"POTERI ESTERI" REGIONALI: RECENTE GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE
Archivio > Anno 2008 > Maggio 2008
di Laura MARRONE (Dottoranda di ricerca in diritto internazionale e dell’Unione europea dell’Università degli Studi di Bari)
Dopo
l’integrale riscrittura dell’articolo 117 Cost. si è posto il problema
di affrontare un’intricatissima matassa di questioni interpretative
riguardanti le diverse disposizioni costituzionali in materia di poteri
regionali – “interni” ed “esteri” – e di risolvere i dubbi, sollevati
dalla legislazione di attuazione, di cui alla legge 5 giugno 2003, n.
131 ed alla legge 4 febbraio 2005, n. 11. La Corte costituzionale, negli
anni immediatamente successivi all’entrata in vigore della legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 è stata investita da una mole
impressionante di ricorsi: delle Regioni contro leggi dello Stato e
dello Stato contro leggi delle Regioni. Ad oggi è disponibile un numero
congruo di pronunce, che presentano un alto tasso di innovazione
interpretativa e sono la testimonianza di quanti e quali problemi la
riforma del titolo V abbia suscitato. Attraverso una lettura di queste
ultime è possibile individuare alcune linee direttrici fondamentali per
la materia in esame.
La prima occasione per rispondere al alcuni quesiti è stata offerta alla Corte (Corte Cost. sent. 30 giugno 2003, n. 242 in G.U. del 23 luglio 2003) da un ricorso presentato contro alcuni articoli dello Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia. Secondo il ricorrente, le disposizioni impugnate erano in contrasto con l’art. 117 Cost., nella parte in cui attribuivano al presidente della Regione il potere di stipulare intese con la Slovenia e con l’Austria al fine del coordinamento delle attività in materia di difesa dei bacini idrografici transfontalieri. Infatti, pur prevedendo che le intese in questione debbano essere assunte “in conformità ai principi di cui all’art. 117, nono comma, Cost.”, le norme in questione non rispetterebbero i limiti della norma citata, che prevede la possibilità di “intese” delle Regioni solo con enti territoriali stranieri e non con Stati stranieri e, comunque, “nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato”. Leggi queste ultime, che, al momento dell’emanazione dello Statuto friulano, non erano ancora state emanate. La Regione Friuli Venezia Giulia, a sua difesa, richiamava la precedente giurisprudenza costituzionale (Corte cost. sent. 14 luglio 1998, n. 332 in G. U. del 2 settembre 1998 e sent. 16 gennaio 2003, n. 13 in G. U. del 5 febbraio 2003), in base alla quale alle Regioni era già concesso di stipulare intese con altri Stati pur nel rispetto dei limiti di coerenza con la politica estera nazionale e previa comunicazione delle stesse al Governo. Secondo la Regione, l’entrata in vigore della riforma costituzionale ed il fatto che essa rinvii all’emanazione di una legge ordinaria per l’attuazione della disciplina inerente il potere regionale di concludere intese ed accordi non può essere sufficiente a privare le Regioni di una capacità che esse pacificamente esercitavano anche in precedenza.
La Corte, al di là dell’inesatto nomen iuris adottato dalla legge regionale - “intese” in luogo di “accordi”-, non vi riscontra alcun contrasto con la normativa contenuta nell’art. 117. Essa, infatti, si limita ad attribuire la competenza in materia al Presidente della Regione senza incidere sui limiti costituzionali al cui rispetto fa, anzi, espressamente richiamo. Lo confermano anche le disposizioni, intervenute nel frattempo, della legge di attuazione n. 131 del 2003, che - pur fissando dei limiti alla natura degli accordi stipulati dalle Regioni ed ordinando il rispetto di una procedura dettagliata per giungere alla ratifica degli stessi - nulla dispongono in ordine al riparto delle competenze interne delle singole regioni per la stipula di tali accordi.
