IL CONCETTO D'EUROPA IN ORTEGA Y GASSET - Sud in Europa

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IL CONCETTO D'EUROPA IN ORTEGA Y GASSET

Archivio > Anno 2005 > Aprile 2005

di Manlio TRIGGIANI (Giornalista professionista)
Cos'è l'Europa, un prolungamento dell'Asia, come affermava Nietzsche, o un'idea nata nella cultura greca che ha assunto un'importanza universale, come sosteneva Husserl? Il filosofo spagnolo José Ortega y Gasset se lo domandò a Berlino, quando tenne una conferenza sull’Europa a studenti universitari (Ortega y Gasset, Meditazioni sull'Europa, Seam, Formello). Era il 1949, quattro anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, e nei quartieri berlinesi c'erano ancora le macerie della guerra.
Ortega voleva dimostrare l’importanza e l’urgenza di un’unione fra tutti gli Stati europei pur elogiando l’idea di nazione e reputando la sua esaltazione, cioè il nazionalismo, deleterio e contrario all’Europa. Per Ortega l’Europa era un equilibrio politico e spirituale anteriore agli Stati nazionali, da tararsi sulla base delle pluralità espresse dai vari Paesi.
Già nell’Ottocento il nazionalismo era esploso in tutti i Paesi europei e la possibilità di unione e convergenza si eclissò, lasciando spazio, all’inizio del Novecento, a quella che giustamente Ernst Nolte ha definito “la guerra civile europea”, che ha bagnato di sangue l'Europa in due guerre mondiali e ha allontanato per decenni la possibilità di un’unione reale che ancora oggi è lungi dall’essere del tutto compiuta. Di contro, la sua antitesi, l’internazionalismo, è considerato poco interessante, poco produttivo da Ortega, perché non comprende il nocciolo della nazione, il suo interiore significato, una realtà "con cui bisogna fare i conti".
L’europeismo di Ortega y Gasset deriva da due realtà: la nascita della società di massa e l’urgenza di un processo di rinnovamento del concetto di nazione, in particolare per lui, intellettuale spagnolo che aveva viaggiato e studiato in Germania e in Francia. In questi viaggi constatò l’arretratezza della Spagna, la necessità di affrontare il tema della modernità e il suo superamento.
Nei primi decenni del Novecento ferveva un dibattito in Spagna, fra coloro che rimarcavano la centralità spagnola (Unamuno) e coloro che invece sostenevano la necessità di avere l’Europa come punto di riferimento per un radicale rinnovamento. Ortega era con i secondi, a favore della coniugazione di nazione ed Europa perché per lui l’Europa era sinonimo di cultura, norma di ideali che poteva contribuire largamente a un rinnovamento e a una riforma intellettuale della Spagna.
E non è un caso che proprio due aspetti della riflessione intellettuale del pensatore madrileno avessero preso in esame la modernità e le masse (La ribellione delle masse, 1930, edito dal Mulino, Bologna, 1962) e la Spagna moderna (España invertebrata,1920) mentre uno dei primi volumi tradotti in Italia di Ortega fu La Spagna e l’Europa (una raccolta di scritti edita da Ricciardi, Napoli, 1936), antologia di particolare interesse per quel tempo, che aveva la finalità di far conoscere questo autore importante. Ma ne La Spagna e l’Europa (pag. 85-107) Ortega sottolinea l’importanza della comunanza di cultura e di tradizioni fra i popoli europei, sottolineando le cause dell’arretratezza spagnola.
Per Ortega la Spagna avrebbe avuto un significato "solamente se si integra intellettualmente all’Europa" e quindi il richiamo all’Europa si coniugava con un progetto di rinascita, definito sull'urgenza di un richiamo a valori e a una visione del mondo che facessero appello al futuro, con l’affermazione di nuove aristocrazie, di nuove élite (il riferimento è a Pareto ma anche, secondo alcuni critici, a un impulso nietzscheano e fichtiano). Un'analisi sul concetto di nazione e di Spagna che fu sviluppata ne Il tema del nostro tempo (edizioni SugarCo, Milano, 1985). In Spagna, del resto, la cultura ristagnava nonostante ci fossero grandi personalità (per un affresco del periodo, cfr. Marcigliano, I figli di don Chisciotte, Editoriale Pantheon, Roma, 2003, pag. 60 e segg.).
Nella Ribellione delle masse, Ortega analizzò l’epoca dell’avvento delle moltitudini, di una società che spersonalizza l’individuo, lo rende uomo-massa (La ribellione delle masse, pag. 9 e segg. e 51 e segg., Mulino Bologna, 1974) e già allora, nel 1930, scorse la possibilità che gli Usa potessero colonizzare l’immaginario europeo: "L’Europa non si è americanizzata. Non ha ricevuto ancora un grande influsso dall’America. L’una cosa e l’altra semmai si iniziano proprio adesso; però non si produssero dal più recente passato, dal quale germoglia il presente. (…) Il trionfo delle masse e la conseguente magnifica scesa del livello vitale si sono verificate in Europa per ragioni interne, dopo due secoli di educazione progressista delle moltitudini e in seguito a un parallelo arricchimento economico della società. Ma il fatto è che il risultato coincide con il tratto più decisivo della vita americana; e per questo, poiché coincide la situazione morale dell’uomo medio europeo con quella dell’americano, è avvenuto che per la prima volta l’europeo arriva ad intendere la vita americana, che prima era per lui un enigma e un mistero". Un parallelo e un'analisi che la dicono lunga sull’evolversi dei rapporti fra i due continenti.
