MAGGIORI DIRITTI SOCIALI PER I GENITORI DEI CITTADINI EUROPEI (*)
Archivio > Anno 2011 > Maggio 2011
di Valeria DI COMITE
In una
recente sentenza la Corte di giustizia è tornata a pronunciarsi sui
diritti sociali dei cittadini di Paesi terzi che soggiornano in uno
Stato membro dell’Unione europea e che sono genitori di minori di
cittadinanza europea, accordando una tutela ancora maggiore rispetto
alla sua precedente giurisprudenza (sentenza dell’8 marzo 2011, causa
C-34/09, Ruiz Zambrano). Il caso portato alla cognizione della Corte di
giustizia in via pregiudiziale riguarda un cittadino colombiano il sig.
Ruiz Zambrano che risiedeva in Belgio senza che gli fosse stato
riconosciuto un permesso di soggiorno. Il ricorrente, infatti, era
entrato nel territorio belga, munito di un visto rilasciato
dall’ambasciata belga di Bogotà e una volta giunto in Belgio aveva
chiesto asilo. Nella stessa situazione si trovava anche la moglie.
L’autorità belga competente aveva però respinto la richiesta di asilo,
ma nell’ordine di lasciare il territorio aveva incluso una clausola
di non rimpatrio, in considerazione della guerra civile esistente nello
Stato di origine del sig. Ruiz Zambrano e della moglie.
Il ricorrente nella causa principale aveva successivamente richiesto di regolarizzare il suo soggiorno in Belgio, sulla base di una legge interna, motivando la sua istanza sull’impossibilità di rientrare in Colombia a causa del persistere della situazione di insicurezza ed evidenziando i suoi sforzi per integrarsi in Belgio, ove peraltro il figlio anch’esso di cittadinanza colombiana frequentava la scuola materna. Rispetto alla decisione di respingere l’istanza il sig. Ruiz Zambrano presentava ricorso. Nelle more del processo il ricorrente non solo aveva ottenuto un contratto di lavoro a tempo indeterminato ma aveva anche avuto un secondo figlio nato in Belgio che aveva acquisito la cittadinanza belga, ciò perché la legge colombiana non riconosce la cittadinanza colombiana ai bambini nati fuori dal territorio nazionale se i genitori non ne fanno una richiesta espressa. Successivamente anche una terza figlia nasceva in Belgio e acquisiva la cittadinanza di tale Paese. Il Sig. Ruiz Zambrano quindi avendo risorse sufficienti ed essendo genitore di minori di nazionalità belga aveva nuovamente richiesto un permesso di soggiorno che tenesse conto di questa situazione. Nel frattempo però il sig. Ruiz Zambrano a causa della crisi era stato collocato in disoccupazione temporanea ed aveva pertanto chiesto un’indennità per disoccupazione. Tale domanda era stata rigettata ed avverso tale decisione il sig. Ruiz Zambrano aveva proposto il ricorso che ha dato origine alla causa incidentale davanti alla Corte di giustizia.
La motivazione per la quale l’istanza di un’indennità di disoccupazione era stata respinta riposava essenzialmente sulla circostanza che l’attività lavorativa era stata svolta in assenza di un permesso di soggiorno, quindi non era stata rispettata la normativa in materia di soggiorno degli stranieri e di occupazione di mano d’opera straniera.
Il sig. Ruiz Zambrano nel presentare il ricorso aveva messo in luce che tale argomento non potesse essere accolto in quanto in base alla sentenza Zhu e Chen (sentenza del 19 ottobre 2004, causa C-200/02, in Raccolta p. I-9925, in merito cfr. U. Villani, La cittadinanza europea e il diritto di soggiorno di una mamma cinese, in Sud in Europa, n. 2, febbraio 2005, reperibile on line sul sito www.sudineuropa.net) egli ricavava un diritto di soggiorno direttamente dal Trattato CE essendo genitore di due bambini di cittadinanza europea.
