RICONOSCIMENTO ED ESECUZIONE DI DECISIONE CONTUMACIALE. DIRITTO AD IMPUGNARE ED EFFETTIVA CONOSCENZA DEI SUOI CONTENUTI
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di Egeria NALIN
Con
sentenza del 14 dicembre 2006 (causa C-283/05), ASML Netherlands BV c.
Semiconductor Industry Services GmbH (SEMIS), la CGCE si è pronunciata
in via pregiudiziale, ex artt. 68 e 234, TCE, sull’interpretazione
dell’art. 34, punto 2, del regolamento CE del Consiglio n. 44/2001, del
22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il
riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materiale civile e
commerciale.
Come è noto, tale regolamento – che è stato emanato ai sensi degli artt. 61 e 65, TCE e ha sostituto (salvo che nei rapporti con la Danimarca) l’omonima Convenzione di Bruxelles, del 27 settembre 1968 (della quale riproduce, con alcune modifiche, i contenuti) – contribuisce alla formazione di uno spazio giudiziario europeo insieme, tra gli altri, ai regolamenti 1346 (relativo alle procedure di insolvenza) e 1348 (sulla notificazione e la comunicazione negli Stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziari in materia civile e commerciale), del 29 maggio 2000; 2201 (relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità dei genitori), del 27 novembre 2003; 1206 (relativo alla cooperazione fra le autorità giudiziarie degli Stati membri nel settore dell’assunzione delle prove in materia civile e commerciale), del 28 maggio 2001; 805 (istitutivo del titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati), del 21 aprile 2004; nonché alla direttiva 2002/8/CE (intesa a definire norme minime comuni relative al patrocinio a spese dello Stato nelle controversie transfrontaliere), del 27 gennaio 2003.
Allo scopo di garantire la libera circolazione delle decisioni emesse dagli Stati membri in materia civile e commerciale, semplificando le formalità di riconoscimento ed esecuzione senza indebolire i diritti della difesa, il regolamento 44/2001 fissa anzitutto norme comuni per l’attribuzione della giurisdizione rispetto a controversie relative a un convenuto domiciliato in uno Stato membro (artt.1 e 2); quindi, esso stabilisce l’automaticità del riconoscimento e dell’esecuzione delle decisioni emanate dai giudici di uno Stato europeo in tutti gli altri Stati membri. Solo in caso di contestazione (artt. 33 e 38), si apre un procedimento apposito, nel quale riconoscimento ed esecuzione possono essere negati richiamando una delle ragioni tassativamente elencate dagli artt. 34 e 35. In particolare, l’art. 34, punto 2, esclude il riconoscimento «se la domanda giudiziale o un atto equivalente non è stato notificato o comunicato al convenuto contumace in tempo utile e in modo tale da poter presentare le proprie difese eccetto qualora, pur avendone avuto la possibilità, egli non abbia impugnato la decisione».
Nel caso di specie, la società austriaca SEMIS era stata condannata con sentenza contumaciale di un Tribunale di primo grado olandese a pagare all’ASML – società con sede in Olanda – una certa somma. Il Pretore di Villach ha riconosciuto l’esecutività in Austria di tale sentenza, nonostante essa non fosse stata notificata né comunicata al convenuto contumace (la SEMIS) e l’atto di citazione all’udienza fosse stato notificato successivamente all’inizio della celebrazione del processo. Su appello proposto dalla SEMIS contro l’ordinanza di esecutività, il Tribunale di Klagenfurt ha respinto la domanda di esecuzione della sentenza, ritenendo che, ai sensi dell’art. 34, punto 2, la possibilità di impugnare una sentenza contumaciale presupponga la notificazione o comunicazione della sentenza al convenuto contumace. Pronunciandosi sull’impugnazione proposta di seguito dall’ASML, la Corte di Cassazione austriaca ha pertanto sollevato la seguente questione pregiudiziale interpretativa: «se l’espressione “(…) eccetto qualora, pur avendone avuto la possibilità, (il convenuto) non abbia impugnato la decisione” di cui all’art. 34, punto 2, del regolamento (n. 44/2001) debba essere interpretato nel senso che tale “possibilità” presuppone in ogni caso una notificazione al convenuto, conforme alle norme in materia di notificazione, di una copia di una sentenza in contumacia di accoglimento di un ricorso, emanata in uno Stato membro» (par. 14, sentenza). In caso di soluzione negativa di tale questione, la Corte di Cassazione austriaca ha chiesto di accertare se la notificazione di una copia dell’ordinanza di exequatur debba indurre il controinteressato a cercare di scoprire l’esistenza di tale sentenza e la sussistenza di eventuali rimedi giuridici esperibili in base all’ordinamento dello Stato di origine. Se così fosse, infatti, la sentenza contumaciale sarebbe riconoscibile, in quanto opererebbe l’eccezione all’impedimento al riconoscimento contemplata dal punto 2 dell’art. 34.
