LA NUOVA DISCIPLINA SULLE CONCENTRAZIONI DI IMPRESE. IL REGOLAMENTO 139/2004
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di Giuseppe MORGESE
Con
il Regolamento (CE) n. 139/2004 del Consiglio, del 20 gennaio 2004 (in
GUUE L 24 del 29.1.2004), è stato portato a termine il processo di
revisione del Regolamento (CEE) n. 4064/89 sul controllo delle
operazioni di concentrazione, avviato con il Libro verde del dicembre
2001 (di cui vedasi un breve commento in Sud IN-Europa, maggio 2002) e
proseguito con la relativa Proposta del gennaio 2003.
Emanato al fine di garantire un controllo efficace e accentrato di tutte le operazioni di concentrazione incidenti sulla struttura della concorrenza all’interno della Comunità, il Regolamento n. 4064 si era caratterizzato per la predisposizione di norme sostanziali e procedurali uniformi, in modo che le ristrutturazioni cross-border delle imprese europee, necessarie per l’aumento della competitività delle stesse nell’ottica di un mercato globale, fossero valutate da un’unica autorità – la Commissione – e si avessero in assenza di un pregiudizio durevole alla concorrenza.
Dal 1989 ad oggi il Regolamento n. 4064 è stato modificato più volte, soprattutto al fine di meglio definire l’ambito di applicazione di quest’ultimo e la relativa attribuzione di competenza ad esaminare una determinata operazione in capo alla Commissione (si ricorda che tale ambito è tuttora delimitato mediante “soglie quantitative” di fatturato delle imprese coinvolte, al di sopra delle quali scatta automaticamente la competenza dell’autorità comunitaria, mentre il non raggiungimento di esse comporta l’esame da parte di tutte le autorità nazionali coinvolte). Ciò in quanto svariate concentrazioni, pur risultando quantitativamente sotto la soglia comunitaria, risultavano avere un impatto sensibile sulla struttura del mercato unico: la loro trattazione a livello nazionale non garantiva, nel migliore dei casi, il bilanciamento degli elementi pro e anticoncorrenziali, mentre nel peggiore portava a decisioni contrastanti con conseguente impossibilità di conclusione positiva dell’operazione ovvero di autorizzazione di operazioni dannose.
Opportuna appariva quindi la rifusione delle svariate modifiche apportate nel corso degli anni, insieme al miglior coordinamento di quelle. Non consistendo tuttavia unicamente in un’operazione di lifting normativo, il Regolamento in esame – cui si aggiungono la “Comunicazione della Commissione sugli orientamenti relativi alla valutazione delle concentrazioni orizzontali” e le “Best Practices on the conduct of EC merger control proceedings” (disponibili sul sito web della Commissione all’indirizzo europa.eu.int/comm/competition/index_it. html ) – presenta elementi di interesse da un punto di vista sia sostanziale che procedurale.
Innanzitutto, preme ricordare la principale questione giurisdizionale sollevata a mezzo del Libro verde, ovvero quella relativa ad un’estensione della definizione di dimensione comunitaria di un’operazione di concentrazione. In quest’ultimo documento si auspicava una modifica dell’art. 1(3) del Regolamento n. 4064 (a sua volta già novellato dal Regolamento n. 1310/97, nel senso della predisposizione di soglie quantitative più basse da realizzarsi in almeno tre Stati membri da parte delle imprese coinvolte) che fosse finalizzata all’introduzione di un rinvio obbligatorio alla Commissione di tutte quelle operazioni soggette ad obbligo di notifica in tre o più Stati membri (c.d. three plus rule): il fatto che una concentrazione, si argomentava, soggiacesse a tre o più notificazioni nazionali avrebbe dovuto essere ritenuto sintomatico della presenza di “interesse comunitario”. Tuttavia, a causa dei diversi ambiti di applicazione delle normative nazionali (e del conseguente rischio che l’automaticità del meccanismo andasse oltre lo scopo), tale opzione non è stata ripresentata nel Regolamento in esame, preferendo aggiungere all’art. 4 i nuovi paragrafi 4 e 5 disciplinanti la possibilità di rinviare la valutazione di un’operazione dalla Commissione alle autorità nazionali e viceversa sin da una fase precedente alla notifica. Dato che sinora tale meccanismo era previsto solamente in un momento successivo all’avvio del procedimento (rispettivamente agli artt. 9 e 22), opportuno appare in particolare l’articolo 4(5) che prevede la possibilità per le imprese coinvolte di richiedere, prima della notificazione in almeno tre Stati membri, che un’operazione non di dimensione comunitaria venga nondimeno esaminata dalla Commissione: quest’ultima trasmetterà tale richiesta motivata alle autorità nazionali coinvolte, ciascuna delle quali potrà impedire il radicamento della competenza a livello comunitario così delineata esprimendo il proprio dissenso entro 15 giorni; con un meccanismo di silenzio-assenso, in mancanza di tale dissenso l’operazione sarà considerata di dimensione comunitaria e di conseguenza soggetta a notificazione alla Commissione. Benché la facoltatività della regola 3+ possa apparire una novità di modesta portata, non si può tuttavia non notare come solo nel presupposto di un’armonizzazione delle normative nazionali in merito ai rispettivi ambiti di applicazione si potrebbe rendere tale regola automatica e di sicura efficacia.
