CITTADINANZA EUROPEA E COMPETENZE STATALI IN MATERIA DI DIRITTO DI VOTO AL PE
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di Egeria NALIN
Con
le sentenze del 12 settembre 2006, Regno di Spagna c. Regno Unito di
Gran Bretagna e Irlanda del Nord, in causa C-145/04, e Eman e Sevinger
c. College van burgemeester en wethouders van Den Haag, in causa
C-300/04, la CGCE si è pronunciata sulla competenza degli Stati membri
di determinare i titolari del diritto di voto e di eleggibilità al PE.
Nel primo caso, la Spagna ha presentato un ricorso per infrazione, ex art. 227 TCE, per violazione da parte del Regno Unito degli artt. 189, 190, 17 e 19 TCE, nonché dell’atto, allegato alla decisione del Consiglio 76/787/CECA, CEE, Euratom, del 20 settembre 1976, relativo all’elezione dei rappresentanti al PE a suffragio universale diretto; la violazione sarebbe stata realizzata con lo European Parliament Representation Act (EPRA), emanato l’8 maggio 2003 in ottemperanza alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 18 febbraio 1999, relativa al caso Matthews.
Come è noto, secondo la Corte europea la mancata creazione, da parte del Regno Unito, di circoscrizioni elettorali per il PE a Gibilterra impediva, di fatto, l’esercizio di tale diritto di voto alle persone ivi residenti e costituiva una violazione dell’art. 3 del Protocollo n. 1 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), del 4 novembre 1950, norma che prevede l’obbligo di organizzare elezioni libere per consentire al popolo la scelta del corpo legislativo. Su queste basi, l’EPRA ha attribuito il diritto di elettorato attivo e passivo per il PE alle persone residenti a Gibilterra, che siano cittadine europee o del Commonwealth (qualifying Commonwealth citizen, QCC). Nel ricorso, la Spagna ha affermato che tale legge attributiva del diritto di voto a cittadini non britannici violi le norme comunitarie sopra richiamate, nella parte in cui stabiliscono un legame tra la cittadinanza europea e il diritto di voto al PE. La CGCE, accogliendo la tesi del Regno Unito (sostenuto in ciò dalla Commissione), ha invece negato che le norme in questione richiedano un nesso specifico tra la cittadinanza europea e il diritto di elettorato attivo e passivo al PE. Infatti, secondo la Corte, gli artt. 189 e 190 si limitano a indicare che il PE è composto dai rappresentanti dei popoli, termine che non identifica i soli cittadini, poiché può assumere valenze diverse nei vari Paesi membri; l’art. 190, par. 4, prescrive che si voti a suffragio universale; il citato atto del 1976 (art. 8) ri-mette alle disposizioni nazionali le procedure elettorali, salvi il carattere proporzionale del voto e l’elezione a suffragio universale diretto; infine, l’art. 17, relativo alla cittadinanza, non si occupa del diritto di voto e il successivo art. 19 lo fa per consacrare il divieto di discriminazione tra cittadini europei, attribuendo il diritto di voto a ciascuno nell’ambito del Paese di residenza, alle stesse condizioni dei cittadini. In altri termini, per indicazione della Corte, nessuna delle disposizioni da ultimo citate è idonea ad escludere che il diritto di voto possa essere concesso dagli Stati membri a soggetti che possiedano stretti legami con essi, pur non essendo cittadini. Ciò sarebbe confermato dalla circostanza che l’art. 17, par. 2, disciplina il diritto di petizione e di ricorso al mediatore europeo, che sono esercitabili da ogni persona fisica o giuridica con residenza o sede in un Paese dell’Unione, cosicché né i diritti contemplati dal Trattato sono riservati ai cittadini, né lo sono, nello specifico, i diritti attribuiti al cittadino dell’Unione. La Corte ha affermato che rientra nella competenza esclusiva dello Stato membro determinare gli aventi diritto al voto attivo e passivo nell’elezione del PE e che il diritto comunitario non osta alla concessione di tale diritto alle persone che siano strettamente legate agli Stati dell’Unione senza esserne cittadini.
