IL RUOLO DEI PARLAMENTI NAZIONALI E DELLE AUTONOMIE REGIONALI NEL TRATTATO COSTITUZIONALE E NELLA LEGGE 5 FEBBRAIO 2005, N. 11
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Il
Trattato costituzionale valorizza indubbiamente il ruolo dei parlamenti
nazionali all’interno dell’Unione europea e anche, sia pure in modo
minore, delle autonomie regionali e locali. A seguito dei rinvii e dei
meccanismi operati dal Trattato (art. I-11: “i parlamenti nazionali
vigilano..”; Protocollo sul ruolo dei parlamenti nazionali nell’Unione
europea; Protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di
proporzionalità), i parlamenti nazionali vengono a pieno titolo e
direttamente inseriti nel quadro costituzionale dell’Unione; in
particolare vengono coinvolti nel procedimento legislativo europeo
(prima lo erano eventualmente e indirettamente, tramite i rispettivi
governi) innanzitutto nella fase di formazione e di predisposizione
degli atti normativi, visto l’onere che incombe alle istituzioni
dell’Unione (Commissione, Parlamento, Consiglio a seconda da chi promani
la proposta legislativa) di trasmettere i progetti di atti legislativi
direttamente ai parlamenti nazionali: dunque questi non solo sono
informati dell’attività legislativa dell’Unione, ma sono anche messi in
grado di incidere nel merito dei progetti, essendo abilitati a far
pervenire alle istituzioni un parere motivato contenente le ragioni per
le quali ritengono che il progetto non sia conforme al principio di
sussidiarietà: e di tale parere esse devono tener conto, pur non
essendone vincolate, dando così efficacia concreta all’esame svolto dai
parlamenti nazionali. È vero che questa possibilità concerne solo il
controllo sul rispetto del principio di sussidiarietà, ma certamente si
tratta di un aspetto che consente di effettuare anche valutazioni di
merito o di portata più generale.
Ancora, ad essi è riconosciuta la facoltà di respingere il progetto legislativo ritenuto contrario al principio in parola quando essi rappresentino un terzo dell’insieme dei voti attribuiti ai parlamenti nazionali. Inoltre, a garanzia che nessuna proposta venga approvata dal Consiglio senza che i parlamenti nazionali abbiano potuto esaminarla, il Protocollo sul ruolo dei parlamenti nazionali prescrive che un periodo di sei settimane debba intercorrere tra la data della comunicazione e quella in cui il progetto è iscritto all’ordine del giorno provvisorio del Consiglio ai fini della sua adozione.
In secondo luogo, i parlamenti nazionali sono chiamati a vigilare sul rispetto del principio di sussidiarietà anche in ordine alle proposte ed alle iniziative legislative presentate nell’ambito della cooperazione giudiziaria penale e di polizia, nonchè sulla corretta utilizzazione della clausola di flessibilità, dovendo essere informati di ogni azione adottata sulla sua base. Ugualmente deve essere loro notificato ogni progetto di modifica del Trattato (art.IV-443) e trasmessa ogni iniziativa di revisione semplificata (art.IV-444) presa dal Consiglio: in caso di opposizione da parte di un parlamento nazionale, la relativa decisione europea non può essere adottata dal Consiglio. I parlamenti nazionali vengono così inseriti nel procedimento comunitario e, indirettamente, vengono coinvolti anche i popoli degli Stati membri che in essi sono rappresentati.
Queste varie disposizioni istituiscono dunque un controllo parlamentare, quale forma di garanzia per i legislatori interni di non vedersi sottratte competenze ad essi spettanti a seguito di un intervento dell’Unione che non sia sufficientemente giustificato alla luce del principio di sussidiarietà o che non risulti effettivamente necessario.