La Corte lascia intendere che l’art. 117, com. 9, Cost. ha affidato alle Regioni un “potere”: il potere di concludere accordi o intese con Stati ed enti territoriali stranieri. Le modalità di esercizio di tale potere sono lasciate alla libera autonomia delle Regioni che dovranno, però, garantire la coerenza delle loro iniziative con gli indirizzi della politica estera statale.
Nella sentenza 11 ottobre 2005 n. 387 (in G.U. del 19 ottobre 2005), a seguito di un ricorso dal contenuto molto simile a quello precedente, la Corte è stata più esplicita. Ha affermato che le nuove disposizioni costituzionali non si discostano dalle linee fondamentali già enunciate in passato: riserva allo Stato della competenza sulla politica estera, ammissione di un’attività internazionale delle Regioni, subordinazione di questa alla possibilità effettiva di un controllo statale sulle iniziative regionali, al fine di evitare contrasti con le linee della politica estera nazionale. La novità, che discende dal mutato quadro costituzionale, risiede nel riconoscimento di un “potere estero” delle Regioni, che le abilita, nell’ambito delle proprie competenze, a stipulare, oltre ad intese con enti omologhi esteri, anche veri e propri accordi con Stati. Tale potere estero deve peraltro essere coordinato con l’esclusiva competenza statale in tema di politica estera nazionale. Le Regioni, beninteso - pur all’interno di questi paletti - operano come soggetti autonomi e possono interloquire direttamente con gli Stati esteri nel quadro di garanzia e coordinamento apprestato dai poteri centrali. Il Governo, dunque, è legittimato ad opporsi alla conclusione di un accordo da parte di una Regione, che sia rispettoso dei limiti stabiliti dall’art. 117 Cost. e delle procedure stabilite dalla legge n. 131/2003, solo quando ritenga che esso pregiudichi gli indirizzi e gli interessi attinenti alla politica estera dello Stato. Inoltre, l’eventuale uso arbitrario di tale potere resta pur sempre “suscettibile di sindacato nella sede dell’eventuale conflitto di attribuzione” di fronte alla stessa Corte Costituzionale.
A conferma di quanto detto, anche se in senso negativo, si può leggere la recente sentenza della Corte Cost. 17 maggio 2006, n. 211 (in G.U. del 7 giugno 2006), che ha dichiarato illegittima una legge del Trentino Alto Adige, contenente la disciplina di alcune attività di cooperazione internazionale, in quanto capaci di incidere nella politica estera nazionale, che, al contrario, è di prerogativa esclusiva dello Stato.
Sempre in tema di potere estero regionale, la sentenza della Corte Cost. 7 luglio 2005 n. 285 (in G.U. del 27 luglio 2005) ha colto l’occasione per fissare alcuni importanti punti, respingendo i ricorsi delle Regioni Emilia Romagna e Toscana, che chiedevano l’annullamento di numerose disposizioni del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 28 “Riforma della disciplina in materia di attività cinematografiche” (in G.U. 5 febbraio 2004, n. 29). Il suddetto decreto legislativo prevede la possibilità per lo Stato di stipulare accordi internazionali in tema di attività cinematografiche. Le Regioni in questione si opponevano al riconoscimento di questa potestà, in quanto la ritenevano di esclusiva competenza regionale.
La Corte ha respinto le doglianze sottolineando che l’art. 117, com. 9, Cost. si limita ad attribuire alle Regioni la facoltà di concludere accordi internazionali nelle materie di loro competenza, ma non esclude affatto che lo Stato possa esercitare il potere estero nelle medesime materie. D’altra parte, sempre secondo la Corte, è evidente che, nell’ipotesi in cui si giunga alla stipula di un accordo internazionale da parte di una Regione in un ambito nel quale sia già in vigore un accordo statale, l’accordo regionale “disporrà dell’efficacia sua propria, in quanto speciale e successivo rispetto ai preesistenti accordi internazionali stipulati dallo Stato”. Si tratta, indubbiamente, di un punto segnato a favore del riconoscimento della potestà legislativa primaria delle Regioni.
