SEGNALAZIONE: "L'ONU e la crisi del Golfo" - Sud in Europa

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SEGNALAZIONE: "L'ONU e la crisi del Golfo"

Archivio > Anno 2005 > Aprile 2005

di Marina CASTELLANETA    
Per gli Stati Uniti e per il Regno Unito, l’Iraq possedeva armi di distruzione di massa. Per gli ispettori dell’Onu mancava ogni prova. Per l’Unione europea non era il caso di prendere posizione perché tutto si sarebbe risolto. Alla fine, malgrado l’assenza di certezze su un riarmo di Saddam Hussein, l’attacco all’Iraq è stato sferrato. E subito si è aperto un dibattito sul problema della legittimità dell’intervento delle forze anglo-statunitensi. Dibattito che però è stato confuso e offuscato, anche nelle analisi giuridiche, da preconcette posizioni. A fare chiarezza in questo contesto e a rispondere alla domanda cruciale riguardante la legittimità dell’intervento in Iraq, ci pensa il libro, uscito nei giorni scorsi, del professore Ugo Villani, dal titolo “L’Onu e la crisi del Golfo”, edito da Cacucci. Ordinario di diritto dell’Unione europea nella Facoltà di giurisprudenza dell’Università di Roma “La Sapienza” e docente di diritti umani alla Luiss, attento studioso delle Nazioni Unite, il professore Villani, riesce, nel suo libro, a chiarire i reali aspetti della guerra in Iraq, a smontare pezzo per pezzo le tesi addotte dagli esperti giuridici di Bush e Blair, non esitando a sostenere, sulla base di un’attenta e completa analisi giuridica, l’assoluta illegittimità dell’intervento anglo-americano e il comportamento ambiguo del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nella fase post-bellica. Non solo. Oltre alla dimostrata illegittimità dell’intervento, l’attacco all’Iraq è stato disastroso per il numero di vittime e perché non ha raggiunto nessuno dei risultati perseguiti dai due leader. “La guerra – sostiene infatti Villani – tuttora pervicacemente difesa da Bush e Blair assume ormai le dimensioni di una immane ecatombe, che si aggrava ulteriormente con l’attacco ‘finale’ a Falluja, scatenato ai primi di novembre 2004, in dispregio della richiesta di Kofi Annan di astenersi dalla forza”.
Il volume, costituito da cinque capitoli, da un’utile appendice con i testi delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza e da una completa bibliografia, scandaglia tutte le vicende che hanno condotto al nuovo conflitto del Golfo del 2003. Con un merito particolare: che pur essendo un testo giuridico, ricco di approfondimenti, è scritto con un linguaggio chiaro e diretto, accessibile non solo agli studenti, ma anche a tutti coloro che intendano formarsi una propria opinione fondata sulle norme esistenti. Si parte dall’invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein nel 1990 e da un’analisi degli interventi del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che, con la risoluzione 678 del 29 novembre 1990, ha autorizzato l’uso della forza per consentire la liberazione del Kuwait. Proprio attraverso il dettagliato esame di questi interventi del Consiglio di sicurezza, l’autore ci fa percepire in modo netto l’illegittimità della guerra del 2003, nella quale l’Onu non è stato assente – come invece sottolineato da alcuni opinionisti – ma ha preso posizione contro la guerra, impedendo l’adozione dei progetti di risoluzione proposti dagli Stati Uniti e dal Regno Unito.
Nell’esaminare il contesto dal quale è scaturita la guerra iniziata il 20 marzo 2003, il professor Ugo Villani considera altresì aspetti spesso trascurati ossia “una serie di incidenti (comportanti l’uso della forza), solitamente collegati alla questione delle armi di distruzione di massa irachene”, portati avanti da Stati Uniti e Regno Unito fino alla vigilia della guerra. Già in questa fase si sono manifestati – sostiene l’autore – atti illeciti compiuti soprattutto da Stati Uniti e Regno Unito che hanno istituito le cosiddette no-fly zones a nord del 36° parallelo e a sud del 32°. Queste zone di interdizione, mai autorizzate dalle Nazioni Unite e istituite in modo arbitrario dalle due Potenze, hanno poi fornito la base alle forze anglo-statunitensi per dare il via a bombardamenti al fine di imporre all’Iraq il rispetto del divieto di volo. Bombardamenti che sono stati mantenuti - come sottolinea l’autore - a tempo indefinito. Di conseguenza, anche se poteva essere rintracciato un legame con la risoluzione 688 e quindi con l’operazione umanitaria decisa dal Consiglio “il suo mantenimento a tempo indefinito (sino, cioè, alla completa occupazione militare dell’Iraq, accompagnato da periodici bombardamenti), mostra che il reale obiettivo dell’iniziativa era di limitare pesantemente la sovranità territoriale dell’Iraq”. Con buona pace di ogni finalità umanitaria.
