LA COMMISSIONE PROPONE NORME PIU' CHIARE PER LA SEPARAZIONE E IL DIVORZIO NELL'UNIONE (*)
Archivio > Anno 2010 > Maggio 2010
di Angela Maria ROMITO
Il 23 marzo scorso la Commissione europea ha presentato una proposta di regolamento (consultabile on line all’indirizzo http://ec.europa.eu/justice_home/news/intro/ news_ intro_en.htm) per rendere più semplice e trasparente la cooperazione tra Stati in materia di separazione e divorzio.
L’attenzione delle istituzioni europee in questo settore è sempre più crescente atteso che nell’Unione si contano circa 16 milioni di matrimoni “internazionali” (matrimoni cioè celebrati tra coniugi di diversa nazionalità o tra coniugi che vivono in Paesi differenti o, ancora, tra coniugi che risiedono in un Paese diverso da quello di origine). Molte di queste unioni inevitabilmente naufragano con immaginabili difficoltà dei tribunali interni nel gestire gli “elementi transnazionali” della separazione e del divorzio. “Migliaia di coppie si trovano in situazioni personali difficili per la mancanza di risposte chiare da parte dei sistemi giuridici nazionali. In molti casi sono i figli e il coniuge più debole a soffrirne. Non voglio che i cittadini dell’UE siano lasciati soli ad affrontare complicati divorzi internazionali. Voglio che dispongano di norme chiare che permettano loro di sapere sempre cosa fare. È per questo che oggi abbiamo deciso di agire”, ha dichiarato la vicepresidente Viviane Reding, commissario per la Giustizia, i diritti fondamentali e la cittadinanza.
La Commissione europea ha proposto una soluzione concreta: una legge applicabile in modo uniforme sul territorio europeo che consenta ai coniugi di scegliere la legge applicabile allo scioglimento del vincolo matrimoniale, e che permetta ai giudici aditi di risolvere in modo più prevedibile e flessibile i problemi connessi alla applicazione di una legge diversa da quella del foro.
Nel panorama europeo attualmente la situazione per le coppie internazionali è tutt’altro che uniforme: la maggior parte dei Paesi UE (precisamente 20) determinano la legge nazionale applicabile usando criteri di collegamento che garantiscono l’applicazione alla separazione ed al divorzio della legge di un Paese con cui i coniugi abbiano un collegamento (quali ad esempio la cittadinanza o la residenza abituale); Danimarca, Lettonia, Irlanda, Cipro, Finlandia, Svezia e Regno Unito, invece, applicano la loro legge nazionale.
In vero già nel 2006 la Commissione sulla base degli articolo 61 e 63 del TCE (oggi art. 81 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di seguito TFUE) aveva proposto di aiutare le coppie internazionali con una normativa ad hoc che emendasse il regolamento (CE) 2201/2003 del 27 novembre 2003, ma il progetto cosiddetto “regolamento Roma III” non ricevette, all’epoca, il necessario sostegno unanime dei governi UE.
La proposta datata marzo 2010, invece, fa seguito ad una richiesta di dieci Paesi UE (Austria, Bulgaria, Francia, Grecia, Ungheria, Italia, Lussemburgo, Romania, Slovenia e Spagna, c.d. “Paesi partecipanti”) i quali hanno espresso l’intenzione di ricorrere alla cosiddetta “cooperazione rafforzata”, strumento, questo, introdotto per la prima volta nel sistema di integrazione europea dal Trattato di Amsterdam, e che da ultimo è stato modificato con il Trattato di Lisbona (segnatamente si vedano l’ art. 20 del Nuovo Trattato dell’Unione europea e gli articoli da 326 a 334 TFUE). Tramite la “cooperazione rafforzata” – come è noto – è permessa una cooperazione più stretta tra quegli Stati dell’Unione che desiderano approfondire la costruzione europea nel rispetto del quadro istituzionale unico dell’Unione, pur senza privare gli altri Paesi del diritto di parteciparvi in qualsiasi momento (per più ampi riferimenti, datati prima delle modifiche introdotte dal Trattato di Lisbona, si segnala A. Cannone, Le cooperazioni rafforzate. Contributo allo studio dell’integrazione differenziata, Bari, 2005; per un primo commento alla nuova disciplina si rinvia per tutti a E. Triggiani, L’Unione europea secondo la riforma di Lisbona, – Supplemento speciale di Sud In Europa, Bari, 2008)
Sotto questo particolare profilo la proposta di regolamento de quo spicca per essere il primo caso della storia dell’UE di “cooperazione rafforzata”: mentre si attende che il Consiglio dei Ministri, previa approvazione del Parlamento europeo, autorizzi questa misura con una decisione a maggioranza qualificata, il commissario Reding, ha sottolineato che “dieci governi hanno chiesto alla Commissione di proporre una soluzione. Il ricorso alla cooperazione rafforzata dimostra che l’UE possiede la flessibilità necessaria per aiutare i suoi cittadini anche quando le questioni giuridiche sono difficili. Il mio obiettivo è garantire che i cittadini possano beneficiare appieno del diritto di vivere e lavorare in un’Unione europea senza frontiere interne”.