Successivamente, la Corte ha avuto modo di esprimersi (Corte Cost. sent. 29 novembre 2004, n. 372 in G.U. del 9 dicembre 2004; sent. 29 novembre 2004, n. 379 in G.U. del 15 di-cembre 2004; sent. 11 gennaio 2006, n. 12 in G.U. del 25 gennaio 2006) anche riguardo alle competenze riconosciute alle Regioni dal comma 5 dell’art. 117 Cost. In tema di rapporti con l’Unione europea, il primo ricorso governativo denunciava l’illegittimità costituzionale dell’art. 70, comma 1, dello Statuto della Regione Toscana, il quale, nel demandare alla legge regionale la definizione delle modalità con cui gli organi di governo ed il Consiglio regionale partecipano alla formazione ed attuazione degli atti comunitari, avrebbe infranto la riserva di legge statale in materia di forme di partecipazione delle regioni alla fase ascendente e discendente dell’attività normativa comunitaria, di cui all’art. 117, comma 5, Cost. La Corte, nel respingere la censura, chiarisce che le due riserve non sono foriere di conflitto in quanto fra loro non sovrapponibili, ma appartenenti a due distinti momenti procedimentali della partecipazione regionale all’attività suddetta. Nel rispetto delle norme attuative dell’art. 117, la legge regionale è, infatti, chiamata a fissare sic et simpliciter le specifiche norme procedimentali interne volte a regolamentare l’iter di edificazione della decisione regionale. Per questo, l’art. 70, nella parte in cui prevede che gli organi di governo ed il Consiglio regionale partecipano, nei modi previsti dalla legge, alla formazione ed attuazione degli atti comunitari nelle materie di competenza regionale, non viola affatto l’art. 117, com. 5 Cost.
Infine, è molto interessante esaminare la prima sentenza della Corte Cost. 20 novembre 2006, n. 398 (in G.U. del 6 dicembre 2006), inerente la legittimità di una legge comunitaria regionale, la legge comunitaria del Friuli Venezia Giulia. Con tale provvedimento la Regione voleva dare attuazione a tre direttive comunitarie, che, a parere del Presidente del Consiglio, dovevano, invece, essere attuate a livello centrale nel rispetto degli interessi unitari, su cui la disciplina delle direttive sarebbe intervenuta. La legge regionale impugnata, nel recepire le direttive, non avrebbe tenuto conto delle suddette esigenze unitarie e dunque sarebbe da considerare illegittima. Al riguardo, la Re-gione, pur ammettendo che in alcuni casi possa essere necessaria un’attuazione unitaria delle direttive in deroga al riparto costituzionale di competenza, rilevava che tale necessità deve “derivare con evidenza dalla normativa comunitaria, sulla base di esigenze organizzative che ragionevolmente facciano capo all’Unione europea stessa”, come affermato dalla stessa Corte Costituzionale nella sentenza 17 aprile 1996 n. 126 (in G.U. del 30 aprile 1996). La qual cosa, evidentemente, non riguardava il caso in esame. È proprio a questa sentenza che si rifà la Corte per dichiarare la questione non fondata. Nel caso di specie, infatti, la necessità di attuazione unitaria non emerge da alcuna norma delle direttive in esame. Resta impregiudicato, pertanto, il quadro costituzionale di ripartizione delle competenze legislative che non subisce nella fattispecie alcuna deroga eccezionale, ascrivibile a specifiche esigenze unitarie. In assenza di precise norme comunitarie che prescrivano l’accentramento – la cui legittimità, alla luce dell’ordinamento costituzionale interno, dovrebbe essere valutata caso per caso –, il richiamo generico al primo comma dell’art. 117 Cost. è inconferente. La legittimità dell’intervento legislativo di una Regione in funzione attuativa di una direttiva comunitaria dipende, per quanto detto sopra, solo dalla sua inerenza ad una materia attribuita alla potestà legislativa regionale. Lo scrutinio di costituzionalità deve essere pertanto basato sui commi secondo, terzo e quarto del citato art. 117 Cost., non già sul primo comma, come invece prospettato dalla difesa del ricorrente. Le eccezionali necessità di tutela di interessi unitari, in grado di spostare la titolarità della competenza in capo allo Stato, devono ritenersi – appunto – eccezionali. Come tali vanno verificate caso per caso ed interpretate restrittivamente. I sostenitori del neoregionalismo non possono che essere felici delle posizioni garantiste assunte dalla Corte.