Per quanto attiene alla definizione di concentrazione, viene innanzitutto esplicitato all’art. 3(1) il principio che per aversi concentrazione debba verificarsi una modifica duratura del controllo (precedentemente tale principio era utilizzato come criterio non scritto e veniva menzionato solo nel considerando 23 del Regolamento n. 4064). In secondo luogo, in merito al problema delle c.d. operazioni multiple (ovvero quelle operazioni che singolarmente considerate non rientrano nel campo di applicazione del Regolamento, ma che tuttavia dal punto di vista delle parti o del mercato sono caratterizzate da unità economica), al considerando 20 del Regolamento in esame viene ribadita la necessità di trattare come un’unica concentrazione tutte quelle operazioni che risultino essere strettamente collegate tra loro con vincolo condizionale o che assumano la forma di una serie di operazioni su valori mobiliari concluse in un periodo di tempo ragionevolmente breve: se nel Regolamento n. 4064 veniva presa in esame una tale ipotesi solamente nell’ambito dell’art. 5(2) relativo al calcolo del fatturato, la Proposta del 2003 prevedeva viceversa l’inclusione di un nuovo paragrafo 4 all’art. 3, ai sensi del quale “...le operazioni multiple che dipendono l’una dall’altra o sono così strettamente collegate che il loro fondamento economico ne giustifica il trattamento come un’operazione unica saranno considerate come un’unica concentrazione...”. Ferma restando l’operatività dell’art. 5(2), tale opzione non è stata ripresa esplicitamente nel testo finale, preferendosi sottolineare più blandamente come si abbia controllo, ai sensi dell’art. 3(1)(b), in presenza di diritti, contratti o altri mezzi, e ciò nel fondato timore che un’estensione così generalizzata avrebbe potuto aumentare irragionevolmente l’incertezza giuridica per le imprese coinvolte.
Sotto il profilo sostanziale, la nuova formulazione dell’art. 2 rappresenta il punto di arrivo del dibattito in merito ai rispettivi vantaggi e svantaggi, ai fini della valutazione delle concentrazioni, del criterio della posizione dominante e di quello della diminuzione sostanziale della concorrenza (secondo l’acronimo inglese SLC, ovvero substantial lessening of competition), il primo adottato in ambito comunitario sin dal 1989, il secondo utilizzato in alcune giurisdizioni come quella statunitense e britannica. Brevemente, si poneva il problema di esercitare, stante l’adozione del criterio della posizione dominante, un efficace controllo ex ante di tutte quelle concentrazioni determinanti situazioni c.d. di “oligopolio non collusivo” (nelle quali cioè le imprese che effettuano la concentrazione sono in grado di alzare i prezzi, ed esercitare quindi un potere di mercato, senza ricorrere ad un coordinamento e senza necessariamente detenere singolarmente la quota più grande del mercato); si è detto che, se per un verso l’adozione del criterio SLC porterebbe maggior chiarezza, d’altro canto quel che rileva è il modo in cui il criterio formulato nella norma deve essere interpretato, e in tal senso si è evidenziato come i due criteri abbiano prodotto risultati più o meno convergenti (grazie soprattutto all’interpretazione teleologica data dalla Corte di giustizia al criterio adottato in ambito comunitario). Contrariamente alla Proposta della Commissione, che inseriva all’interno dell’art. 2 un nuovo paragrafo 2, nel Regolamento in esame si è preferito adottare il criterio c.d. duale, che conduce a vietare una concentrazione sia nel caso questa crei o rafforzi una posizione dominante sia quando essa riduca sensibilmente la concorrenza: ai sensi del novellato art. 2(3), “...le concentrazioni che ostacol[a]no in modo significativo una concorrenza effettiva nel mercato comune o in una parte sostanziale di esso, in particolare a causa della creazione o del rafforzamento di una posizione dominante, sono dichiarate incompatibili con il mercato comune...”. L’adozione del test duale va salutata con ottimismo, in quanto permette da un lato di mantenere l’ampio corpus giurisprudenziale sviluppatosi in questi anni sulla scorta del criterio della posizione dominante (anche in una prospettiva di interpretazione coordinata con l’art. 82 CE), e dall’altro di servirsi della componente SLC per la esclusiva trattazione dei casi di oligopolio non collusivo (in questo senso il considerando 25, ultima parte, e i paragrafi 24 e ss. della “Comunicazione”).