Con un secondo motivo di censura, la Spagna ha lamentato altresì che, a seguito dell’inserimento del territorio di Gibilterra in una circoscrizione elettorale inglese esistente, si sia realizzata un’applicazione territoriale delle disposizioni relative alle elezioni del PE, in violazione dell’atto del 1976 che esclude tale territorio dal suo ambito di applicazione. La Corte ha respinto anche questo secondo motivo di ricorso, sostenendo che la sentenza della Corte europea obbligava il Regno Unito a consentire agli elettori di Gibilterra di esercitare il diritto di voto alle stesse condizioni di quelli residenti nel Regno Unito. A giudizio della CGCE, le modifiche alla normativa esistente, introdotte con le misure contestate dalla Spagna, sarebbero necessarie per eliminare le difficoltà che altrimenti scoraggerebbero o impedirebbero l’esercizio del diritto di voto e per rendere effettivo il diritto in questione, così come richiesto dalla Corte europea.
La seconda sentenza scaturisce da una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta, ai sensi dell’art. 234 TCE, dal giudice dei Paesi Bassi, di fronte al quale pendeva una controversia tra due cittadini olandesi residenti ad Aruba e il College van burgemeester en wethouders van Den Haag che aveva loro rifiutato, a causa della residenza, l’iscrizione nei registri elettorali ai fini dell’elezione dei membri del PE del 10 giugno 2004. In particolare, alla CGCE è stato richiesto di interpretare gli artt. 17, 19, par. 2, 189, 190 e 299, par. 3, TCE. Quest’ultima disposizione stabilisce che i Paesi e i territori d’oltremare elencati nell’allegato II al TCE, tra i quali figurano le Antille olandesi e Aruba, sono sottoposti ad uno speciale regime di associazione previsto nella parte quarta dello stesso TCE.
Con la prima e la seconda questione pregiudiziale, si chiedeva se alle persone in possesso della cittadinanza dei Paesi Bassi, residenti ad Aruba o nelle Antille olandesi, fosse applicabile la parte seconda del TCE, intitolata “Cittadinanza dell’Unione”; inoltre, in caso di risposta negativa, se lo Stato fosse libero di riconoscere la propria nazionalità alle persone residenti in tali territori ai sensi dell’art. 17, par. 1, seconda frase, che attribuisce la cittadinanza europea a tutti i cittadini degli Stati membri. Dalla norma in questione, che prevede l’attribuzione della cittadinanza europea a prescindere dal luogo di residenza di coloro che siano cittadini di uno Stato membro, nonché dall’art. 17, par. 2, che attribuisce ai cittadini dell’Unione i diritti e doveri previsti dal TCE, la Corte ha desunto l’applicabilità della parte seconda del Trattato anche ai cittadini olandesi residenti ad Aruba; questi dunque, in linea di principio, possono far valere i diritti ivi previsti. In tal modo la CGCE ha, da una parte, respinto la tesi dei Paesi Bassi, secondo la quale la ratifica del TCE e del TUE da parte dei Paesi Bassi non avrebbe valore per i territori indicati nell’allegato IV TCE, cosicché i cittadini olandesi potrebbero esercitare i diritti legati alla cittadinanza europea solo se residenti nei Paesi Bassi; dall’altra, ha ritenuto superfluo pronunciarsi sulla seconda questione, già subordinata a una risposta negativa alla prima.
