ALDO MORO: LUNGIMIRANTE STATISTA EUROPEO
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di Ennio TRIGGIANI
Il Senato Accademico ha deciso lo scorso 7 maggio di intitolare l’Università degli studi di Bari ad Aldo Moro, suo studente brillantissimo e docente prestigioso. La scelta è avvenuta due giorni prima la ricorrenza del trentennale dalla sua morte per mano delle Brigate rosse ed è noto che quel fatidico 9 maggio è stato scelto dal Parlamento come giornata della memoria per le vittime del terrorismo; essa coincide così con la Festa dell’Europa in ricordo della conferenza stampa con cui il Ministro degli esteri francese Robert Schuman diede il via al processo politico dell’integrazione europea. Si tratta di una coincidenza non impropria in quanto, come ha opportunamente sottolineato il Presidente Napolitano, “far conoscere l’Europa significa anche far conoscere le pagine più controverse e drammatiche della sua storia e della storia di Paesi importanti che ne fanno parte”.
Il duplice riferimento costituisce l’occasione per ricordare il ruolo centrale svolto da Moro nella costruzione delle Comunità europee proiettando su di esse i valori della cittadinanza effettiva, della democrazia e della pace pilastri della sua personalità politica. Egli, con grande lungimiranza, comprende che in un mondo diviso in due blocchi l’Italia e l’Europa hanno il dovere storico di offrire un contributo autonomo alla costruzione della distensione. E così attua il riconoscimento della Cina comunista favorendone l’ingresso nelle Nazioni Unite e pone fine a tutte le controversie con gli Stati confinanti (Austria e Jugoslavia) senza timore di contraccolpi in termini di impopolarità. Né la sua lealtà nei rapporti con gli Stati Uniti gli impedisce di assumere meditate e ragionevoli iniziative indipendenti, secondo l’autorevole testimonianza di Roberto Gaja e Roberto Ducci, come il rifiuto delle basi italiane per gli aiuti americani ad Israele nella guerra del 1967.
Moro si batte perché l’Italia, Paese cofondatore, ottenga maggiori riconoscimenti nelle istituzioni conquistando a favore dell’Italia, per la prima volta, la designazione alla Presidenza della Commissione europea nella persona di Franco Maria Malfatti.
Egli svolge soprattutto un ruolo determinante nel 1975, anche in qualità di Presidente del Consiglio delle Comunità Europee, nella positiva conclusione della Conferenza di Helsinki per la cooperazione e la sicurezza europea il cui Atto finale, firmato da 35 Paesi, costituisce forse la prima pietra nella caduta del muro di Berlino; e proprio grazie allo statista pugliese questa avviene in Italia, come ha scritto Franco De Felice, con un anticipo di dieci anni sul resto d’Europa.
Nel dicembre dello stesso 1975 Moro, dopo aver inaugurato in febbraio a Firenze l’Istituto Universitario Europeo, realizza un vero capolavoro di abilità diplomatica nella gestione del Consiglio europeo riunito a Roma. Viene infatti finalmente decisa dagli allora nove Paesi delle Comunità Europee, nonostante l’iniziale opposizione di Danimarca e Regno Unito, l’elezione del Parlamento europeo a suffragio diretto, portando a compimento il faticoso ed appassionato lavoro svolto in tanti anni dal connazionale Altiero Spinelli. Inoltre è esaminata la proposta e - dopo comprensibili iniziali perplessità - fissata l’istituzione di un passaporto unico europeo, significativa e lungimirante premessa per la realizzazione della libera circolazione delle persone.
Il successo diplomatico di Moro non si ferma qui. Il Consiglio decide infatti la partecipazione europea con una rappresentanza unica al negoziato fra Paesi industrializzati, produttori di petrolio ed emergenti: nasce il cosiddetto “Dialogo Nord-Sud” che Moro, autore del primo intervento legislativo italiano per la cooperazione allo sviluppo, individua quale asse strategico essenziale nello scenario delle relazioni internazionali dei successivi decenni considerato il progressivo attenuarsi del conflitto Est-Ovest. Si tratta di un passaggio importantissimo anche in vista di un ruolo di mediazione non solo italiano ma europeo rispetto al questione palestinese per realizzare su scala più vasta e quindi più incisiva la politica della “equi-vicinanza” caratteristica della sua politica estera verso le relazioni arabo-israeliane.
