EUROPA E REGIONE PUGLIA
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di Pietro PEPE (Presidente del Consiglio Regionale della Puglia)
Un sincero ringraziamento, all’Università di Bari, rappresentata dal rettore prof. Petrocelli e dal prof. Triggiani, all’Europe Direct Puglia, e a tutti gli illustri esperti qui convenuti per discutere ed analizzare nello specifico, lo stato di attuazione dell’unificazione europea a cinquant’anni dalla firma dei Trattati di Roma.
Questo seminario, sostenuto dall’Ufficio di presidenza del Consiglio regionale, si inserisce nell’ambito delle iniziative programmate per ricordare la nascita della Comunità europea.
La Regione Puglia ha ricordato quell’evento, oltre che con l’incontro di oggi, con una solenne seduta del Consiglio regionale, con il conferimento da parte dell’Aiccre - Federazione regionale pugliese di sei borse di studio e con una mostra e di un filmato prodotti dalla Rete “Europe Direct” e dalla Rappresentanza della Commissione europea in Italia.
Queste settimane di festeggiamenti e di riflessione ci hanno permesso di riacquistare consapevolezza – che era stata un po’ perduta – dell’immensa impresa compiuta dai padri fondatori dell’Unione, nonostante i problemi che si sono prospettati lungo la strada della realizzazione del “sogno europeo”.
Si riparte della dichiarazione sottoscritta alcune settimane fa a Berlino. Alcuni osservatori hanno espresso riserve sul risultato di quell’incontro.
Qualche rilievo ha forse un fondamento, ma occorre sempre ricordare l’insegnamento di Jean Monnet, uno dei padri dei Trattati di Roma, che sosteneva che con i “piccoli passi” l’Europa avrebbe cambiato pelle. E così è stato.
Quello che noi siamo oggi, lo dobbiamo all’intelligenza fervida e alla passione civile di uomini come De Gasperi, Adenauer, Shumann, Spinelli, Moro, Spaak, Monnet, Brandt, Mitterand e tanti altri ancora che hanno creduto ad un obiettivo che 50 anni fa poteva apparire utopistico.
A quella generazione di padri costituenti dell’Europa unita, noi dobbiamo tutto.
Innanzitutto la pace e la democrazia.
Su questo aspetto è bene ritornare, anche a rischio di ripetersi.
Il Novecento, il “secolo breve”, è stato caratterizzato da due conflitti bellici, da rivoluzioni e dittature, dalla nascita e dalla fine dell’impero sovietico, ma ha anche lasciato in eredità all’Europa il più lungo periodo di pace e di collaborazione tra gli Stati e tra i popoli.
In quest’humus l’Unione europea ha costituito l’antidoto più forte contro le ricadute dell’età dell’odio e contro i rigurgiti di nazionalismi esasperati.
I problemi, le resistenze e le chiusure non sono stati debellati. Ma gli europei devono essere felici per i grandi passi in avanti verso l’integrazione che l’Unione ha compiuto in cinquant’anni.
L’Europa ha raggiunto i suoi obiettivi fondamentali sul terreno della collaborazione economica, con l’aiuto comunitario alle aree più deboli e sul piano dei principi, per il comune sentire e la condivisione della democrazia, della tolleranza, del pluralismo religioso, del ripudio della violenza, con il valore della pace e della cooperazione tra i popoli e gli Stati. Non da ultimo, con la comune avversione contro la pena di morte.
A questo proposito, vale più di un programma la definizione di un filosofo francese, Jean Pierre Faye: “L’Europa è dove non c’è la pena di morte”. Il nostro auspicio è che questa conquista di civiltà sia estesa al mondo intero.
Uno dei punti di forza che ha contraddistinto 50 anni è l’Europa dei giovani. Sono loro i nostri talenti, la nostra più grande ricchezza. I nostri figli, grazie al programma Erasmus, studiano e conoscono in profondità la vecchia Europa e creano reti di relazioni per la crescita economica e culturale del territorio.
I giovani della generazione Erasmus sono persone aperte, attive, ricche di curiosità verso la complessità del mondo e delle culture.
La generazione Erasmus si nutre del valore della diversità che è il valore dell’Europa.
Più di tante parole il film “L’Appartamento spagnolo” del 2002 ci rappresenta cosa è e cosa vogliamo che sia l’Europa del prossimo futuro.