Con la terza questione, il ricorrente ha chiesto se l’art. 19, par. 2, debba essere interpretato alla luce degli artt. 189 e 190, par. 1, TCE nel senso che un cittadino dell’Unione che abbia la residenza o il domicilio in uno dei territori indicati nell’allegato IV goda necessariamente del diritto di elettorato attivo e passivo per il PE. Ricordato che la normativa comunitaria non individua i titolari di tale diritto e non riconosce al cittadino europeo un diritto di voto attivo e passivo incondizionato per l’elezione del PE (limitandosi a stabilire che si voti a suffragio universale diretto, con sistema proporzionale e secondo le procedure disciplinate da ciascuno Stato membro), nonché che il termine popoli utilizzato dagli artt. 189 e 190 per definire la composizione del PE non è indicativo in proposito, la Corte ha confermato che ciascuno Stato, nel rispetto del diritto comunitario, è libero di determinare a chi spetti il diritto di voto in discorso. Secondo la CGCE, la normativa olandese in materia, subordinando l’esercizio del diritto di voto da parte dei residenti ad Aruba alle medesime condizioni per PE e istituzioni nazionali (la legge elettorale nazionale ha scelto di concedere il diritto di voto ai residenti di Aruba e delle Antille olandesi che abbiano abitato nei Paesi Bassi per più di dieci anni) non è in contrasto con la normativa comunitaria e, in particolare, con l’art. 19, par. 2, che fissa il principio di non discriminazione per cittadini dell’UE residenti in Paesi membri diversi da quello di residenza. Ciò in quanto ad Aruba si applica lo speciale regime di associazione, mentre le disposizioni generali del TCE rilevano solo ove sia esplicitamente previsto. Ne discende che, come già indicato dal governo olandese, il PE non è un organo legislativo per Aruba, non vale il diritto di voto sancito a riguardo dall’art. 3 del Protocollo n. 1 della CEDU e gli Stati non sono tenuti a organizzare in tale territorio le elezioni del PE. In particolare, la CCGE ha ammesso che il criterio della residenza sul territorio nel quale le elezioni sono organizzate possa essere idoneo a circoscrivere gli aventi diritto al voto attivo e passivo per il PE, perché, come sostenuto dall’Avvocato generale Tizzano (conclusioni, par. 157) e dalla Corte europea (sentenza del 19 ottobre 2004, Melnitchenko c. Ucraina, par. 56), i cittadini residenti presentano legami sufficientemente stretti o continui con il Paese, mentre un cittadino non residente non è direttamente colpito dagli atti degli organi politici da eleggere ed è meno coinvolto dai problemi quotidiani del luogo.
Dopo aver riconosciuto che rientra nei parimenti nella discrezionalità dello Stato l’estensione del diritto di voto anche ai cittadini residenti in un Paese terzo o in un territorio indicato nell’allegato IV, la CGCE ha comunque ravvisato nel principio di parità di trattamento un limite alla discrezionalità statale nell’attribuzione del diritto di elettorato attivo e passivo per il PE. Infatti, affrontando la questione se, nel riconoscere il diritto di voto ai cittadini residenti in uno Stato terzo e non a quelli residenti ad Aruba, la normativa dei Paesi Bassi realizzasse una violazione del principio di non discriminazione, la Corte ha ritenuto non sufficientemente provato dal governo olandese che il diverso trattamento si giustifichi in virtù del legame che i residenti in Paesi terzi conservano con i Paesi Bassi, perché tale legame può persistere anche per i residenti ad Aruba.
Infine, la Corte si è pronunciata sulla questione relativa all’esistenza di condizioni, nell’ambito del diritto comunitario, circa la natura della riparazione nazionale da offrire qualora il giudice interno dovesse ritenere, alla luce della sentenza interpretativa della CGCE, che è stato illegittimamente negato il diritto di voto al PE per i residenti ad Aruba. La Corte ha ribadito la competenza degli Stati a individuare i rimedi applicabili a riguardo, con i soli limiti dei principi di equivalenza, rispetto ad analoghe azioni per far valere i diritti fondati sull’ordinamento nazionale, e di effettività (i rimedi non devono essere più difficoltosi di quelli previsti per garantire diritti stabiliti dall’ordinamento nazionale: Leffler, sentenza 8 novembre 2005, in causa C-443/03). Vale inoltre, a giudizio della Corte, il principio di responsabilità dello Stato membro, il quale è tenuto a risarcire il danno causato al singolo da violazioni del diritto comunitario ad esso imputabili, allorché la norma giuridica violata abbia lo scopo di conferire diritti ai singoli in correlazione all’obbligo posto a carico dello Stato, la violazione compiuta sia sufficientemente qualificata e sia legata al danno subito da un nesso di causalità diretta (Brasserie du pêcheur e Factortame, sentenza 5 marzo 1996, in cause riunite C-46/93 e C-48/93; Köbler, sentenza 30 settembre 2003, in causa C-224/01). Ne discende che coi soli tre limiti suddetti, spetti allo Stato stabilire quali forme di riparazione concedere in ipotesi di violazione del diritto di voto.
