APPROVATE LE DIRETTIVE UNIFICATE - IL CODICE UNICO SUGLI APPALTI PER SEMPLIFICARE LA LEGISLAZIONE EUROPEA
Archivio > Anno 2004 > Marzo 2004
di Donatella DEL VESCOVO
La
crisi del cosiddetto “stato sociale” ha indotto la pubblica
amministrazione, in Italia come negli altri Paesi dell’Unione, a
ricercare nuove modalità di gestione dei servizi pubblici e di
realizzazione delle opere pubbliche. Gli stessi processi di
“privatizzazione” e di “liberalizzazione” indotti hanno reso ancora più
evidente l’esigenza di ricercare forme di appalti più adeguate alle
nuove esigenze, ed innovative rispetto a quelle tradizionali.
Tale contesto, in ambito europeo, è stato analizzato in modo puntuale ed approfondito con una specifica ricerca che fu pubblicata con il noto LIBRO VERDE del 1997 presentato agli Stati membri dal Commissario Mario Monti. Proprio in questo documento fondamentale si mettevano in evidenza le distorsioni normative ed operative connesse con le presunte innovazioni degli appalti. La critica, come è noto, era rivolta a tutti gli Stati membri e derivava dall’accertamento di prassi e norme che, nella differenziazione degli ambiti delle procedure e delle norme di recepimento per le diverse tipologie degli oggetti contrattuali come per la complessità dell’oggetto misto della prestazione, veniva piegata alle situazioni più convenienti a scapito della concorrenza e della efficacia dell’investimento pubblico.
Con questi presupposti e dopo sette anni di lavoro, l’Unione Europea ha adottato il 29 gennaio due nuove direttive sugli appalti volte a semplificare e ad aggiornare la legislazione europea esistente e contribuire alla creazione di un autentico Mercato Unico, le cosiddette direttive unificate.
La prima, nota come direttiva generale riguarda il coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture, servizi e lavori. Essa chiarisce le tre direttive in vigore e cioè la 93/36/Cee, la 92/50/Cee e la 93/37/Cee, fondendole in un unico testo. La seconda, nota come direttiva settoriale, riguarda il coordinamento degli appalti pubblici delle forniture d’acqua, energia, trasporti e servizi postali, introducendo questi ultimi a pieno titolo tra i settori speciali.
Scopo dell’Unione Europea è quello di unificare in una sorta di codice unico discipline settoriali diverse.
Si tratta quindi innanzitutto di un opera legislativa di unificazione e razionalizzazione che consentirà a tutti gli operatori del settore di muoversi più agevolmente all’interno delle procedure di affidamento di questi contratti, potendo contare su un unico corpus che raccoglie discipline che hanno per oggetto un mercato stimato, in Europa pari a 1.429 miliardi di euro, pari a circa il 16% del Pil di tutta l’Unione Europea. A questo si dovrà aggiungere il valore degli appalti dei dieci Paesi che a partire da maggio entreranno a far parte dell’Unione.
Le ragioni di questo riassetto della normativa comunitaria risiedono nella constatazione, da un lato, che questo settore rappresenta potenzialmente, un importante volano per l’aumento dell’occupazione e della produttività delle aziende coinvolte, nonché per il miglioramento della qualità dei servizi pubblici; dall’altro però la Commissione europea ha anche accertato che risulta ancora pesantemente limitata l’apertura di questo settore, non sufficientemente competitivo e quindi non ancora tale da creare un vero e proprio Mercato Unico degli appalti.
Le direttive unificate dovranno essere recepite (entro 21 mesi dalla loro applicazione) da ogni singolo Stato membro, il che comporterà, per esempio, che in Italia nel settore dei servizi, dovrà a sua volta essere modificato o riscritto il dlgs 157/95 che recepì la direttiva servizi 92/50/Cee.
Le novità non sono poche, ma soprattutto, le direttive definiscono finalmente in termini più efficaci l’approccio “industriale” all’appalto pubblico che da anni l’Unione Europea cerca di proporre agli Stati membri. Le direttive infatti si propongono di introdurre non solo norme armonizzate, finalizzate a favorire la libera competizione e garantire pari opportunità agli operatori economici, ma tendono anche a stimolare le potenzialità che la pubblica amministrazione può mettere in atto con l’appalto pubblico.
