Osservatorio sulla "Convenzione per l'avvenire dell'Europa" - APPROVATA LA BOZZA DEL TRATTATO COSTITUZIONALE EUROPEO
Archivio > Anno 2003 > Giugno 2003
di Vittorio Calaprice
La
Convenzione europea è finalmente riuscita nella sua ultima sessione
plenaria del 13 giugno a elaborare il testo definitivo della bozza del
futuro Trattato costituzionale, che è stata presentata il 20 giugno al
Consiglio europeo di Salonicco. La bozza non è stata votata, ma
approvata per “consenso” per i suoi primi 59 articoli, la Parte II (che
riproduce integralmente la Carta dei diritti fondamentali) e tre
Protocolli aggiuntivi (ruolo dei parlamenti nazionali, principio di
sussidiarietà e proporzionalità, rappresentanza dei cittadini nel
parlamento europeo e ponderazione dei voti in seno al Consiglio). In
questo numero – data la sua rilevanza - pubblichiamo il resoconto
stenografico dell’ampia informativa tenuta dall’Onorevole Marco Follini,
membro italiano della Convenzione europea, in occasione della seduta
del Parlamento del 3 giugno scorso dedicata agli interventi dei
Rappresentanti della Camera dei Deputati presso la Convenzione europea.
Nel prossimo numero riporteremo il contributo dell’Onorevole Valdo Spini.
“La Convenzione ha lavorato intorno a molte domande poste a Laeken dalla Conferenza intergovernativa e ad una in particolare, ovvero su come sia possibile rendere l’Europa più trasparente, democratica e responsabile verso i suoi cittadini. […] Vediamo quali sono i punti che il dibattito di questi mesi consente di dare per acquisiti: in primo luogo, il superamento degli attuali pilastri con la formazione di un unico quadro istituzionale e in questo ambito la scelta di dotare l’Unione di personalità giuridica.
Tale argomento è particolarmente importante perché consente all’Unione europea di essere presente in quanto tale nelle grandi organizzazioni internazionali e, ad esempio, renderebbe possibile quanto era negli auspici nei primi giorni di lavoro della Convenzione, ovvero una rappresentanza dell’Unione e non più dei singoli paesi nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, evento che le cronache di questi ultimi tempi fanno ritenere piuttosto improbabile ma che consente di superare quanto meno un ostacolo formale e che sin qui è rimasto insuperabile. Vi è accordo sull’incorporazione della Carta dei diritti nel testo del trattato e vi è, infine, una larghissima opinione comune favorevole circa l’individuazione di un ministro degli esteri europeo che sia anche un punto di congiunzione fra il Consiglio e la Commissione e che finisca per assumere le responsabilità che attualmente fanno capo, per un verso, a Solana e, per altro verso, al commissario Patten. Questi sono punti che ragionevolmente si possono dare per scontati, ma ovviamente l’attenzione di tutti, ed anche la nostra, si appunta invece sugli argomenti più spinosi e sulle difficoltà che abbiamo sin qui riscontrato. Ne vorrei citare tre, per mettere ordine in questa discussione, che mi sembrano politicamente quelli fondamentali. La prima questione riguarda i valori, la seconda, l’architettura istituzionale e la terza le procedure di approvazione e di modifica del testo costituzionale. La discussione sui valori è partita da una forte spinta non soltanto da parte cattolica, che chiedeva il riconoscimento di quelle radici giudaico-cristiane, che fanno parte della storia europea e dei suoi ideali. […] Nei giorni scorsi il Praesidium ha redatto un preambolo che fa riferimento a molti aspetti e a molti passaggi della storia e dell’idealità europee, ma trascura del tutto le radici religiose. Naturalmente questa omissione risulta stridente a partire dal fatto che, invece, in quel preambolo viene espressamente citato il secolo dei lumi, che sicuramente è anche questo parte della storia europea, ma, diciamo così, forse è una parte meno cruciale e decisiva ai fini della individuazione dell’identità europea. Io naturalmente non vorrei aprire qui una disputa, che è ideale, storica e politica al tempo stesso. Segnalo però che o noi seguiamo un percorso che esclude dal testo costituzionale riferimenti, valori e principi e che, quindi, gira alla larga da questo argomento, oppure, se si entra nel merito, a me risulta un po’ difficile considerare che in Europa il secolo dei lumi abbia contato più del cristianesimo, e lo dico avendo avuto fin qui nei dibattiti