L'esame della normativa comunitaria da parte della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo - Sud in Europa

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L'esame della normativa comunitaria da parte della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo

Archivio > Anno 2002 > Dicembre 2002
di Marina Castellaneta (Associato di Diritto internazionale dell'Università di Bari)

Se la Corte di giustizia delle Comunità europee ha, in diverse occasioni, richiamato e utilizzato la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo nell’adozione di talune pronunce, non era accaduto che la Corte di Strasburgo si occupasse di ricorsi presentati da individui avverso taluni atti adottati dall’Unione europea.
A seguito di un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, presentato da due associazioni basche (e in particolare dai relativi portavoce), la Segi (ricorso n. 6422/02) e la Gestoras pro-amnistia (ricorso n. 9916/02) contro i quindici Paesi dell’Unione, la Corte ha potuto, pur dichiarando il ricorso irricevibile, chiarire la portata degli atti adottati in materia di politica estera e di sicurezza comune (PESC) all’interno del sistema di garanzia disposto dalla Convenzione europea, fornendo altresì precisazioni in ordine alla nozione di vittima ai sensi dell’art. 34 della Convenzione.
Nel caso in esame, le indicate associazioni, impegnate nella salvaguardia della cultura, dell’identità e della lingua basca in Spagna e in Francia, erano state costrette a sospendere le proprie attività dal giudice istruttore di Madrid in quanto accusate di legami con l’organizzazione terroristica basca ETA. Successivamente alcuni dirigenti delle associazioni erano stati arrestati e accusati di attività terroristiche anche in base alle posizioni comuni 2001/930/PESC e 2001/931/PESC del Consiglio dell’Unione europea adottate il 27 dicembre 2001.
A seguito degli attentati dell’11 settembre 2001, l’Unione europea ha predisposto taluni atti per la lotta al terrorismo, chiedendo agli Stati membri di ratificare le convenzioni internazionali in materia. Con la posizione comune 2001/931, indirizzata alla Comunità europea e agli Stati membri, sono state indicate alcune associazioni sospettate di essere coinvolte in attività terroristiche verso le quali dovevano essere adottate misure particolari quali il congelamento dei beni: le due associazioni indicate in precedenza sono state citate come componenti dell’ETA.
Le ricorrenti colpite dalle suddette misure hanno presentato un ricorso prospettando diversi motivi di violazione: l’assenza di ricorsi giurisdizionali avverso le indicate misure considerando l’impossibilità di ricorrere alla Corte di giustizia delle Comunità europee, la violazione del diritto alla presunzione d’innocenza, così come alla libertà di espressione e di associazione.
La Corte europea ha ritenuto il ricorso irricevibile decidendo di non occuparsi della possibilità di utilizzare eventuali altri strumenti di ricorso forniti nel Trattato comunitario, poiché ha rilevato l’insussistenza della condizione di cui all’art. 34 della Convenzione europea ossia la qualità di vittima da parte dei ricorrenti sia sotto il profilo di una violazione effettiva dei propri diritti sia in relazione alla nozione di vittima potenziale specificata in diverse occasioni dalla Corte europea. L’assenza di tale qualità deriva, per la Corte, dalla natura giuridica delle posizioni comuni poiché gli atti adottati in materia di politica estera e di sicurezza comune si inseriscono nella cooperazione intergovernativa senza che possano produrre effetti immediatamente vincolanti per gli individui. In particolare, la Corte ha rilevato che la posizione 2001/930 costituiva una mera raccomandazione agli Stati invitati a ratificare le diverse convenzioni internazionali connesse alla lotta al terrorismo. Riguardo invece alla posizione comune 2001/931, le cui misure di congelamento di fondi sono state recepite nel regolamento 2580/2001 del 27 dicembre 2001 relativo alle misure restrittive specifiche nei confronti di entità e individui nel quadro della lotta al terrorismo, la Corte ha sostenuto che le ricorrenti non fossero destinatarie dell’atto perché l’art. 4, in realtà, costituisce un obbligo per gli Stati che devono cooperare nel settore giudiziario e di polizia. L’obbligo di cooperazione quindi non riguarda i singoli individui che non sono direttamente lesi da alcuna misura: malgrado l’indicazione espressa delle due associazioni la Corte europea ha ritenuto che le parti non hanno fornito alcuna indicazione riguardo a un effetto diretto sulla propria attività rilevando che la semplice elencazione di tali associazioni costituisce “un legame troppo tenue per giustificare l’applicazione della Convenzione europea” perché la loro individuazione non presuppone alcuna affermazione di colpevolezza. La posizione comune indica le basi per una cooperazione tra Stati ma non produce effetti diretti. Pertanto, pur sottolineando l’applicabilità, in linea teorica, dei principi giurisdizionali consolidati dalla stessa Corte non solo alla legislazione interna ma anche ad atti provenienti da un ordinamento giuridico internazionale, la Corte ha rilevato l’assenza di elementi che dimostrino la sussistenza di misure particolari per i ricorrenti e quindi mancando la qualità di vittima ha dichiarato il ricorso irricevibile.
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