MISURE ANTI-TERRORISMO AL VAGLIO DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO E DEL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO DELLA CE
Archivio > Anno 2003 > Maggio 2003
di Egeria NALIN
La
Corte europea dei diritti dell’uomo e il Tribunale di primo grado della
CE sono stati recentemente chiamati a pronunciarsi sulla compatibilità
di una serie di posizioni comuni e di regolamenti comunitari, emanati in
attuazione delle misure decise dal Consiglio di sicurezza dell’ONU per
debellare la minaccia terroristica, con i diritti fondamentali e le
libertà garantite all’individuo dalla Convenzione europea del 4 novembre
1950 sulla salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali (CEDU) e dall’art. 6 del Trattato CE.
Il Consiglio di sicurezza, definendo il terrorismo internazionale come una ipotesi di minaccia alla pace e agendo nell’esercizio della sua precipua funzione di principale garante della pace e sicurezza internazionali ai sensi del capitolo VII della Carta, ha emanato una serie di risoluzioni con le quali ha ordinato agli Stati membri di provvedere al congelamento dei beni e dei fondi di entità o persone sospettate di svolgere direttamente o di finanziare attività terroristiche, nonché di vietare la concessione o erogazione di qualsiasi finanziamento a favore delle stesse. In attuazione delle suddette decisioni, il Consiglio dell’Unione europea si è attivato nell’ambito del secondo pilastro dell’UE – la Politica estera e sicurezza comune (PESC), disciplinata dal titolo V del Trattato sull’UE – attraverso l’emanazione, ai sensi dell’art. 15 del Trattato sull’Unione, di posizioni comuni per colpire le fonti del finanziamento del terrorismo. Trattasi di atti intergovernativi che svolgono una funzione di coordinamento tra le politiche interne degli Stati membri, i quali sono tenuti a cooperare per la loro realizzazione e ad adottare atti conformi a quanto stabilito nel-la posizione. Nel caso delle misure di lotta al terrorismo previste dalle posizioni comuni, queste necessitano di un’attuazione mediante regolamenti comunitari, poiché incidenti sui settori, di competenza della CE, della concorrenza e della libera circolazione dei capitali.
I ricorsi dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo hanno avuto ad oggetto le posizioni comuni 2001/930 e 2001/931, le quali, emanate nell’ambito della PESC ai sensi della risoluzione del Consiglio di sicurezza 1373 del 28 settembre 2001, dispongono, la prima, che gli Stati Membri divengano parti delle Convenzioni internazionali che si occupano di contrastare il terrorismo e, tra le altre, della Convenzione europea del Consiglio d’Europa, del 27 gennaio 1977, per la repressione del terrorismo; la seconda, che la Comunità intervenga nella materia della libera circolazione dei capitali congelando i fondi dei gruppi, delle persone o delle entità implicati in attività terroristiche e indicati nella lista allegata alla posizione in argomento (artt. 2 e 3), e che gli Stati cooperino in campo penale nella lotta al terrorismo, con strumenti giudiziari e di polizia ed esercitando tutti i poteri loro attribuiti dagli atti dell’Unione europea, o da altri accordi o convenzioni internazionali a cui siano parti, nei confronti delle persone o delle entità implicati in attività terroristiche e indicati nella suddetta lista (art. 4).
I ricorsi, presentati separatamente dalla SEGI (associazione che ha l’obiettivo di tutelare attraverso metodi democratici sia le rivendicazione della gioventù basca, che l’identità, la cultura e la lingua basche) e dai suoi rappresentanti, nonché dalla GESTORAS PRO-AMNISTIA (associazione non governativa che difende i diritti dell’uomo nei Paesi baschi, con particolare riguardo ai diritti di prigionieri ed esiliati politici) e dai suoi rappresentanti, contro Germania, Austria, Belgio, Danimarca, Spagna, Finlandia, Francia, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito e Svezia, sono stati trattati congiuntamente in considerazione dell’affinità delle richieste presentate dalle ricorrenti. Esse, inserite nella lista allegata alla suddetta posizione 2001/931 perché accusate di essere parte integrante dell’associazione terroristica basca ETA e colpite, in conseguenza di tale inserimento, da provvedimenti di sospensione a titolo preventivo dell’esercizio delle proprie attività (rispettivamente, decisione del 5 febbraio 2002 e del 19 dicembre 2001, del giudice centrale d’istruzione n. 5 dell’Audencia Nacional di Madrid), si dolevano di non poter impugnare innanzi alla CGCE le suddette posizioni comuni e di aver quindi subito un danno irreparabile ai propri diritti fondamentali alla presunzione di innocenza, alla libertà di espressione e di azione in quanto associazione, all’uso dei propri beni, a ricorrere ad un giudice per ottenere una tutela effettiva delle proprie ragioni attraverso un processo equo (rispettivamente, artt. 34, 6, par. 2, 10, 11, 13, 6, par. 1 della CEDU e art. 1 del Protocollo addizionale n. 1, del 20 marzo 1952); la GESTORAS lamentava altresì la violazione dell’art. 3 della CEDU – sul divieto di tortura o di trattamenti e pene inumani e degradanti – e i rappresentanti della SEGI anche quella dell’art. 8 – relativo al rispetto della vita privata e familiare.
