LE ORIGINI DEL PROCESSO DI COSTRUZIONE EUROPEA
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di Corrado PETROCELLI (Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Bari)
E'
di assoluta e solare evidenza che il modo più appropriato – forse
l’unico – per celebrare una ricorrenza cinquantenaria del rilievo dei
Trattati di Roma, istitutivi della Comunità Europea, sia quello di
ripercorrere, sino al nostro presente, il cammino allora intrapreso.
Né potranno sfuggire a tutti i viandanti che oggi, con altissimo rigore scientifico, saranno accompagnati in questo percorso dalle espertissime e illustri “guide” che animano questo Seminario, le difficoltà incontrate nel corso degli anni, le rapide avanzate, le soste, le parentesi critiche, i ripiegamenti e i successivi slanci che hanno accompagnato e punteggiato la storia lunga e complessa della Comunità, prima, e poi, dell’Unione Europea.
Non sarà forse inutile allora rammemorare, sia pure per cenni, il clima in cui venne a collocarsi la storica firma, in Roma, del Trattato istitutivo, il 25 marzo del 1957.
È un dato di fatto incontrovertibile che, nel corso del 1948, simmetricamente all’incalzare della guerra fredda, si determinò la prima ripresa dell’idea europea, concretizzatasi nella riunione all’Aja del “Congresso d’Europa”, promosso da movimenti e personalità che già in passato avevano vagheggiato il progetto di un’unità del Continente.
Ed è altrettanto certo che la Dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950, redatta materialmente da Jean Monnet e costituente 1’archetipo primigenio dell’integrazione europea, intrecciava già molteplici piani e si sforzava di conciliare molteplici esigenze: promuovere un processo di distensione internazionale, inserendo un’Europa organizzata tra i due blocchi contrapposti di un mondo bipolare; operare 1’integrazione occidentale della Germania attraverso la pacificazione franco-tedesca; riorganizzare le industrie di base europee al di fuori di ogni ipotesi di cartellizzazione; creare realisticamente un primo organismo comunitario capace di rappresentare un nucleo organizzativo intorno a cui fare avanzare un più ampio progetto di unificazione.
Le idee monnetiane e l’inziativa diplomatica shumaniana si concretizzarono, poco meno di un anno dopo, nella creazione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA), le cui pionieristiche istituzioni carbo-siderurgiche indicheranno modello e strada per le più organiche iniziative europee di qualche anno più tardi, delle quali un tassello importante avrebbe dovuto essere il Trattato istitutivo della Comunità Europea di Difesa (CED), firmato nel maggio 1952.
Sembrava che la strada fosse ormai aperta per un rapido superamento del gradualismo e del relativo settorialismo della CECA, in vista della realizzazione di una vera e propria Comunità politica dotata di un Parlamento bicamerale, con una Camera eletta a suffragio universale, di un Consiglio esecutivo europeo e di un Consiglio dei Ministri nazionali, come previsto dal progetto approvato nel marzo del 1953.
La stretta interrelazione tra la CED e il progetto di Comunità politica, fece sì, però, che quest’ultima fosse travolta contestualmente alla bocciatura del Trattato CED da parte dell’Assemblea Nazionale francese alla fine dell’agosto 1954: era la dimostrazione di come la strada per un’effettiva integrazione europea fosse ancora estremamente lunga e irta di difficoltà, nonostante i generosi propositi degli Europeisti più convinti. Il celere affievolirsi delle speranze di poter costruire, a breve termine, un modello di comunità politica, rilancerà di fatto l’ipotesi gradualista di Monnet e Schuman, nella acuta consapevolezza che solo in tale ottica si sarebbe potuto avviare un cauto rilancio europeo.
L’iniziativa spetterà questa volta proprio all’Italia e alla volontà di Alcide De Gasperi, ben conscio che anche per tale via si sarebbe potuta enfatizzare la vocazione occidentale di un Paese che appariva ed era ancora largamente lacerato nelle sue componenti politiche interne.
Con atteggiamento di realistica prudenza, la Conferenza di Messina dei Ministri degli Esteri dei Sei, svoltasi agli inizi del giugno 1955 e convocata da Gaetano Martino, si pose il più modesto obiettivo di affidare ad un Comitato intergovernativo di esperti l’incarico di predisporre un progetto per l’integrazione di alcuni settori economici, tra cui i trasporti e l’energia, nonché di esaminare la possibilità della creazione graduale di un Mercato comune.
Il Comitato – la cui presidenza era stata affidata, con intuizione felice, a Paul-Henri Spaak, gia Ministro degli Esteri belga e federalista convinto – giungerà all’elaborazione di un preciso rapporto finale, sottoposto nel maggio dell’anno successivo al vaglio della Conferenza di Venezia dei Ministri degli Esteri, contenente la proposta di creazione di una Comunità Europea dell’Energia Atomica (EURATOM) e di una Comunità Economica Europea (CEE).
Iniziava così la fase di un negoziato formale, che proseguirà a Bruxelles nei mesi successivi, teso ad articolare in precisi strumenti diplomatici le intuizioni di Spaak e i suggerimenti non troppo velati di Monnet, in un quadro internazionale fortemente influenzato dalla dirompente crisi di Suez, che aveva documentato con impietosa chiarezza la situazione di debolezza dell’Europa e reso più attive le diplomazie del vecchio continente.
