono adottare le misure legislative idonee al fine di evitare che i mezzi di trasporto dei vettori commerciali siano utilizzati per la commissione dei reati previsti nel capitolo quarto della Convenzione (par. 2), stabilendo per tale categoria l’obbligo di assicurarsi che tutti i passeggeri siano in possesso di documenti idonei ad entrare nello Stato di destinazione, pena l’inflizione di sanzioni in caso di violazione (parr. 3 e 4).
Nel capitolo terzo, che costituisce una delle parti più significative ed innovative della Convenzione, sono contenute le disposizioni sulla protezione e sull’assistenza delle vittime della tratta. Alcune di tali norme si applicano a tutte le vittime (artt. 10, 11, 12, 15 e 16), altre riguardano in particolare le vittime presenti irregolarmente nel territorio dello Stato di destinazione, o quelle che si trovano in una situazione regolare perché godono di un permesso di soggiorno di breve durata (artt. 13 e 14). Inoltre, alcune disposizioni prendono in considerazione anche i soggetti che, sebbene non ancora identificati formalmente come vittime, si può ragionevolmente prevedere che lo siano (art. 10, par. 2, art. 12, parr. 1 e 2, art. 13).
È utile soffermarsi sull’analisi di alcuni degli otto articoli di cui consta il capitolo terzo. L’art.10 riguarda l’identificazione delle vittime della tratta, presupposto indispensabile ai fini dell’applicazione della protezione prevista dalla Convenzione. A tal fine gli Stati parti devono assicurarsi che le autorità competenti che entrano in contatto con le vittime dispongano di persone qualificate e formate nell’ottica della prevenzione e della lotta contro la tratta. Inoltre, il par. 2 pone agli Stati parti l’obbligo di garantire che, qualora le autorità competenti abbiano ragionevoli motivi di ritenere che una persona sia stata vittima della tratta, non la espellano finché la procedura per l’imputazione del reato in questione non sia completata. In particolare, l’art. 10, par. 3 stabilisce che se l’età della vittima è incerta e sussistono motivi per ritenere che essa sia un minore, opera una presunzione in tal senso ed al minore devono essere accordate le misure speciali di protezione durante l’accertamento dell’età. Inoltre, sempre nell’ottica di tutela dei minori, l’art. 10, par. 4 stabilisce che non appena un minore non accompagnato sia riconosciuto come vittima della tratta, ogni Stato parte deve provvedere a farlo rappresentare da un tutore, da un’organizzazione o da un’autorità che agisce nell’interesse superiore del minore; a prendere le misure necessarie per procedere alla sua identificazione e a fare ogni sforzo per rintracciare la famiglia, qualora ciò sia nell’interesse del minore. La specificazione è dovuta al fatto che molto spesso è proprio nella famiglia di origine che la tratta ha il suo inizio.
L’art. 11 riguarda invece la protezione della vita privata delle vittime, mentre l’art. 12 concerne l’assistenza alle vittime. L’art. 13 è applicabile in particolare alle vittime della tratta che siano illegalmente presenti nel territorio di uno Stato parte, o che pur presenti legalmente abbiano un permesso di soggiorno di breve durata. Tali soggetti, una volta identificati, sono estremamente vulnerabili perché esposti alla possibilità dell’espulsione dal territorio dello Stato. Pertanto, l’art. 13 introduce la previsione di un periodo di riflessione e di recupero che deve essere di almeno trenta giorni. Tale periodo di riflessione costituisce un’importante garanzia per le vittime e soddisfa vari scopi. Uno di questi è di consentire alle vittime di sfuggire all’influenza dei trafficanti e di decidere se cooperare nelle indagini.
Il successivo art. 14 prevede che alle vittime della tratta sia concesso un permesso di soggiorno rinnovabile qualora sussistano due presupposti, uno dei quali riguarda la situazione personale, mentre l’altro attiene alla possibilità della cooperazione nelle indagini. Tale disposizione risulta importante perché consente la concessione del permesso di soggiorno, non solo sulla base della cooperazione con le autorità competenti, ma anche in funzione della situazione personale della vittima, avendo riguardo alla sua sicurezza, alla salute o alla situazione familiare; la norma differenzia inoltre la Convenzione in esame da molti degli strumenti sulla tratta, sia nazionali che internazionali che invece subordinano la concessione del permesso di soggiorno al solo presupposto della volontà della vittima di cooperare con la giustizia.