Al centro della riflessione orteghiana restava comunque l’Europa; lo scrittore auspicava un’Europa unita che non opprimesse le specificità nazionali e regionali, un’Europa unita nel nome del passato e del futuro, che tenesse conto delle particolarità, delle tradizioni, dei costumi locali. Un forte richiamo, quindi, a un ordine spirituale e politico unico, da ottenere superando le questioni monetarie in una dimensione europea, in una visione di "grande politica".
Del resto, per Ortega l’Europa esiste già da secoli, con tutte le sue differenze e contraddizioni e per questo crearla non significa doverla realizzare a tavolino, grazie a politici o tecnocrati, ma solo attraverso lo sforzo di far affiorare una realtà latente, preesistente: la civiltà europea che supera le patrie, piccole e grandi, per rilanciare quello che per Ortega è un progetto rigeneratore. E queste idee, elaborate negli anni Trenta, vengono riprese nel 1949, in occasione della conferenza davanti agli studenti tedeschi, con la volontà di sottolineare che l’Europa non è in decadenza, che restano possibilità di rilancio. E proprio per questo comincia la sua meditazione affermando che "Penso che è a Berlino, proprio a Berlino, dove si deve parlare di Europa" (Meditazione sull’Europa, pag. 51) e più in là rimarca: "Al di sotto dei fenomeni superficiali, che si percepiscono a occhio nudo – la penuria economica, la confusione politica – l’uomo europeo comincia a emergere dalla catastrofe e grazie alla catastrofe! Ma conviene avvertire che le catastrofi appartengono alla normalità della storia, sono un prezzo necessario nel funzionamento del destino umano. Una umanità senza catastrofi cadrebbe nell’indolenza, perderebbe tutto il suo potere creatore".
Insomma, spiega il pensatore spagnolo, ogni nazione e ogni popolo europeo hanno avuto due piani di esistenza, due piani di identità: uno nazionale e uno sovranazionale, nella dimensione europea. Ortega individua un europeismo del IX secolo, con Carlo Magno, e in quel periodo l'aspetto meno importante, sempre per Ortega, era proprio l'unità statale perché l'imperium era al centro della storia europea. Come anche nel Settecento, altro secolo considerato dal pensatore spagnolo "secolo europeo". Ma Ortega rimarca che già nel Seicento "la realtà nazione si presenta già con tutti i suoi attributi, integralmente costruita. I popoli d'Occidente erano arrivati nel loro sviluppo a costituirsi una vita propria sufficientemente ricca, creatrice e caratteristica perché in quell'epoca saltasse agli occhi di ciascuno che essa era diversa da quella degli altri. Per la prima volta, allora, almeno con dichiarata frequenza e intensità, si parla in ogni paese dei nostri capitani, dei nostri sapienti, dei nostri poeti. È la piena coscienza della nazionalità. (…) Ma questo rivela che una nazione non può mai essere una sola. Al rigoroso e non vago concetto di nazione appartiene invariabilmente la pluralità… Nessun popolo europeo si sarebbe riconosciuto come nazione, per esempio, di fronte agli arabi".
Non solo: fu anche la contrapposizione all'Islam che sviluppò la coscienza di Occidente, tenendo presente che allora Occidente significava principalmente Cristianità, la quale peraltro coincideva con l'Europa. Infatti, Federico Chabod affermò che "Coscienza europea significa differenziazione dell'Europa, come entità politica e morale, da altre entità, cioè, nel caso nostro da altri continenti o gruppi di nazioni; il concetto d'Europa deve formarsi per contrapposizione in quanto c'è qualcosa che non è Europa (Chabod, Storia dell'idea d'Europa, Laterza, Bari-Roma 1977, pag. 23).
È profetico Ortega y Gasset quando sottolinea l'importanza, per le nazioni europee, di proiettarsi in una dimensione di "unità politica sopra o ultranazionale", pena la decadenza. Fu profetico nella lettura della decadenza, della progressiva perdita di forza dell'Europa nel mondo, già un quindicennio prima che il continente perdesse colonie e influenza nello scacchiere politico mondiale. Proprio in un momento in cui si credeva che le democrazie europee, avendo sconfitto, con gli Usa e l'Urss, i regimi autoritari europei, fossero nel pieno compimento e affermazione.
Né Ortega considerava positive le istituzioni sovranazionali al di fuori di confini di omogeneità. In merito alla "Società delle nazioni", infatti, già nel 1937 affermava che fu "un enorme e grossolano errore sia il sistema di idee filosofiche, storiche, sociologiche e giuridiche da cui emanarono il loro progetto e la loro figura era già storicamente morta". Una dichiarazione che offre spunti di riflessione anche per l'oggi, se si pensa all'Unione europea e alla richiesta di ingresso di paesi estranei alla cultura e alle tradizioni europee.
Da questo punto Ortega si pone la domanda di cosa fosse la polis e rintraccia il concetto di nazionalità. In particolare, richiamandosi alla lezione greca e a quella romana, che concepivano la polis e l'urbs come qualcosa di estremamente concreto, chiaro, e Ortega pone l'appartenenza, quindi, nell'Origine stessa, intesa come base essenziale. E in Europa, c'è un carattere unitario nella magnifica pluralità, c'è una forte omogeneità. Il comune denominatore resta, nelle nazioni europee, la società, la cultura.
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