L'EVOLUZIONE DEMOCRATICA DELL'UNIONE NELLA COSTITUZIONE EUROPEA
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1.
Il risultato negativo del referendum francese del 29 maggio e di quello
olandese del 1° giugno 2005 sulla “Costituzione europea”, oltre a
frenare bruscamente il processo di progressive autorizzazioni alle
ratifiche che i parlamenti nazionali avevano sin qui deliberato (in
Italia con legge 7 aprile 2005 n. 57), impone una seria riflessione,
priva di pregiudizi e di retorica, sulle ragioni di tali risultati e sui
modi per affrontare la crisi che essi inevitabilmente aprono. Ma le
“bocciature” francese ed olandese spingono anche ad approfondire i
caratteri e i contenuti più qualificanti del Trattato che adotta una
Costituzione per l’Europa, per chiedersi se – come a noi pare – valga
tuttora la pena di insistere per la sua approvazione. A questo fine
un’angolatura privilegiata ci sembra quella diretta a verificare il
grado di avanzamento che la Costituzione europea segna nel processo di
affermazione dei principi democratici; nello sviluppo, cioè, di quei
fondamentali valori europei, condivisi dagli Stati membri, nei quali può
riconoscersi il patrimonio forse più ricco e significativo della
storia, delle ideologie, della civiltà dell’Europa.
Sotto questo profilo la Costituzione europea, pur senza rivoluzionare il preesistente quadro dell’Unione, compie – a nostro avviso – una svolta forse senza precedenti. È proprio alla luce dei progressi realizzati in materia di democrazia che la stessa denominazione di “Costituzione”, sebbene imprecisa, sotto il profilo giuridico-formale, e persino suscettibile di fraintendimenti e di eccessivi entusiasmi europeistici (come, al contrario, di infondate preoccupazioni nazionalistiche), può risultare giustificata in ragione dei valori sostanziali che essa esprime.
2. In merito alla natura giuridica del Trattato di Roma del 29 ottobre 2004 non sembra dubbio, invero, che esso costituisca un accordo internazionale. Ciò si desume anzitutto dalla previsione (art. IV-447) secondo la quale la sua entrata in vigore è subordinata alle ratifiche delle Parti contraenti conformemente alle rispettive norme costituzionali; con la conseguenza che, in mancanza di ratifiche di tutti gli attuali 25 Stati membri, sembrerebbe che il Trattato non possa entrare in vigore per nessuno, salvo possibili differenti soluzioni (per esempio, l’entrata in vigore per un certo numero di Stati ratificanti), peraltro non espressamente contemplate (in proposito la Dichiarazione n. 30, allegata al Trattato, si limita a prevedere che, se al termine di un periodo di due anni a decorrere dalla firma del Trattato, i quattro quinti degli Stati membri lo hanno ratificato e uno o più Stati membri hanno incontrato difficoltà nelle procedure di ratifica, la questione è deferita al Consiglio europeo).
Ma la natura di accordo internazionale è ancor più chiaramente confermata dalle disposizioni del Trattato relative alla sua revisione, anch’essa subordinata all’unanime consenso degli Stati parti, espresso in conformità delle proprie norme costituzionali concernenti l’assunzione di obblighi internazionali. Non solo l’entrata in vigore, quindi, ma anche gli sviluppi futuri del Trattato sono legati ad una logica e ad un metodo tipicamente pattizi, subordinati all’unanime volontà degli Stati membri.
Il carattere convenzionale del Trattato in questione appare ribadito, infine, dall’esplicita previsione di un diritto di recesso unilaterale dall’Unione (art. I-60); con la conseguenza che, a seguito dell’entrata in vigore di un accordo fra lo Stato che intende recedere e l’Unione sulle modalità di recesso o, in mancanza di tale accordo, due anni dopo la notifica dell’intenzione di recedere, la Costituzione cessa di essere applicabile allo Stato in questione. Tale possibilità non sembra compatibile, invece, con qualsiasi configurazione dello stesso Trattato quale “Costituzione” di un’entità federale o di una sorta di super “Stato”.
