PRINCIPIO DI EFFETTIVITA' NEL RECUPERO DEGLI AIUTI DI STATO ILLEGITTIMI
Archivio > Anno 2007 > Ottobre 2007
di Luigi D'AGOSTINO (Ex stagiaire strutturale DG Competition - State Aid)
Sin
dalla firma del Trattato di Roma nel 1957 la politica degli aiuti di
Stato ha rappresentato un elemento integrante della più ampia politica
della concorrenza. Il controllo degli aiuti di Stato risponde alla
necessità di garantire condizioni di parità per tutte le imprese
operanti nel mercato unico a prescindere dallo Stato membro in cui hanno
sede. Gli aiuti di Stato, fornendo vantaggi selettivi ed ingiustificati
ad alcune imprese, impediscono alle forze di mercato di premiare le
imprese più competitive. Ciò può portare ad una concentrazione di potere
di mercato solo in capo a pochi soggetti economici perché le imprese
che non beneficiano di aiuti (ad esempio le imprese straniere) sono
costrette a diradare la loro presenza sul mercato locale sino nei casi
più gravi a scomparire dallo stesso. Tali distorsioni economiche - della
competitività - ben facilmente si traducono in aumenti di prezzi,
realizzazione di prodotti di qualità inferiore, in minore innovazione, a
tutto danno del soggetto-consumatore che, essendo anche contribuente,
con il pagamento delle proprie imposte si trova così costretto,
paradossalmente, a finanziare il costo di aiuti che non gli recano alcun
vantaggio.
Uno dei punti più controversi e di attualità della disciplina degli aiuti di Stato alle imprese è sicuramente costituito dal potere riconosciuto alla Commissione di ordinare allo Stato membro che si fosse reso colpevole della violazione dell’art. 87 TCE, il recupero dell’aiuto stesso. Detto potere in realtà non menzionato espressamente in alcuna delle disposizioni riguardanti gli aiuti di Stato (artt. 87, 88, 89 TCE) scopre le sue prime origini, in quello sforzo di fantasia integrativa della Corte di giustizia che trova l’addentellato per giustificare la sua teoria, in quella parte dell’art. 88, n. 2 ove si stabilisce che la Commissione debba ordinare la soppressione o la modifica di ogni aiuto che si infranga contro il generale divieto degli aiuti di Stato ex art. 87 TCE.
Sin dal 1973 (sentenza del 12 luglio 1973, causa 70/72, Commissione c. Repubblica federale di Germania, punto 13, commentata da E. Millarg, in Europasecht) la Corte affermava che “la soppressione o modificazione per avere effetto utile, può implicare l’obbligo di chiedere il rimborso di aiuti concessi in spregio al Trattato”. Il grido di aiuto del giudice comunitario che, in via pretoria, introduceva il principio della necessità del recupero come unico strumento capace di neutralizzare il danno causato dall’aiuto illegittimo al mercato comunitario, non restò inascoltato. Proprio sulla base dell’art. 89 TCE che abilita il Consiglio ad adottare i regolamenti utili all’applicazione dei precedenti artt. 87 ed 88 TCE nonché a fissare le esenzioni per categoria di aiuti, è stato approvato il regolamento CE 659/99 (GUCE L 83 del 27 marzo 1999) che ha avuto il merito di codificare in un unico corpo normativo una serie di prassi elaborate dalla Commissione nella sua lunga esperienza in materia. Il tredicesimo “considerando” del regolamento n. 659 riguarda proprio il recupero degli aiuti finanziari.
Tale precetto trova poi sviluppo nell’art. 14 del detto regolamento che così recita:
“1) Nel caso di decisioni negative relative a casi di aiuto illegali la Commissione adotta una decisione con la quale impone allo Stato membro interessato di adottare tutte le misure necessarie per recuperare l’aiuto dal beneficiario (…). La Commis-sione non impone il recupero dell’aiuto qualora ciò sia in contrasto con un principio generale del diritto comunitario.
2) (…).
3) Fatta salva un’eventuale ordinanza della Corte di giustizia delle Comunità europee emanata ai sensi dell’art. 185 del Trattato, il recupero va effettuato senza indugio secondo le procedure previste dalla legge dello Stato membro interessato, a condizione che esse consentano l’esecuzione immediata ed effettiva della decisione della Commissione. A tal fine e in caso di procedimento dinanzi ai Tribunali nazionali, gli Stati membri interessati adottano tutte le misure necessarie disponibili nei rispettivi ordinamenti giuridici, comprese le misure provvisorie, fatto salvo il diritto comunitario.”