In terzo luogo, i parlamenti nazionali sono chiamati a svolgere un controllo ex post sul rispetto del principio di sussidiarietà, potendo promuovere, tramite il proprio governo, un ricorso alla Corte di giustizia per sua pretesa violazione: e il governo, pur essendo formalmente il titolare dell’azione in annullamento, non sembra possa sottrarsi al dovere di presentare il ricorso richiesto a nome del proprio parlamento. Era stata avanzata la proposta, in sede di Convenzione, che ai parlamenti nazionali venisse riconosciuto il diritto di promuovere direttamente un ricorso in annullamento dinanzi alla Corte di giustizia senza dover passare cioè tramite il proprio governo: ciò avrebbe rappresentato indubbiamente un rafforzamento del controllo “diffuso” sulla corretta applicazione del principio di sussidiarietà e una maggiore autonomia dell’iniziativa parlamentare a livello europeo, ma avrebbe introdotto una anomalia nel sistema comunitario con il riconoscimento di una legittimazione attiva dinanzi alla Corte anche ad organi interni, ampliando notevolmente il novero dei soggetti legittimati ad adire la Corte; nella sostanza non cambia molto qualora si riconosca, come sembra logico anche se il tenore della formulazione della disposizione del protocollo non appare chiaro, che il governo nazionale non possa esimersi dal seguire la richiesta avanzata dal proprio parlamento.
Anche le autonomie regionali e locali trovano una loro valorizzazione nel testo costituzionale: nella previsione che la valutazione dell’insufficienza dell’azione degli Stati membri (presupposto per l’applicazione del principio di sussidiarietà) sia effettuata non solo a livello centrale, ma anche a livello regionale e locale (art.I-11); nella consultazione che la Commissione è tenuta a fare tenendo conto, se del caso, della dimensione regionale e locale (art. 2 Protocollo); nella valutazione dell’impatto finanziario e delle conseguenze che il progetto di legge quadro europea avrà anche sulla legislazione regionale (art. 5 Protocollo), dandosi così rilievo al principio di proporzionalità, alla cui luce si deve valutare non solo l’idoneità della regolamentazione, ma anche la sua adeguatezza; nella indicazione che ciascun parlamento nazionale consulti, all’occorrenza, i parlamenti regionali con poteri legislativi (art. 6 Protocollo), lasciando ovviamente ad esso di definire i modi attraverso i quali possano o debbano coinvolgere nell’esame dei progetti anche i secondi; nell’attribuzione al Comitato delle regioni il potere di presentare un ricorso in annullamento alla Corte di giustizia avverso atti legislativi europei per l’adozione dei quali la Costituzione richiede la sua consultazione (art. 8 Protocollo).
Francamente la Costituzione europea non poteva spingersi oltre nel dare rilevanza alle autonomie regionali, dato che si entra nel campo della ripartizione delle competenze interne e che spetta solo agli Stati disciplinare la loro organizzazione costituzionale. Ma il segnale è stato dato, almeno nel senso che, sia pure attraverso i parlamenti nazionali, anche i parlamenti regionali dotati di poteri legislativi siano coinvolti, almeno a titolo consultivo: la formula usata si limita ad affidare ai parlamenti nazionali - non potrebbe essere diversamente - il compito di valutare se ricorra o meno la necessità di sentire il legislatore regionale in conformità al proprio ordinamento interno. A questo punto viene demandato a ciascuno Stato membro dettare un’adeguata disciplina interna che indichi le modalità e gli strumenti opportuni che consentano alle autonomie regionali e locali di affermare il proprio ruolo, altrimenti rimesso alla decisione del parlamento nazionale.
A tal proposito, per quanto riguarda l’ordinamento italiano, tale disciplina si è avuta con la recente legge 4 febbraio 2005 n.11 recante “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”, il cui iter di approvazione ha coinciso con l’adozione del Trattato costituzionale e di quest’ultimo probabilmente ha tenuto conto, anche se sarebbe parso opportuno un migliore coordinamento e adeguamento con la disciplina comunitaria. Probabilmente ha inciso il fatto che il Trattato costituzionale non è ancora in vigore, ma nell’ottica di una sua entrata in vigore ben si sarebbe potuto predisporre una disciplina interna maggiormente in sintonia col primo.
La legge in parola modifica la legge 9 marzo 1989 n. 86, innovando le procedure di partecipazione alla formazione degli atti comunitari. L’ambito dei soggetti coinvolti in questa fase, oltre al Parlamento, si amplia infatti non solo alle Regioni ma anche agli enti locali, alle parti sociali e alle categorie produttive (CNEL) e tutti sono messi in grado, a seconda dei casi, di trasmettere osservazioni, adottare atti di indirizzo al Governo o formulare valutazioni e contributi. Inoltre è prevista un’apposita sessione comunitaria anche della Conferenza Stato-città e autonomie locali che si affianca a quella della Conferenza Stato-Regioni. Rispetto alla precedente disciplina, è prevista una migliore regolamentazione del rapporto Governo-Parlamento tale da garantire una maggiore efficienza con riguardo al coordinamento e trasmissione delle informazioni e un più stretto coinvolgimento dei soggetti interessati.