In merito al dibattito sulle c.d. efficienze – ovvero sulla ponderazione da dare a considerazioni in termini di efficienza nell’ambito degli elementi pro e anticoncorrenziali di una concentrazione –, il considerando 29 sottolinea l’opportunità, al di là della generica previsione dell’art. 2(1)(b), di “...tener conto di qualsiasi documentato e probabile guadagno di efficienza addotto dalle imprese interessate...”. Sovente accusata di trascurare le possibili efficienze di una concentrazione ai fini della sua autorizzazione, ed anzi di adottare una teoria di c.d. efficiency offence nel considerarle come prova ulteriore della sussistenza di una posizione dominante (vedi, ad esempio, le aspre critiche rivolte alla Commissione da parte di dottrina e autorità statunitensi in occasione del divieto dell’operazione General Electric/Honeywell, precedentemente autorizzata oltreoceano proprio in virtù dei guadagni in termini di efficienza), l’impostazione specificata nei paragrafi 76 e ss. della “Comunicazione” mostra un atteggiamento tuttora prudente da parte della Commissione e comunque abbastanza lontano dalle posizioni statunitensi, in quanto tendente non solo a salvaguardare l’interesse del consumatore ma anche quello dei concorrenti (attuali come potenziali) nell’ottica del processo di integrazione.
Nell’alveo delle novità di tipo procedurale – e tralasciando quelle di poco momento – possono individuarsi tre tematiche, ovvero la riorganizzazione di alcuni aspetti del procedimento, la problematica del due process e del judicial review, e il rafforzamento dei poteri d’indagine della Commissione.
Per quanto attiene al tema della riorganizzazione procedimentale, oltre al passaggio ad un sistema di calcolo dei termini espresso in giorni lavorativi (in luogo di quello precedente espresso in giorni, settimane e mesi), si segnala innanzitutto la possibilità (prima negata) per le parti di procedere alla notificazione della concentrazione anche prima della conclusione della stessa: stante l’effetto sospensivo dell’operazione nel periodo di tempo tra la notificazione e la decisione ex art. 7(1), la nuova formulazione dell’art. 4(1) consente di notificare “...anche quando le imprese interessate dimostrano alla Commissione che hanno in buona fede intenzione di concludere un accordo...” (ciò viene incontro alle richieste di maggior speditezza avanzate dalla comunità degli affari, e permette di superare alcuni problemi di coordinamento emersi tra la Commissione e le autorità statunitensi nei recenti casi Boeing/McDonnel Douglas e General Electric/Honeywell; è chiaro come l’obbligo di buona fede gravante sulle imprese permetta alla Commissione di prendere in considerazione solamente le pre-notificazioni potremmo dire “qualificate”: per un elenco meramente esemplificativo si veda il considerando 34).
In secondo luogo, e al fine di fugare alcuni dubbi interpretativi, si segnala l’inciso dell’art. 7(2) che chiarisce come la deroga automatica dall’obbligo di sospensione di cui all’art. 7(1) riguardi non solo le offerte pubbliche ma anche tutte le altre transazioni su valori mobiliari (c.d. “acquisizioni striscianti”) con ciò eliminando l’incertezza giuridica che si era manifestata in ordine a tali operazioni (è da notare incidentalmente come la versione finale del medesimo articolo non contempli la possibilità – che pure era stata avanzata nella Proposta – di concedere alla Commissione il potere di emanare regolamenti secondari di “esenzione dall’obbligo di sospensione” per determinate categorie di concentrazioni, finalizzato all’istituzione di un meccanismo automatico di deroga oltre a quello, caso per caso, di cui all’art. 7(3); vedi tuttavia anche il considerando 32, corrispondente al considerando 15 del Reg. n. 4064).
Il nuovo art. 8(4) in materia di decisioni della Commissione da un lato chiarisce come il potere di ordinare la dissoluzione dell’operazione valga anche nei confronti di concentrazioni realizzate senza essere state previamente notificate, e dall’altro incorpora il generale principio del ripristino dello status quo ante, anche in misura parziale se del caso (secondo l’interpretazione avallata dal Tribunale di primo grado nella causa Tetra Laval/Commissione). Un generale potere di adozione di misure provvisorie è inoltre previsto ai sensi del successivo art. 8(5) in caso di violazione dell’obbligo di sospensione, delle condizioni imposte in decisioni di non incompatibilità assunte nella “fase uno” o nella “fase due”, o ancora in caso di realizzazione di una concentrazione incompatibile.