Infine, l’art. 16, in parte ispirato all’art. 8 del Protocollo di Palermo, pone l’obbligo per gli Stati parti, quando la vittima sia un proprio cittadino oppure quando abbia un diritto di soggiorno permanente, di facilitare ed accettare il rimpatrio da altro Stato senza un irragionevole ed ingiustificato ritardo, nonché di favorire il reinserimento sociale, in particolare dei minori.
Il capitolo quarto della Convenzione comprende nove articoli e riguarda l’obbligo di incriminare determinate condotte all’interno delle legislazioni degli Stati parti.
L’art. 18 stabilisce che gli Stati devono adottare tutte le misure necessarie al fine di incriminare la condotta prevista dall’art. 4 della Convenzione, ossia il reato di tratta, quando commessa intenzionalmente. L’art. 19 stabilisce invece per gli Stati la possibilità di incriminare la condotta di chi consapevolmente sfrutti i servizi di una vittima della tratta, mentre l’art. 20 prevede l’incriminazione di determinate condotte relative ai documenti di viaggio o di identità, quando siano volte a favorire il reato di tratta. Di particolare rilevanza è l’art. 22 che prevede la responsabilità delle persone giuridiche per la commissione di condotte criminose previste dalla Convenzione, compiute in loro nome da persone esercitanti un potere di direzione. Inoltre, l’art. 22, par. 2 prevede che sussista la responsabilità delle persone giuridiche anche qualora la persona che esercita il potere di direzione abbia omesso di controllare o di supervisionare l’attività di un impiegato.
Il capitolo quinto della Convenzione contiene le disposizioni che servono a rendere le procedure penali interne degli Stati conformi allo scopo di proteggere le vittime della tratta e di favorire le indagini contro i trafficanti. L’art. 27, par.1 stabilisce che le autorità competenti di ogni Stato parte possano procedere contro i reati previsti dalla Convenzione ex officio, senza che sia necessaria la denuncia della vittima. L’obiettivo di tale disposizione è di evitare che gli autori dell’infrazione esercitino pressioni e minacce nei confronti delle vittime al fine di impedire loro di rivolgersi alle autorità competenti. L’art. 27, par. 2, mira a facilitare la possibilità, per la vittima di un reato commesso in uno Stato diverso da quello di residenza, di effettuare la propria denuncia dinanzi alle autorità competenti dello Stato di residenza. Se queste ultime non esercitano la propria competenza, la denuncia è trasmessa senza indugio all’autorità competente dello Stato sul cui territorio l’infrazione è stata commessa. La trasmissione della denuncia non implica per lo Stato di residenza alcun obbligo di instaurare un’indagine od un procedimento penale.
Ai sensi dell’art. 28, gli Stati parti sono tenuti a prendere le misure necessarie per assicurare una protezione effettiva ed adeguata alle vittime, ai collaboratori di giustizia, ai testimoni, così come ai membri delle loro famiglie, ma anche ai membri delle organizzazioni non-governative che operano nel settore della lotta contro la tratta.
L’art. 29 riguarda la creazione da parte degli Stati di organismi e strutture specializzate nella lotta alla tratta: in particolare, il par. 5 prevede la possibilità di istituire Relatori nazionali, dotati del requisito dell’indipendenza, con il compito di monitorare l’attività di lotta alla tratta e di controllare l’attuazione della legislazione nazionale, come è avvenuto nei Paesi-Bassi.