italiano ed europeo una posizione assolutamente intransigente nel rivendicare il carattere laico delle istituzioni. Il secondo punto è quello che viene considerato un po’ il banco di prova dei nostri lavori e riguarda le istituzioni. Ci si è mossi fin qui nel tentativo di trovare un equilibrio che evitasse la preponderanza del Consiglio ai danni della Commissione o, viceversa, della Commissione ai danni del Consiglio e che cercasse di fare crescere contemporaneamente competenze e responsabilità sia del Consiglio che della Commissione e del Parlamento. È evidente che c’è una necessità di innovazione forte, a partire dal fatto che i paesi sono venticinque ormai, che le istituzioni sono state pensate per una Europa a sei e che già oggi un’Europa a quindici fatica a riconoscersi in questo assetto. Da qui le due proposte principali sulle quali si è espresso finora il Praesidium. La necessità di superare la rotazione semestrale, vista da molti paesi piccoli come un elemento di ancoraggio all’Unione europea, ma considerata un po’ da tutti superata dagli avvenimenti, e il superamento del principio, ribadito ancora qualche tempo fa in occasione della Conferenza di Nizza, che assegna ad ogni paese almeno un commissario e che produrrà di qui a qualche mese una Commissione composta da almeno venticinque commissari. Il Praesidium ha individuato due proposte, quella, per così dire, del presidente di lunga durata, che dura in carica due anni e mezzo con poteri definiti e limitati, ossia di rappresentanza, e, a seconda delle versioni, che abbia un passato di Capo di Stato o di Governo o, comunque, di un ruolo che giustifichi l’assegnazione di una carica così cruciale. L’altra proposta è quella di una Commissione ridotta. A partire dal 2009 si immagina un periodo transitorio in cui tutti i paesi abbiano piena rappresentanza nella Commissione e in una fase successiva una semplificazione che riduca il numero dei commissari a quindici. In questo assetto il Presidente della Commissione sarebbe a sua volta votato dal Parlamento europeo.
Questo è il punto in cui, oggi, ci troviamo. Questa è la proposta che il Praesidium ha formulato.
Non credo che il punto decisivo di fronte al quale oggi ci troviamo sia il contrasto tra Consiglio e Commissione. Dobbiamo ragionare su una soluzione che esalti le funzioni sia del Consiglio sia della Commissione. Né mi convince la vulgata giornalistica che va per la maggiore e che individua in una sorta di dualismo tra il Presidente della Convenzione Giscard d’Estaing ed il Presidente della Commissione Prodi il punto di frizione che oggi rende difficoltoso immaginare un risultato positivo della Convenzione. Il punto decisivo, a mio giudizio, riguarda il diritto di veto […]; se quel diritto resiste, e fin dove resiste, la Convenzione avrà fallito; se quel diritto scompare o resta come una limitatissima eccezione alla regola europea, la Convenzione andrà a buon fine. Tutto il resto viene dopo, molto dopo. Accettiamo di votare a maggioranza e l’Europa avrà compiuto un passo decisivo verso i suoi cittadini. Passo decisivo significa il voto a maggioranza, sia pure a maggioranza qualificata intrecciando la maggioranza degli Stati e la maggioranza delle popolazioni rappresentate, sulla politica estera. Questo è il punto che credo possiamo considerare dirimente. Altro punto riguarda il modo di ricongiungere in prospettiva i due organi europei del Consiglio e della Commissione. Si sta ragionando, in questo caso, su una clausola evolutiva; dentro la Convenzione è largamente diffusa l’opinione, che sia l’onorevole Spini sia il sottoscritto condividiamo, in base alla quale il traguardo da raggiungere è l’unificazione in una sola figura del Pre-sidente del Consiglio e della Commissione (è la cosiddetta teoria dei due cappelli). Il realismo politico suggerisce che tale soluzione difficilmente può realizzarsi adesso, ma sarebbe cosa importante se, oggi, si mettesse in cantiere una riforma che, da qui a qualche anno (non moltissimi), prevedesse tale approdo e, quindi, dotasse l’Europa di quel famoso Presidente unico che finalmente darebbe risposta alle ansie del dottor Kissinger il quale, qualche anno fa, con malcelata ironia, chiedeva: ma se devo chiamare l’Europa, quale numero di telefono devo comporre? Questo Presidente darebbe finalmente unità ed organicità al quadro istituzionale europeo.