La CGCE ha anzitutto rilevato che l’art. 34, punto 2, si riferisce alla notificazione o comunicazione al convenuto contumace della domanda giudiziale o atto equivalente, mentre non ha specifico riguardo alla decisione contumaciale; inoltre, la Corte ha evidenziato che il regolamento 44/2001 differisce in proposito dall’art 27, punto 2, della Convenzione di Bruxelles. Quest’ultima norma esclude la riconoscibilità delle decisioni «se la domanda giudiziale od un atto equivalente non è stato notificato o comunicato al convenuto contumace regolarmente ed in tempo utile perché questi possa presentare le proprie difese»; per converso il citato punto 2 dell’art. 34 non richiede la regolarità formale di comunicazione o notificazione bensì, più genericamente, il rispetto del diritto di difesa, così ammettendo che si proceda al riconoscimento ove il convenuto contumace abbia avuto la possibilità di impugnare e non vi abbia proceduto.
Come ha sottolineato l’Avvocato generale nelle sue conclusioni (parr. 58 e 60), la ratio della norma è di evitare che il convenuto attenda l’avvio della procedura di riconoscimento per invocare la violazione del diritto alla difesa, allorché avrebbe potuto tutelare i propri diritti esperendo contro la sentenza i ricorsi previsti nello Stato di emissione. Cosicché, ai sensi dell’art. 34, punto 2, il rispetto delle formalità in materia di comunicazione e notificazione della decisione non garantisce necessariamente la tutela effettiva del diritto alla difesa del convenuto contumace; per altro verso, il convenuto, tenuto ad attivarsi con la normale diligenza per la tutela dei propri diritti, non potrà bloccare il riconoscimento e l’esecuzione della sentenza contumaciale se non abbia proceduto ad impugnarla per sua colpa.
La formulazione della norma ci pare congruente con la riferita finalità del regolamento e tiene conto della giurisprudenza della CGCE sulla tutela giurisdizionale dei diritti umani, in quanto principi fondamentali del diritto comunitario derivanti dalle tradizioni costituzionali dei Paesi membri e dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), del 4 novembre 1950 (v. da ultimo la sentenza Krombach, del 28 Marzo 2000, causa C-7/98).
In proposito, la CGCE ha ricordato che, secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, il diritto all’equo processo previsto dall’art. 6, CEDU, presuppone, al fine di garantire un effettivo esercizio dei diritti del convenuto, la conoscenza dei motivi della sentenza – ancorché penale – entro i termini per l’impugnazione (parr. 27-28 sentenza); quindi, essa ha riconosciuto che il regolamento 44/2001 tutela il diritto alla difesa del convenuto contumace sotto un duplice profilo. Infatti, il combinato disposto degli artt. 26, n. 2, del regolamento 44/2001 (relativo al caso di convenuto contumace citato innanzi a giudici di uno Stato diverso da quello di domicilio) e 19, n. 1, del regolamento 1348/2000 (sulle procedure di notificazione della citazione o atto equivalente in altro Stato membro) impone che, durante il procedimento nello Stato di origine, il giudice debba sospendere il processo fin quando non si accerti che il convenuto abbia avuto la possibilità di ricevere la domanda giudiziale o altro atto equivalente in tempo utile per poter presentare le proprie difese, salvo che si sia fatto «tutto il possibile in tal senso». Inoltre, le suddette norme prescrivono che nell’ambito della procedura di riconoscimento ed esecuzione, il giudice debba accertare l’inesistenza dei motivi di diniego contemplati dal punto 2 dell’art. 34. Su queste basi, la CGCE è passata ad esaminare se, mancando la comunicazione o la notificazione della sentenza contumaciale, la conoscenza dell’esistenza di tale decisione nell’ambito del procedimento di esecuzione sia sufficiente per ritenere che il convenuto avesse la possibilità di impugnare la detta decisione, ai sensi del punto 2 dell’art. 34.