In termini espliciti infatti la Commissione europea ha sottolineato che “……gli acquisti pubblici possono costituire un significativo strumento dell’azione degli operatori economici e dunque uno straordinario strumento di politica industriale”; è infatti in quest’ottica che vanno valutate, ad esempio, la introduzione di procedure, più complesse rispetto a quelle classiche, quali il contratto quadro ed il dialogo competitivo. Entrambi costituiscono novità assolute per la normativa comunitaria in materia di appalti accanto all’introduzione delle aste elettroniche.
Il contratto quadro è un contratto di durata pluriennale, massima di quattro anni, che consente con una procedura semplificata di scegliere l’appaltatore.
Il dialogo competitivo invece, è una procedura di aggiudicazione che può essere utilizzata soltanto per appalti complessi, cioè per un appalto di cui l’amministrazione non è in grado di definire i mezzi tecnici per la sua esecuzione o non sa impostare giuridicamente o finanziariamente il progetto. Si svolge con una serie di fasi di approfondimento successive che vanno avanti fino a quando l’amministrazione non ha individuato la soluzione che soddisfa maggiormente le proprie necessità; a quel punto scatta la fase di verifica delle offerte.
Con le aste elettroniche si attua un processo per fasi successive che riguarda il confronto di offerte economiche successivamente modificate al ribasso e che vengono inviate mediante un sistema elettronico. Si fa strada così la possibilità di indire e aggiudicare le aste tramite internet, anche se la firma elettronica diventerà requisito indispensabile solo negli Stati che sono già attrezzati a utilizzarla. Gli enti appaltatori avranno anche la possibilità di inserire requisiti sociali e ambientali nei criteri di aggiudicazione, ma dovranno farlo in modo esplicito, dichiarandolo a priori nel bando.
Ancora fra le principali novità del testo unificato c’è l’innalzamento delle soglie di applicazione della normativa europea, vale a dire dell’importo limite al di sopra del quale un appalto deve essere soggetto alla regolamentazione comunitaria. Aumento giustificato dall’esigenza di attirare nella competizione le imprese non nazionali; i limiti attualmente in vigore, infatti, non consentono di intensificare le operazioni transfrontaliere.
Rispetto ai valori resi noti nei giorni scorsi dal Ministero dell’Economia e validi fino al 31 dicembre 2005 le variazioni sono le seguenti: per i servizi si passerà da 236.945 euro a 249.000 euro, per i lavori da 5.923.624 euro a 6.242.000 euro, per le forniture da 154.014 euro a 162.000 euro.
Cambia poi la definizione di appaltatore che, per uniformità, viene qualificato come “operatore economico”, nozione che quindi sostituisce quella di appaltatore di lavori, di forniture , e di prestatore di servizi.
Ulteriori norme mirano a riorganizzare i requisiti finanziari, economici e personali, nonché le capacità professionali degli appaltanti. Le persone che nei cinque anni precedenti la procedura di selezione sono state condannate per reati come racket, riciclaggio di denaro, truffa e traffico di stupefacenti non devono essere ammesse alla gara d’appalto. Un analogo divieto dovrebbe valere per gli imprenditori che sono stati dichiarati falliti, per quelli che non hanno rispettato la legislazione del lavoro, per quelli che hanno sospeso l’attività o i cui beni siano stati amministrati da un tribunale. Infine è previsto che le autorità appaltatrici siano obbligate a rispettare i principi fondamentali del Trattato, in particolare quello sulla non discriminazione fondata sulla nazionalità.
Le due nuove direttive quindi permetteranno di avere migliori servizi, una competizione più limpida e minori oneri per lo Stato ed enti locali, oltre a stabilire regole adeguate ai tempi e al prossimo allargamento dell’Europa. Fissano principi ineludibili che non vanno interpretati, ma applicati, togliendo questa materia dalle aule dei tribunali per lasciarla alle sale delle pubbliche amministrazioni.