3. Se, dunque, l’atto in esame deve considerarsi formalmente un accordo internazionale, il quale crea vincoli giuridici, norme, strutture, competenze, poteri solo sulla base della concorde volontà degli Stati che vi partecipano – e non può vedersi in alcun modo quale espressione di un ipotetico potere costituente della stessa Unione europea – esso, tuttavia, come si è accennato, presenta nei suoi contenuti caratteri peculiari, che lo distinguono profondamente dai consueti accordi internazionali, anche da quelli istitutivi di organizzazioni internazionali.
Per vero, l’originalità del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa emerge già dal procedimento attraverso il quale ha visto la luce. Se i rappresentanti dei governi hanno avuto la parola definitiva – raggiungendo, nella Conferenza intergovernativa, gli inevitabili compromessi su questioni politicamente sensibili, come il meccanismo decisionale nel Consiglio dei ministri – non deve dimenticarsi che la struttura portante del testo e la maggior parte degli articoli sono il frutto del dibattito e del confronto svoltosi nell’ambito della “Convenzione”, presieduta da Giscard d’Estaing; e questa era composta da rappresentanti non solo dei governi, ma della Commissione, del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali. Ciò ha determinato una riforma partecipativa e trasparente che, nella sostanza, attribuisce a tale Trattato una legittimazione democratica unica.
Quanto ai contenuti, esso non solo afferma, quali valori dell’Unione, la dignità umana, la libertà, la democrazia, l’uguaglianza, lo stato di diritto e il rispetto dei diritti umani, in una società fondata sul pluralismo, sulla non discriminazione, sulla tolleranza, sulla giustizia, sulla solidarietà e sulla parità tra donne e uomini (art. I-2), ma, più specificamente, dispone che il funzionamento dell’Unione europea si fonda sul principio della democrazia rappresentativa (art. I-46). Tale principio, nel quadro dell’Unione europea, implica una duplice rappresentanza dei cittadini: una rappresentanza diretta nel Parlamento europeo, che può dirsi espressione dell’intero popolo europeo; ed una rappresentanza indiretta, mediante i loro governi, presenti nel Consiglio dei ministri e, a loro volta, responsabili dinanzi ai parlamenti nazionali. Questo duplice fondamento democratico dell’Unione europea comporta, sul piano dell’adozione degli atti normativi dell’Unione, l’impiego di un procedimento, detto di codecisione, in base al quale, partendo da una formale proposta della Commissione, l’atto è approvato solo se il Parlamento europeo e il Consiglio dei ministri raggiungono un pieno accordo sul medesimo testo.
Com’è noto, originariamente i Trattati istitutivi delle Comunità europee non attribuivano poteri siffatti al Parlamento europeo, il quale partecipava all’adozione degli atti comunitari solo con l’emanazione di un parere, di regola obbligatorio, ma non vincolante. Tale situazione era stata giustamente denunciata come implicante un deficit democratico; e solo con le successive modifiche dei Trattati, in particolare con il Trattato di Maastricht del 1992, era stato istituito un procedimento di codecisione, peraltro non di applicazione generalizzata. Inoltre nel diritto dell’Unione europea non ha trovato sinora riconoscimento la figura della “legge”, come tale distinguibile da atti regolamentari, o di esecuzione, o comunque di natura sostanzialmente amministrativa. Una certa confusione del quadro delle fonti di diritto comunitario derivato non ha giovato all’emergere della materia, quella propriamente legislativa, nella quale il rispetto dei principi di democrazia richiede l’ineludibile (anche se non esclusivo) potere decisionale del Parlamento europeo, quale istituzione rappresentativa dei cittadini.
Con la Costituzione europea, invece, si delineano nettamente le figure della legge europea e della legge quadro europea, in contrapposizione agli atti (regolamenti e decisioni) non legislativi; e si prescrive (sia pure con qualche non secondaria eccezione) che la procedura legislativa ordinaria consiste nell’adozione congiunta da parte del Parlamento europeo e del Consiglio dei ministri (art. I-34). Il Parlamento europeo, che acquista così un potere legislativo generale (benché condiviso con il Consiglio dei ministri), beneficia anche di un sia pur tenue avanzamento nel potere di stimolare l’iniziativa legislativa della Commissione (che ne resta la titolare). Ai sensi dell’art. III-332, infatti, se la Commissione non presenta una proposta, sebbene sollecitata a farlo dal Parlamento europeo, deve quanto meno motivare la sua decisione allo stesso Parlamento.
