L'OBBLIGO DI SALVATAGGIO IN MARE E LA SOLIDARIETA' ECONOMICA TRA STATI: A MARGINE DEL CASO PINAR
Archivio > Anno 2009 > Ottobre 2009
di Chiara GABRIELLI (Dottoranda in “Diritto europeo su base comparatistica” nell’Università Roma Tre)
1.
Il soccorso della nave privata Pinar con bandiera panamense ad un
gruppo di migranti naufraghi su due barconi nelle acque internazionali
del canale di Sicilia, ha dato luogo ad un’aspra controversia tra Italia
e Malta. Negli ultimi anni, situazioni di crisi sono state frequenti al
limite delle acque territoriali italiane a sud dell’isola di Lampedusa
nella zona di salvataggio in mare (Sar) di competenza di Malta. Dopo
affermazioni contrastanti tra i due governi, le autorità italiane
consentivano lo sbarco della nave in Sicilia affermando di concedere
l’autorizzazione, solo sulla base di motivazioni umanitarie, mentre
negavano l’esistenza di condizioni di “luogo sicuro” per lo sbarco nella
più vicina isola di Lampedusa. La motivazione relativa all’affollamento
del locale centro di accoglienza degli immigrati, si univa all’evidente
volontà di evitare il consolidamento di una prassi di acquiescenza.
In modo abbastanza paradossale, la controversia è nata proprio dopo l’iniziativa comune degli Stati membri “frontisti” nel Mediterraneo sud-orientale (Italia, Malta, Cipro, Gre-cia) rivolta al Consiglio Gai, ed in occasione della Conferenza panmediterranea sull’immigrazione clandestina e sulla sicurezza delle frontiere esterne. Nell’occasione la Commissione europea ha esercitato i buoni uffici per trovare una soluzione operativa alla vicenda in atto.
2. Dal punto di vista del diritto internazionale, la controversia riguarda le questioni della definizione e dei poteri nella zona di competenza per il salvataggio in mare. Secondo il diritto internazionale (art. 98, par. 2 UNCLOS; Convenzione SOLAS del 1974, annex, cap. V, reg. 7, par.1; Convenzione Sar del 1979, annex, cap. 2), tutti gli Stati costieri hanno l’obbligo di promuovere l’istituzione, l’attivazione ed il mantenimento di un adeguato ed effettivo servizio di ricerca e soccorso relativo alla sicurezza in mare entro una determinata zona Sar (acronimo di Search and Rescue).
Gli Stati costieri hanno l’obbligo di cooperare a tal fine attraverso accordi regionali con gli Stati limitrofi. La Convenzione Sar ha previsto la stipula di accordi regionali per la delimitazione tra Stati frontisti o contigui delle zone Sar di competenza nazionale relative sia alle acque territoriali, sia alle acque internazionali adiacenti. La delimitazione di queste zone non è legata a quella della delimitazione dei diversi regimi previsti dal diritto del mare, né pregiudica il regime giuridico delle acque secondo la UNCLOS. Gli accordi regionali di mutua assistenza con gli Stati confinanti sono basati sul principio che le autorità dello Stato costiero, qualora vengano informate dalle autorità di un altro Stato che vi sono persone in pericolo di vita nella zona Sar di propria competenza, sono tenute ad intervenire “senza tener conto della nazionalità o della condizione giuridica” di dette persone.
Per quanto riguarda la definizione dell’area di competenza Sar tra le parti della controversia, l’Italia ha definito con i paesi vicini i confini della zona Sar, salvo che con Malta: mentre quest’ultima ha definito i confini identificandola con lo spazio di identificazione aerea. Una posizione identica a quella di Cipro e della Grecia, contestata a sua volta dalla Turchia che ha dato luogo alla controversia per il sorvolo aereo del Mare Egeo. Essa ha inoltre affermato il proprio potere di coordinamento delle operazioni relative a persone alla deriva in mare nella propria zona Sar senza l’onere di consentire lo sbarco nei propri porti.
La questione oggetto della controversia riguarda principalmente i poteri dello Stato di giurisdizione Sar in relazione alla scelta del posto sicuro di sbarco dei naufraghi. La nave soccorritrice è un luogo puramente provvisorio di salvataggio, il cui raggiungimento non coincide con il momento terminale delle operazioni di soccorso. La questione si impernia sul diverso testo delle Convenzioni IMO ai quali i due Stati si sono vincolati. Malta ha formulato obiezione agli gli emendamenti più recenti alle Convenzioni Sar e Solas entrati in vigore nel luglio 2006. Anche se con carattere non vinvolante le linee guida adottate dall’IMO prevedono un obbligo di soccorso e assistenza delle persone in mare senza distinzione di nazionalità o di stato giuridico (“regardlerss of the nationality or status of such a person or the circumstances in which that person is found”).