L’art. 30 ha come oggetto l’obbligo degli Stati parti di garantire la sicurezza e la protezione della vita privata delle vittime della tratta durante i procedimenti giudiziari, in conformità con il proprio ordinamento interno, avendo particolare riguardo agli interessi ed ai bisogni dei minori. Pertanto, la disposizione obbliga gli Stati al raggiungimento del risultato di salvaguardare la vita e la sicurezza delle vittime, ma li lascia liberi di scegliere le misure più idonee per realizzare tale obiettivo. L’art. 30, par. 1 specifica che le misure adottate dagli Stati parti per realizzare l’obiettivo posto dalla norma debbano essere prese in conformità con l’art. 6 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo, al fine di assicurare l’equilibrio tra diritti della difesa ed interessi dei testimoni e delle vittime, nel rispetto del principio del giusto processo.
Infine, l’art. 31 stabilisce una serie di criteri di giurisdizione in virtù dei quali le Parti sono tenute a stabilire la propria competenza rispetto alle infrazioni previste dalla Convenzione. In particolare, nel caso della tratta può accadere che più Stati abbiano giurisdizione su alcune o su tutte le persone coinvolte nel reato: al fine di evitare sovrapposizioni e sforzi inutili, l’art. 31, par. 4 prevede che le Parti in questione procedano alla consultazione per determinare quale sia la giurisdizione più adatta nel caso di specie. L’obbligo di consultazione non è assoluto, in quanto la norma specifica che essa debba essere intrapresa quando ciò sia ritenuto opportuno. Infatti, qualora uno Stato parte reputi che la consultazione non sia necessaria o che possa nuocere alle indagini, può rifiutarla.
Il capitolo sesto della Convenzione (artt. 32-35) è dedicato alla cooperazione internazionale ed alla cooperazione con la società civile. Per quanto concerne la cooperazione internazionale, il principio generale è che le disposizioni contenute nella Convenzione non annullano né sostituiscono le disposizioni contenute negli strumenti internazionali applicabili in tema di cooperazione in materia penale.
Nell’ambito di questa parte della Convenzione degno di nota risulta essere l’art. 34, par. 2 secondo cui uno Stato parte può, nei limiti del suo diritto interno, ed in assenza di una precedente domanda, comunicare ad un altro Stato parte le informazioni ottenute nell’ambito di proprie inchieste che potrebbero risultare utili allo Stato al fine di perseguire le infrazioni previste dalla Convenzione in esame.
Il capitolo settimo disciplina una delle più importanti novità della Convenzione, ossia l’istituzione di un meccanismo di controllo il quale riposa essenzialmente su due pilastri: da una parte il Gruppo di esperti sulla lotta contro la tratta di esseri umani (“GRETA”) e dall’altra il Comitato degli Stati parti.
Per quanto riguarda il primo, previsto dall’art. 36, si tratta di un organo tecnico, composto di esperti indipendenti ed altamente qualificati nel campo dei diritti umani, dell’assistenza e della protezione delle vittime, così come nel campo della lotta contro la tratta. Il Gruppo di esperti è formato da un minimo di 10 membri a un massimo di 15, eletti dal Comitato degli Stati parti; l’art. 36, par. 2 sottolinea la necessità di assicurare nella composizione sia un equilibrio tra uomini e donne, sia un equilibrio dal punto di vista geografico. L’art. 36, par. 3 evidenzia le competenze principali che i membri del Gruppo devono possedere, così come i criteri per l’elezione, che sono essenzialmente l’indipendenza e l’esperienza. I membri devono essere cittadini degli Stati parti della Convenzione e durano in carica quattro anni, rinnovabili una volta sola. La procedura di elezione viene determinata dal Comitato dei Ministri, trattandosi di una Convenzione del Consiglio d’Europa. La funzione principale del Gruppo di esperti è quella di controllare, attraverso la formulazione di un rapporto e di conclusioni, l’applicazione della Convenzione da parte degli Stati membri.
Per quanto concerne il Comitato degli Stati parti, esso è disciplinato dall’art. 37: si tratta di un organo di natura politica composto da rappresentanti degli Stati parti della Convenzione in seno al Comitato dei Ministri e da rappresentanti degli Stati parti che non sono membri del Consiglio d’Europa. Secondo quanto stabilito dall’art. 37, par. 2, il Comitato si riunisce la prima volta entro un anno dall’entrata in vigore della Convenzione, per l’elezione dei membri del GRETA. L’istituzione di questo organo assicura la presenza ugualitaria di tutti gli Stati nel processo decisionale e nella procedura di controllo dell’applicazione della Convenzione, rafforzando la cooperazione degli Stati parti, tra loro e con il GRETA.