4. Al di là della funzione legislativa, il Parlamento europeo vede rafforzato il suo rapporto di fiducia politica con la Commissione. L’individuazione del Presidente di quest’ultima, da parte del Consiglio europeo, va fatta, invero, tenendo conto delle elezioni del Parlamento europeo (art. I-27, par. 1); ciò sembra implicare che tale Presidente sia espressione della maggioranza del Parlamento, quale manifestata dai risultati elettorali, e per ciò stesso più legato all’orientamento politico prevalente dello stesso Parlamento.
Anche nei confronti del Consiglio europeo, finora posto al di fuori e al di sopra, politicamente, del quadro istituzionale europeo, il Parlamento acquista un potere di controllo sia pur blando. L’art. III-337, par. 1, prevede, infatti, che tale Consiglio (come il Consiglio dei ministri) è ascoltato dal Parlamento europeo, peraltro secondo le modalità stabilite dal regolamento interno dello stesso Consiglio.
5. La Costituzione europea, nell’ottica di quel secondo fondamento democratico dell’Unione, offerto dalla rappresentanza indiretta dei popoli tramite i loro governi, responsabili verso i parlamenti nazionali, determina un rafforzamento del ruolo anche di tali parlamenti.
In proposito il Protocollo n. 1 (sul ruolo dei parlamenti nazionali nell’Unione europea) prescrive anzitutto un’ampia informazione dei parlamenti nazionali da parte della Commissione, la quale invia loro, all’atto della pubblicazione, i documenti di consultazione redatti dalla stessa Commissione (libri verdi, libri bianchi e comunicazioni), nonché il programma legislativo annuale e gli altri strumenti di programmazione legislativa o di strategia politica. Inoltre è trasmesso ai parlamenti nazionali ogni progetto di atto legislativo europeo. Al fine, evidentemente, di consentire agli stessi parlamenti nazionali di assumere iniziative in merito ai progetti di atti legislativi, questi, di regola, non possono essere iscritti all’ordine del giorno del Consiglio dei ministri prima di sei settimane dalla loro messa a disposizione dei parlamenti nazionali.
È istituita, infine, una cooperazione interparlamentare tra il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali. Una conferenza degli organi parlamentari specializzati per gli affari dell’Unione può sottoporre, inoltre, i contributi che ritiene utili all’attenzione del Parlamento, del Consiglio dei ministri e della Commissione.
Poteri più incisivi sono attribuiti ai parlamenti nazionali dal Protocollo n. 2 sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità. Anzitutto i progetti di atti legislativi europei, trasmessi ai parlamenti nazionali, devono essere motivati dettagliatamente e in maniera circostanziata con riguardo ai suddetti principi. Inoltre ciascun parlamento nazionale, o ciascuna sua camera, entro sei settimane dalla trasmissione di un progetto di atto legislativo può inviare al Parlamento europeo, al Consiglio e alla Commissione un parere motivato sulla non conformità del progetto al principio di sussidiarietà (dopo avere consultato in proposito i parlamenti regionali con poteri legislativi). L’istituzione dal quale proviene il progetto tiene conto di tali pareri motivati.
Qualora i pareri sulla violazione del principio di sussidiarietà esprimano la volontà di una certa maggioranza dei parlamenti (o camere) nazionali, il progetto deve essere obbligatoriamente riesaminato e, pur potendo la Commissione (o l’eventuale diverso proponente dell’atto) discostarsi da tali pareri, essa è tenuta a motivare la sua decisione.
Gli specifici poteri di vigilanza sul rispetto del principio di sussidiarietà trovano conferma nella disposizione (art. 8 del Protocollo n. 2) in base alla quale ogni Stato può impugnare dinanzi alla Corte di giustizia un atto per violazione del principio di sussidiarietà anche a nome del suo parlamento nazionale in conformità, peraltro, con il proprio ordinamento giuridico.
