ACCESSO AI DOCUMENTI DELLE ISTITUZIONI DELL'UNIONE EUROPEA
Archivio > Anno 2011 > Maggio 2011
di Ilaria CASU
La sentenza della Terza Sezione del Tribunale pronunciata il 22 marzo 2011 nella causa T-233/09, Access Info Europe c. Consiglio dell’Unione europea (non ancora pubblicata in Raccolta), offre lo spunto per alcune riflessioni in materia di cittadinanza attiva.
All’interno dell’Unione europea, infatti, è favorita al massimo la partecipazione dei cittadini alla vita istituzionale dell’Unione. Si deve rammentare come l’art. 15 TFUE preveda espressamente che qualsiasi cittadino dell’Unione e qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro ha il diritto di accedere ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione.
A tal fine, il Parlamento europeo e il Consiglio si sono muniti di uno strumento idoneo a definire i principi generali e le modalità di esercizio di quello che viene definito un vero e proprio diritto di accesso agli atti delle istituzioni: è stato adottato così il regolamento del 30 maggio 2001 n. 1049, relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione (GUUE L 145, p. 43). Tale regolamento, in linea con la previsione generica contenuta nei Trattati, ha appunto l’obiettivo di facilitare l’accesso ai documenti detenuti dalle istituzioni dell’Unione europea, sia che si tratti di documenti prodotti dalle istituzioni che di documenti ad ogni modo in possesso delle stesse.
Come esplicitato nel secondo considerando del regolamento 1049/2001, il diritto di accesso del pubblico ai documenti delle istituzioni è collegato alla natura democratica di queste ultime: la trasparenza consente una migliore partecipazione dei cittadini ai processi decisionali e garantisce in un sistema democratico una legittimità, un’efficienza e una responsabilità maggiori dell’amministrazione nei confronti dei cittadini. Beneficiari delle disposizioni contenute nel regolamento sono i cittadini dell’Unione e qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro. Il regolamento, inoltre, provvede a delineare un sistema di eccezioni. È previsto, a tal proposito, che le istituzioni possano negare l’accesso in presenza di talune esigenze individuate dall’art. 4 del suddetto regolamento. Si tratta, in particolare, di rifiuto motivato dall’esigenza di evitare che la divulgazione del documento arrechi pregiudizio alla tutela dell’interesse pubblico, vale a dire quando si rischia di compromettere la sicurezza pubblica, la difesa, le relazioni internazionali, la politica finanziaria, monetaria o economica della Comunità o di uno Stato membro; quando venga in rilievo la necessità di tutelare la vita privata e l’integrità di un individuo, in particolare in conformità con la legislazione comunitaria sulla protezione dei dati personali; qualora si tratti di esigenze di tutela afferenti agli interessi commerciali di una persona fisica o giuridica e in tutte le ipotesi in cui sorga la necessità di tutelare le procedure giurisdizionali e la consulenza legale, gli obiettivi delle attività ispettive, di indagine e di revisione contabile. Nel dare prevalenza alle esigenze di tutela degli interessi appena menzionati, sacrificando il diritto di accesso, le istituzioni dovranno svolgere una adeguata operazione di bilanciamento degli interessi confliggenti, motivando in maniera adeguata l’eventuale rifiuto.
La latitudine applicativa del regolamento è inoltre ampia sino al punto di comprendere anche gli atti endoprocedimentali delle istituzioni: la consultazione degli atti di carattere interno appare significativa, poiché i cittadini disporrebbero evidentemente di un potere di intervento nella fase decisionale e di adozione degli atti. Il rafforzamento delle esigenze di trasparenza quando l’istituzione – ed in particolare, come nel caso in oggetto, il Consiglio – agisce in veste di legislatore, sono esplicitate nel sesto considerando del regolamento 1049/2001, secondo cui un accesso più ampio ai documenti deve essere autorizzato in tale circostanza. La trasparenza in tal caso contribuisce a rafforzare la democrazia, permettendo ai cittadini di controllare tutte le informazioni che costituiscono il fondamento di un atto legislativo: in questo modo è reso possibile un esercizio effettivo dei cosiddetti “diritti democratici”. Tale accesso potrà, tuttavia, essere inibito qualora la divulgazione dei contenuti di questi atti interni possa pregiudicare seriamente il processo decisionale dell’istituzione, a meno che non sia ravvisabile un prevalente interesse pubblico alla sua diffusione. Il regolamento, infine, provvede a consentire ai cittadini un accesso agevole agli atti, mediante la previsione della possibilità di presentare le istanze anche attraverso mezzi celeri, quale ad esempio la posta elettronica, ed è altresì previsto il breve termine di 15 giorni entro cui le istituzioni devono fornire risposta.