Infine, l’art. 38 disciplina la procedura di controllo dell’attuazione della Convenzione e l’interazione tra il GRETA ed il Comitato degli Stati parti. Il par.1 stabilisce chiaramente che la procedura è divisa in fasi e che il Gruppo di esperti determina le disposizioni oggetto del controllo. Il par. 2 prevede che il GRETA stabilisce i mezzi più idonei per condurre la propria valutazione, tra i quali la predisposizione di un questionario a cui la Parte in esame è tenuta a rispondere. Inoltre, il par. 4 indica come mezzo sussidiario di valutazione dell’attuazione della Convenzione, l’organizzazione di visite nel Paese in esame, al fine di raccogliere informazioni. Tali visite devono essere predisposte con la cooperazione delle competenti autorità locali e della “persona di contatto”, designata dallo Stato parte.
Al termine della fase di valutazione, ai sensi dell’art. 38, par. 5 il GRETA formula un rapporto, contenente il proprio giudizio sull’attuazione delle disposizioni della Convenzione, che viene trasmesso allo Stato parte interessato ed al Comitato degli Stati parti. Quest’ultimo non può modificare il rapporto del GRETA, ma può formulare raccomandazioni indicanti le misure che lo Stato parte può adottare per conformarsi alle conclusioni espresse dal GRETA e per promuovere la cooperazione al fine di applicare la Convenzione (par. 7).
Infine, gli ultimi tre capitoli della Convenzione sono dedicati, rispettivamente, ai rapporti con gli altri strumenti internazionali, agli emendamenti ed alle clausole finali, riguardanti in particolare la firma, la ratifica e l’entrata in vigore della Convenzione. A tale proposito, l’art. 42, par. 2 fissa a dieci il numero di ratifiche necessarie stabilendo che almeno otto devono provenire da Stati membri del Consiglio d’Europa, in quanto la Convenzione è aperta alla firma non solo degli Stati membri, ma anche di Stati non membri che hanno comunque partecipato all’elaborazione, come gli Stati Uniti, il Canada, il Messico, la Santa Sede, il Giappone ed il Montenegro.
Allo Stato attuale la Convenzione è stata firmata da 31 Stati, tra cui anche l’Italia, ma purtroppo solo tre Stati, Austria, Moldavia e Romania hanno proceduto alla ratifica, tra l’altro due degli Stati di origine più colpiti dal fenomeno della tratta.
Pertanto sarebbe vivamente auspicabile che tutti gli Stati che ne hanno titolo procedano al più presto alla ratifica della Convenzione che attualmente, come è risultato dall’analisi svolta, rappresenta forse lo strumento internazionale più completo in tema di tratta.
Difatti, l’obiettivo principale della Convenzione enunciato nell’art. 1 è in primo luogo quello di prevenire e combattere la tratta; in secondo luogo quello di proteggere i diritti umani delle vittime e di promuovere la cooperazione internazionale nella lotta al fenomeno. A tale scopo, la Convenzione si applica a tutte le forme di tratta, indipendentemente dal fatto che comportino l’attraversamento dei confini nazionali, o siano collegate alla criminalità organizzata, o riguardino come vittime uomini, donne o bambini (art. 2). Ne risulta un ambito di applicazione più ampio e globale rispetto al Protocollo di Palermo sulla prevenzione, l’eliminazione e la punizione della tratta di persone, allegato alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità transnazionale organizzata, che viene richiamato nel Preambolo della Convenzione in esame. Infatti, per il tramite del richiamo all’art. 3, par. 1 della Convenzione di Palermo da parte dell’art. 1, par. 2 del Protocollo, quest’ultimo si applica solo a determinate infrazioni che siano di natura transnazionale e che coinvolgano un gruppo criminale organizzato.