In conclusione, le pronunce esaminate, da una parte, si segnalano per l’incidenza della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo nel diritto comunitario, dall’altra, presentano gli spunti più interessanti soprattutto per quanto riguarda i rapporti tra cittadinanza europea e competenze statali. Invero, entrambe le sentenze confermano il quadro già delineato a partire dall’affare Micheletti (del 7 luglio 1992 in causa C-369/90), nel quale, decidendo sul diritto di stabilimento di un argentino dotato anche di cittadinanza italiana, la CGCE ha affermato che la definizione delle condizioni di acquisto e di perdita della cittadinanza rientra nella competenza di ciascuno Stato membro. Orbene, nelle sentenze in discorso la Corte ribadisce che resta saldamente nelle mani degli Stati la scelta se legare l’attribuzione (e la negazione) dei cosiddetti diritti di cittadinanza dell’Unione a un criterio meramente formale o all’esistenza di un legame sostanziale, salvo il correttivo rappresentato dal principio comunitario che vieta di trattare in modo differente situazioni analoghe. È tuttavia rilevante che al contempo la Corte riconosca, seppure incidentalmente, l’importanza e l’opportunità delle scelte statali che attribuiscono il diritto di elettorato attivo e passivo al PE sulla base del criterio di effettività, anche se, per dirla con l’Avvocato generale (conclusioni, par. 106), ciò «non ridurrà le asimmetrie determinate dalla persistente mancanza di una compiuta normativa comune. Vi saranno quindi ancora Stati membri in cui possono votare gli stranieri residenti e/o i cittadini residenti in paesi terzi, mentre in altri l’una o l’altra o entrambe le ipotesi saranno escluse. Così come, per altro verso, in alcuni Stati membri, ed in altri no, potranno votare o essere eletti cittadini di una certa età e potranno essere previste specifiche condizioni di incompatibilità o di ineleggibilità».
Nel primo caso, la Spagna ha presentato un ricorso per infrazione, ex art. 227 TCE, per violazione da parte del Regno Unito degli artt. 189, 190, 17 e 19 TCE, nonché dell’atto, allegato alla decisione del Consiglio 76/787/CECA, CEE, Euratom, del 20 settembre 1976, relativo all’elezione dei rappresentanti al PE a suffragio universale diretto; la violazione sarebbe stata realizzata con lo European Parliament Representation Act (EPRA), emanato l’8 maggio 2003 in ottemperanza alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 18 febbraio 1999, relativa al caso Matthews.
