IL GIUDICE COMPETENTE NELLA PROCEDURA DI INSOLVENZA VERSO UNA SOCIETÀ DEBITRICE - Sud in Europa

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IL GIUDICE COMPETENTE NELLA PROCEDURA DI INSOLVENZA VERSO UNA SOCIETÀ DEBITRICE

Archivio > Anno 2006 > Settembre 2006
di Giovanni PASTINA (Dottorando di Diritto Internazionale nell’Università degli Studi di Bari)    
Con la sentenza 2 maggio 2006, causa C-341/04, la Corte di giustizia si è pronunciata sull’interpretazione degli articoli 3.1, 16.1, 17 e 26 del regolamento (CE) n. 1346 del 29 maggio 2000 (G.U., L. 160, p. 1) relativo alle procedure di insolvenza. La pronuncia riveste grande interesse se si considera che, con la stessa, la Corte ha avuto modo di chiarire alcune problematiche particolarmente dibattute, inerenti all’individuazione del giudice competente ad aprire una procedura di insolvenza in via principale ed al riconoscimento della decisione di apertura della procedura di insolvenza da parte dei giudici di altri Stati membri. La sentenza ha avuto ad oggetto una domanda di pronuncia in via pregiudiziale proposta, ai sensi degli artt. 68 e 234 del Trattato CE, dalla Supreme Court of Ireland, nell’àmbito di una procedura di insolvenza relativa alla Eurofood IFSC Ltd., una società di diritto irlandese, avente la propria sede statutaria nell’International Financial Services Center a Dublino, ma controllata e detenuta al 100% dalla Parmalat Spa, una società di diritto italiano.Come è noto, il 24 dicembre 2003, ai sensi del decreto legge n. 347 del 23 dicembre 2003, il Ministro italiano delle attività produttive ammetteva la Parmalat Spa alla procedura di amministrazione straordinaria, nominando il sig. Bondi amministratore straordinario della stessa società, mentre, il 27 gennaio 2004, la High Court irlandese, sulla base di una domanda di apertura di procedura di liquidazione e nomina di un curatore provvisorio, nei confronti della Eurofood, proveniente dalla Bank of America NA, nominava il sig. Farell curatore provvisorio, conferendogli, tra l’altro, il potere di prendere possesso di tutti i beni di tale società, di gestirne gli affari, di aprire un conto bancario a nome della stessa e di ricorrere alle prestazioni di un consulente. Si ponevano così le premesse di un conflitto di competenza fra il giudice italiano e quello irlandese. Da un lato, difatti, in data 9 febbraio 2004, il Ministro delle attività produttive italiano decideva di ammettere la Eurofood alla procedura di amministrazione straordinaria e di nominare, il sig. Bondi, amministratore straordinario; una decisione cui faceva seguito il deposito di una domanda tesa a far dichiarare l’insolvenza della Eurofood presso il Tribunale di Parma, il quale, dopo aver fissato l’udienza per il 17 febbraio 2004 (data di cui il sig. Farrel veniva avvisato il 13 febbraio), affermava, in data 20 febbraio 2004, di aver competenza a dichiarare lo stato di insolvenza della Eurofood con la motivazione che il centro principale degli interessi di tale società si trovava in Italia. Dall’altro lato, invece, la High Court irlandese, con una sentenza del 23 marzo 2004, dichiarava, innanzitutto, che la procedura di insolvenza nei confronti della Eurofood era già stata aperta in Irlanda, il 27 gennaio 2004, al momento della domanda a tal fine presentata dalla Bank of America NA, ed altresì che la procedura aperta in Irlanda fosse quella principale essendo il centro degli interessi principali della Eurofood collocati in tale Stato. La stessa Corte irlandese eccepiva inoltre che le condizioni dello svolgimento della procedura di insolvenza innanzi al Tribunale di Parma fossero tali da giustificare, da parte dei giudici irlandesi, il rifiuto di riconoscere la decisione del Tribunale italiano ai sensi dell’art. 26 del regolamento n. 1346/2000. Dopo aver constatato la insolvenza della Eurofood, la High Court ne disponeva così la liquidazione nominando liquidatore il sig. Farrel.Contro la decisione della Corte irlandese il sig. Bondi ha proposto poi appello alla Supreme Court of Ireland, la quale ha ritenuto necessario, prima di pronunciarsi sul caso, sospendere il giudizio e presentare alla Corte di giustizia delle questioni pregiudiziali relative all’interpretazione degli articoli 3.1, 16.1, 17 e 26 del regolamento n. 1346/2000 (cfr. par. 24). Il primo problema interpretativo che la Corte di giustizia si trova a dover risolvere consiste innanzitutto nell’individuare l’elemento utile ad identificare il centro degli interessi principali di una società che, come la Eurofood, pur essendo controllata da una società madre (nel caso in esame la Parmalat Spa) abbia la sua sede statutaria in uno Stato diverso da quello della società madre stessa (cfr. par. 26).