Diversamente dal progetto originale, la proposta in commento dorrebbe introdurre novità rispetto al regolamento in materia matrimoniale del 2003 solo con riguardo alla legge applicabile, senza quindi conseguenze per gli aspetti afferenti alla giurisdizione che restano disciplinati dalla norma comunitaria derivata già in vigore (si veda da ultimo amplius S.M. Carbone, C. Tuo, Gli strumenti di diritto dell’Unione europea in materia di famiglia ed il Trattato di Lisbona, in Studi sull’integrazione europea, 2010, vol. 2, p. 301 ss.).
Come innanzi detto, il regolamento proposto, fatta salva la potestà degli Stati membri di definire il matrimonio e la sua invalidità, prospetta regole chiare ed uniformi per determinare con una certa prevedibilità la legge applicabile nei casi di separazione e divorzio con implicazioni transnazionali; esso consta di 13 articoli e si muove su due binari: da un lato le coppie costituite da coniugi cittadini europei con diversa nazionalità o coniugi che vivono in Paesi differenti o, ancora, coniugi che risiedono in un Paese diverso da quello di origine potranno decidere quale legge applicare in caso di divorzio, purché un coniuge abbia un collegamento con il Paese di tale legge (ad esempio, una coppia italo-greca residente in Francia potrà chiedere all’autorità giurisdizionale francese di applicare la legge italiana o greca); dall’altro le autorità giurisdizionali disporranno di una formula comune per determinare la legge applicabile in mancanza di accordo delle parti. In questo senso l’introduzione dei norme volte ad armonizzare i criteri di collegamento per la individuazione della legge applicabile in caso di separazione e divorzio dovrebbe far in modo che qualsiasi sia il giudice adito, questi possa agevolmente applicare la legge rinvenuta sulla scorta di regole comuni.
È formalizzata anche la possibilità che i coniugi possano scegliere contrattualmente ed anticipatamente la legge che regolerà la separazione e il divorzio, così aumentando la certezza del diritto, la prevedibilità e la flessibilità della disciplina applicabile; l’effetto ulteriore dovrebbe essere, in casi di procedimenti inevitabilmente complicati, lenti e dolorosi, un aumento delle separazioni consensuali, e la conseguente maggiore tutela del coniuge più debole e dei figli.
L’accordo tra le parti che indichi la scelta della legge applicabile deve essere fatto per iscritto e firmato da entrambi, in modo da garantire che essi siano realmente consapevoli delle conseguenze della loro scelta.
Al fine di rendere edotti i coniugi delle conseguenze dell’applicazione dei diversi ordinamenti europei, la Commissione provvederà ad aggiornare periodicamente il data base on line istituito con decisione 2001/470.
In caso di mancata scelta ad della legge applicabile allo scioglimento del vincolo matrimoniale, quest’ultima verrà determinata sulla base di una serie di elementi, dando la priorità alla legge del Paese dove i coniugi avevano la residenza abituale.
Oltre alle finalità su evidenziate, l’applicazione delle norme previste nella proposta di regolamento mira anche ad arginare il fenomeno del c.d. “rush to court” da parte del coniuge economicamente più forte: questi, infatti, potendo permettersi di sostenere le spese di viaggio e di giudizio in un Paese diverso da quello della comune residenza potrebbe “correre in tribunale” in un altro Stato chiedendo l’applicazione della legge più favorevole ai propri interessi (ad esempio, se un coniuge di una coppia polacca si trasferisse in Finlandia, potrebbe chiedere il divorzio in tale Paese dopo un anno senza il consenso dell’altro coniuge). Le nuove norme impedirebbero questo tipo di “forum shopping” negli Stati membri partecipanti, garantendo l’applicazione della legge del Paese in cui il coniuge più debole vive, oppure della legge del Paese dove era localizzata l’ultima comune residenza.