Tuttavia, al Protocollo di Palermo è attribuito un ruolo determinante, testimoniato dal fatto che la definizione di tratta contenuta nella Convenzione del Consiglio d’Europa si fonda su quella dell’art. 3, lett. a) del Protocollo. Inoltre, la Convenzione sulla lotta contro la tratta si pone nell’ottica di completamento e di sviluppo delle disposizioni contenute nel Protocollo di Palermo (art. 39), più orientate alla prevenzione del crimine organizzato, definendo chiaramente la tratta come, prima di tutto, una violazione dei diritti della persona umana ponendo l’accento sulla protezione delle vittime che deve essere assicurata dagli Stati parti senza alcuna discriminazione di sesso, razza, colore, lingua, religione, opinioni politiche o altre, origine nazionale o sociale, appartenenza a una minoranza nazionale, proprietà, nascita o altra situazione (art. 3).
La Convenzione si compone di dieci capitoli; il primo è dedicato all’oggetto, al campo di applicazione, al principio di non-discriminazione ed alla definizione di tratta, contenuta nell’art. 4, che, come già detto è analogo alla corrispondente norma del Protocollo di Palermo, con la sola differenza che l’art. 4, lett. e) della Convenzione definisce espressamente la vittima, come “any natural person who is subject to trafficking in human beings as defined in this article”.
Il capitolo secondo della Convenzione (artt. 5-9) è dedicato invece alle misure per la prevenzione e la cooperazione. In particolare, l’art. 7 stabilisce che gli Stati devono adottare le misure legislative idonee al fine di evitare che i mezzi di trasporto dei vettori commerciali siano utilizzati per la commissione dei reati previsti nel capitolo quarto della Convenzione (par. 2), stabilendo per tale categoria l’obbligo di assicurarsi che tutti i passeggeri siano in possesso di documenti idonei ad entrare nello Stato di destinazione, pena l’inflizione di sanzioni in caso di violazione (parr. 3 e 4).
Nel capitolo terzo, che costituisce una delle parti più significative ed innovative della Convenzione, sono contenute le disposizioni sulla protezione e sull’assistenza delle vittime della tratta. Alcune di tali norme si applicano a tutte le vittime (artt. 10, 11, 12, 15 e 16), altre riguardano in particolare le vittime presenti irregolarmente nel territorio dello Stato di destinazione, o quelle che si trovano in una situazione regolare perché godono di un permesso di soggiorno di breve durata (artt. 13 e 14). Inoltre, alcune disposizioni prendono in considerazione anche i soggetti che, sebbene non ancora identificati formalmente come vittime, si può ragionevolmente prevedere che lo siano (art. 10, par. 2, art. 12, parr. 1 e 2, art. 13).
È utile soffermarsi sull’analisi di alcuni degli otto articoli di cui consta il capitolo terzo. L’art.10 riguarda l’identificazione delle vittime della tratta, presupposto indispensabile ai fini dell’applicazione della protezione prevista dalla Convenzione. A tal fine gli Stati parti devono assicurarsi che le autorità competenti che entrano in contatto con le vittime dispongano di persone qualificate e formate nell’ottica della prevenzione e della lotta contro la tratta. Inoltre, il par. 2 pone agli Stati parti l’obbligo di garantire che, qualora le autorità competenti abbiano ragionevoli motivi di ritenere che una persona sia stata vittima della tratta, non la espellano finché la procedura per l’imputazione del reato in questione non sia completata. In particolare, l’art. 10, par. 3 stabilisce che se l’età della vittima è incerta e sussistono motivi per ritenere che essa sia un minore, opera una presunzione in tal senso ed al minore devono essere accordate le misure speciali di protezione durante l’accertamento dell’età. Inoltre, sempre nell’ottica di tutela dei minori, l’art. 10, par. 4 stabilisce che non appena un minore non accompagnato sia riconosciuto come vittima della tratta, ogni Stato parte deve provvedere a farlo rappresentare da un tutore, da un’organizzazione o da un’autorità che agisce nell’interesse superiore del minore; a prendere le misure necessarie per procedere alla sua identificazione e a fare ogni sforzo per rintracciare la famiglia, qualora ciò sia nell’interesse del minore. La specificazione è dovuta al fatto che molto spesso è proprio nella famiglia di origine che la tratta ha il suo inizio.