In ultimo non possiamo non segnalare, anche se non direttamente attinenti alla materia in esame, le due recentissime sentenze del 24 ottobre 2007 n. 348 e n. 349 (in G.U. 31 ottobre 2007), che intervengono a chiarire la portata del comma I dell’art. 117, sul tema del rispetto degli obblighi internazionali da parte della legislazione statale e regionale.
La prima occasione per rispondere al alcuni quesiti è stata offerta alla Corte (Corte Cost. sent. 30 giugno 2003, n. 242 in G.U. del 23 luglio 2003) da un ricorso presentato contro alcuni articoli dello Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia. Secondo il ricorrente, le disposizioni impugnate erano in contrasto con l’art. 117 Cost., nella parte in cui attribuivano al presidente della Regione il potere di stipulare intese con la Slovenia e con l’Austria al fine del coordinamento delle attività in materia di difesa dei bacini idrografici transfontalieri. Infatti, pur prevedendo che le intese in questione debbano essere assunte “in conformità ai principi di cui all’art. 117, nono comma, Cost.”, le norme in questione non rispetterebbero i limiti della norma citata, che prevede la possibilità di “intese” delle Regioni solo con enti territoriali stranieri e non con Stati stranieri e, comunque, “nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato”. Leggi queste ultime, che, al momento dell’emanazione dello Statuto friulano, non erano ancora state emanate. La Regione Friuli Venezia Giulia, a sua difesa, richiamava la precedente giurisprudenza costituzionale (Corte cost. sent. 14 luglio 1998, n. 332 in G. U. del 2 settembre 1998 e sent. 16 gennaio 2003, n. 13 in G. U. del 5 febbraio 2003), in base alla quale alle Regioni era già concesso di stipulare intese con altri Stati pur nel rispetto dei limiti di coerenza con la politica estera nazionale e previa comunicazione delle stesse al Governo. Secondo la Regione, l’entrata in vigore della riforma costituzionale ed il fatto che essa rinvii all’emanazione di una legge ordinaria per l’attuazione della disciplina inerente il potere regionale di concludere intese ed accordi non può essere sufficiente a privare le Regioni di una capacità che esse pacificamente esercitavano anche in precedenza.
La Corte, al di là dell’inesatto nomen iuris adottato dalla legge regionale - “intese” in luogo di “accordi”-, non vi riscontra alcun contrasto con la normativa contenuta nell’art. 117. Essa, infatti, si limita ad attribuire la competenza in materia al Presidente della Regione senza incidere sui limiti costituzionali al cui rispetto fa, anzi, espressamente richiamo. Lo confermano anche le disposizioni, intervenute nel frattempo, della legge di attuazione n. 131 del 2003, che - pur fissando dei limiti alla natura degli accordi stipulati dalle Regioni ed ordinando il rispetto di una procedura dettagliata per giungere alla ratifica degli stessi - nulla dispongono in ordine al riparto delle competenze interne delle singole regioni per la stipula di tali accordi.
La Corte lascia intendere che l’art. 117, com. 9, Cost. ha affidato alle Regioni un “potere”: il potere di concludere accordi o intese con Stati ed enti territoriali stranieri. Le modalità di esercizio di tale potere sono lasciate alla libera autonomia delle Regioni che dovranno, però, garantire la coerenza delle loro iniziative con gli indirizzi della politica estera statale.