L’attribuzione ai parlamenti nazionali di più ampi poteri a tutela del principio di sussidiarietà appare anch’essa indice di un avanzamento dei principi di democrazia; e ciò non solo per l’ovvio carattere democratico inerente ai suddetti parlamenti, ma ancor più perché la stessa sussidiarietà è espressione di un principio democratico, cioè dell’esigenza – sottesa alla sussidiarietà – che le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cittadini (art. I-46, par. 3).
6. Nella Costituzione europea trova riconoscimento anche il principio della democrazia partecipativa, volta a consentire alla “società civile” di esprimere le proprie vedute e le proprie istanze nella costruzione europea.
Più precisamente, l’art. I-47 dichiara che le istituzioni europee danno ai cittadini e alle associazioni rappresentative, attraverso gli opportuni canali, la possibilità di fare conoscere e di scambiarsi pubblicamente le loro opinioni in tutti i settori di azione dell’Unione. Tali istituzioni mantengono un dialogo aperto, trasparente e regolare con le associazioni rappresentative e la società civile; la Commissione, in particolare, al fine di assicurare la coerenza e la trasparenza delle azioni dell’Unione, procede ad ampie consultazioni delle parti interessate.
In termini più concreti lo stesso art. I-47, par. 4, prevede inoltre un potere di iniziativa legislativa popolare. Cittadini dell’Unione, in numero di almeno un milione, che abbiano la cittadinanza di un numero significativo di Stati membri, possono prendere l’iniziativa di invitare la Commissione, nell’ambito delle sue attribuzioni, a presentare una proposta appropriata su materie in merito alle quali tali cittadini ritengono necessario un atto giuridico dell’Unione ai fini dell’attuazione della Costituzione. La disciplina di tale potere di iniziativa è demandata a una futura legge europea, la quale dovrà determinare le disposizioni relative alle procedure e alle condizioni necessarie per la presentazione dell’iniziativa, incluso il numero minimo di Stati membri dai quali i cittadini proponenti devono provenire.
7. Dall’esame della Costituzione europea emerge anche un rafforzamento del ruolo degli enti regionali e locali, Si tratta, è vero, di un progresso alquanto modesto, ma ciò può forse imputarsi – almeno in parte – alle profonde differenze esistenti tra i vari Stati membri nell’assetto delle autonomie locali e nella conseguente difficoltà di predisporre al riguardo norme europee adattabili alle diverse esperienze nazionali.
In proposito è significativo che l’art. I-5, par. 1, nell’affermare il dovere dell’Unione di rispettare l’identità nazionale degli Stati membri, insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale, ricomprenda espressamente in tale struttura il sistema delle autonomie locali e regionali.
Anche nel quadro del principio di sussidiarietà si rileva che esso non limita più l’intervento dell’Unione nei soli rapporti con gli Stati membri, ma tende a salvaguardare la competenza regionale e locale nella realizzazione degli obiettivi previsti. L’art. I-11, par. 3, stabilisce che, nelle materie che non sono di sua competenza esclusiva, l’Unione interviene solo qualora tali obiettivi non possono essere raggiunti dagli Stati membri, né a livello statale, né a livello regionale e locale. E il riferimento regionale e locale, in materia di sussidiarietà, torna nel citato Protocollo n. 2, il quale dispone che la Commissione, prima di proporre un atto legislativo europeo, effettua ampie consultazioni che tengono conto, se del caso, della dimensione regionale e locale delle azioni previste. Lo stesso Protocollo dichiara, inoltre, che spetta a ciascun parlamento nazionale, o a ciascuna camera dei parlamenti nazionali, consultare all’occorrenza i parlamenti regionali con poteri legislativi.
Il ruolo delle regioni risulta in qualche misura rafforzato anche per l’attribuzione al Comitato delle regioni della legittimazione ad impugnare gli atti dell’Unione, benché soltanto per salvaguardare le proprie prerogative (art. III-365, par. 3), nonché per violazioni del principio di sussidiarietà, ma limitatamente agli atti legislativi europei per l’adozione dei quali la Costituzione richiede la sua consultazione (art. 8 del Protocollo n. 2).