In generale, il nuovo Regolamento cerca di porre fine ad uno dei maggiori problemi emersi in sede di applicazione del Regolamento n. 4064, ovvero quello della rigidità dei termini delle varie fasi del procedimento (a fronte infatti della progressiva complessità delle operazioni sottoposte all’attenzione della Commissione, gli originari termini perentori risultavano infatti soddisfacenti nell’ottica della certezza giuridica ma non anche in termini di qualità del decision making): se la rapidità dell’indagine e la prevedibilità dei tempi sono stati considerati come il pregio maggiore del Regolamento n. 4064, purtuttavia il considerando 35 del nuovo Regolamento sottolinea l’opportunità di concedere delle proroghe sia su richiesta delle imprese sia per permettere alla Commissione di pronunciarsi in via definitiva nei casi complessi. Per quanto riguarda la “fase uno”, l’art. 10(1) proroga il termine usuale di 25 gg. per l’assunzione di una decisione a norma dell’art. 6(1) di ulteriori 10 gg. su richiesta degli Stati membri ex art. 9(2) o delle imprese che intendono assumere impegni finalizzati ad una decisione di compatibilità ex art. 6(2); durante la “fase due” vengono in rilievo invece le novità apportate dall’art. 10(3), il quale nel primo comma porta da 90 a 105 gg. il termine massimo per l’assunzione di una decisione ai sensi dell’art. 8(1), (2) e (3) qualora le imprese coinvolte offrano di assumere impegni ex art. 8(2) (ma solo, si noti, se tali impegni non sono stati proposti entro 55 giorni dall’avvio del procedimento: in tal modo la Commissione spera di incoraggiare tutte le parti a sottoporre impegni in una fase iniziale), mentre nel secondo comma estende ulteriormente i termini predetti di 20 gg. su iniziativa delle imprese, se ne viene fatta richiesta entro 15 gg. dall’inizio del procedimento, o su accordo tra queste ultime e la Commissione in qualunque momento dopo l’avvio (dalla formulazione della norma si evince come, a differenza della proroga concordata in ogni momento dopo l’avvio, nel caso di quella richiesta entro 15 gg. dall’inizio del procedimento – che peraltro può essere avanzata una sola volta – la Commissione sia tenuta a pronunciarsi in senso affermativo).
In tema di due process, a fronte del silenzio del Regolamento in esame il testo delle Best Practices contiene due elementi di novità nei paragrafi da 29 a 41 in materia di audizione degli interessati, mediante la previsione di una serie flessibile di incontri interlocutori infraprocedimentali (c.d. state-of-play meetings) sia “bilaterali” che “triangolari” su richiesta delle parti coinvolte in modo da non tralasciare (per quanto possibile) alcun argomento a favore o contro l’autorizzazione della concentrazione in esame, e nei paragrafi 45 e 46 in materia di diritto di accesso al fascicolo, ove si prevede che le parti notificanti possano ricevere una serie di documenti chiave (in sostanza, quelli che contengono informazioni che contraddicono i documenti da loro prodotti) anche prima che la Commissione emani la comunicazione degli addebiti.
Per quanto attiene invece al tema del judicial review, si segnala il nuovo art. 10(5) ai sensi del quale, a seguito di annullamento totale o parziale da parte della Corte di giustizia di una decisione soggetta ai termini dell’art. 10, la Commissione riesaminerà completamente l’operazione alla luce delle attuali condizioni di mercato al fine di adottare una decisione ex art. 6(1) e i suddetti termini decorreranno alternativamente a partire dal ricevimento di una nuova notificazione o da un’integrazione (se le condizioni di mercato o le informazioni fornite in precedenza sono cambiate) oppure da una semplice comunicazione delle parti attestante che nessun cambiamento è avvenuto (è da notare come un completo riesame della concentrazione che potrebbe protrarsi sino a sei mesi sia concretamente in grado di frustrare le aspettative delle parti e di annullare in gran parte i vantaggi derivanti dall’aver previsto la possibilità di una procedura accelerata all’art. 76-bis del Regolamento di procedura del Tribunale di primo grado, di cui vedasi l’ultima versione in GUUE C 193 del 14.8.2003).
Per quel che riguarda infine i poteri di indagine e repressivi a disposizione della Commissione, rimane fermo il principio del parallelismo tra procedimento di esame delle concentrazioni e procedimento antitrust ai sensi del Regolamento n. 1/2003 (di cui si legga un commento in Sud IN-Europa, febbraio 2003), gli artt. da 11 a 18 ricalcando mutatis mutandis gli artt. da 18 a 28 di quest’ultimo.
Di conseguenza, tra le novità rispetto alla disciplina previgente si segnalano: a) la presenza dell’art. 11(7) e del considerando 38, che estendono l’ambito di applicazione ratione personae del potere di richiedere informazioni ex art. 11 fino a ricomprendervi ogni persona fisica o giuridica che vi acconsenta, con contestuale facoltà di verbalizzazione a fini probatori (in passato ciò era consentito solo nei confronti delle parti coinvolte e delle associazioni di imprese); b) il rinnovato impianto delle ispezioni in loco ex art. 13, con possibilità di esaminare e ottenere copia di qualunque materiale documentario su qualunque supporto, di interrogare non solo i rappresentanti delle imprese ma anche qualunque membro del personale in merito a fatti o documenti relativi all’oggetto e allo scopo dell’ispezione (il considerando 41 delimita però in senso restrittivo l’ambito di tale articolo con una disposizione in tema di self-incrimination: “Nell’ottemperare alle decisioni della Commissione, le imprese e persone interessate non possono essere costrette ad ammettere di aver commesso delle infrazioni, ma sono in ogni caso tenute a rispondere a quesiti concreti e a fornire documenti, anche se tali informazioni possono essere utilizzate per accertare, a loro carico o a carico di altri, l’esistenza di un’infrazione”); c) la ridefinizione dell’importo massimo delle ammende ex art. 14, che per le infrazioni “procedurali” viene portato all’1% e per quelle “sostanziali” al 10% del fatturato totale delle imprese interessate.