Infine, si è discusso molto, all’avvio della Convenzione, su come la Convenzione e la Conferenza intergovernativa dovessero affrontare il problema dell’approvazione del trattato costituzionale. Si è ragionato sulla possibilità di un referendum e la cosa migliore sarebbe stata mettere in cantiere un referendum europeo in cui votassero i cittadini europei e non i cittadini dei singoli paesi (oggi, ci troviamo di fronte alla necessità di vedere quel testo approvato dai Parlamenti dei singoli paesi o dal voto del referendum che si celebra in ogni paese). La difficoltà giuridica cui accennavo all’inizio non rende possibile uno scenario di questo genere, tuttavia, ci rimanda ad un’altra questione abbastanza decisiva (l’ha citata, nei giorni scorsi, anche il Vicepresidente Amato) riguardante le procedure di emendamento della Costituzione perché qui passa la distinzione tra un trattato ed una Costituzione vera e propria. Anche in questo caso, lo sforzo è di individuare una maggioranza qualificata, anche ad alta qualificazione (si pensa anche ad una maggioranza di quattro quinti), che possa emendare il trattato. Diversamente, la revisione successiva del trattato passerebbe anch’essa sotto le forche caudine di una logica intergovernativa che non sta facendo compiere grandi passi avanti all’integrazione europea e che rischia di bloccare anche i lavori della Convenzione. Sono questi, a mio giudizio, i tre punti cruciali. Li ripeto: il superamento del diritto di veto e l’instaurazione del voto a maggioranza su tutte le materie più importanti; la prefigurazione, in prospettiva, di un Presidente unico dell’Unione europea; i meccanismi di emendamento del trattato costituzionale. Questi i tre punti cruciali. È ovvio che, intorno ai predetti tre punti ed al modo in cui gli indicati problemi verranno risolti, o la Convenzione riesce o, in caso contrario, fallisce qualcosa di più della Convenzione: temo che, se questo lavoro non dovesse andare a buon fine, fallirebbe l’Europa, ma spero e credo di no”.
Nel prossimo numero riporteremo il contributo dell’Onorevole Valdo Spini.
“La Convenzione ha lavorato intorno a molte domande poste a Laeken dalla Conferenza intergovernativa e ad una in particolare, ovvero su come sia possibile rendere l’Europa più trasparente, democratica e responsabile verso i suoi cittadini. […] Vediamo quali sono i punti che il dibattito di questi mesi consente di dare per acquisiti: in primo luogo, il superamento degli attuali pilastri con la formazione di un unico quadro istituzionale e in questo ambito la scelta di dotare l’Unione di personalità giuridica.