In data 23 maggio 2002 la Corte ha respinto i ricorsi con una decisione di irricevibilità. Essa ha all’uopo richiamato la propria consolidata giurisprudenza relativa alla necessità che la violazione delle norme della Convenzione non sia solo futura e potenziale, ma concreta e in atto, cosicché non può neppure farsi luogo ad un ricorso alla Corte europea finché non sono esauriti i ricorsi interni ed è ancora possibile ottenere giustizia da parte dei giudici nazionali. Orbene, la Corte ha ritenuto che la sola iscrizione nella lista allegata alla posizione comune impugnata non costituisca di per sé un motivo di violazione della Convenzione stessa e poiché le posizioni comuni sono per definizione insuscettibili di una applicazione immediata e diretta, esse risultano altresì insuscettibili di produrre una violazione concreta e diretta delle norme della Convenzione invocate. Ne consegue che l’unico atto per il quale avrebbe potuto sollevarsi la questione dell’illegittimità per violazione delle norme della Convenzione è il regolamento 2580/2001 del 27 dicembre 2001, di attuazione degli artt. 2 e 3 della posizione comune 2001/931 e concernente l’adozione di misure restrittive specifiche nei confronti di certe persone ed enti al fine della lotta contro il terrorismo. Tuttavia, esso non riguarda i ricorrenti, che sono inseriti nella lista allegata alla posizione comune al fine della mera applicazione delle misure contemplate dall’art. 4 della stessa, mentre gli atti emanati a livello nazionale per dare attuazione al suddetto art. 4 sono anzitutto da impugnare di fronte alle autorità giudiziarie interne.
Il Tribunale di primo grado della Comunità è stato invece chiamato a pronunciarsi sul ricorso – presentato dai cittadini svedesi di origine somala Aden, Ali, Yusuf e dalla Al Barakaat International Foundation (di cui Ali e Yusuf sono amministratori), associazione senza scopo di lucro che svolge attività di carattere educativo, sociale, culturale, assiste i rifugiati e facilita il trasferimento di capitali tra Svezia e Somalia – riguardante la dichiarazione di inapplicabilità, ex art. 241 del Trattato CE, del regolamento del Consiglio del 6 marzo 2001, n. 467, l’annullamento del regolamento della Commissione (che modifica il suddetto regolamento 467/2001) del 12 novembre 2001, n. 2199, e la sospensione dell’esecuzione degli stessi nella parte in cui li riguardano specificamente, finché non si sia statuito sulla questione principale. Infatti, l’impugnato regolamento 467/2001, emanato per dare attuazione alle risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU con cui si è disposto il congelamento dei beni dei talebani al fine di costringerli alla consegna di Bin Laden (ris. 1267 del 15 ottobre 1999, la quale istituisce, al par. 6, anche un apposito Comitato per le sanzioni contro i talebani col compito di vigilare sull’attuazione delle misure imposte da parte degli Stati; ris. 1333 del 19 dicembre 2000, che inasprisce il divieto di voli ed il congelamento dei capitali già disposto dalla ris. 1267 del 15 ottobre 1999 e che incarica il Comitato per le sanzioni contro i talebani di redigere un elenco, da aggiornare periodicamente, delle entità e persone individuate come associate a Bin Laden) ed attualmente sostituto dal regolamento 881/2002, del 27 maggio 2002 (emanato in attuazione della risoluzione del Consiglio di sicurezza 1390, del 16 gennaio 2002), contiene, in allegato, un elenco delle persone, entità o organismi interessati dal congelamento dei capitali, modificato e ampliato da successivi regolamenti tra i quali il 2199/2001 che, al fine di disporne l’adeguamento all’elenco e ai relativi aggiornamenti predisposti dal Comitato per le sanzioni contro i talebani dell’ONU, vi ha inserito i nomi di tutti i ricorrenti.