Nel caso in commento sottoposto all’attenzione del Tribunale, viene messa in evidenza come a fronte di una richiesta di accesso possano sorgere problemi di composizione di interessi contrastanti. All’origine della controversia vi è una istanza di accesso presentata dall’associazione Access Info Europe che chiedeva al Consiglio dell’Unione europea, secondo le modalità prevista dal regolamento 1049/2001, di avere accesso ad una nota indirizzata dal Segretario generale del Consiglio al gruppo al gruppo di lavoro sull’informazione istituito dal Consiglio stesso, riguardante la proposta di regolamento del Parlamento e del Consiglio relativo all’accesso del pubblico ai documenti delle istituzioni. Quanto al contenuto, il documento richiesto riuniva le proposte di emendamenti comunicate dai vari Stati membri. Il Consiglio ottemperava parzialmente alla richiesta, comunicando una versione del documento senza che fosse possibile individuare lo Stato membro autore delle singole proposte o emendamenti. Per giustificare il rifiuto il Consiglio rilevava che la sua divulgazione avrebbe pregiudicato gravemente il processo decisionale e che essa non era giustificata da quell’interesse pubblico prevalente che consentirebbe di applicare l’eccezione dell’art. 4, n. 3 del regolamento 1049/2001. In particolare, il Consiglio ha addotto una serie di ragione per provare che la divulgazione dell’identità degli autori delle diverse proposte di emendamento avrebbe pregiudicato gravemente il suo processo decisionale: è stato sostenuto che al momento della richiesta il processo decisionale si trovava in una fase iniziale e che, data la delicatezza dei temi trattati, la divulgazione del nome delle delegazioni da cui provengono le proposte inserite nel documento richiesto avrebbe potuto compromettere gravemente l’efficacia del processo decisionale del Consiglio, con il rischio di non consentire a quest’ultimo di giungere ad un accordo. Le delegazioni, si è detto, in virtù della divulgazione, potrebbero essere indotte a non presentare più per iscritto le loro posizioni e a limitarsi a scambi orali con il Consiglio e i suoi organi preparatori, con il rischio di sacrificare notevolmente l’efficacia del processo decisionale.
Il problema, pertanto, è essenzialmente quello di operare un bilanciamento tra i due interessi contrastanti, vale a dire l’interesse del Consiglio relativo all’efficacia del suo processo decisionale interno e l’interesse pubblico ad una maggiore trasparenza, che garantisce che le istituzioni dell’Unione europea beneficino di una maggiore legittimità e che siano ancor più responsabili verso i cittadini. La soluzione che è apparsa più adeguata al Consiglio è stata quella di consentire l’accesso al contenuto del documento senza l’indicazione del nome delle delegazioni interessate.