È utile a tal riguardo ricordare come l’art. 3.1 del regolamento n. 1346/2000, dopo aver stabilito quale criterio base per l’individuazione del giudice competente ad aprire una procedura di insolvenza in via principale il centro degli interessi principali del debitore, dispone espressamente che per le società debitrici si presume che tale centro sia localizzato nel luogo in cui si trova la sede statutaria. Ci si chiede pertanto se e quando tale presunzione possa essere superata.La Corte di giustizia, consapevole che l’obiettivo del regolamento n. 1346/2000 è quello di unificare le norme di diritto internazionale privato e processuale nella materia delle procedure di insolvenza, dichiara innanzitutto come sia indispensabile fornire una interpretazione uniforme, ed indipendente dalle normative nazionali, del suddetto regolamento. Essa ricorda come all’espressione “centro degli interessi principali”, contenuta nell’art. 3.1 del regolamento, si debba attribuire un significato autonomo e che il suo contenuto sia pertanto desumibile dal tredicesimo considerando del regolamento, il quale individua tale centro nel luogo in cui “il debitore esercita in modo abituale, e pertanto riconoscibile dai terzi, la gestione dei suoi interessi” (cfr. parr. 31-32).La Corte deduce quindi che, in ragione dell’esigenza di garantire la certezza del diritto e la prevedibilità dell’individuazione del giudice competente ad aprire una procedura di insolvenza principale, l’elemento determinante utile ad identificare il centro degli interessi principali di una società controllata vada individuato sulla base di criteri formali che siano “obiettivi e verificabili da terzi” e che solo nel caso in cui, sulla base di tali elementi, si pervenga all’individuazione di una situazione reale diversa da quella del luogo della sede statutaria della società sia possibile superare la presunzione di cui all’art. 3.1 (cfr. parr. 33-34). Ne consegue pertanto che in nessun caso il centro degli interessi principali di una società potrebbe essere determinato sulla base di criteri sostanziali e che, quindi, la suddetta presunzione non possa essere superata per il semplice fatto che le scelte gestionali di una società “siano o possano essere controllate da una società madre stabilita in un altro Stato membro” (cfr. par. 36). Una seconda questione sulla quale la Corte di giustizia ha avuto modo di pronunciarsi riguarda poi l’intero sistema del riconoscimento introdotto dal regolamento n. 1346/2000 e disciplinato dall’art. 16.1. In particolare, alla Corte viene chiesto di chiarire se la competenza di un giudice di uno Stato membro che abbia deciso di aprire una procedura di insolvenza possa essere sottoposta a controllo da parte di un giudice di un altro Stato membro in cui è chiesto il riconoscimento (cfr. par. 38).La Corte, ispirata dalla necessità di garantire la circolazione delle decisioni di apertura delle procedure di insolvenza in tutti gli Stati membri, consapevole del carattere universale degli effetti prodotti da una simile decisione e dell’esistenza del principio di fiducia reciproca su cui deve poggiare “il riconoscimento delle decisioni pronunciate dai giudici degli Stati membri” (cfr. ventiduesimo considerando del regolamento n. 1346/2000), statuisce che il quesito vada risolto in base al criterio della priorità e che pertanto, ai sensi dell’art. 16.1, “la procedura di insolvenza principale aperta da un giudice di uno Stato membro deve essere riconosciuta dai giudici degli altri Stati membri, senza che questi possano controllare la competenza del giudice dello Stato di apertura” (cfr. par. 44). Ne consegue pertanto che, ove una parte interessata voglia contestare la competenza del giudice che per primo ha aperto la procedura, essa non avrà altra possibilità che fare ricorso davanti ai giudici dello Stato membro in cui questa è stata aperta, sulla base dei mezzi di ricorso previsti dalla legge nazionale di quest’ultimo Stato (cfr. par. 43).Con riferimento poi alla questione relativa all’interpretazione dell’espressione “decisione di apertura della procedura di insolvenza”, la Corte rammenta come le modalità di apertura di una procedura di insolvenza differiscano da Stato membro a Stato membro in ragione delle diverse normative nazionali e che pertanto l’esigenza di garantire l’efficacia del sistema cui si ispira il regolamento n. 1346/2000 (cfr. secondo considerando), basato sull’apertura di una sola procedura di insolvenza produttiva di effetti in tutti gli Stati membri, potrebbe essere posta in crisi se i giudici dei suddetti