L'OPERAZIONE MILITARE "ARTEMIS" DELL'UNIONE EUROPEA NELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO
Archivio > Anno 2003 > Dicembre 2003
di Roberto VIRZO (Dottore di ricerca in Diritto internazionale Università degli Studi di Bari)
Il
12 giugno 2003 il Consiglio dell’Unione europea ha adottato - sulla
base degli articoli 17 paragrafo 2 e 25 del TUE e della precedente
Azione comune 2003/423 del 5 giugno 2003 - la Decisione 2003/423/PESC,
mediante la quale ha avviato l’operazione militare “Artemis” nella
Repubblica Democratica del Congo (RDC). L’operazione, conclusasi nel
settembre 2003, è consistita nell’invio a Bunia, nella regione
dell’Ituri, situata nel Nord-Est della RDC, al confine con l’Uganda, di
un contingente militare dell’Unione europea, che ha agito come forza di
emergenza interinale autorizzata dalle Nazioni Unite.
In effetti, la Decisione e l’Azione comune in questione fanno seguito alla Risoluzione 1484 del 30 maggio 2003, con la quale il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha autorizzato lo spiegamento di una forza multinazionale temporanea nella regione dell’Ituri da affiancare alla MONUC, la Mission de l’Organisation des Nations Unies en République démocratique du Congo. Peraltro, se quest’ultima é stata istituita per assicurare il rispetto e l’attuazione dell’Accordo di Lusaka del 10 luglio 1999 (cfr. Risoluzione 1279 del Consiglio di sicurezza del 30 novembre 1999), prevedente il cessate il fuoco sia del conflitto interno - iniziato nel 1996 con l’ascesa al potere di Kabila e la proclamazione della nuova RDC (ex Zaire) - sia del conflitto internazionale che già da alcuni anni coinvolgeva, oltre alla RDC, diversi Stati dell’Africa centro-meridionale ed in particolare il Ruanda e l’Uganda, la forza di emergenza interinale è stata istituita successivamente agli Accordi di Dar es-Salaam del 16 maggio 2003. Tali accordi hanno previsto la ripresa del processo di pacificazione nella zona di Bunia e l’avvio di un’Amministrazione transitoria dell’Ituri, mentre la forza multinazionale, agendo in stretta collaborazione con la MONUC ha dovuto contribuire alla stabilizzazione delle condizioni di sicurezza e al miglioramento della situazione umanitaria a Bunia.
Oltre che per le finalità perseguite, l’operazione Artemis è da considerarsi particolarmente importante sia perché ha segnato un significativo passo in avanti nella progressiva concretizzazione della Politica europea di sicurezza e difesa dell’Unione europea (PESD), sia perché ha apportato alcuni elementi di novità nella prassi in materia di rapporti tra l’ONU e le organizzazioni internazionali regionali nel settore del mantenimento della pace e della sicurezza internazionali.
In proposito, con riferimento alla PESD, va osservato anzitutto che l’operazione Artemis insieme a quelle avviate nei primi mesi del 2003 in Bosnia–Erzegovina e nella ex Repubblica jugoslava di Macedonia - quest’ultima denominata operazione “Concordia” -, costituisce una delle prime operazioni militari dell’Unione Europea. A ciò si aggiunga che l’intervento in Bosnia-Erzegovina deve essere più correttamente qualificato come una missione di polizia e che, a differenza dell’operazione Concordia, quella nella RDC ha costituito un’operazione “autonoma” di gestione delle crisi internazionali da parte dell’Unione europea, non essendosi fatto ricorso ai mezzi e alle capacità militari della NATO. Per l’operazione Artemis è stata invero designata come “nazione quadro” la Francia (cfr. articolo 2 dell’ Azione comune 2003/423), la quale ha inviato circa 700 dei 1500 soldati della Force multinational intérimaire d’urgence à Bunia (FORMIUB), che era costituita anche da truppe provenienti dal Brasile, dal Canada, dal Sudafrica e dall’Ungheria.