3. La vicenda solleva anche questioni di diritto comunitario. In linea generale generale, nell’analisi delle politiche dell’asilo (Piano strategico sull’asilo, Un approccio integrato in materia di protezione nell’Unione europea, COM(2008)360 def. del 17 giugno 2008) si pone con urgenza la questione dell’attuazione e le prospettive di sviluppo del principio di solidarietà e di equa ripartizione tra gli Stati membri (burden sharing) previsto dal Programma dell’Aia e codificato nel Trattato di Lisbona (art. 80 TFUE). È evidente che quest’ultimo principio dovrebbe essere applicato tramite proposte normative e finanziarie, idonee al riequilibrio tra gli Stati membri rispetto a situazioni diseguali di esposizione e vulnerabilità al fenomeno in questione, aggravate dal processo di integrazione europea, come accade per la coesione economico-sociale. Dal punto di vista finanziario e operativo occorre rivedere la ripartizione dei finanziamenti comunitari per il controllo delle frontiere nonché il ruolo dell’Agenzia Frontex.
Il programma dell’Aja ha riconosciuto nel diritto comunitario il principio della solidarietà e l’equa ripartizione delle responsabilità tra gli Stati membri con la previsione di una’attribuzione ponderata di nuovi finanziamenti comunitari ad hoc. Secondo la Commissione, la politica d’immigrazione comune dev’essere basata sulla solidarietà tra gli Stati membri, a carattere politico-operativo (reciproca fiducia, trasparenza, condivisione delle responsabilità e impegno comune dell’Unione europea e degli Stati membri) e finanziario, che tenga conto della “situazione specifica delle frontiere esterne di alcuni Stati membri e delle particolari sfide migratorie a cui essi si trovano di fronte”.
Diverso appare il linguaggio di un documento politico come il Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo (2008), in cui il Consiglio europeo ricorda la competenza degli Stati membri per il controllo delle proprie frontiere esterne; ma, determinando l’accesso a uno spazio comune di libera circolazione, tale controllo richiede un esercizio ”in uno spirito di corresponsabilità, per conto dell’insieme degli Stati membri”. Il Consiglio europeo esita ad usare il “principio di solidarietà comunitaria per la gestione delle frontiere” e si riferisce allo “spirito di soldarietà” che richiede una migliore valutazione delle “difficoltà incontrate dagli Stati membri soggetti a un afflusso eccessivo di migranti” e la necessità di nuove proposte a tal fine da parte della Commissione.
4. La vicenda richiama la necessità di adottare adeguate modalità di cooperazione e solidarietà a favore degli Stati della frontiera marittima sud-orientale (Cipro, Grecia, Italia e Malta), che avevano presentato un’iniziativa comune al Consiglio Gai per rafforzare le misure di cooperazione pratica e le sinergie coordinate per accrescere la capacità degli Stati membri di proteggere la vita degli immigranti clandestini e di regolare i flussi migratori alle frontiere marittime e terrestri.
Alla compensazione solidale di questa specifica situazione frontale di alcuni Stati membri è improntata la ratio e il funzionamento degli strumenti del programma generale “Solidarietà e gestione dei flussi migratori” in quanto “meccanismo di ripartizione degli oneri”, quota comunitaria aggiuntiva alle risorse na-zionali. La gestione degli strumenti finanziari dovrebbe consentire di “riesaminare costantemente, per ogni strumento del programma, il criterio per la ripartizione delle risorse tra gli Stati membri e adeguarlo, se necessario, per reagire all’aumento della domanda ed a nuove evoluzioni”.
Il Fondo per le frontiere esterne, uno dei quattro strumenti finanziari del programma generale «Solidarietà e gestione dei flussi migratori», ha introdotto un meccanismo di solidarietà finanziaria a favore degli Stati membri che sostengono, nell’interesse della Comunità Europea, un onere finanziario pesante e duraturo che è conseguenza dell’attuazione di norme comuni in materia di controllo e sorveglianza delle frontiere esterne.
Nell’ambito del Fondo per le frontiere esterne, la ripartizione annuale delle risorse per azioni ammissibili negli Stati membri, per quanto attiene alla quota parte destinata alle frontiere marittime esterne, viene decisa sulla base della loro lunghezza con ponderazione dei livelli attuali di minaccia e del carico di lavoro.
5. Secondo il Trattato di Lisbona, la politica comune in materia di asilo, immigrazione e controllo delle frontiere esterne dovrà essere fondata sulla solidarietà tra Stati membri (art. 67, par. 2 TFUE). I principi di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri, anche sul piano finanziario, potranno determinare il contenuto del diritto derivato (art. 80 TFUE).