L’art. 11 riguarda invece la protezione della vita privata delle vittime, mentre l’art. 12 concerne l’assistenza alle vittime. L’art. 13 è applicabile in particolare alle vittime della tratta che siano illegalmente presenti nel territorio di uno Stato parte, o che pur presenti legalmente abbiano un permesso di soggiorno di breve durata. Tali soggetti, una volta identificati, sono estremamente vulnerabili perché esposti alla possibilità dell’espulsione dal territorio dello Stato. Pertanto, l’art. 13 introduce la previsione di un periodo di riflessione e di recupero che deve essere di almeno trenta giorni. Tale periodo di riflessione costituisce un’importante garanzia per le vittime e soddisfa vari scopi. Uno di questi è di consentire alle vittime di sfuggire all’influenza dei trafficanti e di decidere se cooperare nelle indagini.
Il successivo art. 14 prevede che alle vittime della tratta sia concesso un permesso di soggiorno rinnovabile qualora sussistano due presupposti, uno dei quali riguarda la situazione personale, mentre l’altro attiene alla possibilità della cooperazione nelle indagini. Tale disposizione risulta importante perché consente la concessione del permesso di soggiorno, non solo sulla base della cooperazione con le autorità competenti, ma anche in funzione della situazione personale della vittima, avendo riguardo alla sua sicurezza, alla salute o alla situazione familiare; la norma differenzia inoltre la Convenzione in esame da molti degli strumenti sulla tratta, sia nazionali che internazionali che invece subordinano la concessione del permesso di soggiorno al solo presupposto della volontà della vittima di cooperare con la giustizia.
Infine, l’art. 16, in parte ispirato all’art. 8 del Protocollo di Palermo, pone l’obbligo per gli Stati parti, quando la vittima sia un proprio cittadino oppure quando abbia un diritto di soggiorno permanente, di facilitare ed accettare il rimpatrio da altro Stato senza un irragionevole ed ingiustificato ritardo, nonché di favorire il reinserimento sociale, in particolare dei minori.
Il capitolo quarto della Convenzione comprende nove articoli e riguarda l’obbligo di incriminare determinate condotte all’interno delle legislazioni degli Stati parti.
L’art. 18 stabilisce che gli Stati devono adottare tutte le misure necessarie al fine di incriminare la condotta prevista dall’art. 4 della Convenzione, ossia il reato di tratta, quando commessa intenzionalmente. L’art. 19 stabilisce invece per gli Stati la possibilità di incriminare la condotta di chi consapevolmente sfrutti i servizi di una vittima della tratta, mentre l’art. 20 prevede l’incriminazione di determinate condotte relative ai documenti di viaggio o di identità, quando siano volte a favorire il reato di tratta. Di particolare rilevanza è l’art. 22 che prevede la responsabilità delle persone giuridiche per la commissione di condotte criminose previste dalla Convenzione, compiute in loro nome da persone esercitanti un potere di direzione. Inoltre, l’art. 22, par. 2 prevede che sussista la responsabilità delle persone giuridiche anche qualora la persona che esercita il potere di direzione abbia omesso di controllare o di supervisionare l’attività di un impiegato.
Il capitolo quinto della Convenzione contiene le disposizioni che servono a rendere le procedure penali interne degli Stati conformi allo scopo di proteggere le vittime della tratta e di favorire le indagini contro i trafficanti. L’art. 27, par.1 stabilisce che le autorità competenti di ogni Stato parte possano procedere contro i reati previsti dalla Convenzione ex officio, senza che sia necessaria la denuncia della vittima. L’obiettivo di tale disposizione è di evitare che gli autori dell’infrazione esercitino pressioni e minacce nei confronti delle vittime al fine di impedire loro di rivolgersi alle autorità competenti. L’art. 27, par. 2, mira a facilitare la possibilità, per la vittima di un reato commesso in uno Stato diverso da quello di residenza, di effettuare la propria denuncia dinanzi alle autorità competenti dello Stato di residenza. Se queste ultime non esercitano la propria competenza, la denuncia è trasmessa senza indugio all’autorità competente dello Stato sul cui territorio l’infrazione è stata commessa. La trasmissione della denuncia non implica per lo Stato di residenza alcun obbligo di instaurare un’indagine od un procedimento penale.