Il Tribunale, investito della questione, ha invece messo in discussione la soluzione del Consiglio. È stato in primo luogo sottolineato come le eccezioni al diritto di accesso elencate nell’art. 4 del regolamento debbano essere interpretate in maniera rigorosa e restrittiva e che, come già a più riprese affermato dalla precedente giurisprudenza, la mera circostanza che un documento di cui si chiede l’accesso riguardi un interesse tutelato da un’eccezione non è di per sé elemento sufficiente a giustificare la restrizione del diritto. L’applicazione delle limitazioni al diritto di accesso è ammissibile, infatti, solo previa valutazione da parte della istituzione della idoneità dell’accesso al documento a ledere in concreto ed effettivamente l’interesse protetto. Tale pregiudizio, ha sostenuto il Tribunale, non può essere giustificato alla luce di argomenti astratti, ma si deve trattare di un pregiudizio che deve essere ragionevolmente prevedibile e non meramente ipotetico. Il Tribunale ha così ritenuto non adeguate le motivazioni a sostegno dell’accesso parziale consentito dal Consiglio. Innanzitutto non è apparsa adeguata la motivazione in base alla quale la divulgazione delle delegazioni e delle relative proposte avrebbe potuto esporre le stesse a pressioni dell’opinione pubblica; come conseguenza, ha sostenuto il Consiglio, le delegazioni avrebbero potuto sentirsi limitate nel presentare proposte proprio per timore delle pressioni esercitate nei loro confronti. Tali argomenti non sarebbero «abbastanza fondati da giustificare, in quanto tali, un rifiuto di divulgare l’identità degli autori delle diverse proposte che devono, in un sistema fondato sul principio della legittimità democratica, rispondere dei loro atti nei confronti del pubblico […]. Infatti, l’esercizio da parte dei cittadini dei loro diritti democratici presuppone la possibilità di seguire in dettaglio il processo decisionale all’interno delle istituzioni partecipando alle procedure legislative e di avere accesso a tutte le informazioni pertinenti» (sentenza cit., par. 69). Poiché, pertanto, le proposte “sono fatte per essere discusse”, l’argomento della pressione dell’opinione pubblica non è apparso fondato al punto da consentire il sacrificio della partecipazione dei cittadini ai processi decisionali. Del resto, secondo il Tribunale, la divulgazione del nome delle delegazioni non è apparsa questione “particolarmente delicata” e tale da giustificare il rifiuto opposto. È, invece, connaturato al dibattito democratico che «una proposta di modifica di un progetto di regolamento, di portata generale, obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in tutti gli Stati membri, possa essere oggetto di commenti positivi o negativi da parte del pubblico e dei mezzi di comunicazione» (sentenza cit., par. 78). Il Tribunale ha così concluso per la violazione da parte del Consiglio dell’art. 4, n. 3 del regolamento 1049/2001.
La sentenza consente, pertanto, di porre in risalto come la partecipazione dell’opinione pubblica alla vita delle istituzioni europee sia un obiettivo fondamentale perseguito all’interno dell’Unione, obiettivo il cui sacrificio può essere giustificato solo in presenza di superiori interessi pubblici e secondo un sistema di eccezioni che deve formare oggetto di applicazione rigorosa e restrittiva.
All’interno dell’Unione europea, infatti, è favorita al massimo la partecipazione dei cittadini alla vita istituzionale dell’Unione. Si deve rammentare come l’art. 15 TFUE preveda espressamente che qualsiasi cittadino dell’Unione e qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro ha il diritto di accedere ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione.
A tal fine, il Parlamento europeo e il Consiglio si sono muniti di uno strumento idoneo a definire i principi generali e le modalità di esercizio di quello che viene definito un vero e proprio diritto di accesso agli atti delle istituzioni: è stato adottato così il regolamento del 30 maggio 2001 n. 1049, relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione (GUUE L 145, p. 43). Tale regolamento, in linea con la previsione generica contenuta nei Trattati, ha appunto l’obiettivo di facilitare l’accesso ai documenti detenuti dalle istituzioni dell’Unione europea, sia che si tratti di documenti prodotti dalle istituzioni che di documenti ad ogni modo in possesso delle stesse.