Come è noto, secondo la Corte europea la mancata creazione, da parte del Regno Unito, di circoscrizioni elettorali per il PE a Gibilterra impediva, di fatto, l’esercizio di tale diritto di voto alle persone ivi residenti e costituiva una violazione dell’art. 3 del Protocollo n. 1 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), del 4 novembre 1950, norma che prevede l’obbligo di organizzare elezioni libere per consentire al popolo la scelta del corpo legislativo. Su queste basi, l’EPRA ha attribuito il diritto di elettorato attivo e passivo per il PE alle persone residenti a Gibilterra, che siano cittadine europee o del Commonwealth (qualifying Commonwealth citizen, QCC). Nel ricorso, la Spagna ha affermato che tale legge attributiva del diritto di voto a cittadini non britannici violi le norme comunitarie sopra richiamate, nella parte in cui stabiliscono un legame tra la cittadinanza europea e il diritto di voto al PE. La CGCE, accogliendo la tesi del Regno Unito (sostenuto in ciò dalla Commissione), ha invece negato che le norme in questione richiedano un nesso specifico tra la cittadinanza europea e il diritto di elettorato attivo e passivo al PE. Infatti, secondo la Corte, gli artt. 189 e 190 si limitano a indicare che il PE è composto dai rappresentanti dei popoli, termine che non identifica i soli cittadini, poiché può assumere valenze diverse nei vari Paesi membri; l’art. 190, par. 4, prescrive che si voti a suffragio universale; il citato atto del 1976 (art. 8) ri-mette alle disposizioni nazionali le procedure elettorali, salvi il carattere proporzionale del voto e l’elezione a suffragio universale diretto; infine, l’art. 17, relativo alla cittadinanza, non si occupa del diritto di voto e il successivo art. 19 lo fa per consacrare il divieto di discriminazione tra cittadini europei, attribuendo il diritto di voto a ciascuno nell’ambito del Paese di residenza, alle stesse condizioni dei cittadini. In altri termini, per indicazione della Corte, nessuna delle disposizioni da ultimo citate è idonea ad escludere che il diritto di voto possa essere concesso dagli Stati membri a soggetti che possiedano stretti legami con essi, pur non essendo cittadini. Ciò sarebbe confermato dalla circostanza che l’art. 17, par. 2, disciplina il diritto di petizione e di ricorso al mediatore europeo, che sono esercitabili da ogni persona fisica o giuridica con residenza o sede in un Paese dell’Unione, cosicché né i diritti contemplati dal Trattato sono riservati ai cittadini, né lo sono, nello specifico, i diritti attribuiti al cittadino dell’Unione. La Corte ha affermato che rientra nella competenza esclusiva dello Stato membro determinare gli aventi diritto al voto attivo e passivo nell’elezione del PE e che il diritto comunitario non osta alla concessione di tale diritto alle persone che siano strettamente legate agli Stati dell’Unione senza esserne cittadini.
Con un secondo motivo di censura, la Spagna ha lamentato altresì che, a seguito dell’inserimento del territorio di Gibilterra in una circoscrizione elettorale inglese esistente, si sia realizzata un’applicazione territoriale delle disposizioni relative alle elezioni del PE, in violazione dell’atto del 1976 che esclude tale territorio dal suo ambito di applicazione. La Corte ha respinto anche questo secondo motivo di ricorso, sostenendo che la sentenza della Corte europea obbligava il Regno Unito a consentire agli elettori di Gibilterra di esercitare il diritto di voto alle stesse condizioni di quelli residenti nel Regno Unito. A giudizio della CGCE, le modifiche alla normativa esistente, introdotte con le misure contestate dalla Spagna, sarebbero necessarie per eliminare le difficoltà che altrimenti scoraggerebbero o impedirebbero l’esercizio del diritto di voto e per rendere effettivo il diritto in questione, così come richiesto dalla Corte europea.
La seconda sentenza scaturisce da una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta, ai sensi dell’art. 234 TCE, dal giudice dei Paesi Bassi, di fronte al quale pendeva una controversia tra due cittadini olandesi residenti ad Aruba e il College van burgemeester en wethouders van Den Haag che aveva loro rifiutato, a causa della residenza, l’iscrizione nei registri elettorali ai fini dell’elezione dei membri del PE del 10 giugno 2004. In particolare, alla CGCE è stato richiesto di interpretare gli artt. 17, 19, par. 2, 189, 190 e 299, par. 3, TCE. Quest’ultima disposizione stabilisce che i Paesi e i territori d’oltremare elencati nell’allegato II al TCE, tra i quali figurano le Antille olandesi e Aruba, sono sottoposti ad uno speciale regime di associazione previsto nella parte quarta dello stesso TCE.