Nella sentenza 11 ottobre 2005 n. 387 (in G.U. del 19 ottobre 2005), a seguito di un ricorso dal contenuto molto simile a quello precedente, la Corte è stata più esplicita. Ha affermato che le nuove disposizioni costituzionali non si discostano dalle linee fondamentali già enunciate in passato: riserva allo Stato della competenza sulla politica estera, ammissione di un’attività internazionale delle Regioni, subordinazione di questa alla possibilità effettiva di un controllo statale sulle iniziative regionali, al fine di evitare contrasti con le linee della politica estera nazionale. La novità, che discende dal mutato quadro costituzionale, risiede nel riconoscimento di un “potere estero” delle Regioni, che le abilita, nell’ambito delle proprie competenze, a stipulare, oltre ad intese con enti omologhi esteri, anche veri e propri accordi con Stati. Tale potere estero deve peraltro essere coordinato con l’esclusiva competenza statale in tema di politica estera nazionale. Le Regioni, beninteso - pur all’interno di questi paletti - operano come soggetti autonomi e possono interloquire direttamente con gli Stati esteri nel quadro di garanzia e coordinamento apprestato dai poteri centrali. Il Governo, dunque, è legittimato ad opporsi alla conclusione di un accordo da parte di una Regione, che sia rispettoso dei limiti stabiliti dall’art. 117 Cost. e delle procedure stabilite dalla legge n. 131/2003, solo quando ritenga che esso pregiudichi gli indirizzi e gli interessi attinenti alla politica estera dello Stato. Inoltre, l’eventuale uso arbitrario di tale potere resta pur sempre “suscettibile di sindacato nella sede dell’eventuale conflitto di attribuzione” di fronte alla stessa Corte Costituzionale.
A conferma di quanto detto, anche se in senso negativo, si può leggere la recente sentenza della Corte Cost. 17 maggio 2006, n. 211 (in G.U. del 7 giugno 2006), che ha dichiarato illegittima una legge del Trentino Alto Adige, contenente la disciplina di alcune attività di cooperazione internazionale, in quanto capaci di incidere nella politica estera nazionale, che, al contrario, è di prerogativa esclusiva dello Stato.
Sempre in tema di potere estero regionale, la sentenza della Corte Cost. 7 luglio 2005 n. 285 (in G.U. del 27 luglio 2005) ha colto l’occasione per fissare alcuni importanti punti, respingendo i ricorsi delle Regioni Emilia Romagna e Toscana, che chiedevano l’annullamento di numerose disposizioni del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 28 “Riforma della disciplina in materia di attività cinematografiche” (in G.U. 5 febbraio 2004, n. 29). Il suddetto decreto legislativo prevede la possibilità per lo Stato di stipulare accordi internazionali in tema di attività cinematografiche. Le Regioni in questione si opponevano al riconoscimento di questa potestà, in quanto la ritenevano di esclusiva competenza regionale.
La Corte ha respinto le doglianze sottolineando che l’art. 117, com. 9, Cost. si limita ad attribuire alle Regioni la facoltà di concludere accordi internazionali nelle materie di loro competenza, ma non esclude affatto che lo Stato possa esercitare il potere estero nelle medesime materie. D’altra parte, sempre secondo la Corte, è evidente che, nell’ipotesi in cui si giunga alla stipula di un accordo internazionale da parte di una Regione in un ambito nel quale sia già in vigore un accordo statale, l’accordo regionale “disporrà dell’efficacia sua propria, in quanto speciale e successivo rispetto ai preesistenti accordi internazionali stipulati dallo Stato”. Si tratta, indubbiamente, di un punto segnato a favore del riconoscimento della potestà legislativa primaria delle Regioni.
