COPPIE DI FATTO: PENSIONE REVERSIBILE ANCHE PER LE COPPIE OMOSESSUALI - Sud in Europa

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COPPIE DI FATTO: PENSIONE REVERSIBILE ANCHE PER LE COPPIE OMOSESSUALI

Archivio > Anno 2008 > Maggio 2008
di Donatella DEL VESCOVO    
Una sentenza importantissima quella pronunciata dalla Corte di giustizia europea il primo aprile scorso, che scrive una pagina di storia e la dedica alle coppie omosessuali.
Per la Corte infatti in un Paese come la Germania dove le unioni tra omosessuali sono ufficialmente riconosciute, non è possibile negare la pensione di reversibilità al coniuge dello stesso sesso nel caso di decesso del partner.
La sentenza della Corte fa quindi chiarezza nello stabilire che in caso di pensione di reversibilità non si possono fare distinzioni tra coppie eterosessuali e omosessuali, così come non è ammessa discriminazione alcuna tra i diritti derivanti da un matrimonio e quelli che scaturiscono da un’unione di fatto. Secondo la Corte, “il diniego di far fruire i partner di unione solidale della pensione per superstiti costituisce una discriminazione diretta fondata sull’orientamento sessuale, se si ritiene che i coniugi superstiti e i partner di unione solidale superstiti si trovino in una posizione analoga per quanto concerne tale pensione”.
La controversia è sorta a seguito del mancato riconoscimento di una pensione al superstite di una coppia costituita da persone dello stesso sesso, che non avevano contratto matrimonio, essendo quest’ultimo riservato dalla legislazione nazionale alle unioni eterosessuali; essa si inquadra, dunque, nel lungo processo di accettazione dell’omosessualità come tappa indispensabile per conseguire l’uguaglianza e il rispetto di tutti gli esseri umani.
I giudici di Lussemburgo sono stati chiamati ad esprimersi sulla vicenda che contrappone il tedesco Tadao Maruko, compagno di un uomo deceduto nel 2005, ad un ente previdenziale incaricato della gestione dell’assicurazione vecchiaia e superstiti del personale artistico dei teatri tedeschi (in seguito VddB).
Maruko aveva registrato un “Pacs” alla tedesca, cioè un’unione solidale prevista dalla legge, con un costumista teatrale iscritto dal 1959 all’ente Vddb. Nel 2005 alla morte del costumista, il signor Maruko aveva chiesto di poter usufruire della pensione come vedovo, ma la sua domanda era stata respinta, in quanto lo statuto dell’ente non prevedeva tale beneficio per i partner di unione solidale superstiti. Così nel 2001 venne presentato ricorso alla Corte di giustizia europea in seguito alla richiesta del giudice nazionale di verificare se il diniego di una pensione per superstiti ad un partner di unione solidale costituisca una discriminazione vietata dalla direttiva sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, GUUE L 303 del 2 dicembre 2000).
Prima di qualsiasi altra riflessione vi è una questione incidentale importante sul piano temporale, dal momento che le legislazioni nazionali avrebbero dovuto conformarsi alla direttiva entro il 2 dicembre 2003 e la Germania non ha promulgato la rispettiva legge fino al 14 agosto 2006, mentre il ricorrente aveva richiesto la prestazione nel febbraio 2005.
Compare così la nozione dell’effetto diretto delle direttive, su cui si è consolidata un’abbondante giurisprudenza, alla luce della quale in tutti i casi in cui le disposizioni di una direttiva siano, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, i singoli possono farle valere nei confronti dello Stato, sia che questo non abbia recepito tempestivamente la direttiva nel suo ordinamento sia che l’abbia recepita in modo sbagliato.
La Corte naturalmente riprendendo la sua giurisprudenza conferma che sussistono i presupposti affinché, nella causa principale, si riconosca l’effetto diretto con le relative conseguenze.
Essa, quindi, una volta confermato che la pensione in questione rientra nel campo di applicazione della direttiva 2000/78/CE cit., si trova a verificare se il rifiuto del VddB a concedere la pensione di reversibilità comporti o meno una discriminazione fondata sulle tendenze sessuali.
A questo proposito bisogna tener conto che insieme al principio della libera circolazione, il principio di uguaglianza è quello più tradizionale e più radicato nell’ordinamento giuridico europeo. Esso, inoltre, si è man mano evoluto nel tempo, andando ben al di là dei limiti dell’equiparazione retributiva fra lavoratori dei due sessi per estendersi ad altri contesti e ad altri soggetti. Infatti nel corso degli anni si è convertito in un “quadro generale” mirante a contrastare le disparità ingiustificate e a promuovere un’identità di trattamento reale ed effettiva.
Con il Trattato di Amsterdam l’Unione si è proposto di espandere ancor più il principio, come si evince dall’art.13, comma 1 TCE, in cui ci si preoccupa di abolire di tutte le di-scriminazioni fondate sulla scelta sessuale.
La Corte di giustizia, dal canto suo, ha avuto alcune occasioni per porre fine ai pregiudizi sofferti dalle coppie dello stesso sesso.