In realtà lo statista pugliese mostra una permanente sensibilità per i Paesi più poveri dalla quale deriva una interpretazione “inclusiva” del processo di integrazione europea per tempo da lui aperto ai Paesi dell’oriente europeo e del sud del Mediterraneo perché si ricongiungano prima possibile alla parte occidentale. Egli ha l’intelligenza di capire che sia l’Italia sia l’Europa debbono sviluppare una strategia di attenzione solidale verso questi Paesi perché in essi si giocano molti dei destini di pace attraverso la promozione della democrazia e dei diritti; individua fra l’altro proprio nella Università e nella Fiera del Levante due strumenti importanti per raggiungere tale scopo.
Moro in tutta la sua azione politica ha inoltre lottato perché si determinasse nella società un esercizio più intenso e più diffuso dei diritti di libertà e dei diritti sociali interpretando pienamente le caratteristiche essenziali dell’integrazione europea basata sul modello di democrazia sociale e sulla comunità di diritto. Egli è infatti insoddisfatto di una visione riduttiva dell’Europa troppo schiacciata, nella realtà e nell’opinione pubblica, sul profilo economico del mercato comune per cui, come si è detto, riesce a far decollare l’elezione diretta del Parlamento europeo per attenuare il relativo deficit democratico.
D’altronde l’adesione al complesso ideale dell’europeismo non può non essere una costante per chi, in termini generali, ritiene che «la politica è un fatto di forza, più propriamente di consapevolezza, di fiducia nel proprio compito…ma ci deve pur essere, più in fondo, una ragione, un fondamento ideale, una finalità umana per i quali ci si costituisce in potere e il potere si esercita. È solo nella accettazione incondizionata di una ragione morale che si sviluppa con coerenza il patrimonio delle nostre idealità e il complesso degli impegni per il nostro tempo». L’Europa si deve in altri termini costruire sui valori umani, di cui ogni cittadino è titolare, in quanto ogni Stato democratico è fondato sul “prestigio di ogni uomo” e deve garantire tale prestigio.
L’intestazione a Moro dell’Università di Bari sottolinea pertanto la grandezza della sua personalità di statista europeo ed europeista, mossa costantemente da una coscienza alta della storia e sempre proiettata a perseguire in ogni sua attività il valore inestimabile della pace, fondamento dell’Unione Europea, che dovrebbe essere parametro di riferimento per ogni istituzione culturale.
Il duplice riferimento costituisce l’occasione per ricordare il ruolo centrale svolto da Moro nella costruzione delle Comunità europee proiettando su di esse i valori della cittadinanza effettiva, della democrazia e della pace pilastri della sua personalità politica. Egli, con grande lungimiranza, comprende che in un mondo diviso in due blocchi l’Italia e l’Europa hanno il dovere storico di offrire un contributo autonomo alla costruzione della distensione. E così attua il riconoscimento della Cina comunista favorendone l’ingresso nelle Nazioni Unite e pone fine a tutte le controversie con gli Stati confinanti (Austria e Jugoslavia) senza timore di contraccolpi in termini di impopolarità. Né la sua lealtà nei rapporti con gli Stati Uniti gli impedisce di assumere meditate e ragionevoli iniziative indipendenti, secondo l’autorevole testimonianza di Roberto Gaja e Roberto Ducci, come il rifiuto delle basi italiane per gli aiuti americani ad Israele nella guerra del 1967.
Moro si batte perché l’Italia, Paese cofondatore, ottenga maggiori riconoscimenti nelle istituzioni conquistando a favore dell’Italia, per la prima volta, la designazione alla Presidenza della Commissione europea nella persona di Franco Maria Malfatti.
Egli svolge soprattutto un ruolo determinante nel 1975, anche in qualità di Presidente del Consiglio delle Comunità Europee, nella positiva conclusione della Conferenza di Helsinki per la cooperazione e la sicurezza europea il cui Atto finale, firmato da 35 Paesi, costituisce forse la prima pietra nella caduta del muro di Berlino; e proprio grazie allo statista pugliese questa avviene in Italia, come ha scritto Franco De Felice, con un anticipo di dieci anni sul resto d’Europa.