La tendenza a valorizzare le regioni e le autonomie locali – anche esse espressione di principi di democrazia – conferma il quadro generale, risultante dalla Costituzione europea, di un avanzamento complessivo dell’Unione nella democratizzazione. Malgrado alcune delusioni e resistenze, ci sembra, in definitiva, che la Costituzione compia un passo deciso nella giusta direzione e che riesca a colmare in misura apprezzabile (pur se non completa) l’originario deficit democratico, causa principale di quella distanza, di quella estraneità, della costruzione europea sovente avvertita dai suoi cittadini.
Sotto questo profilo la Costituzione europea, pur senza rivoluzionare il preesistente quadro dell’Unione, compie – a nostro avviso – una svolta forse senza precedenti. È proprio alla luce dei progressi realizzati in materia di democrazia che la stessa denominazione di “Costituzione”, sebbene imprecisa, sotto il profilo giuridico-formale, e persino suscettibile di fraintendimenti e di eccessivi entusiasmi europeistici (come, al contrario, di infondate preoccupazioni nazionalistiche), può risultare giustificata in ragione dei valori sostanziali che essa esprime.
2. In merito alla natura giuridica del Trattato di Roma del 29 ottobre 2004 non sembra dubbio, invero, che esso costituisca un accordo internazionale. Ciò si desume anzitutto dalla previsione (art. IV-447) secondo la quale la sua entrata in vigore è subordinata alle ratifiche delle Parti contraenti conformemente alle rispettive norme costituzionali; con la conseguenza che, in mancanza di ratifiche di tutti gli attuali 25 Stati membri, sembrerebbe che il Trattato non possa entrare in vigore per nessuno, salvo possibili differenti soluzioni (per esempio, l’entrata in vigore per un certo numero di Stati ratificanti), peraltro non espressamente contemplate (in proposito la Dichiarazione n. 30, allegata al Trattato, si limita a prevedere che, se al termine di un periodo di due anni a decorrere dalla firma del Trattato, i quattro quinti degli Stati membri lo hanno ratificato e uno o più Stati membri hanno incontrato difficoltà nelle procedure di ratifica, la questione è deferita al Consiglio europeo).
Ma la natura di accordo internazionale è ancor più chiaramente confermata dalle disposizioni del Trattato relative alla sua revisione, anch’essa subordinata all’unanime consenso degli Stati parti, espresso in conformità delle proprie norme costituzionali concernenti l’assunzione di obblighi internazionali. Non solo l’entrata in vigore, quindi, ma anche gli sviluppi futuri del Trattato sono legati ad una logica e ad un metodo tipicamente pattizi, subordinati all’unanime volontà degli Stati membri.
Il carattere convenzionale del Trattato in questione appare ribadito, infine, dall’esplicita previsione di un diritto di recesso unilaterale dall’Unione (art. I-60); con la conseguenza che, a seguito dell’entrata in vigore di un accordo fra lo Stato che intende recedere e l’Unione sulle modalità di recesso o, in mancanza di tale accordo, due anni dopo la notifica dell’intenzione di recedere, la Costituzione cessa di essere applicabile allo Stato in questione. Tale possibilità non sembra compatibile, invece, con qualsiasi configurazione dello stesso Trattato quale “Costituzione” di un’entità federale o di una sorta di super “Stato”.
3. Se, dunque, l’atto in esame deve considerarsi formalmente un accordo internazionale, il quale crea vincoli giuridici, norme, strutture, competenze, poteri solo sulla base della concorde volontà degli Stati che vi partecipano – e non può vedersi in alcun modo quale espressione di un ipotetico potere costituente della stessa Unione europea – esso, tuttavia, come si è accennato, presenta nei suoi contenuti caratteri peculiari, che lo distinguono profondamente dai consueti accordi internazionali, anche da quelli istitutivi di organizzazioni internazionali.