Rilevato in proposito che solo conoscendo i contenuti della decisione e, in particolare, i suoi motivi sia possibile esperire un ricorso utile, la CGCE ha affermato che la conoscenza dei contenuti della decisione non presuppone la necessaria notificazione o comunicazione, così come la regolare notificazione o comunicazione non implicano una conoscenza dei contenuti della decisione idonea a consentirne l’impugnazione. Tuttavia, essa ha ritenuto che l’art. 34, punto 2, non può essere interpretato nel senso che il convenuto contumace debba agire con una diligenza superiore alla media, informandosi del contenuto di una decisione emanata in un altro Stato membro, ove abbia solo avuto notizia della sua esistenza. Riprendendo le conclusioni dell’Avvocato generale a riguardo (par. 65), la Corte ha affermato che l’art. 34, punto 2, consente di stabilire un parallelo tra la decisione contumaciale e la domanda giudiziale, poiché la comunicazione o notificazione di ciascuna di esse in tempo utile è condizione necessaria per assicurare il diritto alla difesa innanzi ai giudici dello Stato di emissione della decisione.
Se dunque l’art. 34, punto 2, non impedisce il riconoscimento delle decisione in caso di irregolarità formali della notificazione o comunicazione della domanda giudiziale che non ledano i diritti della difesa, la CGCE ha sostenuto che «per considerare che il convenuto abbia avuto “la possibilità” ai sensi dell’art. 34, punto 2, del regolamento n. 44/2001, di impugnare una decisione contumaciale emessa nei suoi confronti, egli deve aver avuto conoscenza del suo contenuto, cosicché abbia potuto far valere in tempo utile i suoi diritti in maniera efficace dinanzi al giudice dello Stato di origine» (par. 48, sentenza). Su queste basi la Corte ha concluso che l’art. 34, punto 2, deve essere interpretato nel senso che solo una effettiva conoscenza dei contenuti della sentenza, mediante notificazione o comunicazione effettuata in tempo utile per consentirgli di presentare le sue difese dinanzi al giudice dello Stato di origine, dia al convenuto la possibilità di impugnare la decisione contumaciale emessa nei suoi confronti.
La sentenza brevemente esposta appare dunque perfettamente in linea con la precedente giurisprudenza relativa alla Convenzione di Bruxelles. Ci riferiamo in particolare alle sentenze che hanno interpretato restrittivamente le eccezioni al principio dell’automatico riconoscimento purché ciò non indebolisse i diritti della difesa (per tutte, v. la sentenza Debaecker e Plouvier, in causa 49/84, dell’11 giugno 1985, par. 10), fino a riconoscere la sussistenza di una violazione della clausola di ordine pubblico «nei casi eccezionali in cui le garanzie previste dallo Stato di origine e dalla Convenzione stessa (CEDU) non sono bastate a proteggere il convenuto da una violazione manifesta del suo diritto a difendersi dinanzi al giudice d’origine» (Krombach, cit., par. 44).
Come è noto, tale regolamento – che è stato emanato ai sensi degli artt. 61 e 65, TCE e ha sostituto (salvo che nei rapporti con la Danimarca) l’omonima Convenzione di Bruxelles, del 27 settembre 1968 (della quale riproduce, con alcune modifiche, i contenuti) – contribuisce alla formazione di uno spazio giudiziario europeo insieme, tra gli altri, ai regolamenti 1346 (relativo alle procedure di insolvenza) e 1348 (sulla notificazione e la comunicazione negli Stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziari in materia civile e commerciale), del 29 maggio 2000; 2201 (relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità dei genitori), del 27 novembre 2003; 1206 (relativo alla cooperazione fra le autorità giudiziarie degli Stati membri nel settore dell’assunzione delle prove in materia civile e commerciale), del 28 maggio 2001; 805 (istitutivo del titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati), del 21 aprile 2004; nonché alla direttiva 2002/8/CE (intesa a definire norme minime comuni relative al patrocinio a spese dello Stato nelle controversie transfrontaliere), del 27 gennaio 2003.
Allo scopo di garantire la libera circolazione delle decisioni emesse dagli Stati membri in materia civile e commerciale, semplificando le formalità di riconoscimento ed esecuzione senza indebolire i diritti della difesa, il regolamento 44/2001 fissa anzitutto norme comuni per l’attribuzione della giurisdizione rispetto a controversie relative a un convenuto domiciliato in uno Stato membro (artt.1 e 2); quindi, esso stabilisce l’automaticità del riconoscimento e dell’esecuzione delle decisioni emanate dai giudici di uno Stato europeo in tutti gli altri Stati membri. Solo in caso di contestazione (artt. 33 e 38), si apre un procedimento apposito, nel quale riconoscimento ed esecuzione possono essere negati richiamando una delle ragioni tassativamente elencate dagli artt. 34 e 35. In particolare, l’art. 34, punto 2, esclude il riconoscimento «se la domanda giudiziale o un atto equivalente non è stato notificato o comunicato al convenuto contumace in tempo utile e in modo tale da poter presentare le proprie difese eccetto qualora, pur avendone avuto la possibilità, egli non abbia impugnato la decisione».