È da osservare inoltre che la Decisione 2003/423/PESC è stata adottata sulla base degli articoli 17 e 25 del TUE, così come emendati dal Trattato di Nizza ed è noto che si tratta di modifiche di tutto rilievo. Da un lato, infatti, nel nuovo articolo 17 non appare più quel comma del paragrafo 1 relativo al ruolo dell’Unione Europea Occidentale (UEO), in cui si stabiliva tra l’altro che quest’ultima “è parte integrante dello sviluppo dell’Unione alla quale conferisce l’accesso ad una capacità operativa di difesa, in particolare nel quadro del paragrafo 2. Essa aiuta l’Unione nella definizione degli aspetti della politica estera e di sicurezza comune” (corsivo aggiunto). Tale “elisione” ha avuto implicazioni proprio per le missioni previste nell’articolo 17, paragrafo 2, ossia le “missioni di Petesberg”- così denominate perché inizialmente contemplate nella Dichiarazione adottata a Petesberg il 19 giugno 1992 dal Consiglio dei ministri UEO e consistenti in missioni umanitarie, di soccorso, di mantenimento della pace, di combattimento nella gestione di crisi ovvero tese al ristabilimento della pace -, in quanto la competenza in questa materia è oramai attribuita direttamente all’Unione europea stessa.
Dall’altro, nel nuovo articolo 25 si sostituisce il preesistente Comitato politico con il Comitato politico e di sicurezza (CPS), il quale, peraltro, nelle more dell’entrata in vigore del Trattato di Nizza, era già stato istituito dal Consiglio dell’Unione europea con Decisione 2001/78/PESC. Orbene, posto che ai sensi del comma 2 di tale articolo, il CPS esercita, “sotto la responsabilità del Consiglio, il controllo politico e la direzione strategica delle operazioni di gestione delle crisi”, nell’Azione comune 2003/423 (cfr. articolo 7) il Consiglio ha ritenuto opportuno attribuire al CPS le competenze in materia di modifica del piano operativo e della catena di comando e, a tal fine, lo ha autorizzato ad adottare le decisioni pertinenti. Sicché, durante l’operazione Artemis, sono intervenute due decisioni del comitato in questione: la Decisione RDC/1/2003 del 1° luglio 2003, relativa all’accettazione dei contributi di Stati terzi (si trattava, come si è già accennato, dei contributi forniti da Brasile, Canada, Sudafrica ed Ungheria), e la Decisione RDC/2/2003 dell’11 luglio 2003, relativa alla costituzione del Comitato dei contributori, anche esso già previsto nell’Azione comune (cfr. articolo 10), e nel quale gli Stati contributori hanno concordato con lo stesso Comitato politico e di sicurezza “le questioni relative all’impiego delle loro forze nell’operazione” (cfr. il Considerando 3 della Decisione RDC/2/2003).
Se è dunque evidente l’importanza dell’operazione Artemis anche per il “rodaggio” del meccanismo istituzionale della PESD, non può essere tuttavia taciuto che essa ha riproposto il problema del controllo democratico sulle missioni di tipo Petesberg e, in generale, sulle operazioni militari dell’Unione europea. In questa materia, infatti, i poteri del Parlamento europeo risultano essere del tutto marginali. L’articolo 21 del TUE si limita a stabilire che la Presidenza del Consiglio consulti il Parlamento e provveda affinché le opinioni espresse da quest’ultimo “siano debitamente prese in considerazione”. Esso dispone anche che il Parlamento rivolga interrogazioni o formuli raccomandazioni al Consiglio, ma nulla di più. In altri termini, non sono rinvenibili nel Titolo V del TUE norme che attribuiscano al Parlamento poteri decisionali o quantomeno la facoltà di adottare pareri vincolanti in ordine all’istituzione di missioni di tipo Petesberg, soprattutto quando quest’ultime prevedano l’utilizzo di forze armate, come è avvenuto appunto nel caso dell’operazione Artemis. Tale lacuna normativa appare ancora più grave se si considera che il TUE non richiede neanche il rispetto delle procedure costituzionali di ciascuno Stato membro in materia di invio di missioni militari all’estero: come è noto, infatti, la conformità alle norme costituzionali è prevista (dall’articolo 24, paragrafo 5) solo per gli accordi conclusi ai fini dell’attuazione della PESC.
Con riferimento alla FORMIUB, infine, va osservato che sulla base della risoluzione 1484, l’organizzazione regionale Unione europea, è intervenuta in un’operazione di mantenimento della pace nella RDC e, dunque, evidentemente, al di fuori dell’area geografica di propria competenza. È vero che la risoluzione 1484 è stata adottata sulla base del Capitolo VII e non del Capitolo VIII, ma si tratta pur sempre di un’evoluzione della prassi in materia di autorizzazioni del Consiglio di sicurezza ad operazioni di mantenimento della pace e della sicurezza internazionale da parte di organizzazioni regionali; evoluzione, peraltro che sembra confermata anche dalla partecipazione “fuori area” della NATO (dall’11 agosto 2003) all’ISAF, l’International Security Assistance Force in Afghanistan, già istituita dal Consiglio di sicurezza mediante risoluzione 1386 del 20 dicembre 2001.