Il 5 ottobre 2006, la Corte di giustizia ha emesso una sentenza, non ancora pubblicata, che rappresenterà nel futuro una pietra miliare in suddetta materia (causa C-232/05, Commission v. France). Nel ricorso portato all’attenzione dei giudici, la Commissione chiedeva la declaratoria di inadempienza della Francia agli obblighi imposti dall’art. 249, comma 4, TCE per non avere eseguito la propria decisione (2002/14) in cui constatava che la Francia aveva concesso illegalmente, in violazione dell’art. 88, n. 3 TCE aiuti a favore della SCOTT SA sotto forma di un prezzo preferenziale ad hoc, per l’acquisto di un sito industriale di 48 ettari con un valore attualizzato di euro 12.300.000, e attraverso l’applicazione di una tariffa preferenziale della tassa per i consumi idrici. Al fine di recuperare gli aiuti concessi, gli enti territoriali cisalpini emettevano diversi avvisi di pagamento per un importo totale di euro 12.300.000, ma il governo, invitato a fornire aggiornamenti sugli sviluppi delle misure di recupero, rendeva noto che la Kimberly-Clark (subentrata alla SCOTT) aveva impugnato gli avvisi di pagamento dinanzi al Tribunal Administrativ di Orléans, sicché in base al diritto interno, i ricorsi proposti in detto ambito avevano un automatico effetto sospensivo della loro efficacia esecutiva e che non vi erano strumenti giuridici per obbligare un organo giurisdizionale a ordinare il recupero degli aiuti concessi illegalmente prima che il tribunale amministrativo di primo grado si fosse pronunciato sul merito. La disputa sorge infatti a causa della peculiarità della normativa francese ove, a differenza dei ricorsi ordinari di diritto civile, nel contenzioso amministrativo i ricorsi sono privi di effetto sospensivo tranne nel caso di disposizioni legislative speciali e salvo che l’organo giurisdizionale competente disponga altrimenti.
Tuttavia, il codice generale degli enti territoriali stabiliva un’eccezione all’anzidetta presunzione di legittimità (bénéfice du préalable) dell’atto emendato da una pubblica amministrazione disponendo che “la proposizione dinanzi ad un organo giurisdizionale di un ricorso che contesti la validità di un credito certo, liquidato da un ente territoriale o da un ente pubblico locale, sospende l’efficacia esecutiva di tali atti”.
Tale automaticità sospensiva del procedimento esecutivo nazionale, unito alla mancanza di mezzi alternativi che compensino la sospensione stessa, in realtà non fa altro che vanificare sia il principio di effettività che più in generale il principio di primazia del diritto comunitario (sentenza del 15 luglio 1964, causa 6/64, Flaminio Costa e Enel) esigendosi invece che il diritto comunitario debba prevalere comunque, in caso di conflitto di fronte al governo e all’amministrazione, o al potere legislativo e giudiziario. Al giudice nazionale spetta l’onere di disapplicare, anche d’ufficio, qualsiasi disposizione contestata senza dover chiedere o attendere la previa declaratoria di illegittimità, anche di rango costituzionale.
Il governo francese, poco efficacemente, tentava di replicare che aveva comunque intrapreso ogni misura necessaria a dare esecuzione alla decisione della Commissione e che l’espressione “esecuzione immediata ed effettiva” contenuta nell’art. 14(3) del regolamento 659 non significava che l’aiuto dovesse essere recuperato immediatamente, ma era sufficiente che la procedura di recupero venisse iniziata senza ritardo.
La Corte rifiutava le deduzioni delle autorità francesi. Sentenziava invece che una legge nazionale che dispone un automatico effetto sospensivo dell’ordine di recupero si pone in insanabile contrasto con gli obiettivi perseguiti dalle regole dell’equilibrio del mercato com’era all’epoca in cui era stato erogato l’aiuto. Nello stesso senso erano state le conclusioni presentate il 18 maggio 2006 dall’Avvocato Generale Dàmaso Ruiz-Jarabo Colomer, che hanno il merito di compendiare in modo chiaro e persuasivo l’evoluzione legislativa e giurisprudenziale della complessa materia e che costituiranno, per la lucidità e fermezza delle proposte rivolte alla Corte, un punto di riferimento ineluttabile per tutti i nuovi pronunciamenti.