Nel caso di specie, la società austriaca SEMIS era stata condannata con sentenza contumaciale di un Tribunale di primo grado olandese a pagare all’ASML – società con sede in Olanda – una certa somma. Il Pretore di Villach ha riconosciuto l’esecutività in Austria di tale sentenza, nonostante essa non fosse stata notificata né comunicata al convenuto contumace (la SEMIS) e l’atto di citazione all’udienza fosse stato notificato successivamente all’inizio della celebrazione del processo. Su appello proposto dalla SEMIS contro l’ordinanza di esecutività, il Tribunale di Klagenfurt ha respinto la domanda di esecuzione della sentenza, ritenendo che, ai sensi dell’art. 34, punto 2, la possibilità di impugnare una sentenza contumaciale presupponga la notificazione o comunicazione della sentenza al convenuto contumace. Pronunciandosi sull’impugnazione proposta di seguito dall’ASML, la Corte di Cassazione austriaca ha pertanto sollevato la seguente questione pregiudiziale interpretativa: «se l’espressione “(…) eccetto qualora, pur avendone avuto la possibilità, (il convenuto) non abbia impugnato la decisione” di cui all’art. 34, punto 2, del regolamento (n. 44/2001) debba essere interpretato nel senso che tale “possibilità” presuppone in ogni caso una notificazione al convenuto, conforme alle norme in materia di notificazione, di una copia di una sentenza in contumacia di accoglimento di un ricorso, emanata in uno Stato membro» (par. 14, sentenza). In caso di soluzione negativa di tale questione, la Corte di Cassazione austriaca ha chiesto di accertare se la notificazione di una copia dell’ordinanza di exequatur debba indurre il controinteressato a cercare di scoprire l’esistenza di tale sentenza e la sussistenza di eventuali rimedi giuridici esperibili in base all’ordinamento dello Stato di origine. Se così fosse, infatti, la sentenza contumaciale sarebbe riconoscibile, in quanto opererebbe l’eccezione all’impedimento al riconoscimento contemplata dal punto 2 dell’art. 34.
La CGCE ha anzitutto rilevato che l’art. 34, punto 2, si riferisce alla notificazione o comunicazione al convenuto contumace della domanda giudiziale o atto equivalente, mentre non ha specifico riguardo alla decisione contumaciale; inoltre, la Corte ha evidenziato che il regolamento 44/2001 differisce in proposito dall’art 27, punto 2, della Convenzione di Bruxelles. Quest’ultima norma esclude la riconoscibilità delle decisioni «se la domanda giudiziale od un atto equivalente non è stato notificato o comunicato al convenuto contumace regolarmente ed in tempo utile perché questi possa presentare le proprie difese»; per converso il citato punto 2 dell’art. 34 non richiede la regolarità formale di comunicazione o notificazione bensì, più genericamente, il rispetto del diritto di difesa, così ammettendo che si proceda al riconoscimento ove il convenuto contumace abbia avuto la possibilità di impugnare e non vi abbia proceduto.
Come ha sottolineato l’Avvocato generale nelle sue conclusioni (parr. 58 e 60), la ratio della norma è di evitare che il convenuto attenda l’avvio della procedura di riconoscimento per invocare la violazione del diritto alla difesa, allorché avrebbe potuto tutelare i propri diritti esperendo contro la sentenza i ricorsi previsti nello Stato di emissione. Cosicché, ai sensi dell’art. 34, punto 2, il rispetto delle formalità in materia di comunicazione e notificazione della decisione non garantisce necessariamente la tutela effettiva del diritto alla difesa del convenuto contumace; per altro verso, il convenuto, tenuto ad attivarsi con la normale diligenza per la tutela dei propri diritti, non potrà bloccare il riconoscimento e l’esecuzione della sentenza contumaciale se non abbia proceduto ad impugnarla per sua colpa.
La formulazione della norma ci pare congruente con la riferita finalità del regolamento e tiene conto della giurisprudenza della CGCE sulla tutela giurisdizionale dei diritti umani, in quanto principi fondamentali del diritto comunitario derivanti dalle tradizioni costituzionali dei Paesi membri e dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), del 4 novembre 1950 (v. da ultimo la sentenza Krombach, del 28 Marzo 2000, causa C-7/98).