A norma dell’art. 2 il regolamento proposto è universale, giacché applicazione dei criteri di collegamento ivi indicati potrebbe comportare non solo il rinvio alla legge di uno dei Paesi promotori della cooperazione rafforzata, ma anche a quella di uno dei restanti diciassette, o ancora alla legge di uno Stato non membro dell’Unione europea. In ogni caso la legge di rinvio non sarà applicata se contraria all’ordine pubblico.
Anche dal punto vista soggettivo, l’applicazione della proposta di regolamento ratione personarum, amplia la sua applicazione anche oltre i confini dell’Unione; il regolamento infatti, sarebbe applicabile oltre che “alle coppie internazionali europee” composte da cittadini europei dei “Paesi partecipanti” di diversa nazionalità (una coppia italo – austriaca, per esempio), o alle coppie internazionali composte da cittadini europei di “Paesi partecipanti” e di “Paesi non partecipanti” (ad esempio, una coppia franco-svedese), anche ai cittadini di Paesi terzi (si pensi, ad una coppia di turchi che abbia a lungo vissuto in Ungheria; se dopo la separazione uno dei coniugi si sia trasferito in Francia ed abbia qui avviato la pratica per il divorzio il giudice francese non dovrebbe più applicare solo la legge della comune nazionalità degli sposi, ma potrebbe applicare anche quella ungherese, in quanto legge dello Stato dove i coniugi hanno avuto la comune residenza).
Il regolamento in esame si applica anche ai cittadini dei Paesi dell’Unione che non partecipano alla cooperazione rafforzata (inglesi, ungheresi, polacchi...) ed anche alle persone provenienti da Paesi terzi che però abbiano adito per il divorzio o la separazione personale l’autorità giurisdizionale di un “Paese partecipante” (si faccia il caso di una coppia di americani che vivono in Spagna. Se uno dei coniugi si trasferisse in un Paese dell’UE che non è parte della cooperazione rafforzata, come la Repubblica Ceca, o la Slovacchia, e l’altro rimanesse in Spagna, potrebbe applicarsi non solo la legge statunitense, perché legge comune per entrambi i coniugi, ma anche la legge spagnola, perché la Spagna è l’ultima residenza abituale dei coniugi). Per converso ai cittadini europei dei “Paesi partecipanti” o a quelli di Stati terzi non si applicheranno le norme della proposta di regolamento se instaurano il giudizio di separazione o divorzio dinanzi ad un giudice di un “Paese non partecipante” (sarebbe il caso di due coniugi francesi trasferirsi nel Regno Unito e che vogliano qui separarsi, oppure, per riprendere l’esempio su indicato, dei due coniugi americani che decidano di separarsi in Slovacchia).
I criteri di collegamento indicati per scelta contrattuale della legge applicabile sono a norma dell’art. 3 riassumibili schematicamente nei termini che seguono: la legge del Paese dove è localizzata la residenza abituale comune; la legge del Paese dove è ubicata la loro ultima residenza abituale comune se uno dei due vi risiede ancora; la legge dei Paese della cittadinanza di uno dei coniugi, o la lex fori.
In assenza di scelta, l’individuazione da parte del giudice adito sarà operata in virtù dell’art. 4 con riferimento: alla legge del Paese dove è localizzata la residenza abituale comune al tempo dell’inizio del giudizio di separazione; alla legge del Paese dove è ubicata l’ultima residenza abituale comune se i coniugi vi hanno vissuto almeno fino ad un anno prima dell’inizio del giudizio, o se uno dei due vi risiede ancora; la legge nazionale comune dei coniugi, o la legge del Paese il cui giudice è stato adito.
Nell’attesa di conoscere se la proposta esaminata sarà approvata, resta ferma la considerazione dell’impegno costante della Commissione al servizio dei suoi cittadini: perché l’Europa, ormai da tempo, non è “un’Europa delle economie”, ma è “un’Europa dei diritti”, una Europa che appartiene a tutti noi.