La pellicola racconta la vita a Barcellona di sei studenti europei (un inglese, uno spagnolo, un italiano, un tedesco, un belga e un danese) che vivono in uno scalcinato appartamento, condividendo e socializzando speranze, amarezze e delusioni.
In quell’appartamento quei sei ragazzi riescono a costruire e realizzare l’idea di Europa forse più e meglio di quanto, a volte, riesca a fare la razionalità senz’anima di qualche tecnocrate.
L’Unità europea è una continua rivoluzione allo stato nascente, in cui oggi si incrociano popoli che per secoli alzarono frontiere, uno contro l’altro armati, in difesa della propria identità.
Invece, ha scritto Jurgen Habermas, ora l’ Europa ha appreso “nel dolore come la differenza può essere comunicata, le opposizioni istituzionalizzate e le tensioni stabilizzate. Il riconoscimento delle differenze – il riconoscimento mutuale dell’altro nella sua diversità – può divenire il carattere distintivo di una identità comune”.
Oggi per noi, Europa e democrazia sono un’equazione priva di incognite.
La democrazia è contagiosa e questo spiega – molto più dei vantaggi economici – la corsa intrapresa in questi decenni da parte di altri Paesi, che hanno chiesto ed ottenuto di entrare nell’Unione Europea proprio per completare il processo di democratizzazione.
La Ue è uno dei più validi motori di cambiamento. Per milioni di uomini, liberarsi dalla dittatura ed entrare in Europa hanno rappresentato i due aspetti fondamentali della riaffermazione della propria dignità.
La maggior parte degli europei vive oggi in regimi di democrazia liberale.
Occorre continuare su questa strada, ed aprire l’Europa all’Est, ai Balcani e alla Turchia. In tal modo, l’Europa sanerà definitivamente le ferite della sua storia.
Certo, le difficoltà non mancano, così com’è emerso in Francia e Olanda nel referendum sulla Costituzione, ma è altresì vero che altri Paesi hanno approvato la costituzionalizzazione dell’Unione.
I “no” di francesi e olandesi alla Costituzione non sono la causa dell’empasse che vive l’Unione, ma l’effetto del mancato coinvolgimento dei cittadini, che spesso avvertono la Ue solo come una grande sovrastruttura burocratica, lontana dai loro problemi quotidiani. Su questo terreno c’è molta strada da compiere per rideterminare la fiducia di settori dell’opinione pubblica europea verso l’Unione.
In questa logica è giusto tornare a riproporre la questione delle radici giudaico-cristiane dell’Europa. Tutta la nostra cultura è piena di riferimenti a quei valori, e riaffermarli nella carta costituzionale non comporta il tentativo di imporre primati o negare la laicità dell’Istituzione, ma ci aiuta a non recidere i legami con la storia della società europea.
Si è finalmente aperta una nuova fase, il cui obiettivo fondamentale deve essere l’approvazione del Trattato che adotta la Costituzione europea, più ricco di contenuti, prospettive e di speranze.
Occorre accelerare i tempi della definizione della nuova Carta costituzionale, in modo che possa entrare in vigore entro il 2009, dopo avere ottenuto la ratifica da parte dei 27 Paesi, in modo che i cittadini europei conoscano i fondamenti e i valori dell’Unione.
I padri fondatori avevano costruito, nella tempesta del Novecento, una narrazione politica comune. Qualche osservatore afferma che oggi mancherebbe la visione di un destino condiviso.
C’è del vero in questa osservazione, ma resta il dato oggettivo della solidità dei fili – come qualcuno li ha definiti – che uniscono l’Europa, e cioè la libertà, la pace, il diritto, la prosperità, la diversità e la solidarietà.
La nuova narrazione, cioè la nuova storia dell’Europa, va costruita non tanto sul ricordo del passato (che è eterogeneo e diverso per i 27 popoli dell’Unione, ognuno dei quali ha una sua memoria nazionale che intende salvaguardare), ma cercando di costruire un futuro condiviso, a partire dal ruolo che l’Unione può svolgere in politica estera a difesa dei propri interessi, ma anche per diffondere un’idea nuova – il sogno europeo – della pace e della collaborazione tra i popoli.
Le questioni aperte non mancano e per ognuno dei fili che legano l’Europa, si potrebbero indicare le carenze se non proprio i buchi neri: penso alla tutela dei diritti, all’illegalità, alle sacche di povertà anche nei paesi più ricchi d’Europa, al rispetto ed alla tutela della diversità, al rapporto con gli extracomunitari.