Ai sensi dell’art. 28, gli Stati parti sono tenuti a prendere le misure necessarie per assicurare una protezione effettiva ed adeguata alle vittime, ai collaboratori di giustizia, ai testimoni, così come ai membri delle loro famiglie, ma anche ai membri delle organizzazioni non-governative che operano nel settore della lotta contro la tratta.
L’art. 29 riguarda la creazione da parte degli Stati di organismi e strutture specializzate nella lotta alla tratta: in particolare, il par. 5 prevede la possibilità di istituire Relatori nazionali, dotati del requisito dell’indipendenza, con il compito di monitorare l’attività di lotta alla tratta e di controllare l’attuazione della legislazione nazionale, come è avvenuto nei Paesi-Bassi.
L’art. 30 ha come oggetto l’obbligo degli Stati parti di garantire la sicurezza e la protezione della vita privata delle vittime della tratta durante i procedimenti giudiziari, in conformità con il proprio ordinamento interno, avendo particolare riguardo agli interessi ed ai bisogni dei minori. Pertanto, la disposizione obbliga gli Stati al raggiungimento del risultato di salvaguardare la vita e la sicurezza delle vittime, ma li lascia liberi di scegliere le misure più idonee per realizzare tale obiettivo. L’art. 30, par. 1 specifica che le misure adottate dagli Stati parti per realizzare l’obiettivo posto dalla norma debbano essere prese in conformità con l’art. 6 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo, al fine di assicurare l’equilibrio tra diritti della difesa ed interessi dei testimoni e delle vittime, nel rispetto del principio del giusto processo.
Infine, l’art. 31 stabilisce una serie di criteri di giurisdizione in virtù dei quali le Parti sono tenute a stabilire la propria competenza rispetto alle infrazioni previste dalla Convenzione. In particolare, nel caso della tratta può accadere che più Stati abbiano giurisdizione su alcune o su tutte le persone coinvolte nel reato: al fine di evitare sovrapposizioni e sforzi inutili, l’art. 31, par. 4 prevede che le Parti in questione procedano alla consultazione per determinare quale sia la giurisdizione più adatta nel caso di specie. L’obbligo di consultazione non è assoluto, in quanto la norma specifica che essa debba essere intrapresa quando ciò sia ritenuto opportuno. Infatti, qualora uno Stato parte reputi che la consultazione non sia necessaria o che possa nuocere alle indagini, può rifiutarla.
Il capitolo sesto della Convenzione (artt. 32-35) è dedicato alla cooperazione internazionale ed alla cooperazione con la società civile. Per quanto concerne la cooperazione internazionale, il principio generale è che le disposizioni contenute nella Convenzione non annullano né sostituiscono le disposizioni contenute negli strumenti internazionali applicabili in tema di cooperazione in materia penale.
Nell’ambito di questa parte della Convenzione degno di nota risulta essere l’art. 34, par. 2 secondo cui uno Stato parte può, nei limiti del suo diritto interno, ed in assenza di una precedente domanda, comunicare ad un altro Stato parte le informazioni ottenute nell’ambito di proprie inchieste che potrebbero risultare utili allo Stato al fine di perseguire le infrazioni previste dalla Convenzione in esame.
Il capitolo settimo disciplina una delle più importanti novità della Convenzione, ossia l’istituzione di un meccanismo di controllo il quale riposa essenzialmente su due pilastri: da una parte il Gruppo di esperti sulla lotta contro la tratta di esseri umani (“GRETA”) e dall’altra il Comitato degli Stati parti.