Come esplicitato nel secondo considerando del regolamento 1049/2001, il diritto di accesso del pubblico ai documenti delle istituzioni è collegato alla natura democratica di queste ultime: la trasparenza consente una migliore partecipazione dei cittadini ai processi decisionali e garantisce in un sistema democratico una legittimità, un’efficienza e una responsabilità maggiori dell’amministrazione nei confronti dei cittadini. Beneficiari delle disposizioni contenute nel regolamento sono i cittadini dell’Unione e qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro. Il regolamento, inoltre, provvede a delineare un sistema di eccezioni. È previsto, a tal proposito, che le istituzioni possano negare l’accesso in presenza di talune esigenze individuate dall’art. 4 del suddetto regolamento. Si tratta, in particolare, di rifiuto motivato dall’esigenza di evitare che la divulgazione del documento arrechi pregiudizio alla tutela dell’interesse pubblico, vale a dire quando si rischia di compromettere la sicurezza pubblica, la difesa, le relazioni internazionali, la politica finanziaria, monetaria o economica della Comunità o di uno Stato membro; quando venga in rilievo la necessità di tutelare la vita privata e l’integrità di un individuo, in particolare in conformità con la legislazione comunitaria sulla protezione dei dati personali; qualora si tratti di esigenze di tutela afferenti agli interessi commerciali di una persona fisica o giuridica e in tutte le ipotesi in cui sorga la necessità di tutelare le procedure giurisdizionali e la consulenza legale, gli obiettivi delle attività ispettive, di indagine e di revisione contabile. Nel dare prevalenza alle esigenze di tutela degli interessi appena menzionati, sacrificando il diritto di accesso, le istituzioni dovranno svolgere una adeguata operazione di bilanciamento degli interessi confliggenti, motivando in maniera adeguata l’eventuale rifiuto.
La latitudine applicativa del regolamento è inoltre ampia sino al punto di comprendere anche gli atti endoprocedimentali delle istituzioni: la consultazione degli atti di carattere interno appare significativa, poiché i cittadini disporrebbero evidentemente di un potere di intervento nella fase decisionale e di adozione degli atti. Il rafforzamento delle esigenze di trasparenza quando l’istituzione – ed in particolare, come nel caso in oggetto, il Consiglio – agisce in veste di legislatore, sono esplicitate nel sesto considerando del regolamento 1049/2001, secondo cui un accesso più ampio ai documenti deve essere autorizzato in tale circostanza. La trasparenza in tal caso contribuisce a rafforzare la democrazia, permettendo ai cittadini di controllare tutte le informazioni che costituiscono il fondamento di un atto legislativo: in questo modo è reso possibile un esercizio effettivo dei cosiddetti “diritti democratici”. Tale accesso potrà, tuttavia, essere inibito qualora la divulgazione dei contenuti di questi atti interni possa pregiudicare seriamente il processo decisionale dell’istituzione, a meno che non sia ravvisabile un prevalente interesse pubblico alla sua diffusione. Il regolamento, infine, provvede a consentire ai cittadini un accesso agevole agli atti, mediante la previsione della possibilità di presentare le istanze anche attraverso mezzi celeri, quale ad esempio la posta elettronica, ed è altresì previsto il breve termine di 15 giorni entro cui le istituzioni devono fornire risposta.
Nel caso in commento sottoposto all’attenzione del Tribunale, viene messa in evidenza come a fronte di una richiesta di accesso possano sorgere problemi di composizione di interessi contrastanti. All’origine della controversia vi è una istanza di accesso presentata dall’associazione Access Info Europe che chiedeva al Consiglio dell’Unione europea, secondo le modalità prevista dal regolamento 1049/2001, di avere accesso ad una nota indirizzata dal Segretario generale del Consiglio al gruppo al gruppo di lavoro sull’informazione istituito dal Consiglio stesso, riguardante la proposta di regolamento del Parlamento e del Consiglio relativo all’accesso del pubblico ai documenti delle istituzioni. Quanto al contenuto, il documento richiesto riuniva le proposte di emendamenti comunicate dai vari Stati membri. Il Consiglio ottemperava parzialmente alla richiesta, comunicando una versione del documento senza che fosse possibile individuare lo Stato membro autore delle singole proposte o emendamenti. Per giustificare il rifiuto il Consiglio rilevava che la sua divulgazione avrebbe pregiudicato gravemente il processo decisionale e che essa non era giustificata da quell’interesse pubblico prevalente che consentirebbe di applicare l’eccezione dell’art. 4, n. 3 del regolamento 1049/2001. In particolare, il Consiglio ha addotto una serie di ragione per provare che la divulgazione dell’identità degli autori delle diverse proposte di emendamento avrebbe pregiudicato gravemente il suo processo decisionale: è stato sostenuto che al momento della richiesta il processo decisionale si trovava in una fase iniziale e che, data la delicatezza dei temi trattati, la divulgazione del nome delle delegazioni da cui provengono le proposte inserite nel documento richiesto avrebbe potuto compromettere gravemente l’efficacia del processo decisionale del Consiglio, con il rischio di non consentire a quest’ultimo di giungere ad un accordo. Le delegazioni, si è detto, in virtù della divulgazione, potrebbero essere indotte a non presentare più per iscritto le loro posizioni e a limitarsi a scambi orali con il Consiglio e i suoi organi preparatori, con il rischio di sacrificare notevolmente l’efficacia del processo decisionale.