Per l’Avvocato Generale (punto 67 conclusioni) la giurisprudenza Simmenthal (sentenza del 9 marzo 1978, causa 106/77) avrebbe dovuto spingere il giudice francese a valutare per lo meno l’opportunità di disapplicare l’art. 21617-5 del Codice ge-nerale degli enti territoriali, per assicurare la piena efficacia del-la decisione 2002/14, dato che la sospensione automatica dell’esecuzione della decisione non gli impediva, in base alle sentenze Kraaijeveld (sentenza del 24 ottobre 1996, causa C-72/95) e Eco Swiss (sentenza del 1 giugno 1999, causa C-126/99) di rilevare d’ufficio la superiorità del diritto comunitario.
Peraltro secondo la giurisprudenza (punto 74 conclusioni Avvocato generale) uno Stato membro che, al momento dell’esecuzione di una decisione della Commissione in materia di aiuti, incontri difficoltà impreviste e imprevedibili, deve sottoporre tali difficoltà alla valutazione della suddetta istituzione, proponendo le opportune modifiche. In questo caso la Commissione e lo Stato membro, in ossequio alla norma che prescrive agli Stati membri e alle istituzioni comunitarie obblighi reciproci di leale collaborazione ex art. 10 TCE, devono cooperare in buona fede onde superare gli impedimenti presentatisi, osservando scrupolosamente le disposizioni del Trattato, ed in particolare quelle relative agli aiuti (sentenze del 2 febbraio 1989, causa 94/87, Commissione/Germania e del 27 giugno 2000, causa C-404/97, Commissione/Portogallo). La Corte, inoltre, ha avuto l’opportunità di fare chiarezza sui rimedi e le procedure utilizzabili dal beneficiario dell’aiuto che voglia opporsi alla decisione della Commissione o alle misure prese dallo Stato membro che agisca allo scopo di porre in esecuzione la decisione stessa.
La Corte ribadisce che il beneficiario dell’aiuto, che reagisca contro le misure prese dalle autorità nazionali per adempiere ad una decisione di recupero della Commissione, non può mettere in dubbio la validità di una decisione senza che questa venga riformata dalla stessa Corte di giustizia. Ne discende il corollario secondo cui il diritto di difesa e gli strumenti di protezione giudiziale offerti dal Trattato CE sono in sé sufficienti, ove di contro gli effetti sospensivi delle decisioni comunitarie richiesti alle autorità giurisdizionali nazionali non possono essere considerati come essenziali, secondo il diritto europeo vigente, per la tutela del beneficiario dell’aiuto.
La decisione qui in commento, si colloca nel solco di un più ampio contesto di rinnovata sensibilità verso la “recovery policy”, che conferma il suo precetto tautologico già noto in datate pronunce sicché “il recupero di un aiuto illegittimo non è altro che la logica conseguenza dell’accertamento della sua illegittimità” (causa C-183/91, Commissione Grecia e causa C-142/87, Belgio/Commissione).
Il recupero non viene concepito come una sanzione nei confronti dello Stato, ma come mezzo per ripristinare lo status quo ante (sentenza del 14 settembre 1994, cause riunite C-278/92, C-279/92, C-280/92 Spagna/Commissione e sentenza C -348/93 Commissione/Italia).
Da un punto di vista più generale “le tableau de bord des aides d’État” presentato dalla Commissione l’11 dicembre 2006 rappresentava che al 30 giugno 2006, ottanta decisioni di recupero erano pendenti, contro ottantaquattro alla data del 31 di-cembre 2005. L’ultimo quadro di valutazione degli aiuti di Stato compilato dalla Commissione stimava a 64 miliardi di euro gli aiuti concessi dai 25 Stati membri nel 2005, contro i 26 miliardi di euro del 2004.