Le uniche due differenze tra il presente regolamento e il regolamento antitrust riguardano la mancanza in quello della possibilità sia di svolgere indagini per settore economico che, soprattutto, di effettuare perquisizioni nei domicili privati dei rappresentanti delle imprese (previsti rispettivamente agli artt. 17 e 21 del Reg. 1/2003).
Il Regolamento in esame, ai sensi dell’art. 26 dello stesso, è applicabile dal 1° maggio 2004.
Emanato al fine di garantire un controllo efficace e accentrato di tutte le operazioni di concentrazione incidenti sulla struttura della concorrenza all’interno della Comunità, il Regolamento n. 4064 si era caratterizzato per la predisposizione di norme sostanziali e procedurali uniformi, in modo che le ristrutturazioni cross-border delle imprese europee, necessarie per l’aumento della competitività delle stesse nell’ottica di un mercato globale, fossero valutate da un’unica autorità – la Commissione – e si avessero in assenza di un pregiudizio durevole alla concorrenza.
Dal 1989 ad oggi il Regolamento n. 4064 è stato modificato più volte, soprattutto al fine di meglio definire l’ambito di applicazione di quest’ultimo e la relativa attribuzione di competenza ad esaminare una determinata operazione in capo alla Commissione (si ricorda che tale ambito è tuttora delimitato mediante “soglie quantitative” di fatturato delle imprese coinvolte, al di sopra delle quali scatta automaticamente la competenza dell’autorità comunitaria, mentre il non raggiungimento di esse comporta l’esame da parte di tutte le autorità nazionali coinvolte). Ciò in quanto svariate concentrazioni, pur risultando quantitativamente sotto la soglia comunitaria, risultavano avere un impatto sensibile sulla struttura del mercato unico: la loro trattazione a livello nazionale non garantiva, nel migliore dei casi, il bilanciamento degli elementi pro e anticoncorrenziali, mentre nel peggiore portava a decisioni contrastanti con conseguente impossibilità di conclusione positiva dell’operazione ovvero di autorizzazione di operazioni dannose.
Opportuna appariva quindi la rifusione delle svariate modifiche apportate nel corso degli anni, insieme al miglior coordinamento di quelle. Non consistendo tuttavia unicamente in un’operazione di lifting normativo, il Regolamento in esame – cui si aggiungono la “Comunicazione della Commissione sugli orientamenti relativi alla valutazione delle concentrazioni orizzontali” e le “Best Practices on the conduct of EC merger control proceedings” (disponibili sul sito web della Commissione all’indirizzo europa.eu.int/comm/competition/index_it. html ) – presenta elementi di interesse da un punto di vista sia sostanziale che procedurale.
Innanzitutto, preme ricordare la principale questione giurisdizionale sollevata a mezzo del Libro verde, ovvero quella relativa ad un’estensione della definizione di dimensione comunitaria di un’operazione di concentrazione. In quest’ultimo documento si auspicava una modifica dell’art. 1(3) del Regolamento n. 4064 (a sua volta già novellato dal Regolamento n. 1310/97, nel senso della predisposizione di soglie quantitative più basse da realizzarsi in almeno tre Stati membri da parte delle imprese coinvolte) che fosse finalizzata all’introduzione di un rinvio obbligatorio alla Commissione di tutte quelle operazioni soggette ad obbligo di notifica in tre o più Stati membri (c.d. three plus rule): il fatto che una concentrazione, si argomentava, soggiacesse a tre o più notificazioni nazionali avrebbe dovuto essere ritenuto sintomatico della presenza di “interesse comunitario”. Tuttavia, a causa dei diversi ambiti di applicazione delle normative nazionali (e del conseguente rischio che l’automaticità del meccanismo andasse oltre lo scopo), tale opzione non è stata ripresentata nel Regolamento in esame, preferendo aggiungere all’art. 4 i nuovi paragrafi 4 e 5 disciplinanti la possibilità di rinviare la valutazione di un’operazione dalla Commissione alle autorità nazionali e viceversa sin da una fase precedente alla notifica. Dato che sinora tale meccanismo era previsto solamente in un momento successivo all’avvio del procedimento (rispettivamente agli artt. 9 e 22), opportuno appare in particolare l’articolo 4(5) che prevede la possibilità per le imprese coinvolte di richiedere, prima della notificazione in almeno tre Stati membri, che un’operazione non di dimensione comunitaria venga nondimeno esaminata dalla Commissione: quest’ultima trasmetterà tale richiesta motivata alle autorità nazionali coinvolte, ciascuna delle quali potrà impedire il radicamento della competenza a livello comunitario così delineata esprimendo il proprio dissenso entro 15 giorni; con un meccanismo di silenzio-assenso, in mancanza di tale dissenso l’operazione sarà considerata di dimensione comunitaria e di conseguenza soggetta a notificazione alla Commissione. Benché la facoltatività della regola 3+ possa apparire una novità di modesta portata, non si può tuttavia non notare come solo nel presupposto di un’armonizzazione delle normative nazionali in merito ai rispettivi ambiti di applicazione si potrebbe rendere tale regola automatica e di sicura efficacia.