In ogni caso, l’operazione Artemis ha probabilmente modificato la percezione che in ambito ONU (e non solo) si ha dell’Unione europea, la quale, invero, appare sempre più decisa ad attuare, sia pure progressivamente, una politica estera comune in materia di sicurezza e di difesa. Proprio, in vista del raggiungimento di questo obiettivo, sarebbe auspicabile una revisione anche del Titolo V del TUE che comporti l’attribuzione al Parlamento Europeo di maggiori poteri di controllo in ordine alle operazioni militari dell’Unione.
In effetti, la Decisione e l’Azione comune in questione fanno seguito alla Risoluzione 1484 del 30 maggio 2003, con la quale il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha autorizzato lo spiegamento di una forza multinazionale temporanea nella regione dell’Ituri da affiancare alla MONUC, la Mission de l’Organisation des Nations Unies en République démocratique du Congo. Peraltro, se quest’ultima é stata istituita per assicurare il rispetto e l’attuazione dell’Accordo di Lusaka del 10 luglio 1999 (cfr. Risoluzione 1279 del Consiglio di sicurezza del 30 novembre 1999), prevedente il cessate il fuoco sia del conflitto interno - iniziato nel 1996 con l’ascesa al potere di Kabila e la proclamazione della nuova RDC (ex Zaire) - sia del conflitto internazionale che già da alcuni anni coinvolgeva, oltre alla RDC, diversi Stati dell’Africa centro-meridionale ed in particolare il Ruanda e l’Uganda, la forza di emergenza interinale è stata istituita successivamente agli Accordi di Dar es-Salaam del 16 maggio 2003. Tali accordi hanno previsto la ripresa del processo di pacificazione nella zona di Bunia e l’avvio di un’Amministrazione transitoria dell’Ituri, mentre la forza multinazionale, agendo in stretta collaborazione con la MONUC ha dovuto contribuire alla stabilizzazione delle condizioni di sicurezza e al miglioramento della situazione umanitaria a Bunia.
Oltre che per le finalità perseguite, l’operazione Artemis è da considerarsi particolarmente importante sia perché ha segnato un significativo passo in avanti nella progressiva concretizzazione della Politica europea di sicurezza e difesa dell’Unione europea (PESD), sia perché ha apportato alcuni elementi di novità nella prassi in materia di rapporti tra l’ONU e le organizzazioni internazionali regionali nel settore del mantenimento della pace e della sicurezza internazionali.
In proposito, con riferimento alla PESD, va osservato anzitutto che l’operazione Artemis insieme a quelle avviate nei primi mesi del 2003 in Bosnia–Erzegovina e nella ex Repubblica jugoslava di Macedonia - quest’ultima denominata operazione “Concordia” -, costituisce una delle prime operazioni militari dell’Unione Europea. A ciò si aggiunga che l’intervento in Bosnia-Erzegovina deve essere più correttamente qualificato come una missione di polizia e che, a differenza dell’operazione Concordia, quella nella RDC ha costituito un’operazione “autonoma” di gestione delle crisi internazionali da parte dell’Unione europea, non essendosi fatto ricorso ai mezzi e alle capacità militari della NATO. Per l’operazione Artemis è stata invero designata come “nazione quadro” la Francia (cfr. articolo 2 dell’ Azione comune 2003/423), la quale ha inviato circa 700 dei 1500 soldati della Force multinational intérimaire d’urgence à Bunia (FORMIUB), che era costituita anche da truppe provenienti dal Brasile, dal Canada, dal Sudafrica e dall’Ungheria.
È da osservare inoltre che la Decisione 2003/423/PESC è stata adottata sulla base degli articoli 17 e 25 del TUE, così come emendati dal Trattato di Nizza ed è noto che si tratta di modifiche di tutto rilievo. Da un lato, infatti, nel nuovo articolo 17 non appare più quel comma del paragrafo 1 relativo al ruolo dell’Unione Europea Occidentale (UEO), in cui si stabiliva tra l’altro che quest’ultima “è parte integrante dello sviluppo dell’Unione alla quale conferisce l’accesso ad una capacità operativa di difesa, in particolare nel quadro del paragrafo 2. Essa aiuta l’Unione nella definizione degli aspetti della politica estera e di sicurezza comune” (corsivo aggiunto). Tale “elisione” ha avuto implicazioni proprio per le missioni previste nell’articolo 17, paragrafo 2, ossia le “missioni di Petesberg”- così denominate perché inizialmente contemplate nella Dichiarazione adottata a Petesberg il 19 giugno 1992 dal Consiglio dei ministri UEO e consistenti in missioni umanitarie, di soccorso, di mantenimento della pace, di combattimento nella gestione di crisi ovvero tese al ristabilimento della pace -, in quanto la competenza in questa materia è oramai attribuita direttamente all’Unione europea stessa.