In data 7 maggio 2002 il Presidente del Tribunale di primo grado ha anzitutto respinto la richiesta di sospensione dell’esecuzione del regolamento 467/2001, poiché nella domanda principale non se ne è chiesto l’annullamento (ai sensi dell’art. 242 del Trattato CE, la proposizione di una domanda di impugnativa di un atto delle istituzioni è condizione di ricevibilità del ricorso per la sospensione degli effetti dello stesso, dato il carattere strumentale di un procedimento sommario e la sua funzione di garantire la piena efficacia della futura decisione definitiva). Quindi ha esaminato, con riguardo al solo regolamento 2199/2001, se sussistessero i presupposti del fumus boni iuris e del periculum in mora, così da giustificare l’adozione del provvedimento di sospensione provvisoria e cautelare dell’esecuzione richiesto dai ricorrenti. Infine ha emanato ordinanza di irricevibilità del ricorso, motivando circa l’assenza del presupposto dell’urgenza. Da un lato, il Presidente del Tribunale ha sottolineato la riparabilità del danno monetario, subito dai signori Aden, Ali, Yusuf a causa della indisponibilità delle proprie risorse finanziarie che impediva loro l’esercizio delle attività professionali. Infatti, la concessione da parte del governo svedese di appositi sussidi economici ha scongiurato la produzione di un pregiudizio particolarmente grave, quale l’impossibilità di esercitare le normali e basilari attività per soddisfare le quotidiane necessità proprie e della propria famiglia. La sussistenza del danno morale, lamentato dai ricorrenti e derivante dall’emarginazione sociale che consegue all’accusa di compiere attività terroristiche, invece, è stata riconosciuta, ma valutata riparabile pienamente a mezzo del provvedimento definitivo che statuirà sulla questione principale. Infine, si è ritenuto non grave il danno economico lamentato dalla Al Barakaat Foundation, trattandosi di ente senza scopo di lucro.
Va rimarcato che se i ragionamenti della Corte europea dei diritti dell’uomo e del Tribunale di primo grado della CE appaiono in linea di principio corretti, in entrambi i casi il rigetto delle istanze è avvenuto sulla base di ragioni meramente formali. Resta dunque irrisolta la questione se siffatti provvedimenti restrittivi non sacrifichino diritti essenziali del cittadino oltre la misura necessaria a combattere il terrorismo e, soprattutto, se non rappresentino una violazione dei diritti alla difesa e al contraddittorio, posto che essi sono assunti indipendentemente da un procedimento giudiziario e inaudita altera parte. Invero il rispetto dei diritti essenziali sancito dall’art. 6 del Trattato CE e dalla CEDU è richiamato nel preambolo di tutti gli atti della CE e della UE relativi alla lotta al terrorismo, nonché nelle risoluzioni dell’ONU pertinenti. Già un anno fa, la Commissione interamericana dei diritti dell’uomo, nella decisione con cui ha disposto che gli USA rimettessero urgentemente ad un tribunale competente la determinazione dello status dei presunti terroristi di Al Qaida e dei talebani detenuti a Guan-tanamo, ha ricordato che nessuno, “regardless of his or her circumstances, is devoid of legal protection for his or her fundamental and non-derogable human rights”. Più di recente, il Relatore Speciale della Commissione sui Diritti Umani dell’ONU, seriamente preoccupato per le violazioni delle norme internazionali sui diritti umani fondamentali compiute dagli USA a Guantanamo, ha ribadito che “war on terrorism cannot possibly be won by the denial of legal rights, including fundamental principles of due process of those merely suspected of terrorism”. Vedremo cosa dirà in proposito il Tribunale delle CE quando si pronuncerà sulla richiesta di annullamento del regolamento 2199, impugnato dai ricorrenti perché ritenuto lesivo del diritto alla difesa e delle proprie libertà fondamentali. Infatti essi lamentano che l’inserimento dei nomi nell’allegato al regolamento 467/2001 è avvenuto senza che gli interessati siano stati sentiti, sulla base delle indicazioni fornite da un organo politico – il Comitato per le sanzioni contro i talebani dell’ONU – e senza vagliarne le motivazioni, e che l’applicazione delle sanzioni prescinde da una vera e propria incriminazione e rende quindi impossibile ad un giudice controllare gli elementi di prova e le indagini che le hanno motivate, ovvero verificarne il fondamento.