In vista dell’approdo dei Trattati di Roma, assai meno problematica era risultata la sistemazione della materia relativa all’istituzione dell’EURATOM, mentre di più lunga mole, com’era ovvio, apparirà la questione relativa alla creazione del Mercato Comune Europeo, con obiettivi differiti da realizzarsi attraverso l’applicazione di procedure complesse, volte all’apprestamento degli indispensabili supporti normativi.
In entrambi i Trattati, la dimensione sopranazionale risultava attenuata rispetto alla stessa CECA, con la sparizione di qualsivoglia accenno di sapore federalista e la piena accettazione della cosiddetta “teoria istituzionista”, saldamente ancorata ai presupposti del funzionalismo monnetiano. Tale opzione, com’è a tutti noto, risaltava particolarmente nell’articolazione del Trattato istitutivo della CEE, contrassegnato dalla mera indicazione degli obiettivi finali e di taluni intermedi, senza alcun riferimento ai tempi e ai contenuti legislativi inerenti alla loro realizzazione.
Si trattava sostanzialmente, com’è largamente pacifico in dottrina, di un “Trattato di procedure”, imperniato sull’idea di un protagonismo delle istituzioni comunitarie impegnate nei decenni futuri, in un duro lavoro di “negoziato permanente”, anche se esso prevedeva una compiuta normativa sull’Unione doganale, pur sempre premessa inderogabile all’integrazione economica.
La complessa e imperfetta articolazione delle Istituzioni previste dal Trattato di Roma (Consiglio, Commissione, Assemblea Parlamentare e Corte di Giustizia) e la decisa adozione del gradualismo funzionalista in tema di trasferimenti di sovranità e di armonizzazione legislativa, non inficiano il valore delle scelte allora compiute, che rappresentavano il massimo traguardo possibile e risulteranno feconde per il lento ma inarrestabile processo della costruzione europea, nonostante il passo indietro compiuto sul piano delle aspirazioni federaliste a breve termine.
Di tale processo lungo e complesso tracceranno, da par loro, un profilo compiuto gli illustri relatori di questo nostro Seminario, in-quadrandolo in ambito politico, istituzionale, normativo, giurisdizionale, economico e monetario.
A me premeva richiamare unicamente alcuni episodi di un esordio difficile ed il quadro storico di riferimento, al solo scopo di rammentare che – parafrasando Virgilio – potrebbe dirsi: Tantae molis erat europeam condere gentem.
E per sottolineare, come il Capo dello Stato ha voluto rimarcare, il ruolo che anche in questo processo l’Università, e un’Università come quella di Bari, può avere.
Né potranno sfuggire a tutti i viandanti che oggi, con altissimo rigore scientifico, saranno accompagnati in questo percorso dalle espertissime e illustri “guide” che animano questo Seminario, le difficoltà incontrate nel corso degli anni, le rapide avanzate, le soste, le parentesi critiche, i ripiegamenti e i successivi slanci che hanno accompagnato e punteggiato la storia lunga e complessa della Comunità, prima, e poi, dell’Unione Europea.
Non sarà forse inutile allora rammemorare, sia pure per cenni, il clima in cui venne a collocarsi la storica firma, in Roma, del Trattato istitutivo, il 25 marzo del 1957.
È un dato di fatto incontrovertibile che, nel corso del 1948, simmetricamente all’incalzare della guerra fredda, si determinò la prima ripresa dell’idea europea, concretizzatasi nella riunione all’Aja del “Congresso d’Europa”, promosso da movimenti e personalità che già in passato avevano vagheggiato il progetto di un’unità del Continente.
Ed è altrettanto certo che la Dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950, redatta materialmente da Jean Monnet e costituente 1’archetipo primigenio dell’integrazione europea, intrecciava già molteplici piani e si sforzava di conciliare molteplici esigenze: promuovere un processo di distensione internazionale, inserendo un’Europa organizzata tra i due blocchi contrapposti di un mondo bipolare; operare 1’integrazione occidentale della Germania attraverso la pacificazione franco-tedesca; riorganizzare le industrie di base europee al di fuori di ogni ipotesi di cartellizzazione; creare realisticamente un primo organismo comunitario capace di rappresentare un nucleo organizzativo intorno a cui fare avanzare un più ampio progetto di unificazione.
Le idee monnetiane e l’inziativa diplomatica shumaniana si concretizzarono, poco meno di un anno dopo, nella creazione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA), le cui pionieristiche istituzioni carbo-siderurgiche indicheranno modello e strada per le più organiche iniziative europee di qualche anno più tardi, delle quali un tassello importante avrebbe dovuto essere il Trattato istitutivo della Comunità Europea di Difesa (CED), firmato nel maggio 1952.
Sembrava che la strada fosse ormai aperta per un rapido superamento del gradualismo e del relativo settorialismo della CECA, in vista della realizzazione di una vera e propria Comunità politica dotata di un Parlamento bicamerale, con una Camera eletta a suffragio universale, di un Consiglio esecutivo europeo e di un Consiglio dei Ministri nazionali, come previsto dal progetto approvato nel marzo del 1953.