Ma in che modo le forze della Coalizione hanno cercato di giustificare la guerra nel 2003? Sono sostenibili le tesi fornite dai governi Bush e Blair? Per rispondere a questi quesiti, ai quali purtroppo, l’opinione pubblica non ha prestato molta attenzione, preferendo aderire a l’una o l’altra posizione, a una divisione in buoni e cattivi, senza troppi interrogativi, il professore Villani procede a scandagliare le giustificazioni addotte per smontarle una per una con la forza del diritto. Il Presidente Bush e il Premier Blair hanno prima sostenuto che la legittimità della guerra risiedeva nella precedente autorizzazione ad usare la forza contenuta nella risoluzione 678 a causa del mancato disarmo iracheno e alla presenza in arsenali segreti di armi chimiche, biologiche e atomiche che, però avverte Villani, non sono mai state trovate nonostante le molte bugie raccontate dai Potenti; poi nella lotta al terrorismo e agli Stati canaglia, secondo la cosiddetta dottrina Bush sulla difesa preventiva ricostruita in dettaglio nel terzo capitolo, per arrivare alla necessità di insediare un governo democratico e quindi rovesciare il dittatoriale regime di Saddam Hussein. Tutte motivazioni – sottolinea Villani – prive di qualsiasi fondamento giuridico. “La guerra anglo-statunitense all’Iraq – conclude Villani – appare del tutto priva di qualsiasi giustificazione giuridica. Essa, infatti, non può ritenersi autorizzata dal Consiglio di sicurezza, le risoluzioni del quale – come si è visto – escludevano l’uso unilaterale della forza contro tale Stato. Per altro verso, non può considerarsi esercizio del diritto di legittima difesa in quanto priva delle condizioni richieste dall’art. 51 della Carta e dalla corrispondente norma di diritto internazionale generale”. Villani non esita così, senza usare circonlocuzioni fumose, a definire l’intervento statunitense come una guerra di aggressione, “violazione particolarmente grave e qualificata del diritto internazionale, che offende l’intera comunità internazionale nei suoi fondamentali interessi”. Un crimine internazionale quindi, una guerra, quella anglo-statunitense all’Iraq, che – dice chiaramente Villani – “rivela tutta la sua illiceità e appare decisa e attuata in assoluto disprezzo del diritto internazionale”.
Però, pur di fronte a una generale condanna della guerra, malgrado la consapevolezza di un atto illecito secondo il diritto internazionale, “né il Consiglio di sicurezza, né l’Assemblea generale – sottolinea l’autore – hanno mostrato alcuna seria reazione all’aggressione anglo-statunitense”. Anzi. Gli stessi Stati che all’interno del Consiglio avevano condannato il comportamento di Bush, hanno poi consentito l’approvazione della risoluzione 1483 del 22 maggio 2003, all’indomani della fine del conflitto, con quello che l’autore qualifica, senza mezzi termini, come un “appiattimento del Consiglio di sicurezza sulle posizioni degli Stati Uniti e del Regno Unito”. In particolare, con l’autorizzazione alla presenza di una forza multinazionale in Iraq, stabilita con la risoluzione 1511 del 16 ottobre 2003, il Consiglio ha rafforzato il potere degli occupanti. In ogni caso, però, l’autorizzazione del Consiglio non sana in alcun modo la violazione perpetrata dalle forze anglo-statunitensi anche perché, come spiega Villani, il Consiglio, con la risoluzione 1511, non aveva il potere di autorizzare le forze multinazionali, che “appartengono agli Stati che hanno commesso una guerra di aggressione, la quale si perpetua con l’occupazione militare dell’Iraq”, a rimanere a Baghdad, tenendo conto altresì dell’obbligo gravante sul Consiglio di rispettare le norme imperative di ius cogens. Di conseguenza, chiarisce l’autore, “gli Stati Uniti e il Regno Unito (con gli altri Stati che illecitamente occupano l’Iraq) hanno l’obbligo di ritirare le loro truppe da tale Stato” e riparare i danni causati. Ma certamente, considerando il comportamento dell’Onu, al quale i bombardamenti anglo-statunitensi hanno assestato un duro colpo, il ritiro potrà avvenire solo per decisione dei Governi della Coalizione.
Sono proprio le considerazioni finali dell’autore, inoltre, a non lasciare intravedere un ruolo delle Nazioni Unite in linea con le regole esistenti. Perché, dopo le prese di posizioni contrarie alla guerra, il Consiglio di sicurezza, con le risoluzioni adottate dopo il conflitto ha “finito per tentare di legittimare, se non la guerra, la successiva occupazione militare e la strategia politica (se ve n’è una!) degli Stati Uniti in Iraq”, con “un effetto politico-morale particolarmente grave e forse di lunga durata”.
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