L’art. 3 della legge prevede che i progetti di atti comunitari e dell’Unione europea, nonché gli atti preordinati alla loro formazione, sono trasmessi alle Camere dal Presidente del Consiglio dei Ministri (o dal Ministro per le politiche comunitarie) per l’assegnazione ai competenti organi parlamentari, i quali sono altresì informati sulle proposte e sulle materie iscritte all’ordine del giorno delle riunioni del Consiglio dell’Unione europea; prima del loro svolgimento, il Governo illustra alle Camere la posizione che intende assumere e riferisce sui risultati delle riunioni entro quindici giorni dal loro svolgimento. I competenti organi parlamentari possono formulare osservazioni sui progetti e sugli atti trasmessi e adottare ogni opportuno atto di indirizzo al Governo. Ciò può creare qualche problema di sovrapposizione e di ingolfamento, dato che i progetti di atti legislativi europei devono già essere trasmessi ai parlamenti nazionali dalle istituzioni dell’Unione. Tuttavia la norma interna sembra rivestire portata più ampia, poiché contempla in modo più generale i progetti di atti comunitari e quelli preordinati alla loro formazione. Non è chiaro se l’art. 3 si riferisca alla vecchia nomenclatura degli atti normativi comunitari (regolamenti, direttive, decisioni), o a quella adottata dalla Costituzione europea, cioè debba (ora) intendersi riferita agli atti legislativi europei (legge quadro europea e legge europea) o anche agli atti non legislativi (attuali regolamenti europei e decisioni europee): data l’ampiezza e genericità della formulazione della norma, si può pensare che la trasmissione al parlamento nazionale riguardi tutti gli atti, anche se appare forse eccessivo che anche gli atti non legislativi o di esecuzione debbano seguire tale procedura.
A ulteriore garanzia del legislatore nazionale, l’art. 4 introduce l’istituto della “riserva di esame parlamentare”, tramite il quale viene riconosciuta una funzione decisiva agli orientamenti parlamentari espressi in sede di formazione della posizione italiana nel contesto comunitario: qualora le Camere abbiano iniziato l’esame dei progetti o degli atti comunitari trasmessi, il Governo può procedere alle attività di propria competenza per la formazione dei relativi atti soltanto a conclusione di tale esame, apponendo in sede di Consiglio la riserva di esame parlamentare; in casi di particolare importanza politica, economica e sociale degli atti comunitari, il Governo può apporre in sede di Consiglio dell’Unione analoga riserva sul testo e ne dà comunicazione alle Camere affinché su di esso si esprimano i competenti organi parlamentari. Tuttavia, per evitare che il processo decisionale comunitario si blocchi in attesa dell’intervento parlamentare, qualora decorrano venti giorni dalla comunicazione governativa concernente l’apposizione della riserva, il Governo può procedere anche in mancanza della pronuncia parlamentare.
La legge n. 11 del 2005 disciplina, altresì, l’aspetto della partecipazione delle Regioni e Province autonome alle decisioni relative alla formazione di atti normativi comunitari. A tal fine prevede (art. 5) in primo luogo, che il Presidente del Consiglio dei Ministri, o il Ministro per le politiche comunitarie, informi le Regioni e le Pro-vince autonome, tramite la Conferenza dei presidenti delle Regioni e delle Province autonome, delle proposte e delle materie di competenza regionale che risultino iscritte all’ordine del giorno delle riunioni del Consiglio dell’Unione europea; su richiesta della Conferenza stessa, in sessione comunitaria, illustra, prima dello svolgimento delle riunioni, la posizione che il Governo intende assumere e successivamente la informa delle risultanze delle riunioni del Consiglio dell’Unione entro quindici giorni dal loro svolgimento.