Per quanto attiene alla definizione di concentrazione, viene innanzitutto esplicitato all’art. 3(1) il principio che per aversi concentrazione debba verificarsi una modifica duratura del controllo (precedentemente tale principio era utilizzato come criterio non scritto e veniva menzionato solo nel considerando 23 del Regolamento n. 4064). In secondo luogo, in merito al problema delle c.d. operazioni multiple (ovvero quelle operazioni che singolarmente considerate non rientrano nel campo di applicazione del Regolamento, ma che tuttavia dal punto di vista delle parti o del mercato sono caratterizzate da unità economica), al considerando 20 del Regolamento in esame viene ribadita la necessità di trattare come un’unica concentrazione tutte quelle operazioni che risultino essere strettamente collegate tra loro con vincolo condizionale o che assumano la forma di una serie di operazioni su valori mobiliari concluse in un periodo di tempo ragionevolmente breve: se nel Regolamento n. 4064 veniva presa in esame una tale ipotesi solamente nell’ambito dell’art. 5(2) relativo al calcolo del fatturato, la Proposta del 2003 prevedeva viceversa l’inclusione di un nuovo paragrafo 4 all’art. 3, ai sensi del quale “...le operazioni multiple che dipendono l’una dall’altra o sono così strettamente collegate che il loro fondamento economico ne giustifica il trattamento come un’operazione unica saranno considerate come un’unica concentrazione...”. Ferma restando l’operatività dell’art. 5(2), tale opzione non è stata ripresa esplicitamente nel testo finale, preferendosi sottolineare più blandamente come si abbia controllo, ai sensi dell’art. 3(1)(b), in presenza di diritti, contratti o altri mezzi, e ciò nel fondato timore che un’estensione così generalizzata avrebbe potuto aumentare irragionevolmente l’incertezza giuridica per le imprese coinvolte.
Sotto il profilo sostanziale, la nuova formulazione dell’art. 2 rappresenta il punto di arrivo del dibattito in merito ai rispettivi vantaggi e svantaggi, ai fini della valutazione delle concentrazioni, del criterio della posizione dominante e di quello della diminuzione sostanziale della concorrenza (secondo l’acronimo inglese SLC, ovvero substantial lessening of competition), il primo adottato in ambito comunitario sin dal 1989, il secondo utilizzato in alcune giurisdizioni come quella statunitense e britannica. Brevemente, si poneva il problema di esercitare, stante l’adozione del criterio della posizione dominante, un efficace controllo ex ante di tutte quelle concentrazioni determinanti situazioni c.d. di “oligopolio non collusivo” (nelle quali cioè le imprese che effettuano la concentrazione sono in grado di alzare i prezzi, ed esercitare quindi un potere di mercato, senza ricorrere ad un coordinamento e senza necessariamente detenere singolarmente la quota più grande del mercato); si è detto che, se per un verso l’adozione del criterio SLC porterebbe maggior chiarezza, d’altro canto quel che rileva è il modo in cui il criterio formulato nella norma deve essere interpretato, e in tal senso si è evidenziato come i due criteri abbiano prodotto risultati più o meno convergenti (grazie soprattutto all’interpretazione teleologica data dalla Corte di giustizia al criterio adottato in ambito comunitario). Contrariamente alla Proposta della Commissione, che inseriva all’interno dell’art. 2 un nuovo paragrafo 2, nel Regolamento in esame si è preferito adottare il criterio c.d. duale, che conduce a vietare una concentrazione sia nel caso questa crei o rafforzi una posizione dominante sia quando essa riduca sensibilmente la concorrenza: ai sensi del novellato art. 2(3), “...le concentrazioni che ostacol[a]no in modo significativo una concorrenza effettiva nel mercato comune o in una parte sostanziale di esso, in particolare a causa della creazione o del rafforzamento di una posizione dominante, sono dichiarate incompatibili con il mercato comune...”. L’adozione del test duale va salutata con ottimismo, in quanto permette da un lato di mantenere l’ampio corpus giurisprudenziale sviluppatosi in questi anni sulla scorta del criterio della posizione dominante (anche in una prospettiva di interpretazione coordinata con l’art. 82 CE), e dall’altro di servirsi della componente SLC per la esclusiva trattazione dei casi di oligopolio non collusivo (in questo senso il considerando 25, ultima parte, e i paragrafi 24 e ss. della “Comunicazione”).
In merito al dibattito sulle c.d. efficienze – ovvero sulla ponderazione da dare a considerazioni in termini di efficienza nell’ambito degli elementi pro e anticoncorrenziali di una concentrazione –, il considerando 29 sottolinea l’opportunità, al di là della generica previsione dell’art. 2(1)(b), di “...tener conto di qualsiasi documentato e probabile guadagno di efficienza addotto dalle imprese interessate...”. Sovente accusata di trascurare le possibili efficienze di una concentrazione ai fini della sua autorizzazione, ed anzi di adottare una teoria di c.d. efficiency offence nel considerarle come prova ulteriore della sussistenza di una posizione dominante (vedi, ad esempio, le aspre critiche rivolte alla Commissione da parte di dottrina e autorità statunitensi in occasione del divieto dell’operazione General Electric/Honeywell, precedentemente autorizzata oltreoceano proprio in virtù dei guadagni in termini di efficienza), l’impostazione specificata nei paragrafi 76 e ss. della “Comunicazione” mostra un atteggiamento tuttora prudente da parte della Commissione e comunque abbastanza lontano dalle posizioni statunitensi, in quanto tendente non solo a salvaguardare l’interesse del consumatore ma anche quello dei concorrenti (attuali come potenziali) nell’ottica del processo di integrazione.