A seguito della modifica del titolo V della Costituzione, le direttive unificate dovranno essere recepite oltre che dallo Stato anche dalle regioni, ma dato che l’Italia è una delle ultime in classifica in quanto recepimento di direttive, c’è da sperare che le regioni non seguano l’esempio dello Stato e colgano l’occasione loro offerta di affermare in modo efficace e tempestivo la potestà legislativa esclusiva in materia di appalti pubblici a loro attribuita in modo esclusivo dalla nuova Costituzione.
Tale contesto, in ambito europeo, è stato analizzato in modo puntuale ed approfondito con una specifica ricerca che fu pubblicata con il noto LIBRO VERDE del 1997 presentato agli Stati membri dal Commissario Mario Monti. Proprio in questo documento fondamentale si mettevano in evidenza le distorsioni normative ed operative connesse con le presunte innovazioni degli appalti. La critica, come è noto, era rivolta a tutti gli Stati membri e derivava dall’accertamento di prassi e norme che, nella differenziazione degli ambiti delle procedure e delle norme di recepimento per le diverse tipologie degli oggetti contrattuali come per la complessità dell’oggetto misto della prestazione, veniva piegata alle situazioni più convenienti a scapito della concorrenza e della efficacia dell’investimento pubblico.
Con questi presupposti e dopo sette anni di lavoro, l’Unione Europea ha adottato il 29 gennaio due nuove direttive sugli appalti volte a semplificare e ad aggiornare la legislazione europea esistente e contribuire alla creazione di un autentico Mercato Unico, le cosiddette direttive unificate.
La prima, nota come direttiva generale riguarda il coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture, servizi e lavori. Essa chiarisce le tre direttive in vigore e cioè la 93/36/Cee, la 92/50/Cee e la 93/37/Cee, fondendole in un unico testo. La seconda, nota come direttiva settoriale, riguarda il coordinamento degli appalti pubblici delle forniture d’acqua, energia, trasporti e servizi postali, introducendo questi ultimi a pieno titolo tra i settori speciali.
Scopo dell’Unione Europea è quello di unificare in una sorta di codice unico discipline settoriali diverse.
Si tratta quindi innanzitutto di un opera legislativa di unificazione e razionalizzazione che consentirà a tutti gli operatori del settore di muoversi più agevolmente all’interno delle procedure di affidamento di questi contratti, potendo contare su un unico corpus che raccoglie discipline che hanno per oggetto un mercato stimato, in Europa pari a 1.429 miliardi di euro, pari a circa il 16% del Pil di tutta l’Unione Europea. A questo si dovrà aggiungere il valore degli appalti dei dieci Paesi che a partire da maggio entreranno a far parte dell’Unione.
Le ragioni di questo riassetto della normativa comunitaria risiedono nella constatazione, da un lato, che questo settore rappresenta potenzialmente, un importante volano per l’aumento dell’occupazione e della produttività delle aziende coinvolte, nonché per il miglioramento della qualità dei servizi pubblici; dall’altro però la Commissione europea ha anche accertato che risulta ancora pesantemente limitata l’apertura di questo settore, non sufficientemente competitivo e quindi non ancora tale da creare un vero e proprio Mercato Unico degli appalti.
Le direttive unificate dovranno essere recepite (entro 21 mesi dalla loro applicazione) da ogni singolo Stato membro, il che comporterà, per esempio, che in Italia nel settore dei servizi, dovrà a sua volta essere modificato o riscritto il dlgs 157/95 che recepì la direttiva servizi 92/50/Cee.
Le novità non sono poche, ma soprattutto, le direttive definiscono finalmente in termini più efficaci l’approccio “industriale” all’appalto pubblico che da anni l’Unione Europea cerca di proporre agli Stati membri. Le direttive infatti si propongono di introdurre non solo norme armonizzate, finalizzate a favorire la libera competizione e garantire pari opportunità agli operatori economici, ma tendono anche a stimolare le potenzialità che la pubblica amministrazione può mettere in atto con l’appalto pubblico.