La stretta interrelazione tra la CED e il progetto di Comunità politica, fece sì, però, che quest’ultima fosse travolta contestualmente alla bocciatura del Trattato CED da parte dell’Assemblea Nazionale francese alla fine dell’agosto 1954: era la dimostrazione di come la strada per un’effettiva integrazione europea fosse ancora estremamente lunga e irta di difficoltà, nonostante i generosi propositi degli Europeisti più convinti. Il celere affievolirsi delle speranze di poter costruire, a breve termine, un modello di comunità politica, rilancerà di fatto l’ipotesi gradualista di Monnet e Schuman, nella acuta consapevolezza che solo in tale ottica si sarebbe potuto avviare un cauto rilancio europeo.
L’iniziativa spetterà questa volta proprio all’Italia e alla volontà di Alcide De Gasperi, ben conscio che anche per tale via si sarebbe potuta enfatizzare la vocazione occidentale di un Paese che appariva ed era ancora largamente lacerato nelle sue componenti politiche interne.
Con atteggiamento di realistica prudenza, la Conferenza di Messina dei Ministri degli Esteri dei Sei, svoltasi agli inizi del giugno 1955 e convocata da Gaetano Martino, si pose il più modesto obiettivo di affidare ad un Comitato intergovernativo di esperti l’incarico di predisporre un progetto per l’integrazione di alcuni settori economici, tra cui i trasporti e l’energia, nonché di esaminare la possibilità della creazione graduale di un Mercato comune.
Il Comitato – la cui presidenza era stata affidata, con intuizione felice, a Paul-Henri Spaak, gia Ministro degli Esteri belga e federalista convinto – giungerà all’elaborazione di un preciso rapporto finale, sottoposto nel maggio dell’anno successivo al vaglio della Conferenza di Venezia dei Ministri degli Esteri, contenente la proposta di creazione di una Comunità Europea dell’Energia Atomica (EURATOM) e di una Comunità Economica Europea (CEE).
Iniziava così la fase di un negoziato formale, che proseguirà a Bruxelles nei mesi successivi, teso ad articolare in precisi strumenti diplomatici le intuizioni di Spaak e i suggerimenti non troppo velati di Monnet, in un quadro internazionale fortemente influenzato dalla dirompente crisi di Suez, che aveva documentato con impietosa chiarezza la situazione di debolezza dell’Europa e reso più attive le diplomazie del vecchio continente.
In vista dell’approdo dei Trattati di Roma, assai meno problematica era risultata la sistemazione della materia relativa all’istituzione dell’EURATOM, mentre di più lunga mole, com’era ovvio, apparirà la questione relativa alla creazione del Mercato Comune Europeo, con obiettivi differiti da realizzarsi attraverso l’applicazione di procedure complesse, volte all’apprestamento degli indispensabili supporti normativi.
In entrambi i Trattati, la dimensione sopranazionale risultava attenuata rispetto alla stessa CECA, con la sparizione di qualsivoglia accenno di sapore federalista e la piena accettazione della cosiddetta “teoria istituzionista”, saldamente ancorata ai presupposti del funzionalismo monnetiano. Tale opzione, com’è a tutti noto, risaltava particolarmente nell’articolazione del Trattato istitutivo della CEE, contrassegnato dalla mera indicazione degli obiettivi finali e di taluni intermedi, senza alcun riferimento ai tempi e ai contenuti legislativi inerenti alla loro realizzazione.
Si trattava sostanzialmente, com’è largamente pacifico in dottrina, di un “Trattato di procedure”, imperniato sull’idea di un protagonismo delle istituzioni comunitarie impegnate nei decenni futuri, in un duro lavoro di “negoziato permanente”, anche se esso prevedeva una compiuta normativa sull’Unione doganale, pur sempre premessa inderogabile all’integrazione economica.
La complessa e imperfetta articolazione delle Istituzioni previste dal Trattato di Roma (Consiglio, Commissione, Assemblea Parlamentare e Corte di Giustizia) e la decisa adozione del gradualismo funzionalista in tema di trasferimenti di sovranità e di armonizzazione legislativa, non inficiano il valore delle scelte allora compiute, che rappresentavano il massimo traguardo possibile e risulteranno feconde per il lento ma inarrestabile processo della costruzione europea, nonostante il passo indietro compiuto sul piano delle aspirazioni federaliste a breve termine.
Di tale processo lungo e complesso tracceranno, da par loro, un profilo compiuto gli illustri relatori di questo nostro Seminario, in-quadrandolo in ambito politico, istituzionale, normativo, giurisdizionale, economico e monetario.
A me premeva richiamare unicamente alcuni episodi di un esordio difficile ed il quadro storico di riferimento, al solo scopo di rammentare che – parafrasando Virgilio – potrebbe dirsi: Tantae molis erat europeam condere gentem.
E per sottolineare, come il Capo dello Stato ha voluto rimarcare, il ruolo che anche in questo processo l’Università, e un’Università come quella di Bari, può avere.