Seppure quindi la risposta all’obiettivo del Consiglio europeo di aiuti di stato meno numerosi sia stata assolutamente modesta, la Commissaria alla concorrenza, Nellie Kroes ha sa-lutato con orgoglio una nuova tendenza al riorientamento degli aiuti verso obiettivi orizzontali di interesse comune come l’ambiente, la ricerca e lo sviluppo. La politica degli aiuti di Stato si trova oggi di fronte a nuove sfide che impongono di agire o di arrendersi. Solo uno sforzo congiunto ed univoco, con ripartizione chiara delle peculiari responsabilità delle istituzioni comunitarie e dei paesi membri, può dare nuovo impulso alla cosiddetta strategia di Lisbona.
Alla base, resta l’idea che l’economia di mercato offra la garanzia migliore per accrescere il tenore di vita dei cittadini nella UE, affermandosi una economia forte, basata sulla conoscenza, al vertice della competitività internazionale, in grado di realizzare una crescita sostenibile, con nuovi e più qualificati posti di lavoro e una maggiore coesione sociale.
Uno dei punti più controversi e di attualità della disciplina degli aiuti di Stato alle imprese è sicuramente costituito dal potere riconosciuto alla Commissione di ordinare allo Stato membro che si fosse reso colpevole della violazione dell’art. 87 TCE, il recupero dell’aiuto stesso. Detto potere in realtà non menzionato espressamente in alcuna delle disposizioni riguardanti gli aiuti di Stato (artt. 87, 88, 89 TCE) scopre le sue prime origini, in quello sforzo di fantasia integrativa della Corte di giustizia che trova l’addentellato per giustificare la sua teoria, in quella parte dell’art. 88, n. 2 ove si stabilisce che la Commissione debba ordinare la soppressione o la modifica di ogni aiuto che si infranga contro il generale divieto degli aiuti di Stato ex art. 87 TCE.
Sin dal 1973 (sentenza del 12 luglio 1973, causa 70/72, Commissione c. Repubblica federale di Germania, punto 13, commentata da E. Millarg, in Europasecht) la Corte affermava che “la soppressione o modificazione per avere effetto utile, può implicare l’obbligo di chiedere il rimborso di aiuti concessi in spregio al Trattato”. Il grido di aiuto del giudice comunitario che, in via pretoria, introduceva il principio della necessità del recupero come unico strumento capace di neutralizzare il danno causato dall’aiuto illegittimo al mercato comunitario, non restò inascoltato. Proprio sulla base dell’art. 89 TCE che abilita il Consiglio ad adottare i regolamenti utili all’applicazione dei precedenti artt. 87 ed 88 TCE nonché a fissare le esenzioni per categoria di aiuti, è stato approvato il regolamento CE 659/99 (GUCE L 83 del 27 marzo 1999) che ha avuto il merito di codificare in un unico corpo normativo una serie di prassi elaborate dalla Commissione nella sua lunga esperienza in materia. Il tredicesimo “considerando” del regolamento n. 659 riguarda proprio il recupero degli aiuti finanziari.
Tale precetto trova poi sviluppo nell’art. 14 del detto regolamento che così recita:
“1) Nel caso di decisioni negative relative a casi di aiuto illegali la Commissione adotta una decisione con la quale impone allo Stato membro interessato di adottare tutte le misure necessarie per recuperare l’aiuto dal beneficiario (…). La Commis-sione non impone il recupero dell’aiuto qualora ciò sia in contrasto con un principio generale del diritto comunitario.
2) (…).
3) Fatta salva un’eventuale ordinanza della Corte di giustizia delle Comunità europee emanata ai sensi dell’art. 185 del Trattato, il recupero va effettuato senza indugio secondo le procedure previste dalla legge dello Stato membro interessato, a condizione che esse consentano l’esecuzione immediata ed effettiva della decisione della Commissione. A tal fine e in caso di procedimento dinanzi ai Tribunali nazionali, gli Stati membri interessati adottano tutte le misure necessarie disponibili nei rispettivi ordinamenti giuridici, comprese le misure provvisorie, fatto salvo il diritto comunitario.”