Tale argomento è particolarmente importante perché consente all’Unione europea di essere presente in quanto tale nelle grandi organizzazioni internazionali e, ad esempio, renderebbe possibile quanto era negli auspici nei primi giorni di lavoro della Convenzione, ovvero una rappresentanza dell’Unione e non più dei singoli paesi nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, evento che le cronache di questi ultimi tempi fanno ritenere piuttosto improbabile ma che consente di superare quanto meno un ostacolo formale e che sin qui è rimasto insuperabile. Vi è accordo sull’incorporazione della Carta dei diritti nel testo del trattato e vi è, infine, una larghissima opinione comune favorevole circa l’individuazione di un ministro degli esteri europeo che sia anche un punto di congiunzione fra il Consiglio e la Commissione e che finisca per assumere le responsabilità che attualmente fanno capo, per un verso, a Solana e, per altro verso, al commissario Patten. Questi sono punti che ragionevolmente si possono dare per scontati, ma ovviamente l’attenzione di tutti, ed anche la nostra, si appunta invece sugli argomenti più spinosi e sulle difficoltà che abbiamo sin qui riscontrato. Ne vorrei citare tre, per mettere ordine in questa discussione, che mi sembrano politicamente quelli fondamentali. La prima questione riguarda i valori, la seconda, l’architettura istituzionale e la terza le procedure di approvazione e di modifica del testo costituzionale. La discussione sui valori è partita da una forte spinta non soltanto da parte cattolica, che chiedeva il riconoscimento di quelle radici giudaico-cristiane, che fanno parte della storia europea e dei suoi ideali. […] Nei giorni scorsi il Praesidium ha redatto un preambolo che fa riferimento a molti aspetti e a molti passaggi della storia e dell’idealità europee, ma trascura del tutto le radici religiose. Naturalmente questa omissione risulta stridente a partire dal fatto che, invece, in quel preambolo viene espressamente citato il secolo dei lumi, che sicuramente è anche questo parte della storia europea, ma, diciamo così, forse è una parte meno cruciale e decisiva ai fini della individuazione dell’identità europea. Io naturalmente non vorrei aprire qui una disputa, che è ideale, storica e politica al tempo stesso. Segnalo però che o noi seguiamo un percorso che esclude dal testo costituzionale riferimenti, valori e principi e che, quindi, gira alla larga da questo argomento, oppure, se si entra nel merito, a me risulta un po’ difficile considerare che in Europa il secolo dei lumi abbia contato più del cristianesimo, e lo dico avendo avuto fin qui nei dibattiti italiano ed europeo una posizione assolutamente intransigente nel rivendicare il carattere laico delle istituzioni. Il secondo punto è quello che viene considerato un po’ il banco di prova dei nostri lavori e riguarda le istituzioni. Ci si è mossi fin qui nel tentativo di trovare un equilibrio che evitasse la preponderanza del Consiglio ai danni della Commissione o, viceversa, della Commissione ai danni del Consiglio e che cercasse di fare crescere contemporaneamente competenze e responsabilità sia del Consiglio che della Commissione e del Parlamento. È evidente che c’è una necessità di innovazione forte, a partire dal fatto che i paesi sono venticinque ormai, che le istituzioni sono state pensate per una Europa a sei e che già oggi un’Europa a quindici fatica a riconoscersi in questo assetto. Da qui le due proposte principali sulle quali si è espresso finora il Praesidium. La necessità di superare la rotazione semestrale, vista da molti paesi piccoli come un elemento di ancoraggio all’Unione europea, ma considerata un po’ da tutti superata dagli avvenimenti, e il superamento del principio, ribadito ancora qualche tempo fa in occasione della Conferenza di Nizza, che assegna ad ogni paese almeno un commissario e che produrrà di qui a qualche mese una Commissione composta da almeno venticinque commissari. Il Praesidium ha individuato due proposte, quella, per così dire, del presidente di lunga durata, che dura in carica due anni e mezzo con poteri definiti e limitati, ossia di rappresentanza, e, a seconda delle versioni, che abbia un passato di Capo di Stato o di Governo o, comunque, di un ruolo che giustifichi l’assegnazione di una carica così cruciale. L’altra proposta è quella di una Commissione ridotta. A partire dal 2009 si immagina un periodo transitorio in cui tutti i paesi abbiano piena rappresentanza nella Commissione e in una fase successiva una semplificazione che riduca il numero dei commissari a quindici. In questo assetto il Presidente della Commissione sarebbe a sua volta votato dal Parlamento europeo.
Questo è il punto in cui, oggi, ci troviamo. Questa è la proposta che il Praesidium ha formulato.