(*) Il presente studio è stato condotto nell’ambito del progetto di ricerca nazionale PRIN 2007 “Cittadinanza europea e diritti fondamentali nell’attuale processo di integrazione”. Responsabile nazionale, prof. Ennio Triggiani (PROT. 2007ETKBLF).
L’attenzione delle istituzioni europee in questo settore è sempre più crescente atteso che nell’Unione si contano circa 16 milioni di matrimoni “internazionali” (matrimoni cioè celebrati tra coniugi di diversa nazionalità o tra coniugi che vivono in Paesi differenti o, ancora, tra coniugi che risiedono in un Paese diverso da quello di origine). Molte di queste unioni inevitabilmente naufragano con immaginabili difficoltà dei tribunali interni nel gestire gli “elementi transnazionali” della separazione e del divorzio. “Migliaia di coppie si trovano in situazioni personali difficili per la mancanza di risposte chiare da parte dei sistemi giuridici nazionali. In molti casi sono i figli e il coniuge più debole a soffrirne. Non voglio che i cittadini dell’UE siano lasciati soli ad affrontare complicati divorzi internazionali. Voglio che dispongano di norme chiare che permettano loro di sapere sempre cosa fare. È per questo che oggi abbiamo deciso di agire”, ha dichiarato la vicepresidente Viviane Reding, commissario per la Giustizia, i diritti fondamentali e la cittadinanza.
La Commissione europea ha proposto una soluzione concreta: una legge applicabile in modo uniforme sul territorio europeo che consenta ai coniugi di scegliere la legge applicabile allo scioglimento del vincolo matrimoniale, e che permetta ai giudici aditi di risolvere in modo più prevedibile e flessibile i problemi connessi alla applicazione di una legge diversa da quella del foro.
Nel panorama europeo attualmente la situazione per le coppie internazionali è tutt’altro che uniforme: la maggior parte dei Paesi UE (precisamente 20) determinano la legge nazionale applicabile usando criteri di collegamento che garantiscono l’applicazione alla separazione ed al divorzio della legge di un Paese con cui i coniugi abbiano un collegamento (quali ad esempio la cittadinanza o la residenza abituale); Danimarca, Lettonia, Irlanda, Cipro, Finlandia, Svezia e Regno Unito, invece, applicano la loro legge nazionale.
In vero già nel 2006 la Commissione sulla base degli articolo 61 e 63 del TCE (oggi art. 81 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di seguito TFUE) aveva proposto di aiutare le coppie internazionali con una normativa ad hoc che emendasse il regolamento (CE) 2201/2003 del 27 novembre 2003, ma il progetto cosiddetto “regolamento Roma III” non ricevette, all’epoca, il necessario sostegno unanime dei governi UE.
La proposta datata marzo 2010, invece, fa seguito ad una richiesta di dieci Paesi UE (Austria, Bulgaria, Francia, Grecia, Ungheria, Italia, Lussemburgo, Romania, Slovenia e Spagna, c.d. “Paesi partecipanti”) i quali hanno espresso l’intenzione di ricorrere alla cosiddetta “cooperazione rafforzata”, strumento, questo, introdotto per la prima volta nel sistema di integrazione europea dal Trattato di Amsterdam, e che da ultimo è stato modificato con il Trattato di Lisbona (segnatamente si vedano l’ art. 20 del Nuovo Trattato dell’Unione europea e gli articoli da 326 a 334 TFUE). Tramite la “cooperazione rafforzata” – come è noto – è permessa una cooperazione più stretta tra quegli Stati dell’Unione che desiderano approfondire la costruzione europea nel rispetto del quadro istituzionale unico dell’Unione, pur senza privare gli altri Paesi del diritto di parteciparvi in qualsiasi momento (per più ampi riferimenti, datati prima delle modifiche introdotte dal Trattato di Lisbona, si segnala A. Cannone, Le cooperazioni rafforzate. Contributo allo studio dell’integrazione differenziata, Bari, 2005; per un primo commento alla nuova disciplina si rinvia per tutti a E. Triggiani, L’Unione europea secondo la riforma di Lisbona, – Supplemento speciale di Sud In Europa, Bari, 2008)
Sotto questo particolare profilo la proposta di regolamento de quo spicca per essere il primo caso della storia dell’UE di “cooperazione rafforzata”: mentre si attende che il Consiglio dei Ministri, previa approvazione del Parlamento europeo, autorizzi questa misura con una decisione a maggioranza qualificata, il commissario Reding, ha sottolineato che “dieci governi hanno chiesto alla Commissione di proporre una soluzione. Il ricorso alla cooperazione rafforzata dimostra che l’UE possiede la flessibilità necessaria per aiutare i suoi cittadini anche quando le questioni giuridiche sono difficili. Il mio obiettivo è garantire che i cittadini possano beneficiare appieno del diritto di vivere e lavorare in un’Unione europea senza frontiere interne”.