In secondo luogo, per consentire una più diretta partecipazione delle Regioni e un loro effettivo contributo all’elaborazione degli atti comunitari interessanti la loro sfera di competenze, la legge in parola dispone che il Presidente del Consiglio dei Ministri, o il Ministro per le politiche comunitarie, trasmetta i progetti di atti comunitari, e gli atti preordinati alla loro formazione, alla Conferenza dei presidenti delle Regioni e delle Province autonome e alla Conferenza dei presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle Province autonome perché siano inoltrati alle Giunte e ai Consigli regionali. Le Regioni e le Province autonome, entro venti giorni dal ricevimento di tali atti, nelle materie di loro competenza possono trasmettere osservazioni al Presidente del Consiglio dei Ministri o al Ministro per le politiche comunitarie tramite la Conferenza.
Se il progetto di atto normativo comunitario riguarda materie attribuite alla competenza legislativa delle Regioni, il Governo convoca, dietro loro richiesta, la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le Regioni e le Province autonome, ai fini del raggiungimento, entro venti giorni, di un’intesa per la definizione del contenuto dell’atto; essa si perfeziona con l’espressione dell’assenso del Governo e dei presidenti delle Regioni e delle Province autonome (di cui all’art. 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997 n.281). In tal caso, qualora lo richieda la Conferenza, il Governo appone “una riserva di esame” in sede di Consiglio dell’Unione europea e ne dà comunicazione alla Conferenza: trascorsi venti giorni da detta comunicazione (o se lo richiede una situazione di urgenza sopravvenuta), il Governo può procedere anche in mancanza della pronuncia della Conferenza. A differenza della riserva di esame parlamentare, per la quale è necessaria solo una decisione governativa, nelle materie di competenza regionale occorre la richiesta della Conferenza Stato-Regioni al Governo di apporre una riserva di esame in sede comunitaria.
Viene così ulteriormente precisato quanto già previsto dalla legge 5 giugno 2003 n.131, secondo cui le Regioni e le Province autonome concorrono direttamente, nelle materie di loro competenza legislativa, alla formazione degli atti comunitari partecipando, nell’ambito delle delegazioni del Governo, alle attività del Consiglio e della Commissione europea, secondo modalità da concordare in sede di Conferenza Stato-Regioni e comunque garantendo l’unitarietà della rappresentazione della posizione italiana da parte del Capo delegazione designato dal Governo. In tal modo le regioni sono messe in grado di incidere e partecipare effettivamente alla formazione della posizione del governo in merito agli atti comunitari che interessano materie di loro competenza.
Quando poi i progetti e gli atti comunitari riguardano questioni di particolare rilevanza per gli enti locali, la Presidenza del Consiglio dei Ministri li trasmette alla Conferenza Stato-città ed autonomie locali. Le associazioni rappresentative degli enti locali possono, tramite la Conferenza, formulare osservazioni, le quali devono comunque pervenire entro il giorno precedente quello della discussione in sede comunitaria.
Niente dice invece la legge n.11 del 2005 circa le modalità, i casi e con quali effetti, il Parlamento italiano, nell’esercitare la sua funzione di controllo sul rispetto del principio di sussidiarietà, dovrà consultare le Regioni, né quando e in che modo, qualora intenda chiedere allo Stato di impugnare gli atti europei dinanzi alla Corte di giustizia per violazione di tale principio, dovrà agire anche in nome dei legislatori regionali che richiedono l’impugnazione dell’atto a tutela della loro sfera di competenza. Tuttavia può soccorrere in proposito il decreto legislativo 30 luglio 1999 n.303, che rappresenta un’ulteriore garanzia di carattere generale a tutela delle prerogative delle Regioni: esso infatti dispone che, nelle materie di competenza legislativa delle Regioni e delle Province autonome, il Governo può proporre ricorso dinanzi alla Corte di giustizia avverso gli atti normativi comunitari ritenuti illegittimi anche su richiesta di una di esse. Il Governo poi è tenuto a proporre tale ricorso qualora sia richiesto dalla Conferenza Stato-Regioni a maggioranza assoluta delle Regioni e delle Province autonome.
Dunque si profila anche per le Regioni, oltre che per i parlamenti nazionali, la possibilità di impugnare un atto comunitario ritenuto da esse illegittimo, secondo due possibilità: tramite il parlamento nazionale che, dietro consultazione col legislatore regionale e seguendo le sue indicazioni, chiede al governo di impugnare l’atto comunitario per violazione del principio di sussidiarietà; tramite il proprio governo quando ritengano l’illegittimità dell’atto comunitario.