La peculiarità del caso di specie deriva dal fatto che a differenza dei casi già esaminati dalla Corte il ricorrente non aveva esercitato alcuna delle libertà previste dal diritto dell’Unione europea, infatti non era stata esercitata la libera circolazione tra Stati membri. La questione potrebbe quindi sembrare una situazione puramente interna in quanto il cittadino di un Paese terzo chiedeva di applicare la normativa nazionale dello Stato in cui soggiornava. Tale aspetto era stato messo in rilievo nelle osservazioni presentate da diversi Stati membri e dalla stessa Commissione. L’Avvocato generale Eleanor Sharpston ha però espressamente escluso che potesse trattarsi di una situazione di tale genere in quanto l’attribuzione della cittadinanza belga ai figli minori del sig. Ruiz Zambrano aveva determinato l’automatica applicazione delle regole sulla cittadinanza europea e come già riconosciuto dalla Corte l’esistenza di una “situazione idonea a cagionare il venir meno” dello status di cittadino e dei diritti collegati a tale status “ricade per sua natura e per le conseguenze che produce nella sfera del diritto dell’Unione” (punto 93 delle conclusioni del 30 settembre 2010).
La Corte non si è neanche soffermata a esaminare tale questione ma ha subito ricordato che l’art. 20 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) conferisce a chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro la cittadinanza europea e che “lo status di cittadino dell’Unione è destinato ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri” (punti 40 e 41 della sentenza).
Il figli minori del ricorrente avevano la cittadinanza del Belgio per cui godevano dello status di cittadini europei e secondo la Corte di giustizia l’art. 20 TFUE impedisce di adottare provvedimenti nazionali che costituiscono un ostacolo al godimento reale ed effettivo dei diritti derivanti dallo status di cittadino europeo.
La Corte con un ragionamento decisamente sintetico ha argomentato che il diniego del premesso di soggiorno opposto a un cittadino di un Paese terzo dallo Stato membro in cui risiedono i figli, cittadini europei di tenera età, avrebbe l’effetto di privare questi ultimi del godimento del loro status perché essi potrebbero essere costretti ad abbandonare lo Stato di residenza per accompagnare i propri genitori. La medesima valutazione è stata manifestata anche in relazione al diniego del permesso di lavoro in quanto la mancanza di mezzi di sostentamento per sé e per la propria famiglia indurrebbe il genitore a dove lasciare il territorio dello Stato membro e i figli, cittadini europei, non potrebbero godere dei diritto collegati al loro status.
La sentenza in esame è di grande interesse perché con un iter argomentativo breve e lineare la Corte di giustizia – senza richiamare alcuna altra previsione del diritto dell’Unione europea, compresa la Carta sui diritti fondamentali, e senza cercare supporto in altre norme convenzionali a tutela dei diritti umani, incluso l’art. 8 della CEDU (sul diritto al rispetto della vita privata e familiare) – ha fondato sul solo art. 20 TFUE il diritto di un cittadino di un Paese terzo a soggiornare legalmente e ad ottenere e alcuni vantaggi sociali collegati con tale diritto di soggiorno (come l’indennità per la disoccupazione). La ratio alla base di questa pronuncia consiste nella necessità di permettere ai figli minori del genitore extracomunitario il godimento dei diritti derivanti dal loro status di cittadini europei. In questo modo, la Corte assicura una tutela ancora maggiore rispetto a quella già riconosciuta nelle sentenze (su cui si rinvia al nostro commento Diritto allo studio dei cittadini europei e diritto di soggiorno dei genitori, in Sud in Europa, n. 1, maggio, 2010, reperibile on line sul sito www.sudineuropa.net), infatti le norme del Trattato sulla cittadinanza divengono l’unico parametro normativo di riferimento per assicurare il godimento dei diritti riconosciuti ai cittadini europei anche se questi ultimi non hanno esercitato alcuna libertà di circolazione tra gli Stati membri dell’Unione. La semplice attribuzione della cittadinanza europea considerata dalla prospettiva della necessità di garantire l’esercizio dei diritti collegati a tale status, compreso il diritto di soggiorno, diventa dunque un fattore fondamentale per distinguere le situazioni che rientrano nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione rispetto alle situazioni “puramente interne”. La posizione della Corte è da guardare con favore nella misura in cui accorda una più ampia tutela dei cittadini europei anche attraverso un rafforamento dei diritti dei loro familiari.