Il Consiglio di sicurezza, definendo il terrorismo internazionale come una ipotesi di minaccia alla pace e agendo nell’esercizio della sua precipua funzione di principale garante della pace e sicurezza internazionali ai sensi del capitolo VII della Carta, ha emanato una serie di risoluzioni con le quali ha ordinato agli Stati membri di provvedere al congelamento dei beni e dei fondi di entità o persone sospettate di svolgere direttamente o di finanziare attività terroristiche, nonché di vietare la concessione o erogazione di qualsiasi finanziamento a favore delle stesse. In attuazione delle suddette decisioni, il Consiglio dell’Unione europea si è attivato nell’ambito del secondo pilastro dell’UE – la Politica estera e sicurezza comune (PESC), disciplinata dal titolo V del Trattato sull’UE – attraverso l’emanazione, ai sensi dell’art. 15 del Trattato sull’Unione, di posizioni comuni per colpire le fonti del finanziamento del terrorismo. Trattasi di atti intergovernativi che svolgono una funzione di coordinamento tra le politiche interne degli Stati membri, i quali sono tenuti a cooperare per la loro realizzazione e ad adottare atti conformi a quanto stabilito nel-la posizione. Nel caso delle misure di lotta al terrorismo previste dalle posizioni comuni, queste necessitano di un’attuazione mediante regolamenti comunitari, poiché incidenti sui settori, di competenza della CE, della concorrenza e della libera circolazione dei capitali.
I ricorsi dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo hanno avuto ad oggetto le posizioni comuni 2001/930 e 2001/931, le quali, emanate nell’ambito della PESC ai sensi della risoluzione del Consiglio di sicurezza 1373 del 28 settembre 2001, dispongono, la prima, che gli Stati Membri divengano parti delle Convenzioni internazionali che si occupano di contrastare il terrorismo e, tra le altre, della Convenzione europea del Consiglio d’Europa, del 27 gennaio 1977, per la repressione del terrorismo; la seconda, che la Comunità intervenga nella materia della libera circolazione dei capitali congelando i fondi dei gruppi, delle persone o delle entità implicati in attività terroristiche e indicati nella lista allegata alla posizione in argomento (artt. 2 e 3), e che gli Stati cooperino in campo penale nella lotta al terrorismo, con strumenti giudiziari e di polizia ed esercitando tutti i poteri loro attribuiti dagli atti dell’Unione europea, o da altri accordi o convenzioni internazionali a cui siano parti, nei confronti delle persone o delle entità implicati in attività terroristiche e indicati nella suddetta lista (art. 4).
I ricorsi, presentati separatamente dalla SEGI (associazione che ha l’obiettivo di tutelare attraverso metodi democratici sia le rivendicazione della gioventù basca, che l’identità, la cultura e la lingua basche) e dai suoi rappresentanti, nonché dalla GESTORAS PRO-AMNISTIA (associazione non governativa che difende i diritti dell’uomo nei Paesi baschi, con particolare riguardo ai diritti di prigionieri ed esiliati politici) e dai suoi rappresentanti, contro Germania, Austria, Belgio, Danimarca, Spagna, Finlandia, Francia, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito e Svezia, sono stati trattati congiuntamente in considerazione dell’affinità delle richieste presentate dalle ricorrenti. Esse, inserite nella lista allegata alla suddetta posizione 2001/931 perché accusate di essere parte integrante dell’associazione terroristica basca ETA e colpite, in conseguenza di tale inserimento, da provvedimenti di sospensione a titolo preventivo dell’esercizio delle proprie attività (rispettivamente, decisione del 5 febbraio 2002 e del 19 dicembre 2001, del giudice centrale d’istruzione n. 5 dell’Audencia Nacional di Madrid), si dolevano di non poter impugnare innanzi alla CGCE le suddette posizioni comuni e di aver quindi subito un danno irreparabile ai propri diritti fondamentali alla presunzione di innocenza, alla libertà di espressione e di azione in quanto associazione, all’uso dei propri beni, a ricorrere ad un giudice per ottenere una tutela effettiva delle proprie ragioni attraverso un processo equo (rispettivamente, artt. 34, 6, par. 2, 10, 11, 13, 6, par. 1 della CEDU e art. 1 del Protocollo addizionale n. 1, del 20 marzo 1952); la GESTORAS lamentava altresì la violazione dell’art. 3 della CEDU – sul divieto di tortura o di trattamenti e pene inumani e degradanti – e i rappresentanti della SEGI anche quella dell’art. 8 – relativo al rispetto della vita privata e familiare.