Per vero, l’originalità del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa emerge già dal procedimento attraverso il quale ha visto la luce. Se i rappresentanti dei governi hanno avuto la parola definitiva – raggiungendo, nella Conferenza intergovernativa, gli inevitabili compromessi su questioni politicamente sensibili, come il meccanismo decisionale nel Consiglio dei ministri – non deve dimenticarsi che la struttura portante del testo e la maggior parte degli articoli sono il frutto del dibattito e del confronto svoltosi nell’ambito della “Convenzione”, presieduta da Giscard d’Estaing; e questa era composta da rappresentanti non solo dei governi, ma della Commissione, del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali. Ciò ha determinato una riforma partecipativa e trasparente che, nella sostanza, attribuisce a tale Trattato una legittimazione democratica unica.
Quanto ai contenuti, esso non solo afferma, quali valori dell’Unione, la dignità umana, la libertà, la democrazia, l’uguaglianza, lo stato di diritto e il rispetto dei diritti umani, in una società fondata sul pluralismo, sulla non discriminazione, sulla tolleranza, sulla giustizia, sulla solidarietà e sulla parità tra donne e uomini (art. I-2), ma, più specificamente, dispone che il funzionamento dell’Unione europea si fonda sul principio della democrazia rappresentativa (art. I-46). Tale principio, nel quadro dell’Unione europea, implica una duplice rappresentanza dei cittadini: una rappresentanza diretta nel Parlamento europeo, che può dirsi espressione dell’intero popolo europeo; ed una rappresentanza indiretta, mediante i loro governi, presenti nel Consiglio dei ministri e, a loro volta, responsabili dinanzi ai parlamenti nazionali. Questo duplice fondamento democratico dell’Unione europea comporta, sul piano dell’adozione degli atti normativi dell’Unione, l’impiego di un procedimento, detto di codecisione, in base al quale, partendo da una formale proposta della Commissione, l’atto è approvato solo se il Parlamento europeo e il Consiglio dei ministri raggiungono un pieno accordo sul medesimo testo.
Com’è noto, originariamente i Trattati istitutivi delle Comunità europee non attribuivano poteri siffatti al Parlamento europeo, il quale partecipava all’adozione degli atti comunitari solo con l’emanazione di un parere, di regola obbligatorio, ma non vincolante. Tale situazione era stata giustamente denunciata come implicante un deficit democratico; e solo con le successive modifiche dei Trattati, in particolare con il Trattato di Maastricht del 1992, era stato istituito un procedimento di codecisione, peraltro non di applicazione generalizzata. Inoltre nel diritto dell’Unione europea non ha trovato sinora riconoscimento la figura della “legge”, come tale distinguibile da atti regolamentari, o di esecuzione, o comunque di natura sostanzialmente amministrativa. Una certa confusione del quadro delle fonti di diritto comunitario derivato non ha giovato all’emergere della materia, quella propriamente legislativa, nella quale il rispetto dei principi di democrazia richiede l’ineludibile (anche se non esclusivo) potere decisionale del Parlamento europeo, quale istituzione rappresentativa dei cittadini.
Con la Costituzione europea, invece, si delineano nettamente le figure della legge europea e della legge quadro europea, in contrapposizione agli atti (regolamenti e decisioni) non legislativi; e si prescrive (sia pure con qualche non secondaria eccezione) che la procedura legislativa ordinaria consiste nell’adozione congiunta da parte del Parlamento europeo e del Consiglio dei ministri (art. I-34). Il Parlamento europeo, che acquista così un potere legislativo generale (benché condiviso con il Consiglio dei ministri), beneficia anche di un sia pur tenue avanzamento nel potere di stimolare l’iniziativa legislativa della Commissione (che ne resta la titolare). Ai sensi dell’art. III-332, infatti, se la Commissione non presenta una proposta, sebbene sollecitata a farlo dal Parlamento europeo, deve quanto meno motivare la sua decisione allo stesso Parlamento.
4. Al di là della funzione legislativa, il Parlamento europeo vede rafforzato il suo rapporto di fiducia politica con la Commissione. L’individuazione del Presidente di quest’ultima, da parte del Consiglio europeo, va fatta, invero, tenendo conto delle elezioni del Parlamento europeo (art. I-27, par. 1); ciò sembra implicare che tale Presidente sia espressione della maggioranza del Parlamento, quale manifestata dai risultati elettorali, e per ciò stesso più legato all’orientamento politico prevalente dello stesso Parlamento.