Non credo che il punto decisivo di fronte al quale oggi ci troviamo sia il contrasto tra Consiglio e Commissione. Dobbiamo ragionare su una soluzione che esalti le funzioni sia del Consiglio sia della Commissione. Né mi convince la vulgata giornalistica che va per la maggiore e che individua in una sorta di dualismo tra il Presidente della Convenzione Giscard d’Estaing ed il Presidente della Commissione Prodi il punto di frizione che oggi rende difficoltoso immaginare un risultato positivo della Convenzione. Il punto decisivo, a mio giudizio, riguarda il diritto di veto […]; se quel diritto resiste, e fin dove resiste, la Convenzione avrà fallito; se quel diritto scompare o resta come una limitatissima eccezione alla regola europea, la Convenzione andrà a buon fine. Tutto il resto viene dopo, molto dopo. Accettiamo di votare a maggioranza e l’Europa avrà compiuto un passo decisivo verso i suoi cittadini. Passo decisivo significa il voto a maggioranza, sia pure a maggioranza qualificata intrecciando la maggioranza degli Stati e la maggioranza delle popolazioni rappresentate, sulla politica estera. Questo è il punto che credo possiamo considerare dirimente. Altro punto riguarda il modo di ricongiungere in prospettiva i due organi europei del Consiglio e della Commissione. Si sta ragionando, in questo caso, su una clausola evolutiva; dentro la Convenzione è largamente diffusa l’opinione, che sia l’onorevole Spini sia il sottoscritto condividiamo, in base alla quale il traguardo da raggiungere è l’unificazione in una sola figura del Pre-sidente del Consiglio e della Commissione (è la cosiddetta teoria dei due cappelli). Il realismo politico suggerisce che tale soluzione difficilmente può realizzarsi adesso, ma sarebbe cosa importante se, oggi, si mettesse in cantiere una riforma che, da qui a qualche anno (non moltissimi), prevedesse tale approdo e, quindi, dotasse l’Europa di quel famoso Presidente unico che finalmente darebbe risposta alle ansie del dottor Kissinger il quale, qualche anno fa, con malcelata ironia, chiedeva: ma se devo chiamare l’Europa, quale numero di telefono devo comporre? Questo Presidente darebbe finalmente unità ed organicità al quadro istituzionale europeo.
Infine, si è discusso molto, all’avvio della Convenzione, su come la Convenzione e la Conferenza intergovernativa dovessero affrontare il problema dell’approvazione del trattato costituzionale. Si è ragionato sulla possibilità di un referendum e la cosa migliore sarebbe stata mettere in cantiere un referendum europeo in cui votassero i cittadini europei e non i cittadini dei singoli paesi (oggi, ci troviamo di fronte alla necessità di vedere quel testo approvato dai Parlamenti dei singoli paesi o dal voto del referendum che si celebra in ogni paese). La difficoltà giuridica cui accennavo all’inizio non rende possibile uno scenario di questo genere, tuttavia, ci rimanda ad un’altra questione abbastanza decisiva (l’ha citata, nei giorni scorsi, anche il Vicepresidente Amato) riguardante le procedure di emendamento della Costituzione perché qui passa la distinzione tra un trattato ed una Costituzione vera e propria. Anche in questo caso, lo sforzo è di individuare una maggioranza qualificata, anche ad alta qualificazione (si pensa anche ad una maggioranza di quattro quinti), che possa emendare il trattato. Diversamente, la revisione successiva del trattato passerebbe anch’essa sotto le forche caudine di una logica intergovernativa che non sta facendo compiere grandi passi avanti all’integrazione europea e che rischia di bloccare anche i lavori della Convenzione. Sono questi, a mio giudizio, i tre punti cruciali. Li ripeto: il superamento del diritto di veto e l’instaurazione del voto a maggioranza su tutte le materie più importanti; la prefigurazione, in prospettiva, di un Presidente unico dell’Unione europea; i meccanismi di emendamento del trattato costituzionale. Questi i tre punti cruciali. È ovvio che, intorno ai predetti tre punti ed al modo in cui gli indicati problemi verranno risolti, o la Convenzione riesce o, in caso contrario, fallisce qualcosa di più della Convenzione: temo che, se questo lavoro non dovesse andare a buon fine, fallirebbe l’Europa, ma spero e credo di no”.