Il 5 ottobre 2006, la Corte di giustizia ha emesso una sentenza, non ancora pubblicata, che rappresenterà nel futuro una pietra miliare in suddetta materia (causa C-232/05, Commission v. France). Nel ricorso portato all’attenzione dei giudici, la Commissione chiedeva la declaratoria di inadempienza della Francia agli obblighi imposti dall’art. 249, comma 4, TCE per non avere eseguito la propria decisione (2002/14) in cui constatava che la Francia aveva concesso illegalmente, in violazione dell’art. 88, n. 3 TCE aiuti a favore della SCOTT SA sotto forma di un prezzo preferenziale ad hoc, per l’acquisto di un sito industriale di 48 ettari con un valore attualizzato di euro 12.300.000, e attraverso l’applicazione di una tariffa preferenziale della tassa per i consumi idrici. Al fine di recuperare gli aiuti concessi, gli enti territoriali cisalpini emettevano diversi avvisi di pagamento per un importo totale di euro 12.300.000, ma il governo, invitato a fornire aggiornamenti sugli sviluppi delle misure di recupero, rendeva noto che la Kimberly-Clark (subentrata alla SCOTT) aveva impugnato gli avvisi di pagamento dinanzi al Tribunal Administrativ di Orléans, sicché in base al diritto interno, i ricorsi proposti in detto ambito avevano un automatico effetto sospensivo della loro efficacia esecutiva e che non vi erano strumenti giuridici per obbligare un organo giurisdizionale a ordinare il recupero degli aiuti concessi illegalmente prima che il tribunale amministrativo di primo grado si fosse pronunciato sul merito. La disputa sorge infatti a causa della peculiarità della normativa francese ove, a differenza dei ricorsi ordinari di diritto civile, nel contenzioso amministrativo i ricorsi sono privi di effetto sospensivo tranne nel caso di disposizioni legislative speciali e salvo che l’organo giurisdizionale competente disponga altrimenti.
Tuttavia, il codice generale degli enti territoriali stabiliva un’eccezione all’anzidetta presunzione di legittimità (bénéfice du préalable) dell’atto emendato da una pubblica amministrazione disponendo che “la proposizione dinanzi ad un organo giurisdizionale di un ricorso che contesti la validità di un credito certo, liquidato da un ente territoriale o da un ente pubblico locale, sospende l’efficacia esecutiva di tali atti”.
Tale automaticità sospensiva del procedimento esecutivo nazionale, unito alla mancanza di mezzi alternativi che compensino la sospensione stessa, in realtà non fa altro che vanificare sia il principio di effettività che più in generale il principio di primazia del diritto comunitario (sentenza del 15 luglio 1964, causa 6/64, Flaminio Costa e Enel) esigendosi invece che il diritto comunitario debba prevalere comunque, in caso di conflitto di fronte al governo e all’amministrazione, o al potere legislativo e giudiziario. Al giudice nazionale spetta l’onere di disapplicare, anche d’ufficio, qualsiasi disposizione contestata senza dover chiedere o attendere la previa declaratoria di illegittimità, anche di rango costituzionale.
Il governo francese, poco efficacemente, tentava di replicare che aveva comunque intrapreso ogni misura necessaria a dare esecuzione alla decisione della Commissione e che l’espressione “esecuzione immediata ed effettiva” contenuta nell’art. 14(3) del regolamento 659 non significava che l’aiuto dovesse essere recuperato immediatamente, ma era sufficiente che la procedura di recupero venisse iniziata senza ritardo.
La Corte rifiutava le deduzioni delle autorità francesi. Sentenziava invece che una legge nazionale che dispone un automatico effetto sospensivo dell’ordine di recupero si pone in insanabile contrasto con gli obiettivi perseguiti dalle regole dell’equilibrio del mercato com’era all’epoca in cui era stato erogato l’aiuto. Nello stesso senso erano state le conclusioni presentate il 18 maggio 2006 dall’Avvocato Generale Dàmaso Ruiz-Jarabo Colomer, che hanno il merito di compendiare in modo chiaro e persuasivo l’evoluzione legislativa e giurisprudenziale della complessa materia e che costituiranno, per la lucidità e fermezza delle proposte rivolte alla Corte, un punto di riferimento ineluttabile per tutti i nuovi pronunciamenti.
Per l’Avvocato Generale (punto 67 conclusioni) la giurisprudenza Simmenthal (sentenza del 9 marzo 1978, causa 106/77) avrebbe dovuto spingere il giudice francese a valutare per lo meno l’opportunità di disapplicare l’art. 21617-5 del Codice ge-nerale degli enti territoriali, per assicurare la piena efficacia del-la decisione 2002/14, dato che la sospensione automatica dell’esecuzione della decisione non gli impediva, in base alle sentenze Kraaijeveld (sentenza del 24 ottobre 1996, causa C-72/95) e Eco Swiss (sentenza del 1 giugno 1999, causa C-126/99) di rilevare d’ufficio la superiorità del diritto comunitario.