Su quest’ultimo tema l’Europa sembra chiusa su se stessa, a difesa della propria roccaforte.
Questi sono i problemi, le nuove barriere da abbattere. Come ha scritto il filosofo Michael Walzer, “la Comunità europea è l’esempio di un’unione di Stati nazionali che non è né un impero, né una federazione, ma è una realtà diversa e forse una novità assoluta”. Un’unione in cui convivono storie, culture e religioni diverse.
L’Europa non è un destino, ma è una missione che necessita di inventiva e di fatica. Essa è un lavoro incessante per una prospettiva straordinaria.
Cinquant’anni dopo i Trattati di Roma, l’Unione deve affrontare tre sfide importanti: l’accordo su obiettivi e valori comuni, la coesione economica e sociale, il ruolo autonomo nella politica internazionale.
Il suo futuro dipenderà dal modo con cui saranno attuate le politiche di integrazione e una concezione dello sviluppo sostenibile, fondato sulla ricerca e sull’innovazione. Sono queste le risorse immateriali fondamentali della società della conoscenza e della globalizzazione.
È la sfida che ci costringe a cambiare nuovamente pelle. Come disse Monnet, “non possiamo restare fermi mentre il mondo attorno a noi si muove”.
È iniziata una nuova stagione. Oggi all’Europa serve – come ha detto il presidente Prodi – un po’ di follia creativa per dimostrare di sapere costruire una nuova etica condivisa fondata sullo sviluppo sostenibile, sulla ricerca e innovazione, sull’uguaglianze dei generi, sulla sicurezza dei cittadini, sull’incontro tra culture e religioni diverse, senza rinnegare però la sua storia e la sua identità profonda.
L’elaborazione del lutto, dopo lo shock dei referendum, è conclusa.
Nella dichiarazione di Berlino sono riaffermati con forza i principi ispiratori dell’Unione: pace, democrazia, stato di diritto, rispetto reciproco, benessere, sicurezza, tolleranza, partecipazione, giustizia, solidarietà.
Non è un omaggio alla retorica, ma questi riferimenti rappresentano i fondamenti di una identità aperta al nuovo.
In un’epoca di grandi incertezze, l’Unione Europea rappresenta la risposta alle sfide del nostro tempo se saprà ricominciare “a sognare quei sogni che ai realpolitikers sembrano assurdi” ma che danno vita e senso all’idea di Europa.
Questo seminario, sostenuto dall’Ufficio di presidenza del Consiglio regionale, si inserisce nell’ambito delle iniziative programmate per ricordare la nascita della Comunità europea.
La Regione Puglia ha ricordato quell’evento, oltre che con l’incontro di oggi, con una solenne seduta del Consiglio regionale, con il conferimento da parte dell’Aiccre - Federazione regionale pugliese di sei borse di studio e con una mostra e di un filmato prodotti dalla Rete “Europe Direct” e dalla Rappresentanza della Commissione europea in Italia.
Queste settimane di festeggiamenti e di riflessione ci hanno permesso di riacquistare consapevolezza – che era stata un po’ perduta – dell’immensa impresa compiuta dai padri fondatori dell’Unione, nonostante i problemi che si sono prospettati lungo la strada della realizzazione del “sogno europeo”.
Si riparte della dichiarazione sottoscritta alcune settimane fa a Berlino. Alcuni osservatori hanno espresso riserve sul risultato di quell’incontro.
Qualche rilievo ha forse un fondamento, ma occorre sempre ricordare l’insegnamento di Jean Monnet, uno dei padri dei Trattati di Roma, che sosteneva che con i “piccoli passi” l’Europa avrebbe cambiato pelle. E così è stato.
Quello che noi siamo oggi, lo dobbiamo all’intelligenza fervida e alla passione civile di uomini come De Gasperi, Adenauer, Shumann, Spinelli, Moro, Spaak, Monnet, Brandt, Mitterand e tanti altri ancora che hanno creduto ad un obiettivo che 50 anni fa poteva apparire utopistico.
A quella generazione di padri costituenti dell’Europa unita, noi dobbiamo tutto.
Innanzitutto la pace e la democrazia.
Su questo aspetto è bene ritornare, anche a rischio di ripetersi.