Con la prima e la seconda questione pregiudiziale, si chiedeva se alle persone in possesso della cittadinanza dei Paesi Bassi, residenti ad Aruba o nelle Antille olandesi, fosse applicabile la parte seconda del TCE, intitolata “Cittadinanza dell’Unione”; inoltre, in caso di risposta negativa, se lo Stato fosse libero di riconoscere la propria nazionalità alle persone residenti in tali territori ai sensi dell’art. 17, par. 1, seconda frase, che attribuisce la cittadinanza europea a tutti i cittadini degli Stati membri. Dalla norma in questione, che prevede l’attribuzione della cittadinanza europea a prescindere dal luogo di residenza di coloro che siano cittadini di uno Stato membro, nonché dall’art. 17, par. 2, che attribuisce ai cittadini dell’Unione i diritti e doveri previsti dal TCE, la Corte ha desunto l’applicabilità della parte seconda del Trattato anche ai cittadini olandesi residenti ad Aruba; questi dunque, in linea di principio, possono far valere i diritti ivi previsti. In tal modo la CGCE ha, da una parte, respinto la tesi dei Paesi Bassi, secondo la quale la ratifica del TCE e del TUE da parte dei Paesi Bassi non avrebbe valore per i territori indicati nell’allegato IV TCE, cosicché i cittadini olandesi potrebbero esercitare i diritti legati alla cittadinanza europea solo se residenti nei Paesi Bassi; dall’altra, ha ritenuto superfluo pronunciarsi sulla seconda questione, già subordinata a una risposta negativa alla prima.
Con la terza questione, il ricorrente ha chiesto se l’art. 19, par. 2, debba essere interpretato alla luce degli artt. 189 e 190, par. 1, TCE nel senso che un cittadino dell’Unione che abbia la residenza o il domicilio in uno dei territori indicati nell’allegato IV goda necessariamente del diritto di elettorato attivo e passivo per il PE. Ricordato che la normativa comunitaria non individua i titolari di tale diritto e non riconosce al cittadino europeo un diritto di voto attivo e passivo incondizionato per l’elezione del PE (limitandosi a stabilire che si voti a suffragio universale diretto, con sistema proporzionale e secondo le procedure disciplinate da ciascuno Stato membro), nonché che il termine popoli utilizzato dagli artt. 189 e 190 per definire la composizione del PE non è indicativo in proposito, la Corte ha confermato che ciascuno Stato, nel rispetto del diritto comunitario, è libero di determinare a chi spetti il diritto di voto in discorso. Secondo la CGCE, la normativa olandese in materia, subordinando l’esercizio del diritto di voto da parte dei residenti ad Aruba alle medesime condizioni per PE e istituzioni nazionali (la legge elettorale nazionale ha scelto di concedere il diritto di voto ai residenti di Aruba e delle Antille olandesi che abbiano abitato nei Paesi Bassi per più di dieci anni) non è in contrasto con la normativa comunitaria e, in particolare, con l’art. 19, par. 2, che fissa il principio di non discriminazione per cittadini dell’UE residenti in Paesi membri diversi da quello di residenza. Ciò in quanto ad Aruba si applica lo speciale regime di associazione, mentre le disposizioni generali del TCE rilevano solo ove sia esplicitamente previsto. Ne discende che, come già indicato dal governo olandese, il PE non è un organo legislativo per Aruba, non vale il diritto di voto sancito a riguardo dall’art. 3 del Protocollo n. 1 della CEDU e gli Stati non sono tenuti a organizzare in tale territorio le elezioni del PE. In particolare, la CCGE ha ammesso che il criterio della residenza sul territorio nel quale le elezioni sono organizzate possa essere idoneo a circoscrivere gli aventi diritto al voto attivo e passivo per il PE, perché, come sostenuto dall’Avvocato generale Tizzano (conclusioni, par. 157) e dalla Corte europea (sentenza del 19 ottobre 2004, Melnitchenko c. Ucraina, par. 56), i cittadini residenti presentano legami sufficientemente stretti o continui con il Paese, mentre un cittadino non residente non è direttamente colpito dagli atti degli organi politici da eleggere ed è meno coinvolto dai problemi quotidiani del luogo.