Peraltro secondo la giurisprudenza (punto 74 conclusioni Avvocato generale) uno Stato membro che, al momento dell’esecuzione di una decisione della Commissione in materia di aiuti, incontri difficoltà impreviste e imprevedibili, deve sottoporre tali difficoltà alla valutazione della suddetta istituzione, proponendo le opportune modifiche. In questo caso la Commissione e lo Stato membro, in ossequio alla norma che prescrive agli Stati membri e alle istituzioni comunitarie obblighi reciproci di leale collaborazione ex art. 10 TCE, devono cooperare in buona fede onde superare gli impedimenti presentatisi, osservando scrupolosamente le disposizioni del Trattato, ed in particolare quelle relative agli aiuti (sentenze del 2 febbraio 1989, causa 94/87, Commissione/Germania e del 27 giugno 2000, causa C-404/97, Commissione/Portogallo). La Corte, inoltre, ha avuto l’opportunità di fare chiarezza sui rimedi e le procedure utilizzabili dal beneficiario dell’aiuto che voglia opporsi alla decisione della Commissione o alle misure prese dallo Stato membro che agisca allo scopo di porre in esecuzione la decisione stessa.
La Corte ribadisce che il beneficiario dell’aiuto, che reagisca contro le misure prese dalle autorità nazionali per adempiere ad una decisione di recupero della Commissione, non può mettere in dubbio la validità di una decisione senza che questa venga riformata dalla stessa Corte di giustizia. Ne discende il corollario secondo cui il diritto di difesa e gli strumenti di protezione giudiziale offerti dal Trattato CE sono in sé sufficienti, ove di contro gli effetti sospensivi delle decisioni comunitarie richiesti alle autorità giurisdizionali nazionali non possono essere considerati come essenziali, secondo il diritto europeo vigente, per la tutela del beneficiario dell’aiuto.
La decisione qui in commento, si colloca nel solco di un più ampio contesto di rinnovata sensibilità verso la “recovery policy”, che conferma il suo precetto tautologico già noto in datate pronunce sicché “il recupero di un aiuto illegittimo non è altro che la logica conseguenza dell’accertamento della sua illegittimità” (causa C-183/91, Commissione Grecia e causa C-142/87, Belgio/Commissione).
Il recupero non viene concepito come una sanzione nei confronti dello Stato, ma come mezzo per ripristinare lo status quo ante (sentenza del 14 settembre 1994, cause riunite C-278/92, C-279/92, C-280/92 Spagna/Commissione e sentenza C -348/93 Commissione/Italia).
Da un punto di vista più generale “le tableau de bord des aides d’État” presentato dalla Commissione l’11 dicembre 2006 rappresentava che al 30 giugno 2006, ottanta decisioni di recupero erano pendenti, contro ottantaquattro alla data del 31 di-cembre 2005. L’ultimo quadro di valutazione degli aiuti di Stato compilato dalla Commissione stimava a 64 miliardi di euro gli aiuti concessi dai 25 Stati membri nel 2005, contro i 26 miliardi di euro del 2004.
Seppure quindi la risposta all’obiettivo del Consiglio europeo di aiuti di stato meno numerosi sia stata assolutamente modesta, la Commissaria alla concorrenza, Nellie Kroes ha sa-lutato con orgoglio una nuova tendenza al riorientamento degli aiuti verso obiettivi orizzontali di interesse comune come l’ambiente, la ricerca e lo sviluppo. La politica degli aiuti di Stato si trova oggi di fronte a nuove sfide che impongono di agire o di arrendersi. Solo uno sforzo congiunto ed univoco, con ripartizione chiara delle peculiari responsabilità delle istituzioni comunitarie e dei paesi membri, può dare nuovo impulso alla cosiddetta strategia di Lisbona.
Alla base, resta l’idea che l’economia di mercato offra la garanzia migliore per accrescere il tenore di vita dei cittadini nella UE, affermandosi una economia forte, basata sulla conoscenza, al vertice della competitività internazionale, in grado di realizzare una crescita sostenibile, con nuovi e più qualificati posti di lavoro e una maggiore coesione sociale.