In data 23 maggio 2002 la Corte ha respinto i ricorsi con una decisione di irricevibilità. Essa ha all’uopo richiamato la propria consolidata giurisprudenza relativa alla necessità che la violazione delle norme della Convenzione non sia solo futura e potenziale, ma concreta e in atto, cosicché non può neppure farsi luogo ad un ricorso alla Corte europea finché non sono esauriti i ricorsi interni ed è ancora possibile ottenere giustizia da parte dei giudici nazionali. Orbene, la Corte ha ritenuto che la sola iscrizione nella lista allegata alla posizione comune impugnata non costituisca di per sé un motivo di violazione della Convenzione stessa e poiché le posizioni comuni sono per definizione insuscettibili di una applicazione immediata e diretta, esse risultano altresì insuscettibili di produrre una violazione concreta e diretta delle norme della Convenzione invocate. Ne consegue che l’unico atto per il quale avrebbe potuto sollevarsi la questione dell’illegittimità per violazione delle norme della Convenzione è il regolamento 2580/2001 del 27 dicembre 2001, di attuazione degli artt. 2 e 3 della posizione comune 2001/931 e concernente l’adozione di misure restrittive specifiche nei confronti di certe persone ed enti al fine della lotta contro il terrorismo. Tuttavia, esso non riguarda i ricorrenti, che sono inseriti nella lista allegata alla posizione comune al fine della mera applicazione delle misure contemplate dall’art. 4 della stessa, mentre gli atti emanati a livello nazionale per dare attuazione al suddetto art. 4 sono anzitutto da impugnare di fronte alle autorità giudiziarie interne.
Il Tribunale di primo grado della Comunità è stato invece chiamato a pronunciarsi sul ricorso – presentato dai cittadini svedesi di origine somala Aden, Ali, Yusuf e dalla Al Barakaat International Foundation (di cui Ali e Yusuf sono amministratori), associazione senza scopo di lucro che svolge attività di carattere educativo, sociale, culturale, assiste i rifugiati e facilita il trasferimento di capitali tra Svezia e Somalia – riguardante la dichiarazione di inapplicabilità, ex art. 241 del Trattato CE, del regolamento del Consiglio del 6 marzo 2001, n. 467, l’annullamento del regolamento della Commissione (che modifica il suddetto regolamento 467/2001) del 12 novembre 2001, n. 2199, e la sospensione dell’esecuzione degli stessi nella parte in cui li riguardano specificamente, finché non si sia statuito sulla questione principale. Infatti, l’impugnato regolamento 467/2001, emanato per dare attuazione alle risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU con cui si è disposto il congelamento dei beni dei talebani al fine di costringerli alla consegna di Bin Laden (ris. 1267 del 15 ottobre 1999, la quale istituisce, al par. 6, anche un apposito Comitato per le sanzioni contro i talebani col compito di vigilare sull’attuazione delle misure imposte da parte degli Stati; ris. 1333 del 19 dicembre 2000, che inasprisce il divieto di voli ed il congelamento dei capitali già disposto dalla ris. 1267 del 15 ottobre 1999 e che incarica il Comitato per le sanzioni contro i talebani di redigere un elenco, da aggiornare periodicamente, delle entità e persone individuate come associate a Bin Laden) ed attualmente sostituto dal regolamento 881/2002, del 27 maggio 2002 (emanato in attuazione della risoluzione del Consiglio di sicurezza 1390, del 16 gennaio 2002), contiene, in allegato, un elenco delle persone, entità o organismi interessati dal congelamento dei capitali, modificato e ampliato da successivi regolamenti tra i quali il 2199/2001 che, al fine di disporne l’adeguamento all’elenco e ai relativi aggiornamenti predisposti dal Comitato per le sanzioni contro i talebani dell’ONU, vi ha inserito i nomi di tutti i ricorrenti.