Nell’alveo delle novità di tipo procedurale – e tralasciando quelle di poco momento – possono individuarsi tre tematiche, ovvero la riorganizzazione di alcuni aspetti del procedimento, la problematica del due process e del judicial review, e il rafforzamento dei poteri d’indagine della Commissione.
Per quanto attiene al tema della riorganizzazione procedimentale, oltre al passaggio ad un sistema di calcolo dei termini espresso in giorni lavorativi (in luogo di quello precedente espresso in giorni, settimane e mesi), si segnala innanzitutto la possibilità (prima negata) per le parti di procedere alla notificazione della concentrazione anche prima della conclusione della stessa: stante l’effetto sospensivo dell’operazione nel periodo di tempo tra la notificazione e la decisione ex art. 7(1), la nuova formulazione dell’art. 4(1) consente di notificare “...anche quando le imprese interessate dimostrano alla Commissione che hanno in buona fede intenzione di concludere un accordo...” (ciò viene incontro alle richieste di maggior speditezza avanzate dalla comunità degli affari, e permette di superare alcuni problemi di coordinamento emersi tra la Commissione e le autorità statunitensi nei recenti casi Boeing/McDonnel Douglas e General Electric/Honeywell; è chiaro come l’obbligo di buona fede gravante sulle imprese permetta alla Commissione di prendere in considerazione solamente le pre-notificazioni potremmo dire “qualificate”: per un elenco meramente esemplificativo si veda il considerando 34).
In secondo luogo, e al fine di fugare alcuni dubbi interpretativi, si segnala l’inciso dell’art. 7(2) che chiarisce come la deroga automatica dall’obbligo di sospensione di cui all’art. 7(1) riguardi non solo le offerte pubbliche ma anche tutte le altre transazioni su valori mobiliari (c.d. “acquisizioni striscianti”) con ciò eliminando l’incertezza giuridica che si era manifestata in ordine a tali operazioni (è da notare incidentalmente come la versione finale del medesimo articolo non contempli la possibilità – che pure era stata avanzata nella Proposta – di concedere alla Commissione il potere di emanare regolamenti secondari di “esenzione dall’obbligo di sospensione” per determinate categorie di concentrazioni, finalizzato all’istituzione di un meccanismo automatico di deroga oltre a quello, caso per caso, di cui all’art. 7(3); vedi tuttavia anche il considerando 32, corrispondente al considerando 15 del Reg. n. 4064).
Il nuovo art. 8(4) in materia di decisioni della Commissione da un lato chiarisce come il potere di ordinare la dissoluzione dell’operazione valga anche nei confronti di concentrazioni realizzate senza essere state previamente notificate, e dall’altro incorpora il generale principio del ripristino dello status quo ante, anche in misura parziale se del caso (secondo l’interpretazione avallata dal Tribunale di primo grado nella causa Tetra Laval/Commissione). Un generale potere di adozione di misure provvisorie è inoltre previsto ai sensi del successivo art. 8(5) in caso di violazione dell’obbligo di sospensione, delle condizioni imposte in decisioni di non incompatibilità assunte nella “fase uno” o nella “fase due”, o ancora in caso di realizzazione di una concentrazione incompatibile.
In generale, il nuovo Regolamento cerca di porre fine ad uno dei maggiori problemi emersi in sede di applicazione del Regolamento n. 4064, ovvero quello della rigidità dei termini delle varie fasi del procedimento (a fronte infatti della progressiva complessità delle operazioni sottoposte all’attenzione della Commissione, gli originari termini perentori risultavano infatti soddisfacenti nell’ottica della certezza giuridica ma non anche in termini di qualità del decision making): se la rapidità dell’indagine e la prevedibilità dei tempi sono stati considerati come il pregio maggiore del Regolamento n. 4064, purtuttavia il considerando 35 del nuovo Regolamento sottolinea l’opportunità di concedere delle proroghe sia su richiesta delle imprese sia per permettere alla Commissione di pronunciarsi in via definitiva nei casi complessi. Per quanto riguarda la “fase uno”, l’art. 10(1) proroga il termine usuale di 25 gg. per l’assunzione di una decisione a norma dell’art. 6(1) di ulteriori 10 gg. su richiesta degli Stati membri ex art. 9(2) o delle imprese che intendono assumere impegni finalizzati ad una decisione di compatibilità ex art. 6(2); durante la “fase due” vengono in rilievo invece le novità apportate dall’art. 10(3), il quale nel primo comma porta da 90 a 105 gg. il termine massimo per l’assunzione di una decisione ai sensi dell’art. 8(1), (2) e (3) qualora le imprese coinvolte offrano di assumere impegni ex art. 8(2) (ma solo, si noti, se tali impegni non sono stati proposti entro 55 giorni dall’avvio del procedimento: in tal modo la Commissione spera di incoraggiare tutte le parti a sottoporre impegni in una fase iniziale), mentre nel secondo comma estende ulteriormente i termini predetti di 20 gg. su iniziativa delle imprese, se ne viene fatta richiesta entro 15 gg. dall’inizio del procedimento, o su accordo tra queste ultime e la Commissione in qualunque momento dopo l’avvio (dalla formulazione della norma si evince come, a differenza della proroga concordata in ogni momento dopo l’avvio, nel caso di quella richiesta entro 15 gg. dall’inizio del procedimento – che peraltro può essere avanzata una sola volta – la Commissione sia tenuta a pronunciarsi in senso affermativo).