In questo ambito, le competenze comunitarie concorrenti in materia di politica marittima hanno già portato all’armonizzazione dei poteri dello Stato della bandiera (direttiva 2009/21/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009 relativa al rispetto degli obblighi dello Stato di bandiera GUUE L 131 del 28 maggio 2009). Una dichiarazione adottata in quella occasione impegna gli Stati membri ad accettare integralmente le Convenzioni IMO entro il 2012. In questa prospettiva appare crescente la necessità dell’adozione di un atto legislativo che chiarisca la nozione di “porto sicuro” nell’applicazione delle Convenzioni IMO sul salvataggio in mare.
In modo abbastanza paradossale, la controversia è nata proprio dopo l’iniziativa comune degli Stati membri “frontisti” nel Mediterraneo sud-orientale (Italia, Malta, Cipro, Gre-cia) rivolta al Consiglio Gai, ed in occasione della Conferenza panmediterranea sull’immigrazione clandestina e sulla sicurezza delle frontiere esterne. Nell’occasione la Commissione europea ha esercitato i buoni uffici per trovare una soluzione operativa alla vicenda in atto.
2. Dal punto di vista del diritto internazionale, la controversia riguarda le questioni della definizione e dei poteri nella zona di competenza per il salvataggio in mare. Secondo il diritto internazionale (art. 98, par. 2 UNCLOS; Convenzione SOLAS del 1974, annex, cap. V, reg. 7, par.1; Convenzione Sar del 1979, annex, cap. 2), tutti gli Stati costieri hanno l’obbligo di promuovere l’istituzione, l’attivazione ed il mantenimento di un adeguato ed effettivo servizio di ricerca e soccorso relativo alla sicurezza in mare entro una determinata zona Sar (acronimo di Search and Rescue).
Gli Stati costieri hanno l’obbligo di cooperare a tal fine attraverso accordi regionali con gli Stati limitrofi. La Convenzione Sar ha previsto la stipula di accordi regionali per la delimitazione tra Stati frontisti o contigui delle zone Sar di competenza nazionale relative sia alle acque territoriali, sia alle acque internazionali adiacenti. La delimitazione di queste zone non è legata a quella della delimitazione dei diversi regimi previsti dal diritto del mare, né pregiudica il regime giuridico delle acque secondo la UNCLOS. Gli accordi regionali di mutua assistenza con gli Stati confinanti sono basati sul principio che le autorità dello Stato costiero, qualora vengano informate dalle autorità di un altro Stato che vi sono persone in pericolo di vita nella zona Sar di propria competenza, sono tenute ad intervenire “senza tener conto della nazionalità o della condizione giuridica” di dette persone.
Per quanto riguarda la definizione dell’area di competenza Sar tra le parti della controversia, l’Italia ha definito con i paesi vicini i confini della zona Sar, salvo che con Malta: mentre quest’ultima ha definito i confini identificandola con lo spazio di identificazione aerea. Una posizione identica a quella di Cipro e della Grecia, contestata a sua volta dalla Turchia che ha dato luogo alla controversia per il sorvolo aereo del Mare Egeo. Essa ha inoltre affermato il proprio potere di coordinamento delle operazioni relative a persone alla deriva in mare nella propria zona Sar senza l’onere di consentire lo sbarco nei propri porti.
La questione oggetto della controversia riguarda principalmente i poteri dello Stato di giurisdizione Sar in relazione alla scelta del posto sicuro di sbarco dei naufraghi. La nave soccorritrice è un luogo puramente provvisorio di salvataggio, il cui raggiungimento non coincide con il momento terminale delle operazioni di soccorso. La questione si impernia sul diverso testo delle Convenzioni IMO ai quali i due Stati si sono vincolati. Malta ha formulato obiezione agli gli emendamenti più recenti alle Convenzioni Sar e Solas entrati in vigore nel luglio 2006. Anche se con carattere non vinvolante le linee guida adottate dall’IMO prevedono un obbligo di soccorso e assistenza delle persone in mare senza distinzione di nazionalità o di stato giuridico (“regardlerss of the nationality or status of such a person or the circumstances in which that person is found”).
3. La vicenda solleva anche questioni di diritto comunitario. In linea generale generale, nell’analisi delle politiche dell’asilo (Piano strategico sull’asilo, Un approccio integrato in materia di protezione nell’Unione europea, COM(2008)360 def. del 17 giugno 2008) si pone con urgenza la questione dell’attuazione e le prospettive di sviluppo del principio di solidarietà e di equa ripartizione tra gli Stati membri (burden sharing) previsto dal Programma dell’Aia e codificato nel Trattato di Lisbona (art. 80 TFUE). È evidente che quest’ultimo principio dovrebbe essere applicato tramite proposte normative e finanziarie, idonee al riequilibrio tra gli Stati membri rispetto a situazioni diseguali di esposizione e vulnerabilità al fenomeno in questione, aggravate dal processo di integrazione europea, come accade per la coesione economico-sociale. Dal punto di vista finanziario e operativo occorre rivedere la ripartizione dei finanziamenti comunitari per il controllo delle frontiere nonché il ruolo dell’Agenzia Frontex.