Anche nei confronti del Consiglio europeo, finora posto al di fuori e al di sopra, politicamente, del quadro istituzionale europeo, il Parlamento acquista un potere di controllo sia pur blando. L’art. III-337, par. 1, prevede, infatti, che tale Consiglio (come il Consiglio dei ministri) è ascoltato dal Parlamento europeo, peraltro secondo le modalità stabilite dal regolamento interno dello stesso Consiglio.
5. La Costituzione europea, nell’ottica di quel secondo fondamento democratico dell’Unione, offerto dalla rappresentanza indiretta dei popoli tramite i loro governi, responsabili verso i parlamenti nazionali, determina un rafforzamento del ruolo anche di tali parlamenti.
In proposito il Protocollo n. 1 (sul ruolo dei parlamenti nazionali nell’Unione europea) prescrive anzitutto un’ampia informazione dei parlamenti nazionali da parte della Commissione, la quale invia loro, all’atto della pubblicazione, i documenti di consultazione redatti dalla stessa Commissione (libri verdi, libri bianchi e comunicazioni), nonché il programma legislativo annuale e gli altri strumenti di programmazione legislativa o di strategia politica. Inoltre è trasmesso ai parlamenti nazionali ogni progetto di atto legislativo europeo. Al fine, evidentemente, di consentire agli stessi parlamenti nazionali di assumere iniziative in merito ai progetti di atti legislativi, questi, di regola, non possono essere iscritti all’ordine del giorno del Consiglio dei ministri prima di sei settimane dalla loro messa a disposizione dei parlamenti nazionali.
È istituita, infine, una cooperazione interparlamentare tra il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali. Una conferenza degli organi parlamentari specializzati per gli affari dell’Unione può sottoporre, inoltre, i contributi che ritiene utili all’attenzione del Parlamento, del Consiglio dei ministri e della Commissione.
Poteri più incisivi sono attribuiti ai parlamenti nazionali dal Protocollo n. 2 sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità. Anzitutto i progetti di atti legislativi europei, trasmessi ai parlamenti nazionali, devono essere motivati dettagliatamente e in maniera circostanziata con riguardo ai suddetti principi. Inoltre ciascun parlamento nazionale, o ciascuna sua camera, entro sei settimane dalla trasmissione di un progetto di atto legislativo può inviare al Parlamento europeo, al Consiglio e alla Commissione un parere motivato sulla non conformità del progetto al principio di sussidiarietà (dopo avere consultato in proposito i parlamenti regionali con poteri legislativi). L’istituzione dal quale proviene il progetto tiene conto di tali pareri motivati.
Qualora i pareri sulla violazione del principio di sussidiarietà esprimano la volontà di una certa maggioranza dei parlamenti (o camere) nazionali, il progetto deve essere obbligatoriamente riesaminato e, pur potendo la Commissione (o l’eventuale diverso proponente dell’atto) discostarsi da tali pareri, essa è tenuta a motivare la sua decisione.
Gli specifici poteri di vigilanza sul rispetto del principio di sussidiarietà trovano conferma nella disposizione (art. 8 del Protocollo n. 2) in base alla quale ogni Stato può impugnare dinanzi alla Corte di giustizia un atto per violazione del principio di sussidiarietà anche a nome del suo parlamento nazionale in conformità, peraltro, con il proprio ordinamento giuridico.
L’attribuzione ai parlamenti nazionali di più ampi poteri a tutela del principio di sussidiarietà appare anch’essa indice di un avanzamento dei principi di democrazia; e ciò non solo per l’ovvio carattere democratico inerente ai suddetti parlamenti, ma ancor più perché la stessa sussidiarietà è espressione di un principio democratico, cioè dell’esigenza – sottesa alla sussidiarietà – che le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cittadini (art. I-46, par. 3).
6. Nella Costituzione europea trova riconoscimento anche il principio della democrazia partecipativa, volta a consentire alla “società civile” di esprimere le proprie vedute e le proprie istanze nella costruzione europea.