Il Novecento, il “secolo breve”, è stato caratterizzato da due conflitti bellici, da rivoluzioni e dittature, dalla nascita e dalla fine dell’impero sovietico, ma ha anche lasciato in eredità all’Europa il più lungo periodo di pace e di collaborazione tra gli Stati e tra i popoli.
In quest’humus l’Unione europea ha costituito l’antidoto più forte contro le ricadute dell’età dell’odio e contro i rigurgiti di nazionalismi esasperati.
I problemi, le resistenze e le chiusure non sono stati debellati. Ma gli europei devono essere felici per i grandi passi in avanti verso l’integrazione che l’Unione ha compiuto in cinquant’anni.
L’Europa ha raggiunto i suoi obiettivi fondamentali sul terreno della collaborazione economica, con l’aiuto comunitario alle aree più deboli e sul piano dei principi, per il comune sentire e la condivisione della democrazia, della tolleranza, del pluralismo religioso, del ripudio della violenza, con il valore della pace e della cooperazione tra i popoli e gli Stati. Non da ultimo, con la comune avversione contro la pena di morte.
A questo proposito, vale più di un programma la definizione di un filosofo francese, Jean Pierre Faye: “L’Europa è dove non c’è la pena di morte”. Il nostro auspicio è che questa conquista di civiltà sia estesa al mondo intero.
Uno dei punti di forza che ha contraddistinto 50 anni è l’Europa dei giovani. Sono loro i nostri talenti, la nostra più grande ricchezza. I nostri figli, grazie al programma Erasmus, studiano e conoscono in profondità la vecchia Europa e creano reti di relazioni per la crescita economica e culturale del territorio.
I giovani della generazione Erasmus sono persone aperte, attive, ricche di curiosità verso la complessità del mondo e delle culture.
La generazione Erasmus si nutre del valore della diversità che è il valore dell’Europa.
Più di tante parole il film “L’Appartamento spagnolo” del 2002 ci rappresenta cosa è e cosa vogliamo che sia l’Europa del prossimo futuro.
La pellicola racconta la vita a Barcellona di sei studenti europei (un inglese, uno spagnolo, un italiano, un tedesco, un belga e un danese) che vivono in uno scalcinato appartamento, condividendo e socializzando speranze, amarezze e delusioni.
In quell’appartamento quei sei ragazzi riescono a costruire e realizzare l’idea di Europa forse più e meglio di quanto, a volte, riesca a fare la razionalità senz’anima di qualche tecnocrate.
L’Unità europea è una continua rivoluzione allo stato nascente, in cui oggi si incrociano popoli che per secoli alzarono frontiere, uno contro l’altro armati, in difesa della propria identità.
Invece, ha scritto Jurgen Habermas, ora l’ Europa ha appreso “nel dolore come la differenza può essere comunicata, le opposizioni istituzionalizzate e le tensioni stabilizzate. Il riconoscimento delle differenze – il riconoscimento mutuale dell’altro nella sua diversità – può divenire il carattere distintivo di una identità comune”.
Oggi per noi, Europa e democrazia sono un’equazione priva di incognite.
La democrazia è contagiosa e questo spiega – molto più dei vantaggi economici – la corsa intrapresa in questi decenni da parte di altri Paesi, che hanno chiesto ed ottenuto di entrare nell’Unione Europea proprio per completare il processo di democratizzazione.
La Ue è uno dei più validi motori di cambiamento. Per milioni di uomini, liberarsi dalla dittatura ed entrare in Europa hanno rappresentato i due aspetti fondamentali della riaffermazione della propria dignità.
La maggior parte degli europei vive oggi in regimi di democrazia liberale.
Occorre continuare su questa strada, ed aprire l’Europa all’Est, ai Balcani e alla Turchia. In tal modo, l’Europa sanerà definitivamente le ferite della sua storia.
Certo, le difficoltà non mancano, così com’è emerso in Francia e Olanda nel referendum sulla Costituzione, ma è altresì vero che altri Paesi hanno approvato la costituzionalizzazione dell’Unione.
I “no” di francesi e olandesi alla Costituzione non sono la causa dell’empasse che vive l’Unione, ma l’effetto del mancato coinvolgimento dei cittadini, che spesso avvertono la Ue solo come una grande sovrastruttura burocratica, lontana dai loro problemi quotidiani. Su questo terreno c’è molta strada da compiere per rideterminare la fiducia di settori dell’opinione pubblica europea verso l’Unione.