Nel suo complesso, alla disciplina contenuta nella legge n.11 del 2005 va riconosciuto il merito di aver cercato di predisporre dei meccanismi capaci di assicurare una maggiore ed effettiva partecipazione delle autonomie regionali nel processo di formazione degli atti comunitari e di fornire loro la possibilità di tutelare le proprie prerogative avverso indebite invasioni delle loro competenze da parte dell’Unione, ma certamente l’intera disciplina appare assai farraginosa e tortuosa, ispirata a una concezione ormai superata dei rapporti tra Stato, Regioni e Unione europea quali risultano ormai delineati anche a livello europeo. In ogni caso, è auspicabile almeno una revisione dei regolamenti parlamentari per garantire procedimenti veloci, adeguatamente partecipati e capaci quindi di inserirsi efficacemente nel processo decisionale europeo.
Ancora, ad essi è riconosciuta la facoltà di respingere il progetto legislativo ritenuto contrario al principio in parola quando essi rappresentino un terzo dell’insieme dei voti attribuiti ai parlamenti nazionali. Inoltre, a garanzia che nessuna proposta venga approvata dal Consiglio senza che i parlamenti nazionali abbiano potuto esaminarla, il Protocollo sul ruolo dei parlamenti nazionali prescrive che un periodo di sei settimane debba intercorrere tra la data della comunicazione e quella in cui il progetto è iscritto all’ordine del giorno provvisorio del Consiglio ai fini della sua adozione.
In secondo luogo, i parlamenti nazionali sono chiamati a vigilare sul rispetto del principio di sussidiarietà anche in ordine alle proposte ed alle iniziative legislative presentate nell’ambito della cooperazione giudiziaria penale e di polizia, nonchè sulla corretta utilizzazione della clausola di flessibilità, dovendo essere informati di ogni azione adottata sulla sua base. Ugualmente deve essere loro notificato ogni progetto di modifica del Trattato (art.IV-443) e trasmessa ogni iniziativa di revisione semplificata (art.IV-444) presa dal Consiglio: in caso di opposizione da parte di un parlamento nazionale, la relativa decisione europea non può essere adottata dal Consiglio. I parlamenti nazionali vengono così inseriti nel procedimento comunitario e, indirettamente, vengono coinvolti anche i popoli degli Stati membri che in essi sono rappresentati.
Queste varie disposizioni istituiscono dunque un controllo parlamentare, quale forma di garanzia per i legislatori interni di non vedersi sottratte competenze ad essi spettanti a seguito di un intervento dell’Unione che non sia sufficientemente giustificato alla luce del principio di sussidiarietà o che non risulti effettivamente necessario.
In terzo luogo, i parlamenti nazionali sono chiamati a svolgere un controllo ex post sul rispetto del principio di sussidiarietà, potendo promuovere, tramite il proprio governo, un ricorso alla Corte di giustizia per sua pretesa violazione: e il governo, pur essendo formalmente il titolare dell’azione in annullamento, non sembra possa sottrarsi al dovere di presentare il ricorso richiesto a nome del proprio parlamento. Era stata avanzata la proposta, in sede di Convenzione, che ai parlamenti nazionali venisse riconosciuto il diritto di promuovere direttamente un ricorso in annullamento dinanzi alla Corte di giustizia senza dover passare cioè tramite il proprio governo: ciò avrebbe rappresentato indubbiamente un rafforzamento del controllo “diffuso” sulla corretta applicazione del principio di sussidiarietà e una maggiore autonomia dell’iniziativa parlamentare a livello europeo, ma avrebbe introdotto una anomalia nel sistema comunitario con il riconoscimento di una legittimazione attiva dinanzi alla Corte anche ad organi interni, ampliando notevolmente il novero dei soggetti legittimati ad adire la Corte; nella sostanza non cambia molto qualora si riconosca, come sembra logico anche se il tenore della formulazione della disposizione del protocollo non appare chiaro, che il governo nazionale non possa esimersi dal seguire la richiesta avanzata dal proprio parlamento.