Più precisamente, l’art. I-47 dichiara che le istituzioni europee danno ai cittadini e alle associazioni rappresentative, attraverso gli opportuni canali, la possibilità di fare conoscere e di scambiarsi pubblicamente le loro opinioni in tutti i settori di azione dell’Unione. Tali istituzioni mantengono un dialogo aperto, trasparente e regolare con le associazioni rappresentative e la società civile; la Commissione, in particolare, al fine di assicurare la coerenza e la trasparenza delle azioni dell’Unione, procede ad ampie consultazioni delle parti interessate.
In termini più concreti lo stesso art. I-47, par. 4, prevede inoltre un potere di iniziativa legislativa popolare. Cittadini dell’Unione, in numero di almeno un milione, che abbiano la cittadinanza di un numero significativo di Stati membri, possono prendere l’iniziativa di invitare la Commissione, nell’ambito delle sue attribuzioni, a presentare una proposta appropriata su materie in merito alle quali tali cittadini ritengono necessario un atto giuridico dell’Unione ai fini dell’attuazione della Costituzione. La disciplina di tale potere di iniziativa è demandata a una futura legge europea, la quale dovrà determinare le disposizioni relative alle procedure e alle condizioni necessarie per la presentazione dell’iniziativa, incluso il numero minimo di Stati membri dai quali i cittadini proponenti devono provenire.
7. Dall’esame della Costituzione europea emerge anche un rafforzamento del ruolo degli enti regionali e locali, Si tratta, è vero, di un progresso alquanto modesto, ma ciò può forse imputarsi – almeno in parte – alle profonde differenze esistenti tra i vari Stati membri nell’assetto delle autonomie locali e nella conseguente difficoltà di predisporre al riguardo norme europee adattabili alle diverse esperienze nazionali.
In proposito è significativo che l’art. I-5, par. 1, nell’affermare il dovere dell’Unione di rispettare l’identità nazionale degli Stati membri, insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale, ricomprenda espressamente in tale struttura il sistema delle autonomie locali e regionali.
Anche nel quadro del principio di sussidiarietà si rileva che esso non limita più l’intervento dell’Unione nei soli rapporti con gli Stati membri, ma tende a salvaguardare la competenza regionale e locale nella realizzazione degli obiettivi previsti. L’art. I-11, par. 3, stabilisce che, nelle materie che non sono di sua competenza esclusiva, l’Unione interviene solo qualora tali obiettivi non possono essere raggiunti dagli Stati membri, né a livello statale, né a livello regionale e locale. E il riferimento regionale e locale, in materia di sussidiarietà, torna nel citato Protocollo n. 2, il quale dispone che la Commissione, prima di proporre un atto legislativo europeo, effettua ampie consultazioni che tengono conto, se del caso, della dimensione regionale e locale delle azioni previste. Lo stesso Protocollo dichiara, inoltre, che spetta a ciascun parlamento nazionale, o a ciascuna camera dei parlamenti nazionali, consultare all’occorrenza i parlamenti regionali con poteri legislativi.
Il ruolo delle regioni risulta in qualche misura rafforzato anche per l’attribuzione al Comitato delle regioni della legittimazione ad impugnare gli atti dell’Unione, benché soltanto per salvaguardare le proprie prerogative (art. III-365, par. 3), nonché per violazioni del principio di sussidiarietà, ma limitatamente agli atti legislativi europei per l’adozione dei quali la Costituzione richiede la sua consultazione (art. 8 del Protocollo n. 2).
La tendenza a valorizzare le regioni e le autonomie locali – anche esse espressione di principi di democrazia – conferma il quadro generale, risultante dalla Costituzione europea, di un avanzamento complessivo dell’Unione nella democratizzazione. Malgrado alcune delusioni e resistenze, ci sembra, in definitiva, che la Costituzione compia un passo deciso nella giusta direzione e che riesca a colmare in misura apprezzabile (pur se non completa) l’originario deficit democratico, causa principale di quella distanza, di quella estraneità, della costruzione europea sovente avvertita dai suoi cittadini.