In termini espliciti infatti la Commissione europea ha sottolineato che “……gli acquisti pubblici possono costituire un significativo strumento dell’azione degli operatori economici e dunque uno straordinario strumento di politica industriale”; è infatti in quest’ottica che vanno valutate, ad esempio, la introduzione di procedure, più complesse rispetto a quelle classiche, quali il contratto quadro ed il dialogo competitivo. Entrambi costituiscono novità assolute per la normativa comunitaria in materia di appalti accanto all’introduzione delle aste elettroniche.
Il contratto quadro è un contratto di durata pluriennale, massima di quattro anni, che consente con una procedura semplificata di scegliere l’appaltatore.
Il dialogo competitivo invece, è una procedura di aggiudicazione che può essere utilizzata soltanto per appalti complessi, cioè per un appalto di cui l’amministrazione non è in grado di definire i mezzi tecnici per la sua esecuzione o non sa impostare giuridicamente o finanziariamente il progetto. Si svolge con una serie di fasi di approfondimento successive che vanno avanti fino a quando l’amministrazione non ha individuato la soluzione che soddisfa maggiormente le proprie necessità; a quel punto scatta la fase di verifica delle offerte.
Con le aste elettroniche si attua un processo per fasi successive che riguarda il confronto di offerte economiche successivamente modificate al ribasso e che vengono inviate mediante un sistema elettronico. Si fa strada così la possibilità di indire e aggiudicare le aste tramite internet, anche se la firma elettronica diventerà requisito indispensabile solo negli Stati che sono già attrezzati a utilizzarla. Gli enti appaltatori avranno anche la possibilità di inserire requisiti sociali e ambientali nei criteri di aggiudicazione, ma dovranno farlo in modo esplicito, dichiarandolo a priori nel bando.
Ancora fra le principali novità del testo unificato c’è l’innalzamento delle soglie di applicazione della normativa europea, vale a dire dell’importo limite al di sopra del quale un appalto deve essere soggetto alla regolamentazione comunitaria. Aumento giustificato dall’esigenza di attirare nella competizione le imprese non nazionali; i limiti attualmente in vigore, infatti, non consentono di intensificare le operazioni transfrontaliere.
Rispetto ai valori resi noti nei giorni scorsi dal Ministero dell’Economia e validi fino al 31 dicembre 2005 le variazioni sono le seguenti: per i servizi si passerà da 236.945 euro a 249.000 euro, per i lavori da 5.923.624 euro a 6.242.000 euro, per le forniture da 154.014 euro a 162.000 euro.
Cambia poi la definizione di appaltatore che, per uniformità, viene qualificato come “operatore economico”, nozione che quindi sostituisce quella di appaltatore di lavori, di forniture , e di prestatore di servizi.
Ulteriori norme mirano a riorganizzare i requisiti finanziari, economici e personali, nonché le capacità professionali degli appaltanti. Le persone che nei cinque anni precedenti la procedura di selezione sono state condannate per reati come racket, riciclaggio di denaro, truffa e traffico di stupefacenti non devono essere ammesse alla gara d’appalto. Un analogo divieto dovrebbe valere per gli imprenditori che sono stati dichiarati falliti, per quelli che non hanno rispettato la legislazione del lavoro, per quelli che hanno sospeso l’attività o i cui beni siano stati amministrati da un tribunale. Infine è previsto che le autorità appaltatrici siano obbligate a rispettare i principi fondamentali del Trattato, in particolare quello sulla non discriminazione fondata sulla nazionalità.
Le due nuove direttive quindi permetteranno di avere migliori servizi, una competizione più limpida e minori oneri per lo Stato ed enti locali, oltre a stabilire regole adeguate ai tempi e al prossimo allargamento dell’Europa. Fissano principi ineludibili che non vanno interpretati, ma applicati, togliendo questa materia dalle aule dei tribunali per lasciarla alle sale delle pubbliche amministrazioni.
A seguito della modifica del titolo V della Costituzione, le direttive unificate dovranno essere recepite oltre che dallo Stato anche dalle regioni, ma dato che l’Italia è una delle ultime in classifica in quanto recepimento di direttive, c’è da sperare che le regioni non seguano l’esempio dello Stato e colgano l’occasione loro offerta di affermare in modo efficace e tempestivo la potestà legislativa esclusiva in materia di appalti pubblici a loro attribuita in modo esclusivo dalla nuova Costituzione.