Anche le autonomie regionali e locali trovano una loro valorizzazione nel testo costituzionale: nella previsione che la valutazione dell’insufficienza dell’azione degli Stati membri (presupposto per l’applicazione del principio di sussidiarietà) sia effettuata non solo a livello centrale, ma anche a livello regionale e locale (art.I-11); nella consultazione che la Commissione è tenuta a fare tenendo conto, se del caso, della dimensione regionale e locale (art. 2 Protocollo); nella valutazione dell’impatto finanziario e delle conseguenze che il progetto di legge quadro europea avrà anche sulla legislazione regionale (art. 5 Protocollo), dandosi così rilievo al principio di proporzionalità, alla cui luce si deve valutare non solo l’idoneità della regolamentazione, ma anche la sua adeguatezza; nella indicazione che ciascun parlamento nazionale consulti, all’occorrenza, i parlamenti regionali con poteri legislativi (art. 6 Protocollo), lasciando ovviamente ad esso di definire i modi attraverso i quali possano o debbano coinvolgere nell’esame dei progetti anche i secondi; nell’attribuzione al Comitato delle regioni il potere di presentare un ricorso in annullamento alla Corte di giustizia avverso atti legislativi europei per l’adozione dei quali la Costituzione richiede la sua consultazione (art. 8 Protocollo).
Francamente la Costituzione europea non poteva spingersi oltre nel dare rilevanza alle autonomie regionali, dato che si entra nel campo della ripartizione delle competenze interne e che spetta solo agli Stati disciplinare la loro organizzazione costituzionale. Ma il segnale è stato dato, almeno nel senso che, sia pure attraverso i parlamenti nazionali, anche i parlamenti regionali dotati di poteri legislativi siano coinvolti, almeno a titolo consultivo: la formula usata si limita ad affidare ai parlamenti nazionali - non potrebbe essere diversamente - il compito di valutare se ricorra o meno la necessità di sentire il legislatore regionale in conformità al proprio ordinamento interno. A questo punto viene demandato a ciascuno Stato membro dettare un’adeguata disciplina interna che indichi le modalità e gli strumenti opportuni che consentano alle autonomie regionali e locali di affermare il proprio ruolo, altrimenti rimesso alla decisione del parlamento nazionale.
A tal proposito, per quanto riguarda l’ordinamento italiano, tale disciplina si è avuta con la recente legge 4 febbraio 2005 n.11 recante “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”, il cui iter di approvazione ha coinciso con l’adozione del Trattato costituzionale e di quest’ultimo probabilmente ha tenuto conto, anche se sarebbe parso opportuno un migliore coordinamento e adeguamento con la disciplina comunitaria. Probabilmente ha inciso il fatto che il Trattato costituzionale non è ancora in vigore, ma nell’ottica di una sua entrata in vigore ben si sarebbe potuto predisporre una disciplina interna maggiormente in sintonia col primo.
La legge in parola modifica la legge 9 marzo 1989 n. 86, innovando le procedure di partecipazione alla formazione degli atti comunitari. L’ambito dei soggetti coinvolti in questa fase, oltre al Parlamento, si amplia infatti non solo alle Regioni ma anche agli enti locali, alle parti sociali e alle categorie produttive (CNEL) e tutti sono messi in grado, a seconda dei casi, di trasmettere osservazioni, adottare atti di indirizzo al Governo o formulare valutazioni e contributi. Inoltre è prevista un’apposita sessione comunitaria anche della Conferenza Stato-città e autonomie locali che si affianca a quella della Conferenza Stato-Regioni. Rispetto alla precedente disciplina, è prevista una migliore regolamentazione del rapporto Governo-Parlamento tale da garantire una maggiore efficienza con riguardo al coordinamento e trasmissione delle informazioni e un più stretto coinvolgimento dei soggetti interessati.