Il programma dell’Aja ha riconosciuto nel diritto comunitario il principio della solidarietà e l’equa ripartizione delle responsabilità tra gli Stati membri con la previsione di una’attribuzione ponderata di nuovi finanziamenti comunitari ad hoc. Secondo la Commissione, la politica d’immigrazione comune dev’essere basata sulla solidarietà tra gli Stati membri, a carattere politico-operativo (reciproca fiducia, trasparenza, condivisione delle responsabilità e impegno comune dell’Unione europea e degli Stati membri) e finanziario, che tenga conto della “situazione specifica delle frontiere esterne di alcuni Stati membri e delle particolari sfide migratorie a cui essi si trovano di fronte”.
Diverso appare il linguaggio di un documento politico come il Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo (2008), in cui il Consiglio europeo ricorda la competenza degli Stati membri per il controllo delle proprie frontiere esterne; ma, determinando l’accesso a uno spazio comune di libera circolazione, tale controllo richiede un esercizio ”in uno spirito di corresponsabilità, per conto dell’insieme degli Stati membri”. Il Consiglio europeo esita ad usare il “principio di solidarietà comunitaria per la gestione delle frontiere” e si riferisce allo “spirito di soldarietà” che richiede una migliore valutazione delle “difficoltà incontrate dagli Stati membri soggetti a un afflusso eccessivo di migranti” e la necessità di nuove proposte a tal fine da parte della Commissione.
4. La vicenda richiama la necessità di adottare adeguate modalità di cooperazione e solidarietà a favore degli Stati della frontiera marittima sud-orientale (Cipro, Grecia, Italia e Malta), che avevano presentato un’iniziativa comune al Consiglio Gai per rafforzare le misure di cooperazione pratica e le sinergie coordinate per accrescere la capacità degli Stati membri di proteggere la vita degli immigranti clandestini e di regolare i flussi migratori alle frontiere marittime e terrestri.
Alla compensazione solidale di questa specifica situazione frontale di alcuni Stati membri è improntata la ratio e il funzionamento degli strumenti del programma generale “Solidarietà e gestione dei flussi migratori” in quanto “meccanismo di ripartizione degli oneri”, quota comunitaria aggiuntiva alle risorse na-zionali. La gestione degli strumenti finanziari dovrebbe consentire di “riesaminare costantemente, per ogni strumento del programma, il criterio per la ripartizione delle risorse tra gli Stati membri e adeguarlo, se necessario, per reagire all’aumento della domanda ed a nuove evoluzioni”.
Il Fondo per le frontiere esterne, uno dei quattro strumenti finanziari del programma generale «Solidarietà e gestione dei flussi migratori», ha introdotto un meccanismo di solidarietà finanziaria a favore degli Stati membri che sostengono, nell’interesse della Comunità Europea, un onere finanziario pesante e duraturo che è conseguenza dell’attuazione di norme comuni in materia di controllo e sorveglianza delle frontiere esterne.
Nell’ambito del Fondo per le frontiere esterne, la ripartizione annuale delle risorse per azioni ammissibili negli Stati membri, per quanto attiene alla quota parte destinata alle frontiere marittime esterne, viene decisa sulla base della loro lunghezza con ponderazione dei livelli attuali di minaccia e del carico di lavoro.
5. Secondo il Trattato di Lisbona, la politica comune in materia di asilo, immigrazione e controllo delle frontiere esterne dovrà essere fondata sulla solidarietà tra Stati membri (art. 67, par. 2 TFUE). I principi di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri, anche sul piano finanziario, potranno determinare il contenuto del diritto derivato (art. 80 TFUE).
In questo ambito, le competenze comunitarie concorrenti in materia di politica marittima hanno già portato all’armonizzazione dei poteri dello Stato della bandiera (direttiva 2009/21/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009 relativa al rispetto degli obblighi dello Stato di bandiera GUUE L 131 del 28 maggio 2009). Una dichiarazione adottata in quella occasione impegna gli Stati membri ad accettare integralmente le Convenzioni IMO entro il 2012. In questa prospettiva appare crescente la necessità dell’adozione di un atto legislativo che chiarisca la nozione di “porto sicuro” nell’applicazione delle Convenzioni IMO sul salvataggio in mare.