Successivamente, la Corte ha avuto modo di esprimersi (Corte Cost. sent. 29 novembre 2004, n. 372 in G.U. del 9 dicembre 2004; sent. 29 novembre 2004, n. 379 in G.U. del 15 di-cembre 2004; sent. 11 gennaio 2006, n. 12 in G.U. del 25 gennaio 2006) anche riguardo alle competenze riconosciute alle Regioni dal comma 5 dell’art. 117 Cost. In tema di rapporti con l’Unione europea, il primo ricorso governativo denunciava l’illegittimità costituzionale dell’art. 70, comma 1, dello Statuto della Regione Toscana, il quale, nel demandare alla legge regionale la definizione delle modalità con cui gli organi di governo ed il Consiglio regionale partecipano alla formazione ed attuazione degli atti comunitari, avrebbe infranto la riserva di legge statale in materia di forme di partecipazione delle regioni alla fase ascendente e discendente dell’attività normativa comunitaria, di cui all’art. 117, comma 5, Cost. La Corte, nel respingere la censura, chiarisce che le due riserve non sono foriere di conflitto in quanto fra loro non sovrapponibili, ma appartenenti a due distinti momenti procedimentali della partecipazione regionale all’attività suddetta. Nel rispetto delle norme attuative dell’art. 117, la legge regionale è, infatti, chiamata a fissare sic et simpliciter le specifiche norme procedimentali interne volte a regolamentare l’iter di edificazione della decisione regionale. Per questo, l’art. 70, nella parte in cui prevede che gli organi di governo ed il Consiglio regionale partecipano, nei modi previsti dalla legge, alla formazione ed attuazione degli atti comunitari nelle materie di competenza regionale, non viola affatto l’art. 117, com. 5 Cost.
Infine, è molto interessante esaminare la prima sentenza della Corte Cost. 20 novembre 2006, n. 398 (in G.U. del 6 dicembre 2006), inerente la legittimità di una legge comunitaria regionale, la legge comunitaria del Friuli Venezia Giulia. Con tale provvedimento la Regione voleva dare attuazione a tre direttive comunitarie, che, a parere del Presidente del Consiglio, dovevano, invece, essere attuate a livello centrale nel rispetto degli interessi unitari, su cui la disciplina delle direttive sarebbe intervenuta. La legge regionale impugnata, nel recepire le direttive, non avrebbe tenuto conto delle suddette esigenze unitarie e dunque sarebbe da considerare illegittima. Al riguardo, la Re-gione, pur ammettendo che in alcuni casi possa essere necessaria un’attuazione unitaria delle direttive in deroga al riparto costituzionale di competenza, rilevava che tale necessità deve “derivare con evidenza dalla normativa comunitaria, sulla base di esigenze organizzative che ragionevolmente facciano capo all’Unione europea stessa”, come affermato dalla stessa Corte Costituzionale nella sentenza 17 aprile 1996 n. 126 (in G.U. del 30 aprile 1996). La qual cosa, evidentemente, non riguardava il caso in esame. È proprio a questa sentenza che si rifà la Corte per dichiarare la questione non fondata. Nel caso di specie, infatti, la necessità di attuazione unitaria non emerge da alcuna norma delle direttive in esame. Resta impregiudicato, pertanto, il quadro costituzionale di ripartizione delle competenze legislative che non subisce nella fattispecie alcuna deroga eccezionale, ascrivibile a specifiche esigenze unitarie. In assenza di precise norme comunitarie che prescrivano l’accentramento – la cui legittimità, alla luce dell’ordinamento costituzionale interno, dovrebbe essere valutata caso per caso –, il richiamo generico al primo comma dell’art. 117 Cost. è inconferente. La legittimità dell’intervento legislativo di una Regione in funzione attuativa di una direttiva comunitaria dipende, per quanto detto sopra, solo dalla sua inerenza ad una materia attribuita alla potestà legislativa regionale. Lo scrutinio di costituzionalità deve essere pertanto basato sui commi secondo, terzo e quarto del citato art. 117 Cost., non già sul primo comma, come invece prospettato dalla difesa del ricorrente. Le eccezionali necessità di tutela di interessi unitari, in grado di spostare la titolarità della competenza in capo allo Stato, devono ritenersi – appunto – eccezionali. Come tali vanno verificate caso per caso ed interpretate restrittivamente. I sostenitori del neoregionalismo non possono che essere felici delle posizioni garantiste assunte dalla Corte.
In ultimo non possiamo non segnalare, anche se non direttamente attinenti alla materia in esame, le due recentissime sentenze del 24 ottobre 2007 n. 348 e n. 349 (in G.U. 31 ottobre 2007), che intervengono a chiarire la portata del comma I dell’art. 117, sul tema del rispetto degli obblighi internazionali da parte della legislazione statale e regionale.