L’art. 3 della legge prevede che i progetti di atti comunitari e dell’Unione europea, nonché gli atti preordinati alla loro formazione, sono trasmessi alle Camere dal Presidente del Consiglio dei Ministri (o dal Ministro per le politiche comunitarie) per l’assegnazione ai competenti organi parlamentari, i quali sono altresì informati sulle proposte e sulle materie iscritte all’ordine del giorno delle riunioni del Consiglio dell’Unione europea; prima del loro svolgimento, il Governo illustra alle Camere la posizione che intende assumere e riferisce sui risultati delle riunioni entro quindici giorni dal loro svolgimento. I competenti organi parlamentari possono formulare osservazioni sui progetti e sugli atti trasmessi e adottare ogni opportuno atto di indirizzo al Governo. Ciò può creare qualche problema di sovrapposizione e di ingolfamento, dato che i progetti di atti legislativi europei devono già essere trasmessi ai parlamenti nazionali dalle istituzioni dell’Unione. Tuttavia la norma interna sembra rivestire portata più ampia, poiché contempla in modo più generale i progetti di atti comunitari e quelli preordinati alla loro formazione. Non è chiaro se l’art. 3 si riferisca alla vecchia nomenclatura degli atti normativi comunitari (regolamenti, direttive, decisioni), o a quella adottata dalla Costituzione europea, cioè debba (ora) intendersi riferita agli atti legislativi europei (legge quadro europea e legge europea) o anche agli atti non legislativi (attuali regolamenti europei e decisioni europee): data l’ampiezza e genericità della formulazione della norma, si può pensare che la trasmissione al parlamento nazionale riguardi tutti gli atti, anche se appare forse eccessivo che anche gli atti non legislativi o di esecuzione debbano seguire tale procedura.
A ulteriore garanzia del legislatore nazionale, l’art. 4 introduce l’istituto della “riserva di esame parlamentare”, tramite il quale viene riconosciuta una funzione decisiva agli orientamenti parlamentari espressi in sede di formazione della posizione italiana nel contesto comunitario: qualora le Camere abbiano iniziato l’esame dei progetti o degli atti comunitari trasmessi, il Governo può procedere alle attività di propria competenza per la formazione dei relativi atti soltanto a conclusione di tale esame, apponendo in sede di Consiglio la riserva di esame parlamentare; in casi di particolare importanza politica, economica e sociale degli atti comunitari, il Governo può apporre in sede di Consiglio dell’Unione analoga riserva sul testo e ne dà comunicazione alle Camere affinché su di esso si esprimano i competenti organi parlamentari. Tuttavia, per evitare che il processo decisionale comunitario si blocchi in attesa dell’intervento parlamentare, qualora decorrano venti giorni dalla comunicazione governativa concernente l’apposizione della riserva, il Governo può procedere anche in mancanza della pronuncia parlamentare.
La legge n. 11 del 2005 disciplina, altresì, l’aspetto della partecipazione delle Regioni e Province autonome alle decisioni relative alla formazione di atti normativi comunitari. A tal fine prevede (art. 5) in primo luogo, che il Presidente del Consiglio dei Ministri, o il Ministro per le politiche comunitarie, informi le Regioni e le Pro-vince autonome, tramite la Conferenza dei presidenti delle Regioni e delle Province autonome, delle proposte e delle materie di competenza regionale che risultino iscritte all’ordine del giorno delle riunioni del Consiglio dell’Unione europea; su richiesta della Conferenza stessa, in sessione comunitaria, illustra, prima dello svolgimento delle riunioni, la posizione che il Governo intende assumere e successivamente la informa delle risultanze delle riunioni del Consiglio dell’Unione entro quindici giorni dal loro svolgimento.
In secondo luogo, per consentire una più diretta partecipazione delle Regioni e un loro effettivo contributo all’elaborazione degli atti comunitari interessanti la loro sfera di competenze, la legge in parola dispone che il Presidente del Consiglio dei Ministri, o il Ministro per le politiche comunitarie, trasmetta i progetti di atti comunitari, e gli atti preordinati alla loro formazione, alla Conferenza dei presidenti delle Regioni e delle Province autonome e alla Conferenza dei presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle Province autonome perché siano inoltrati alle Giunte e ai Consigli regionali. Le Regioni e le Province autonome, entro venti giorni dal ricevimento di tali atti, nelle materie di loro competenza possono trasmettere osservazioni al Presidente del Consiglio dei Ministri o al Ministro per le politiche comunitarie tramite la Conferenza.