Dall’altro, nel nuovo articolo 25 si sostituisce il preesistente Comitato politico con il Comitato politico e di sicurezza (CPS), il quale, peraltro, nelle more dell’entrata in vigore del Trattato di Nizza, era già stato istituito dal Consiglio dell’Unione europea con Decisione 2001/78/PESC. Orbene, posto che ai sensi del comma 2 di tale articolo, il CPS esercita, “sotto la responsabilità del Consiglio, il controllo politico e la direzione strategica delle operazioni di gestione delle crisi”, nell’Azione comune 2003/423 (cfr. articolo 7) il Consiglio ha ritenuto opportuno attribuire al CPS le competenze in materia di modifica del piano operativo e della catena di comando e, a tal fine, lo ha autorizzato ad adottare le decisioni pertinenti. Sicché, durante l’operazione Artemis, sono intervenute due decisioni del comitato in questione: la Decisione RDC/1/2003 del 1° luglio 2003, relativa all’accettazione dei contributi di Stati terzi (si trattava, come si è già accennato, dei contributi forniti da Brasile, Canada, Sudafrica ed Ungheria), e la Decisione RDC/2/2003 dell’11 luglio 2003, relativa alla costituzione del Comitato dei contributori, anche esso già previsto nell’Azione comune (cfr. articolo 10), e nel quale gli Stati contributori hanno concordato con lo stesso Comitato politico e di sicurezza “le questioni relative all’impiego delle loro forze nell’operazione” (cfr. il Considerando 3 della Decisione RDC/2/2003).
Se è dunque evidente l’importanza dell’operazione Artemis anche per il “rodaggio” del meccanismo istituzionale della PESD, non può essere tuttavia taciuto che essa ha riproposto il problema del controllo democratico sulle missioni di tipo Petesberg e, in generale, sulle operazioni militari dell’Unione europea. In questa materia, infatti, i poteri del Parlamento europeo risultano essere del tutto marginali. L’articolo 21 del TUE si limita a stabilire che la Presidenza del Consiglio consulti il Parlamento e provveda affinché le opinioni espresse da quest’ultimo “siano debitamente prese in considerazione”. Esso dispone anche che il Parlamento rivolga interrogazioni o formuli raccomandazioni al Consiglio, ma nulla di più. In altri termini, non sono rinvenibili nel Titolo V del TUE norme che attribuiscano al Parlamento poteri decisionali o quantomeno la facoltà di adottare pareri vincolanti in ordine all’istituzione di missioni di tipo Petesberg, soprattutto quando quest’ultime prevedano l’utilizzo di forze armate, come è avvenuto appunto nel caso dell’operazione Artemis. Tale lacuna normativa appare ancora più grave se si considera che il TUE non richiede neanche il rispetto delle procedure costituzionali di ciascuno Stato membro in materia di invio di missioni militari all’estero: come è noto, infatti, la conformità alle norme costituzionali è prevista (dall’articolo 24, paragrafo 5) solo per gli accordi conclusi ai fini dell’attuazione della PESC.
Con riferimento alla FORMIUB, infine, va osservato che sulla base della risoluzione 1484, l’organizzazione regionale Unione europea, è intervenuta in un’operazione di mantenimento della pace nella RDC e, dunque, evidentemente, al di fuori dell’area geografica di propria competenza. È vero che la risoluzione 1484 è stata adottata sulla base del Capitolo VII e non del Capitolo VIII, ma si tratta pur sempre di un’evoluzione della prassi in materia di autorizzazioni del Consiglio di sicurezza ad operazioni di mantenimento della pace e della sicurezza internazionale da parte di organizzazioni regionali; evoluzione, peraltro che sembra confermata anche dalla partecipazione “fuori area” della NATO (dall’11 agosto 2003) all’ISAF, l’International Security Assistance Force in Afghanistan, già istituita dal Consiglio di sicurezza mediante risoluzione 1386 del 20 dicembre 2001.
In ogni caso, l’operazione Artemis ha probabilmente modificato la percezione che in ambito ONU (e non solo) si ha dell’Unione europea, la quale, invero, appare sempre più decisa ad attuare, sia pure progressivamente, una politica estera comune in materia di sicurezza e di difesa. Proprio, in vista del raggiungimento di questo obiettivo, sarebbe auspicabile una revisione anche del Titolo V del TUE che comporti l’attribuzione al Parlamento Europeo di maggiori poteri di controllo in ordine alle operazioni militari dell’Unione.