Nel dicembre dello stesso 1975 Moro, dopo aver inaugurato in febbraio a Firenze l’Istituto Universitario Europeo, realizza un vero capolavoro di abilità diplomatica nella gestione del Consiglio europeo riunito a Roma. Viene infatti finalmente decisa dagli allora nove Paesi delle Comunità Europee, nonostante l’iniziale opposizione di Danimarca e Regno Unito, l’elezione del Parlamento europeo a suffragio diretto, portando a compimento il faticoso ed appassionato lavoro svolto in tanti anni dal connazionale Altiero Spinelli. Inoltre è esaminata la proposta e - dopo comprensibili iniziali perplessità - fissata l’istituzione di un passaporto unico europeo, significativa e lungimirante premessa per la realizzazione della libera circolazione delle persone.
Il successo diplomatico di Moro non si ferma qui. Il Consiglio decide infatti la partecipazione europea con una rappresentanza unica al negoziato fra Paesi industrializzati, produttori di petrolio ed emergenti: nasce il cosiddetto “Dialogo Nord-Sud” che Moro, autore del primo intervento legislativo italiano per la cooperazione allo sviluppo, individua quale asse strategico essenziale nello scenario delle relazioni internazionali dei successivi decenni considerato il progressivo attenuarsi del conflitto Est-Ovest. Si tratta di un passaggio importantissimo anche in vista di un ruolo di mediazione non solo italiano ma europeo rispetto al questione palestinese per realizzare su scala più vasta e quindi più incisiva la politica della “equi-vicinanza” caratteristica della sua politica estera verso le relazioni arabo-israeliane.
In realtà lo statista pugliese mostra una permanente sensibilità per i Paesi più poveri dalla quale deriva una interpretazione “inclusiva” del processo di integrazione europea per tempo da lui aperto ai Paesi dell’oriente europeo e del sud del Mediterraneo perché si ricongiungano prima possibile alla parte occidentale. Egli ha l’intelligenza di capire che sia l’Italia sia l’Europa debbono sviluppare una strategia di attenzione solidale verso questi Paesi perché in essi si giocano molti dei destini di pace attraverso la promozione della democrazia e dei diritti; individua fra l’altro proprio nella Università e nella Fiera del Levante due strumenti importanti per raggiungere tale scopo.
Moro in tutta la sua azione politica ha inoltre lottato perché si determinasse nella società un esercizio più intenso e più diffuso dei diritti di libertà e dei diritti sociali interpretando pienamente le caratteristiche essenziali dell’integrazione europea basata sul modello di democrazia sociale e sulla comunità di diritto. Egli è infatti insoddisfatto di una visione riduttiva dell’Europa troppo schiacciata, nella realtà e nell’opinione pubblica, sul profilo economico del mercato comune per cui, come si è detto, riesce a far decollare l’elezione diretta del Parlamento europeo per attenuare il relativo deficit democratico.
D’altronde l’adesione al complesso ideale dell’europeismo non può non essere una costante per chi, in termini generali, ritiene che «la politica è un fatto di forza, più propriamente di consapevolezza, di fiducia nel proprio compito…ma ci deve pur essere, più in fondo, una ragione, un fondamento ideale, una finalità umana per i quali ci si costituisce in potere e il potere si esercita. È solo nella accettazione incondizionata di una ragione morale che si sviluppa con coerenza il patrimonio delle nostre idealità e il complesso degli impegni per il nostro tempo». L’Europa si deve in altri termini costruire sui valori umani, di cui ogni cittadino è titolare, in quanto ogni Stato democratico è fondato sul “prestigio di ogni uomo” e deve garantire tale prestigio.
L’intestazione a Moro dell’Università di Bari sottolinea pertanto la grandezza della sua personalità di statista europeo ed europeista, mossa costantemente da una coscienza alta della storia e sempre proiettata a perseguire in ogni sua attività il valore inestimabile della pace, fondamento dell’Unione Europea, che dovrebbe essere parametro di riferimento per ogni istituzione culturale.