Se il progetto di atto normativo comunitario riguarda materie attribuite alla competenza legislativa delle Regioni, il Governo convoca, dietro loro richiesta, la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le Regioni e le Province autonome, ai fini del raggiungimento, entro venti giorni, di un’intesa per la definizione del contenuto dell’atto; essa si perfeziona con l’espressione dell’assenso del Governo e dei presidenti delle Regioni e delle Province autonome (di cui all’art. 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997 n.281). In tal caso, qualora lo richieda la Conferenza, il Governo appone “una riserva di esame” in sede di Consiglio dell’Unione europea e ne dà comunicazione alla Conferenza: trascorsi venti giorni da detta comunicazione (o se lo richiede una situazione di urgenza sopravvenuta), il Governo può procedere anche in mancanza della pronuncia della Conferenza. A differenza della riserva di esame parlamentare, per la quale è necessaria solo una decisione governativa, nelle materie di competenza regionale occorre la richiesta della Conferenza Stato-Regioni al Governo di apporre una riserva di esame in sede comunitaria.
Viene così ulteriormente precisato quanto già previsto dalla legge 5 giugno 2003 n.131, secondo cui le Regioni e le Province autonome concorrono direttamente, nelle materie di loro competenza legislativa, alla formazione degli atti comunitari partecipando, nell’ambito delle delegazioni del Governo, alle attività del Consiglio e della Commissione europea, secondo modalità da concordare in sede di Conferenza Stato-Regioni e comunque garantendo l’unitarietà della rappresentazione della posizione italiana da parte del Capo delegazione designato dal Governo. In tal modo le regioni sono messe in grado di incidere e partecipare effettivamente alla formazione della posizione del governo in merito agli atti comunitari che interessano materie di loro competenza.
Quando poi i progetti e gli atti comunitari riguardano questioni di particolare rilevanza per gli enti locali, la Presidenza del Consiglio dei Ministri li trasmette alla Conferenza Stato-città ed autonomie locali. Le associazioni rappresentative degli enti locali possono, tramite la Conferenza, formulare osservazioni, le quali devono comunque pervenire entro il giorno precedente quello della discussione in sede comunitaria.
Niente dice invece la legge n.11 del 2005 circa le modalità, i casi e con quali effetti, il Parlamento italiano, nell’esercitare la sua funzione di controllo sul rispetto del principio di sussidiarietà, dovrà consultare le Regioni, né quando e in che modo, qualora intenda chiedere allo Stato di impugnare gli atti europei dinanzi alla Corte di giustizia per violazione di tale principio, dovrà agire anche in nome dei legislatori regionali che richiedono l’impugnazione dell’atto a tutela della loro sfera di competenza. Tuttavia può soccorrere in proposito il decreto legislativo 30 luglio 1999 n.303, che rappresenta un’ulteriore garanzia di carattere generale a tutela delle prerogative delle Regioni: esso infatti dispone che, nelle materie di competenza legislativa delle Regioni e delle Province autonome, il Governo può proporre ricorso dinanzi alla Corte di giustizia avverso gli atti normativi comunitari ritenuti illegittimi anche su richiesta di una di esse. Il Governo poi è tenuto a proporre tale ricorso qualora sia richiesto dalla Conferenza Stato-Regioni a maggioranza assoluta delle Regioni e delle Province autonome.
Dunque si profila anche per le Regioni, oltre che per i parlamenti nazionali, la possibilità di impugnare un atto comunitario ritenuto da esse illegittimo, secondo due possibilità: tramite il parlamento nazionale che, dietro consultazione col legislatore regionale e seguendo le sue indicazioni, chiede al governo di impugnare l’atto comunitario per violazione del principio di sussidiarietà; tramite il proprio governo quando ritengano l’illegittimità dell’atto comunitario.
Nel suo complesso, alla disciplina contenuta nella legge n.11 del 2005 va riconosciuto il merito di aver cercato di predisporre dei meccanismi capaci di assicurare una maggiore ed effettiva partecipazione delle autonomie regionali nel processo di formazione degli atti comunitari e di fornire loro la possibilità di tutelare le proprie prerogative avverso indebite invasioni delle loro competenze da parte dell’Unione, ma certamente l’intera disciplina appare assai farraginosa e tortuosa, ispirata a una concezione ormai superata dei rapporti tra Stato, Regioni e Unione europea quali risultano ormai delineati anche a livello europeo. In ogni caso, è auspicabile almeno una revisione dei regolamenti parlamentari per garantire procedimenti veloci, adeguatamente partecipati e capaci quindi di inserirsi efficacemente nel processo decisionale europeo.