Per quanto riguarda il primo, previsto dall’art. 36, si tratta di un organo tecnico, composto di esperti indipendenti ed altamente qualificati nel campo dei diritti umani, dell’assistenza e della protezione delle vittime, così come nel campo della lotta contro la tratta. Il Gruppo di esperti è formato da un minimo di 10 membri a un massimo di 15, eletti dal Comitato degli Stati parti; l’art. 36, par. 2 sottolinea la necessità di assicurare nella composizione sia un equilibrio tra uomini e donne, sia un equilibrio dal punto di vista geografico. L’art. 36, par. 3 evidenzia le competenze principali che i membri del Gruppo devono possedere, così come i criteri per l’elezione, che sono essenzialmente l’indipendenza e l’esperienza. I membri devono essere cittadini degli Stati parti della Convenzione e durano in carica quattro anni, rinnovabili una volta sola. La procedura di elezione viene determinata dal Comitato dei Ministri, trattandosi di una Convenzione del Consiglio d’Europa. La funzione principale del Gruppo di esperti è quella di controllare, attraverso la formulazione di un rapporto e di conclusioni, l’applicazione della Convenzione da parte degli Stati membri.
Per quanto concerne il Comitato degli Stati parti, esso è disciplinato dall’art. 37: si tratta di un organo di natura politica composto da rappresentanti degli Stati parti della Convenzione in seno al Comitato dei Ministri e da rappresentanti degli Stati parti che non sono membri del Consiglio d’Europa. Secondo quanto stabilito dall’art. 37, par. 2, il Comitato si riunisce la prima volta entro un anno dall’entrata in vigore della Convenzione, per l’elezione dei membri del GRETA. L’istituzione di questo organo assicura la presenza ugualitaria di tutti gli Stati nel processo decisionale e nella procedura di controllo dell’applicazione della Convenzione, rafforzando la cooperazione degli Stati parti, tra loro e con il GRETA.
Infine, l’art. 38 disciplina la procedura di controllo dell’attuazione della Convenzione e l’interazione tra il GRETA ed il Comitato degli Stati parti. Il par.1 stabilisce chiaramente che la procedura è divisa in fasi e che il Gruppo di esperti determina le disposizioni oggetto del controllo. Il par. 2 prevede che il GRETA stabilisce i mezzi più idonei per condurre la propria valutazione, tra i quali la predisposizione di un questionario a cui la Parte in esame è tenuta a rispondere. Inoltre, il par. 4 indica come mezzo sussidiario di valutazione dell’attuazione della Convenzione, l’organizzazione di visite nel Paese in esame, al fine di raccogliere informazioni. Tali visite devono essere predisposte con la cooperazione delle competenti autorità locali e della “persona di contatto”, designata dallo Stato parte.
Al termine della fase di valutazione, ai sensi dell’art. 38, par. 5 il GRETA formula un rapporto, contenente il proprio giudizio sull’attuazione delle disposizioni della Convenzione, che viene trasmesso allo Stato parte interessato ed al Comitato degli Stati parti. Quest’ultimo non può modificare il rapporto del GRETA, ma può formulare raccomandazioni indicanti le misure che lo Stato parte può adottare per conformarsi alle conclusioni espresse dal GRETA e per promuovere la cooperazione al fine di applicare la Convenzione (par. 7).
Infine, gli ultimi tre capitoli della Convenzione sono dedicati, rispettivamente, ai rapporti con gli altri strumenti internazionali, agli emendamenti ed alle clausole finali, riguardanti in particolare la firma, la ratifica e l’entrata in vigore della Convenzione. A tale proposito, l’art. 42, par. 2 fissa a dieci il numero di ratifiche necessarie stabilendo che almeno otto devono provenire da Stati membri del Consiglio d’Europa, in quanto la Convenzione è aperta alla firma non solo degli Stati membri, ma anche di Stati non membri che hanno comunque partecipato all’elaborazione, come gli Stati Uniti, il Canada, il Messico, la Santa Sede, il Giappone ed il Montenegro.
Allo Stato attuale la Convenzione è stata firmata da 31 Stati, tra cui anche l’Italia, ma purtroppo solo tre Stati, Austria, Moldavia e Romania hanno proceduto alla ratifica, tra l’altro due degli Stati di origine più colpiti dal fenomeno della tratta.
Pertanto sarebbe vivamente auspicabile che tutti gli Stati che ne hanno titolo procedano al più presto alla ratifica della Convenzione che attualmente, come è risultato dall’analisi svolta, rappresenta forse lo strumento internazionale più completo in tema di tratta.