(*) Il presente studio è stato condotto nell’ambito del progetto di ricerca nazionale PRIN 2007 “Cittadinanza europea e diritti fondamentali nell’attuale processo di integrazione”. Responsabile nazionale, prof. Ennio Triggiani (PROT. 2007ETKBLF)
Il ricorrente nella causa principale aveva successivamente richiesto di regolarizzare il suo soggiorno in Belgio, sulla base di una legge interna, motivando la sua istanza sull’impossibilità di rientrare in Colombia a causa del persistere della situazione di insicurezza ed evidenziando i suoi sforzi per integrarsi in Belgio, ove peraltro il figlio anch’esso di cittadinanza colombiana frequentava la scuola materna. Rispetto alla decisione di respingere l’istanza il sig. Ruiz Zambrano presentava ricorso. Nelle more del processo il ricorrente non solo aveva ottenuto un contratto di lavoro a tempo indeterminato ma aveva anche avuto un secondo figlio nato in Belgio che aveva acquisito la cittadinanza belga, ciò perché la legge colombiana non riconosce la cittadinanza colombiana ai bambini nati fuori dal territorio nazionale se i genitori non ne fanno una richiesta espressa. Successivamente anche una terza figlia nasceva in Belgio e acquisiva la cittadinanza di tale Paese. Il Sig. Ruiz Zambrano quindi avendo risorse sufficienti ed essendo genitore di minori di nazionalità belga aveva nuovamente richiesto un permesso di soggiorno che tenesse conto di questa situazione. Nel frattempo però il sig. Ruiz Zambrano a causa della crisi era stato collocato in disoccupazione temporanea ed aveva pertanto chiesto un’indennità per disoccupazione. Tale domanda era stata rigettata ed avverso tale decisione il sig. Ruiz Zambrano aveva proposto il ricorso che ha dato origine alla causa incidentale davanti alla Corte di giustizia.
La motivazione per la quale l’istanza di un’indennità di disoccupazione era stata respinta riposava essenzialmente sulla circostanza che l’attività lavorativa era stata svolta in assenza di un permesso di soggiorno, quindi non era stata rispettata la normativa in materia di soggiorno degli stranieri e di occupazione di mano d’opera straniera.
Il sig. Ruiz Zambrano nel presentare il ricorso aveva messo in luce che tale argomento non potesse essere accolto in quanto in base alla sentenza Zhu e Chen (sentenza del 19 ottobre 2004, causa C-200/02, in Raccolta p. I-9925, in merito cfr. U. Villani, La cittadinanza europea e il diritto di soggiorno di una mamma cinese, in Sud in Europa, n. 2, febbraio 2005, reperibile on line sul sito www.sudineuropa.net) egli ricavava un diritto di soggiorno direttamente dal Trattato CE essendo genitore di due bambini di cittadinanza europea.
La peculiarità del caso di specie deriva dal fatto che a differenza dei casi già esaminati dalla Corte il ricorrente non aveva esercitato alcuna delle libertà previste dal diritto dell’Unione europea, infatti non era stata esercitata la libera circolazione tra Stati membri. La questione potrebbe quindi sembrare una situazione puramente interna in quanto il cittadino di un Paese terzo chiedeva di applicare la normativa nazionale dello Stato in cui soggiornava. Tale aspetto era stato messo in rilievo nelle osservazioni presentate da diversi Stati membri e dalla stessa Commissione. L’Avvocato generale Eleanor Sharpston ha però espressamente escluso che potesse trattarsi di una situazione di tale genere in quanto l’attribuzione della cittadinanza belga ai figli minori del sig. Ruiz Zambrano aveva determinato l’automatica applicazione delle regole sulla cittadinanza europea e come già riconosciuto dalla Corte l’esistenza di una “situazione idonea a cagionare il venir meno” dello status di cittadino e dei diritti collegati a tale status “ricade per sua natura e per le conseguenze che produce nella sfera del diritto dell’Unione” (punto 93 delle conclusioni del 30 settembre 2010).