In questa logica è giusto tornare a riproporre la questione delle radici giudaico-cristiane dell’Europa. Tutta la nostra cultura è piena di riferimenti a quei valori, e riaffermarli nella carta costituzionale non comporta il tentativo di imporre primati o negare la laicità dell’Istituzione, ma ci aiuta a non recidere i legami con la storia della società europea.
Si è finalmente aperta una nuova fase, il cui obiettivo fondamentale deve essere l’approvazione del Trattato che adotta la Costituzione europea, più ricco di contenuti, prospettive e di speranze.
Occorre accelerare i tempi della definizione della nuova Carta costituzionale, in modo che possa entrare in vigore entro il 2009, dopo avere ottenuto la ratifica da parte dei 27 Paesi, in modo che i cittadini europei conoscano i fondamenti e i valori dell’Unione.
I padri fondatori avevano costruito, nella tempesta del Novecento, una narrazione politica comune. Qualche osservatore afferma che oggi mancherebbe la visione di un destino condiviso.
C’è del vero in questa osservazione, ma resta il dato oggettivo della solidità dei fili – come qualcuno li ha definiti – che uniscono l’Europa, e cioè la libertà, la pace, il diritto, la prosperità, la diversità e la solidarietà.
La nuova narrazione, cioè la nuova storia dell’Europa, va costruita non tanto sul ricordo del passato (che è eterogeneo e diverso per i 27 popoli dell’Unione, ognuno dei quali ha una sua memoria nazionale che intende salvaguardare), ma cercando di costruire un futuro condiviso, a partire dal ruolo che l’Unione può svolgere in politica estera a difesa dei propri interessi, ma anche per diffondere un’idea nuova – il sogno europeo – della pace e della collaborazione tra i popoli.
Le questioni aperte non mancano e per ognuno dei fili che legano l’Europa, si potrebbero indicare le carenze se non proprio i buchi neri: penso alla tutela dei diritti, all’illegalità, alle sacche di povertà anche nei paesi più ricchi d’Europa, al rispetto ed alla tutela della diversità, al rapporto con gli extracomunitari.
Su quest’ultimo tema l’Europa sembra chiusa su se stessa, a difesa della propria roccaforte.
Questi sono i problemi, le nuove barriere da abbattere. Come ha scritto il filosofo Michael Walzer, “la Comunità europea è l’esempio di un’unione di Stati nazionali che non è né un impero, né una federazione, ma è una realtà diversa e forse una novità assoluta”. Un’unione in cui convivono storie, culture e religioni diverse.
L’Europa non è un destino, ma è una missione che necessita di inventiva e di fatica. Essa è un lavoro incessante per una prospettiva straordinaria.
Cinquant’anni dopo i Trattati di Roma, l’Unione deve affrontare tre sfide importanti: l’accordo su obiettivi e valori comuni, la coesione economica e sociale, il ruolo autonomo nella politica internazionale.
Il suo futuro dipenderà dal modo con cui saranno attuate le politiche di integrazione e una concezione dello sviluppo sostenibile, fondato sulla ricerca e sull’innovazione. Sono queste le risorse immateriali fondamentali della società della conoscenza e della globalizzazione.
È la sfida che ci costringe a cambiare nuovamente pelle. Come disse Monnet, “non possiamo restare fermi mentre il mondo attorno a noi si muove”.
È iniziata una nuova stagione. Oggi all’Europa serve – come ha detto il presidente Prodi – un po’ di follia creativa per dimostrare di sapere costruire una nuova etica condivisa fondata sullo sviluppo sostenibile, sulla ricerca e innovazione, sull’uguaglianze dei generi, sulla sicurezza dei cittadini, sull’incontro tra culture e religioni diverse, senza rinnegare però la sua storia e la sua identità profonda.
L’elaborazione del lutto, dopo lo shock dei referendum, è conclusa.
Nella dichiarazione di Berlino sono riaffermati con forza i principi ispiratori dell’Unione: pace, democrazia, stato di diritto, rispetto reciproco, benessere, sicurezza, tolleranza, partecipazione, giustizia, solidarietà.
Non è un omaggio alla retorica, ma questi riferimenti rappresentano i fondamenti di una identità aperta al nuovo.
In un’epoca di grandi incertezze, l’Unione Europea rappresenta la risposta alle sfide del nostro tempo se saprà ricominciare “a sognare quei sogni che ai realpolitikers sembrano assurdi” ma che danno vita e senso all’idea di Europa.