In data 7 maggio 2002 il Presidente del Tribunale di primo grado ha anzitutto respinto la richiesta di sospensione dell’esecuzione del regolamento 467/2001, poiché nella domanda principale non se ne è chiesto l’annullamento (ai sensi dell’art. 242 del Trattato CE, la proposizione di una domanda di impugnativa di un atto delle istituzioni è condizione di ricevibilità del ricorso per la sospensione degli effetti dello stesso, dato il carattere strumentale di un procedimento sommario e la sua funzione di garantire la piena efficacia della futura decisione definitiva). Quindi ha esaminato, con riguardo al solo regolamento 2199/2001, se sussistessero i presupposti del fumus boni iuris e del periculum in mora, così da giustificare l’adozione del provvedimento di sospensione provvisoria e cautelare dell’esecuzione richiesto dai ricorrenti. Infine ha emanato ordinanza di irricevibilità del ricorso, motivando circa l’assenza del presupposto dell’urgenza. Da un lato, il Presidente del Tribunale ha sottolineato la riparabilità del danno monetario, subito dai signori Aden, Ali, Yusuf a causa della indisponibilità delle proprie risorse finanziarie che impediva loro l’esercizio delle attività professionali. Infatti, la concessione da parte del governo svedese di appositi sussidi economici ha scongiurato la produzione di un pregiudizio particolarmente grave, quale l’impossibilità di esercitare le normali e basilari attività per soddisfare le quotidiane necessità proprie e della propria famiglia. La sussistenza del danno morale, lamentato dai ricorrenti e derivante dall’emarginazione sociale che consegue all’accusa di compiere attività terroristiche, invece, è stata riconosciuta, ma valutata riparabile pienamente a mezzo del provvedimento definitivo che statuirà sulla questione principale. Infine, si è ritenuto non grave il danno economico lamentato dalla Al Barakaat Foundation, trattandosi di ente senza scopo di lucro.
Va rimarcato che se i ragionamenti della Corte europea dei diritti dell’uomo e del Tribunale di primo grado della CE appaiono in linea di principio corretti, in entrambi i casi il rigetto delle istanze è avvenuto sulla base di ragioni meramente formali. Resta dunque irrisolta la questione se siffatti provvedimenti restrittivi non sacrifichino diritti essenziali del cittadino oltre la misura necessaria a combattere il terrorismo e, soprattutto, se non rappresentino una violazione dei diritti alla difesa e al contraddittorio, posto che essi sono assunti indipendentemente da un procedimento giudiziario e inaudita altera parte. Invero il rispetto dei diritti essenziali sancito dall’art. 6 del Trattato CE e dalla CEDU è richiamato nel preambolo di tutti gli atti della CE e della UE relativi alla lotta al terrorismo, nonché nelle risoluzioni dell’ONU pertinenti. Già un anno fa, la Commissione interamericana dei diritti dell’uomo, nella decisione con cui ha disposto che gli USA rimettessero urgentemente ad un tribunale competente la determinazione dello status dei presunti terroristi di Al Qaida e dei talebani detenuti a Guan-tanamo, ha ricordato che nessuno, “regardless of his or her circumstances, is devoid of legal protection for his or her fundamental and non-derogable human rights”. Più di recente, il Relatore Speciale della Commissione sui Diritti Umani dell’ONU, seriamente preoccupato per le violazioni delle norme internazionali sui diritti umani fondamentali compiute dagli USA a Guantanamo, ha ribadito che “war on terrorism cannot possibly be won by the denial of legal rights, including fundamental principles of due process of those merely suspected of terrorism”. Vedremo cosa dirà in proposito il Tribunale delle CE quando si pronuncerà sulla richiesta di annullamento del regolamento 2199, impugnato dai ricorrenti perché ritenuto lesivo del diritto alla difesa e delle proprie libertà fondamentali. Infatti essi lamentano che l’inserimento dei nomi nell’allegato al regolamento 467/2001 è avvenuto senza che gli interessati siano stati sentiti, sulla base delle indicazioni fornite da un organo politico – il Comitato per le sanzioni contro i talebani dell’ONU – e senza vagliarne le motivazioni, e che l’applicazione delle sanzioni prescinde da una vera e propria incriminazione e rende quindi impossibile ad un giudice controllare gli elementi di prova e le indagini che le hanno motivate, ovvero verificarne il fondamento.