La Corte non si è neanche soffermata a esaminare tale questione ma ha subito ricordato che l’art. 20 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) conferisce a chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro la cittadinanza europea e che “lo status di cittadino dell’Unione è destinato ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri” (punti 40 e 41 della sentenza).
Il figli minori del ricorrente avevano la cittadinanza del Belgio per cui godevano dello status di cittadini europei e secondo la Corte di giustizia l’art. 20 TFUE impedisce di adottare provvedimenti nazionali che costituiscono un ostacolo al godimento reale ed effettivo dei diritti derivanti dallo status di cittadino europeo.
La Corte con un ragionamento decisamente sintetico ha argomentato che il diniego del premesso di soggiorno opposto a un cittadino di un Paese terzo dallo Stato membro in cui risiedono i figli, cittadini europei di tenera età, avrebbe l’effetto di privare questi ultimi del godimento del loro status perché essi potrebbero essere costretti ad abbandonare lo Stato di residenza per accompagnare i propri genitori. La medesima valutazione è stata manifestata anche in relazione al diniego del permesso di lavoro in quanto la mancanza di mezzi di sostentamento per sé e per la propria famiglia indurrebbe il genitore a dove lasciare il territorio dello Stato membro e i figli, cittadini europei, non potrebbero godere dei diritto collegati al loro status.
La sentenza in esame è di grande interesse perché con un iter argomentativo breve e lineare la Corte di giustizia – senza richiamare alcuna altra previsione del diritto dell’Unione europea, compresa la Carta sui diritti fondamentali, e senza cercare supporto in altre norme convenzionali a tutela dei diritti umani, incluso l’art. 8 della CEDU (sul diritto al rispetto della vita privata e familiare) – ha fondato sul solo art. 20 TFUE il diritto di un cittadino di un Paese terzo a soggiornare legalmente e ad ottenere e alcuni vantaggi sociali collegati con tale diritto di soggiorno (come l’indennità per la disoccupazione). La ratio alla base di questa pronuncia consiste nella necessità di permettere ai figli minori del genitore extracomunitario il godimento dei diritti derivanti dal loro status di cittadini europei. In questo modo, la Corte assicura una tutela ancora maggiore rispetto a quella già riconosciuta nelle sentenze (su cui si rinvia al nostro commento Diritto allo studio dei cittadini europei e diritto di soggiorno dei genitori, in Sud in Europa, n. 1, maggio, 2010, reperibile on line sul sito www.sudineuropa.net), infatti le norme del Trattato sulla cittadinanza divengono l’unico parametro normativo di riferimento per assicurare il godimento dei diritti riconosciuti ai cittadini europei anche se questi ultimi non hanno esercitato alcuna libertà di circolazione tra gli Stati membri dell’Unione. La semplice attribuzione della cittadinanza europea considerata dalla prospettiva della necessità di garantire l’esercizio dei diritti collegati a tale status, compreso il diritto di soggiorno, diventa dunque un fattore fondamentale per distinguere le situazioni che rientrano nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione rispetto alle situazioni “puramente interne”. La posizione della Corte è da guardare con favore nella misura in cui accorda una più ampia tutela dei cittadini europei anche attraverso un rafforamento dei diritti dei loro familiari.
(*) Il presente studio è stato condotto nell’ambito del progetto di ricerca nazionale PRIN 2007 “Cittadinanza europea e diritti fondamentali nell’attuale processo di integrazione”. Responsabile nazionale, prof. Ennio Triggiani (PROT. 2007ETKBLF)