Dopo aver riconosciuto che rientra nei parimenti nella discrezionalità dello Stato l’estensione del diritto di voto anche ai cittadini residenti in un Paese terzo o in un territorio indicato nell’allegato IV, la CGCE ha comunque ravvisato nel principio di parità di trattamento un limite alla discrezionalità statale nell’attribuzione del diritto di elettorato attivo e passivo per il PE. Infatti, affrontando la questione se, nel riconoscere il diritto di voto ai cittadini residenti in uno Stato terzo e non a quelli residenti ad Aruba, la normativa dei Paesi Bassi realizzasse una violazione del principio di non discriminazione, la Corte ha ritenuto non sufficientemente provato dal governo olandese che il diverso trattamento si giustifichi in virtù del legame che i residenti in Paesi terzi conservano con i Paesi Bassi, perché tale legame può persistere anche per i residenti ad Aruba.
Infine, la Corte si è pronunciata sulla questione relativa all’esistenza di condizioni, nell’ambito del diritto comunitario, circa la natura della riparazione nazionale da offrire qualora il giudice interno dovesse ritenere, alla luce della sentenza interpretativa della CGCE, che è stato illegittimamente negato il diritto di voto al PE per i residenti ad Aruba. La Corte ha ribadito la competenza degli Stati a individuare i rimedi applicabili a riguardo, con i soli limiti dei principi di equivalenza, rispetto ad analoghe azioni per far valere i diritti fondati sull’ordinamento nazionale, e di effettività (i rimedi non devono essere più difficoltosi di quelli previsti per garantire diritti stabiliti dall’ordinamento nazionale: Leffler, sentenza 8 novembre 2005, in causa C-443/03). Vale inoltre, a giudizio della Corte, il principio di responsabilità dello Stato membro, il quale è tenuto a risarcire il danno causato al singolo da violazioni del diritto comunitario ad esso imputabili, allorché la norma giuridica violata abbia lo scopo di conferire diritti ai singoli in correlazione all’obbligo posto a carico dello Stato, la violazione compiuta sia sufficientemente qualificata e sia legata al danno subito da un nesso di causalità diretta (Brasserie du pêcheur e Factortame, sentenza 5 marzo 1996, in cause riunite C-46/93 e C-48/93; Köbler, sentenza 30 settembre 2003, in causa C-224/01). Ne discende che coi soli tre limiti suddetti, spetti allo Stato stabilire quali forme di riparazione concedere in ipotesi di violazione del diritto di voto.
In conclusione, le pronunce esaminate, da una parte, si segnalano per l’incidenza della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo nel diritto comunitario, dall’altra, presentano gli spunti più interessanti soprattutto per quanto riguarda i rapporti tra cittadinanza europea e competenze statali. Invero, entrambe le sentenze confermano il quadro già delineato a partire dall’affare Micheletti (del 7 luglio 1992 in causa C-369/90), nel quale, decidendo sul diritto di stabilimento di un argentino dotato anche di cittadinanza italiana, la CGCE ha affermato che la definizione delle condizioni di acquisto e di perdita della cittadinanza rientra nella competenza di ciascuno Stato membro. Orbene, nelle sentenze in discorso la Corte ribadisce che resta saldamente nelle mani degli Stati la scelta se legare l’attribuzione (e la negazione) dei cosiddetti diritti di cittadinanza dell’Unione a un criterio meramente formale o all’esistenza di un legame sostanziale, salvo il correttivo rappresentato dal principio comunitario che vieta di trattare in modo differente situazioni analoghe. È tuttavia rilevante che al contempo la Corte riconosca, seppure incidentalmente, l’importanza e l’opportunità delle scelte statali che attribuiscono il diritto di elettorato attivo e passivo al PE sulla base del criterio di effettività, anche se, per dirla con l’Avvocato generale (conclusioni, par. 106), ciò «non ridurrà le asimmetrie determinate dalla persistente mancanza di una compiuta normativa comune. Vi saranno quindi ancora Stati membri in cui possono votare gli stranieri residenti e/o i cittadini residenti in paesi terzi, mentre in altri l’una o l’altra o entrambe le ipotesi saranno escluse. Così come, per altro verso, in alcuni Stati membri, ed in altri no, potranno votare o essere eletti cittadini di una certa età e potranno essere previste specifiche condizioni di incompatibilità o di ineleggibilità».