Il problema, pertanto, è essenzialmente quello di operare un bilanciamento tra i due interessi contrastanti, vale a dire l’interesse del Consiglio relativo all’efficacia del suo processo decisionale interno e l’interesse pubblico ad una maggiore trasparenza, che garantisce che le istituzioni dell’Unione europea beneficino di una maggiore legittimità e che siano ancor più responsabili verso i cittadini. La soluzione che è apparsa più adeguata al Consiglio è stata quella di consentire l’accesso al contenuto del documento senza l’indicazione del nome delle delegazioni interessate.
Il Tribunale, investito della questione, ha invece messo in discussione la soluzione del Consiglio. È stato in primo luogo sottolineato come le eccezioni al diritto di accesso elencate nell’art. 4 del regolamento debbano essere interpretate in maniera rigorosa e restrittiva e che, come già a più riprese affermato dalla precedente giurisprudenza, la mera circostanza che un documento di cui si chiede l’accesso riguardi un interesse tutelato da un’eccezione non è di per sé elemento sufficiente a giustificare la restrizione del diritto. L’applicazione delle limitazioni al diritto di accesso è ammissibile, infatti, solo previa valutazione da parte della istituzione della idoneità dell’accesso al documento a ledere in concreto ed effettivamente l’interesse protetto. Tale pregiudizio, ha sostenuto il Tribunale, non può essere giustificato alla luce di argomenti astratti, ma si deve trattare di un pregiudizio che deve essere ragionevolmente prevedibile e non meramente ipotetico. Il Tribunale ha così ritenuto non adeguate le motivazioni a sostegno dell’accesso parziale consentito dal Consiglio. Innanzitutto non è apparsa adeguata la motivazione in base alla quale la divulgazione delle delegazioni e delle relative proposte avrebbe potuto esporre le stesse a pressioni dell’opinione pubblica; come conseguenza, ha sostenuto il Consiglio, le delegazioni avrebbero potuto sentirsi limitate nel presentare proposte proprio per timore delle pressioni esercitate nei loro confronti. Tali argomenti non sarebbero «abbastanza fondati da giustificare, in quanto tali, un rifiuto di divulgare l’identità degli autori delle diverse proposte che devono, in un sistema fondato sul principio della legittimità democratica, rispondere dei loro atti nei confronti del pubblico […]. Infatti, l’esercizio da parte dei cittadini dei loro diritti democratici presuppone la possibilità di seguire in dettaglio il processo decisionale all’interno delle istituzioni partecipando alle procedure legislative e di avere accesso a tutte le informazioni pertinenti» (sentenza cit., par. 69). Poiché, pertanto, le proposte “sono fatte per essere discusse”, l’argomento della pressione dell’opinione pubblica non è apparso fondato al punto da consentire il sacrificio della partecipazione dei cittadini ai processi decisionali. Del resto, secondo il Tribunale, la divulgazione del nome delle delegazioni non è apparsa questione “particolarmente delicata” e tale da giustificare il rifiuto opposto. È, invece, connaturato al dibattito democratico che «una proposta di modifica di un progetto di regolamento, di portata generale, obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in tutti gli Stati membri, possa essere oggetto di commenti positivi o negativi da parte del pubblico e dei mezzi di comunicazione» (sentenza cit., par. 78). Il Tribunale ha così concluso per la violazione da parte del Consiglio dell’art. 4, n. 3 del regolamento 1049/2001.
La sentenza consente, pertanto, di porre in risalto come la partecipazione dell’opinione pubblica alla vita delle istituzioni europee sia un obiettivo fondamentale perseguito all’interno dell’Unione, obiettivo il cui sacrificio può essere giustificato solo in presenza di superiori interessi pubblici e secondo un sistema di eccezioni che deve formare oggetto di applicazione rigorosa e restrittiva.