Stati, contemporaneamente investiti di domande volte ad ottenere una decisione di apertura di una procedura di insolvenza, rivendicassero una competenza concorrente per un periodo eccessivamente prolungato (cfr. par. 52). La Corte pertanto, ritenendo essenziale fornire una chiara interpretazione dell’espressione contenuta nell’art. 16.1 del regolamento, utile a salvare la coerenza del sistema cui esso si ispira, statuisce che per “decisione di apertura di una procedura di insolvenza” si debba intendere “non solo una decisione formalmente indicata come decisione di apertura dalla normativa dello Stato membro cui appartiene il giudice che l’ha pronunciata” ma altresì una decisione che, come precisato dall’art. 1.1 del regolamento, sia stata emessa a seguito di una domanda, fondata sull’insolvenza del debitore e finalizzata all’apertura di una procedura di cui all’allegato A al regolamento quando essa comporti lo spossessamento del debitore e la designazione di un curatore ai sensi dell’allegato C al regolamento stesso (cfr. par. 54).Con riguardo, infine, all’ultimo quesito posto dal giudice irlandese, relativo alla possibilità di rifiutare il riconoscimento di una decisione di apertura di insolvenza nel caso in cui non sia stato rispettato il principio dell’equo processo1, la Corte ricorda come l’unico limite alla circolazione delle decisioni di apertura delle procedure di insolvenza, previsto dal regolamento n. 1346/2000, sia quello dell’ordine pubblico. Il ricorso al suddetto limite, tuttavia, proprio in ragione del principio della reciproca fiducia che ispira il sistema descritto dal regolamento, non potrebbe che avere carattere eccezionale (cfr. par. 62) ed opererebbe solo ove il riconoscimento della pronuncia straniera contrastasse con i principî fondamentali ai quali si ispirano i singoli Stati membri e fra cui rientrerebbe incontestabilmente il principio dell’equo processo (cfr. parr. 63-65); un principio per il cui rispetto sarebbe essenziale che nello Stato della decisione si garantisca il diritto a ottenere comunicazione degli atti del procedimento e, più in generale, il diritto di essere sentiti. È utile peraltro ricordare come, a giudizio della Corte, il rispetto del principio dell’equo processo, nell’àmbito di una procedura di insolvenza, non implicherebbe che i creditori ed i loro rappresentanti debbano essere necessariamente sentiti in ogni fase del procedimento, essendo sufficiente che ogni restrizione all’esercizio del suddetto diritto sia adeguatamente motivata e che sia in ogni caso garantita la possibilità di contestare o impugnare i provvedimenti adottati in via d’urgenza (cfr. par. 66).Alla luce della pronuncia esaminata può pertanto concludersi che la Corte di giustizia si sia ispirata alla suprema esigenza di garantire la realizzazione di uno spazio giudiziario europeo in cui si concretizzi, da un lato, l’unificazione delle norme di diritto internazionale privato e processuale nella materia delle procedure di insolvenza e, dall’altro, una libera circolazione delle decisioni di apertura di una procedura di insolvenza fra i vari Stati membri. Essa pertanto, in ragione di esigenze di garanzia della certezza del diritto, ha cercato di fornire una interpretazione autonoma delle varie norme contenute nel regolamento n. 1346/2000 ed ha ricordato poi come, in virtù del principio della reciproca fiducia fra i vari giudici degli Stati membri, sulla decisione di apertura di una procedura di insolvenza non possa operarsi alcun controllo da parte dei giudici dello Stato del riconoscimento. La Corte sembra tuttavia pervenire ad una posizione di ragionevole compromesso, rispetto alle esigenze di celerità, nel momento in cui riconosce che la coerenza dell’intero sistema su cui poggia il regolamento n. 1346/2000 debba incontrare un limite necessario nel rispetto dei principî fondamentali cui si ispirano gli ordinamenti giuridici dei vari Stati membri.


1 È utile ricordare come a giudizio di parte della dottrina, una volta accertato che la procedura di insolvenza principale sia stata aperta in Irlanda, non sia possibile immaginare che il giudice irlandese possa invocare il limite dell’ordine pubblico per rifiutarsi di riconoscere la decisione del giudice italiano. Tale ultima decisione infatti, ai sensi dell’art. 16 del regolamento n. 1346/2000, non sarebbe comunque riconoscibile in Irlanda indipendentemente dalla contrarietà con i principî fondamentali dell’ordinamento giuridico irlandese. V. S. BARIATTI, Procedura di insolvenza principale nello Stato centro di interessi, in Guida al diritto, 20 maggio 2006, p. 122.
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