Diversamente dal progetto originale, la proposta in commento dorrebbe introdurre novità rispetto al regolamento in materia matrimoniale del 2003 solo con riguardo alla legge applicabile, senza quindi conseguenze per gli aspetti afferenti alla giurisdizione che restano disciplinati dalla norma comunitaria derivata già in vigore (si veda da ultimo amplius S.M. Carbone, C. Tuo, Gli strumenti di diritto dell’Unione europea in materia di famiglia ed il Trattato di Lisbona, in Studi sull’integrazione europea, 2010, vol. 2, p. 301 ss.).
Come innanzi detto, il regolamento proposto, fatta salva la potestà degli Stati membri di definire il matrimonio e la sua invalidità, prospetta regole chiare ed uniformi per determinare con una certa prevedibilità la legge applicabile nei casi di separazione e divorzio con implicazioni transnazionali; esso consta di 13 articoli e si muove su due binari: da un lato le coppie costituite da coniugi cittadini europei con diversa nazionalità o coniugi che vivono in Paesi differenti o, ancora, coniugi che risiedono in un Paese diverso da quello di origine potranno decidere quale legge applicare in caso di divorzio, purché un coniuge abbia un collegamento con il Paese di tale legge (ad esempio, una coppia italo-greca residente in Francia potrà chiedere all’autorità giurisdizionale francese di applicare la legge italiana o greca); dall’altro le autorità giurisdizionali disporranno di una formula comune per determinare la legge applicabile in mancanza di accordo delle parti. In questo senso l’introduzione dei norme volte ad armonizzare i criteri di collegamento per la individuazione della legge applicabile in caso di separazione e divorzio dovrebbe far in modo che qualsiasi sia il giudice adito, questi possa agevolmente applicare la legge rinvenuta sulla scorta di regole comuni.
È formalizzata anche la possibilità che i coniugi possano scegliere contrattualmente ed anticipatamente la legge che regolerà la separazione e il divorzio, così aumentando la certezza del diritto, la prevedibilità e la flessibilità della disciplina applicabile; l’effetto ulteriore dovrebbe essere, in casi di procedimenti inevitabilmente complicati, lenti e dolorosi, un aumento delle separazioni consensuali, e la conseguente maggiore tutela del coniuge più debole e dei figli.
L’accordo tra le parti che indichi la scelta della legge applicabile deve essere fatto per iscritto e firmato da entrambi, in modo da garantire che essi siano realmente consapevoli delle conseguenze della loro scelta.
Al fine di rendere edotti i coniugi delle conseguenze dell’applicazione dei diversi ordinamenti europei, la Commissione provvederà ad aggiornare periodicamente il data base on line istituito con decisione 2001/470.
In caso di mancata scelta ad della legge applicabile allo scioglimento del vincolo matrimoniale, quest’ultima verrà determinata sulla base di una serie di elementi, dando la priorità alla legge del Paese dove i coniugi avevano la residenza abituale.
Oltre alle finalità su evidenziate, l’applicazione delle norme previste nella proposta di regolamento mira anche ad arginare il fenomeno del c.d. “rush to court” da parte del coniuge economicamente più forte: questi, infatti, potendo permettersi di sostenere le spese di viaggio e di giudizio in un Paese diverso da quello della comune residenza potrebbe “correre in tribunale” in un altro Stato chiedendo l’applicazione della legge più favorevole ai propri interessi (ad esempio, se un coniuge di una coppia polacca si trasferisse in Finlandia, potrebbe chiedere il divorzio in tale Paese dopo un anno senza il consenso dell’altro coniuge). Le nuove norme impedirebbero questo tipo di “forum shopping” negli Stati membri partecipanti, garantendo l’applicazione della legge del Paese in cui il coniuge più debole vive, oppure della legge del Paese dove era localizzata l’ultima comune residenza.