In proposito, la CGCE ha ricordato che, secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, il diritto all’equo processo previsto dall’art. 6, CEDU, presuppone, al fine di garantire un effettivo esercizio dei diritti del convenuto, la conoscenza dei motivi della sentenza – ancorché penale – entro i termini per l’impugnazione (parr. 27-28 sentenza); quindi, essa ha riconosciuto che il regolamento 44/2001 tutela il diritto alla difesa del convenuto contumace sotto un duplice profilo. Infatti, il combinato disposto degli artt. 26, n. 2, del regolamento 44/2001 (relativo al caso di convenuto contumace citato innanzi a giudici di uno Stato diverso da quello di domicilio) e 19, n. 1, del regolamento 1348/2000 (sulle procedure di notificazione della citazione o atto equivalente in altro Stato membro) impone che, durante il procedimento nello Stato di origine, il giudice debba sospendere il processo fin quando non si accerti che il convenuto abbia avuto la possibilità di ricevere la domanda giudiziale o altro atto equivalente in tempo utile per poter presentare le proprie difese, salvo che si sia fatto «tutto il possibile in tal senso». Inoltre, le suddette norme prescrivono che nell’ambito della procedura di riconoscimento ed esecuzione, il giudice debba accertare l’inesistenza dei motivi di diniego contemplati dal punto 2 dell’art. 34. Su queste basi, la CGCE è passata ad esaminare se, mancando la comunicazione o la notificazione della sentenza contumaciale, la conoscenza dell’esistenza di tale decisione nell’ambito del procedimento di esecuzione sia sufficiente per ritenere che il convenuto avesse la possibilità di impugnare la detta decisione, ai sensi del punto 2 dell’art. 34.
Rilevato in proposito che solo conoscendo i contenuti della decisione e, in particolare, i suoi motivi sia possibile esperire un ricorso utile, la CGCE ha affermato che la conoscenza dei contenuti della decisione non presuppone la necessaria notificazione o comunicazione, così come la regolare notificazione o comunicazione non implicano una conoscenza dei contenuti della decisione idonea a consentirne l’impugnazione. Tuttavia, essa ha ritenuto che l’art. 34, punto 2, non può essere interpretato nel senso che il convenuto contumace debba agire con una diligenza superiore alla media, informandosi del contenuto di una decisione emanata in un altro Stato membro, ove abbia solo avuto notizia della sua esistenza. Riprendendo le conclusioni dell’Avvocato generale a riguardo (par. 65), la Corte ha affermato che l’art. 34, punto 2, consente di stabilire un parallelo tra la decisione contumaciale e la domanda giudiziale, poiché la comunicazione o notificazione di ciascuna di esse in tempo utile è condizione necessaria per assicurare il diritto alla difesa innanzi ai giudici dello Stato di emissione della decisione.
Se dunque l’art. 34, punto 2, non impedisce il riconoscimento delle decisione in caso di irregolarità formali della notificazione o comunicazione della domanda giudiziale che non ledano i diritti della difesa, la CGCE ha sostenuto che «per considerare che il convenuto abbia avuto “la possibilità” ai sensi dell’art. 34, punto 2, del regolamento n. 44/2001, di impugnare una decisione contumaciale emessa nei suoi confronti, egli deve aver avuto conoscenza del suo contenuto, cosicché abbia potuto far valere in tempo utile i suoi diritti in maniera efficace dinanzi al giudice dello Stato di origine» (par. 48, sentenza). Su queste basi la Corte ha concluso che l’art. 34, punto 2, deve essere interpretato nel senso che solo una effettiva conoscenza dei contenuti della sentenza, mediante notificazione o comunicazione effettuata in tempo utile per consentirgli di presentare le sue difese dinanzi al giudice dello Stato di origine, dia al convenuto la possibilità di impugnare la decisione contumaciale emessa nei suoi confronti.
La sentenza brevemente esposta appare dunque perfettamente in linea con la precedente giurisprudenza relativa alla Convenzione di Bruxelles. Ci riferiamo in particolare alle sentenze che hanno interpretato restrittivamente le eccezioni al principio dell’automatico riconoscimento purché ciò non indebolisse i diritti della difesa (per tutte, v. la sentenza Debaecker e Plouvier, in causa 49/84, dell’11 giugno 1985, par. 10), fino a riconoscere la sussistenza di una violazione della clausola di ordine pubblico «nei casi eccezionali in cui le garanzie previste dallo Stato di origine e dalla Convenzione stessa (CEDU) non sono bastate a proteggere il convenuto da una violazione manifesta del suo diritto a difendersi dinanzi al giudice d’origine» (Krombach, cit., par. 44).