In tema di due process, a fronte del silenzio del Regolamento in esame il testo delle Best Practices contiene due elementi di novità nei paragrafi da 29 a 41 in materia di audizione degli interessati, mediante la previsione di una serie flessibile di incontri interlocutori infraprocedimentali (c.d. state-of-play meetings) sia “bilaterali” che “triangolari” su richiesta delle parti coinvolte in modo da non tralasciare (per quanto possibile) alcun argomento a favore o contro l’autorizzazione della concentrazione in esame, e nei paragrafi 45 e 46 in materia di diritto di accesso al fascicolo, ove si prevede che le parti notificanti possano ricevere una serie di documenti chiave (in sostanza, quelli che contengono informazioni che contraddicono i documenti da loro prodotti) anche prima che la Commissione emani la comunicazione degli addebiti.
Per quanto attiene invece al tema del judicial review, si segnala il nuovo art. 10(5) ai sensi del quale, a seguito di annullamento totale o parziale da parte della Corte di giustizia di una decisione soggetta ai termini dell’art. 10, la Commissione riesaminerà completamente l’operazione alla luce delle attuali condizioni di mercato al fine di adottare una decisione ex art. 6(1) e i suddetti termini decorreranno alternativamente a partire dal ricevimento di una nuova notificazione o da un’integrazione (se le condizioni di mercato o le informazioni fornite in precedenza sono cambiate) oppure da una semplice comunicazione delle parti attestante che nessun cambiamento è avvenuto (è da notare come un completo riesame della concentrazione che potrebbe protrarsi sino a sei mesi sia concretamente in grado di frustrare le aspettative delle parti e di annullare in gran parte i vantaggi derivanti dall’aver previsto la possibilità di una procedura accelerata all’art. 76-bis del Regolamento di procedura del Tribunale di primo grado, di cui vedasi l’ultima versione in GUUE C 193 del 14.8.2003).
Per quel che riguarda infine i poteri di indagine e repressivi a disposizione della Commissione, rimane fermo il principio del parallelismo tra procedimento di esame delle concentrazioni e procedimento antitrust ai sensi del Regolamento n. 1/2003 (di cui si legga un commento in Sud IN-Europa, febbraio 2003), gli artt. da 11 a 18 ricalcando mutatis mutandis gli artt. da 18 a 28 di quest’ultimo.
Di conseguenza, tra le novità rispetto alla disciplina previgente si segnalano: a) la presenza dell’art. 11(7) e del considerando 38, che estendono l’ambito di applicazione ratione personae del potere di richiedere informazioni ex art. 11 fino a ricomprendervi ogni persona fisica o giuridica che vi acconsenta, con contestuale facoltà di verbalizzazione a fini probatori (in passato ciò era consentito solo nei confronti delle parti coinvolte e delle associazioni di imprese); b) il rinnovato impianto delle ispezioni in loco ex art. 13, con possibilità di esaminare e ottenere copia di qualunque materiale documentario su qualunque supporto, di interrogare non solo i rappresentanti delle imprese ma anche qualunque membro del personale in merito a fatti o documenti relativi all’oggetto e allo scopo dell’ispezione (il considerando 41 delimita però in senso restrittivo l’ambito di tale articolo con una disposizione in tema di self-incrimination: “Nell’ottemperare alle decisioni della Commissione, le imprese e persone interessate non possono essere costrette ad ammettere di aver commesso delle infrazioni, ma sono in ogni caso tenute a rispondere a quesiti concreti e a fornire documenti, anche se tali informazioni possono essere utilizzate per accertare, a loro carico o a carico di altri, l’esistenza di un’infrazione”); c) la ridefinizione dell’importo massimo delle ammende ex art. 14, che per le infrazioni “procedurali” viene portato all’1% e per quelle “sostanziali” al 10% del fatturato totale delle imprese interessate.
Le uniche due differenze tra il presente regolamento e il regolamento antitrust riguardano la mancanza in quello della possibilità sia di svolgere indagini per settore economico che, soprattutto, di effettuare perquisizioni nei domicili privati dei rappresentanti delle imprese (previsti rispettivamente agli artt. 17 e 21 del Reg. 1/2003).
Il Regolamento in esame, ai sensi dell’art. 26 dello stesso, è applicabile dal 1° maggio 2004.