A norma dell’art. 2 il regolamento proposto è universale, giacché applicazione dei criteri di collegamento ivi indicati potrebbe comportare non solo il rinvio alla legge di uno dei Paesi promotori della cooperazione rafforzata, ma anche a quella di uno dei restanti diciassette, o ancora alla legge di uno Stato non membro dell’Unione europea. In ogni caso la legge di rinvio non sarà applicata se contraria all’ordine pubblico.
Anche dal punto vista soggettivo, l’applicazione della proposta di regolamento ratione personarum, amplia la sua applicazione anche oltre i confini dell’Unione; il regolamento infatti, sarebbe applicabile oltre che “alle coppie internazionali europee” composte da cittadini europei dei “Paesi partecipanti” di diversa nazionalità (una coppia italo – austriaca, per esempio), o alle coppie internazionali composte da cittadini europei di “Paesi partecipanti” e di “Paesi non partecipanti” (ad esempio, una coppia franco-svedese), anche ai cittadini di Paesi terzi (si pensi, ad una coppia di turchi che abbia a lungo vissuto in Ungheria; se dopo la separazione uno dei coniugi si sia trasferito in Francia ed abbia qui avviato la pratica per il divorzio il giudice francese non dovrebbe più applicare solo la legge della comune nazionalità degli sposi, ma potrebbe applicare anche quella ungherese, in quanto legge dello Stato dove i coniugi hanno avuto la comune residenza).
Il regolamento in esame si applica anche ai cittadini dei Paesi dell’Unione che non partecipano alla cooperazione rafforzata (inglesi, ungheresi, polacchi...) ed anche alle persone provenienti da Paesi terzi che però abbiano adito per il divorzio o la separazione personale l’autorità giurisdizionale di un “Paese partecipante” (si faccia il caso di una coppia di americani che vivono in Spagna. Se uno dei coniugi si trasferisse in un Paese dell’UE che non è parte della cooperazione rafforzata, come la Repubblica Ceca, o la Slovacchia, e l’altro rimanesse in Spagna, potrebbe applicarsi non solo la legge statunitense, perché legge comune per entrambi i coniugi, ma anche la legge spagnola, perché la Spagna è l’ultima residenza abituale dei coniugi). Per converso ai cittadini europei dei “Paesi partecipanti” o a quelli di Stati terzi non si applicheranno le norme della proposta di regolamento se instaurano il giudizio di separazione o divorzio dinanzi ad un giudice di un “Paese non partecipante” (sarebbe il caso di due coniugi francesi trasferirsi nel Regno Unito e che vogliano qui separarsi, oppure, per riprendere l’esempio su indicato, dei due coniugi americani che decidano di separarsi in Slovacchia).
I criteri di collegamento indicati per scelta contrattuale della legge applicabile sono a norma dell’art. 3 riassumibili schematicamente nei termini che seguono: la legge del Paese dove è localizzata la residenza abituale comune; la legge del Paese dove è ubicata la loro ultima residenza abituale comune se uno dei due vi risiede ancora; la legge dei Paese della cittadinanza di uno dei coniugi, o la lex fori.
In assenza di scelta, l’individuazione da parte del giudice adito sarà operata in virtù dell’art. 4 con riferimento: alla legge del Paese dove è localizzata la residenza abituale comune al tempo dell’inizio del giudizio di separazione; alla legge del Paese dove è ubicata l’ultima residenza abituale comune se i coniugi vi hanno vissuto almeno fino ad un anno prima dell’inizio del giudizio, o se uno dei due vi risiede ancora; la legge nazionale comune dei coniugi, o la legge del Paese il cui giudice è stato adito.
Nell’attesa di conoscere se la proposta esaminata sarà approvata, resta ferma la considerazione dell’impegno costante della Commissione al servizio dei suoi cittadini: perché l’Europa, ormai da tempo, non è “un’Europa delle economie”, ma è “un’Europa dei diritti”, una Europa che appartiene a tutti noi.
(*) Il presente studio è stato condotto nell’ambito del progetto di ricerca nazionale PRIN 2007 “Cittadinanza europea e diritti fondamentali nell’attuale processo di integrazione”. Responsabile nazionale, prof. Ennio Triggiani (PROT. 2007ETKBLF).