A partire dal 1998, quando è stata pronunciata la sentenza Grant (sentenza della Corte di giustizia del 17 febbraio 1998, causa C-249/96, Grant, in Raccolta, I-00621) la Corte ha di-chiarato che il diniego opposto da un’impresa di concedere uno sconto sul prezzo dei trasporti a favore del compagno o della compagna dello stesso sesso di uno dei suoi dipendenti, anche se siffatta agevolazione venga concessa a favore della persona di sesso diverso con la quale un lavoratore abbia una relazione stabile fuori del matrimonio, non costituiva una discriminazione vietata dalle norme comunitarie. Non sussisteva infatti, una discriminazione direttamente fondata sul sesso dal momento che era estesa tanto ai lavoratori quanto alle lavoratrici che avessero un compagno dello stesso sesso. Inoltre veniva rilevato che, allo stato attuale del diritto comunitario, le relazioni stabili omosessuali non sono assimilabili né alle coppie coniugate né alle unioni stabili eterosessuali.
Pertanto, mentre una distinzione fondata sul sesso sarebbe illegale, fondarla sull’orientamento sessuale non lo sarebbe, dato che nessuna norma comunitaria la sanziona.
L’approccio restrittivo scelto dalla Corte di giustizia lasciava alquanto perplessi, in quanto nella sentenza stessa si affermava che il Trattato di Amsterdam, firmato mesi addietro, autorizzava il Consiglio ad eliminare determinate forme di discriminazione, come quella fondata sull’orientamento sessuale.
Dopo la sentenza Grant ci sono state altre pronunce che hanno risolto talune discriminazioni legate alla sessualità.
Nella sentenza della Corte di giustizia del 31 maggio 2001, Cause riunite C-122/99 P e C-125/99 P, D e Svezia c. Consiglio in Raccolta, I-04319, ad esempio, è stato esaminato in sede di impugnazione il rifiuto di accordare ad un dipendente delle Comunità europee un assegno di famiglia pensato per le persone sposate, poiché, sebbene questi avesse contratto un’unione di coppia con un altro uomo iscritto nel registro svedese, lo Statuto del personale delle Comunità europee non permetteva di equiparare il suo stato con il matrimonio.
La sentenza della Corte di giustizia del 7 gennaio 2004, Cau-sa C-117/01, K.B. c. National Health Service Pensions Agency, in Raccolta, p. I-00541 invece, ha affrontato il caso di un cambiamento di sesso.
Una lavoratrice britannica infatti, chiedeva per il proprio compagno, che era stato operato per trasformarsi da donna in uomo, la pensione di reversibilità che gli sarebbe spettata come coniuge superstite, dal momento che il diritto nazionale non autorizzava le nozze con un transessuale secondo il nuovo sesso di quest’ultimo. La Corte di giustizia, ha considerato che la disparità di trattamento non incideva sul riconoscimento della pensione, ma su una condizione preliminare indispensabile alla concessione di questa, ossia la capacità di contrarre matrimonio, e ha affermato che l’art. 141 TCE osta ad una normativa che, impedendo ai transessuali di contrarre matrimonio secondo il sesso acquisito, li priva di una pensione di reversibilità.
Tornando ai giorni nostri al signor Maruko veniva rifiutata la pensione di reversibilità per non essersi sposato con il proprio compagno e per non essere vedovo”.
Il rifiuto in questo caso non si basa nemmeno sull’inclinazione sessuale dell’interessato, per cui non si avrebbe una “discriminazione diretta” a norma dell’art. 2 della direttiva 2000/78/CE cit.
Tale direttiva vieta però anche la “discriminazione indiretta”, che si verifica quando una disposizione apparentemente neutra determina uno svantaggio per persone di una particolare tendenza sessuale, salvo che la differenza persegua una finalità legittima, sia giustificata oggettivamente ed i mezzi impiegati siano appropriati e necessari.
La causa in questo caso verte sulla disuguaglianza fra coppie sposate e coppie costituite mediante un’altra formula legale.
La Corte suprema di Monaco prima di adire la Corte di giustizia ha però anticipato la sua opinione, secondo cui una coppia registrata a norma della legge tedesca è titolare di un sistema di diritti e di doveri analogo a quello del matrimonio.
Con questa premessa, il diniego della pensione dovuto al fatto di non avere contratto matrimonio, quando due persone dello stesso sesso non possono contrarlo, avendo sottoscritto un’unione che produce effetti simili, comporta una “discriminazione indiretta” fondata sulle tendenze sessuali ai sensi dell’art. 2 del-la direttiva 2000/78/CE cit.
Sebbene questa decisione segni un passo in avanti nell’Europa dei diritti, allo stesso tempo scava ancora di più nel fossato che divide l’Europa in due, poiché se paradossalmente elimina una discriminazione, automaticamente ne crea un’altra: questa sentenza non può far nascere il diritto alla pensione di reversibilità laddove non è prevista una legislazione nazionale sulle coppie di fatto. In altre parole, il diritto alla reversibilità della pensione sarà garantito anche per gli omosessuali. Per lo meno in quegli Stati in cui le unioni fra omosessuali sono ufficialmente riconosciute.
Niente di fatto quindi nel caso di Paesi come l’Italia che discriminano ancora le coppie omosessuali nel diritto di famiglia.
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